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Autore: Myluna    28/09/2004    4 recensioni
Caro Papà, ti sembrerà buffo che dopo sette anni io ti scriva questa lettera trovando il coraggio di esprimerti le sensazioni e i sentimenti che in tutti questi anni ho tenuto chiusi dentro di me....
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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28 settembre 2004

 

 

Caro Papà,

ti sembrerà buffo che dopo sette anni io ti scriva questa lettera trovando il coraggio di esprimerti le sensazioni e i sentimenti che in tutti questi anni ho tenuto chiusi dentro di me, ma tu lo sai, del resto sei la persona che mi conosce meglio di tutti, che quando mi si chiede di esprimere, sentimenti e sensazioni mi chiudo a guscio, impossibilitata a parlare. E’ difficile per tutti esprimere la tristezza, la gioia, il dolore, il rimpianto, l’amore, a volte ci si nasconde dietro ad una maschera perché stranamente si ha paura di questi sentimenti. Alcuni, come me, ne hanno paura solo perché a volte mostrargli agli altri può ferirci.

Una volta leggendo un racconto ho trovato scritto: “A volte quando si ama, si ha paura. Paura di essere troppo felici o viceversa paura di non riuscire ad esserlo.”

Può sembrare strano a leggerla così uno si chiede: “Paura della felicità?” ma se è proprio questo che ognuno di noi rincorre quotidianamente, perché né dovrebbe avere timore? In verità non si ha paura della felicità in se ma bensì del giorno in cui quella felicità viene a cessare.

Questa è la mia paura. Di trovare la felicità e di perderla, un’altra volta, come sette anni fa, quando la malattia che avevi ti ha portato per sempre via da me.

Avevo 13 anni all’epoca, non avevo mai accettato la tua malattia nonostante ti vedessi giorno dopo giorno divenire sempre più debole, scomparivi lentamente davanti ai miei occhi eppure in cuor mio continuavo a sperare che saresti ritornato come un tempo. Non ti preoccupare, mi ripetevo tutti i giorni, presto la malattia cesserà e starà di nuovo meglio. Non è mai successo. Non riuscivo ad accettare di non rivederti mai più, non riuscivo ad accettare di dover vivere senza di te. Eri il mio unico punto di riferimento e quando ti ho perso è stato come se mi avessero strappato via una parte del mio cuore. Io e la mamma eravamo rimaste sole, senza la nostra ancora di felicità, alla deriva nel mare della vita.

Dopo la tua scomparsa in un attimo la mia vita così come l’avevo vissuta fino a poco tempo prima era cambiata, era come se improvvisamente vedessi il mondo con occhi nuovi, la mamma era sempre triste ed io da parte mia credo di non aver mai fatto nulla per aiutarla a superare quel momento. Ero diversa da lei, non riuscivo a sfogarmi con gli altri ad esprimere tutta la mia disperazione, così per me era divenuto più facile non accettare la tua morte così come avevo fatto con la malattia.Mi ero così convinta che la tua lontananza sarebbe stata breve e che presto saresti tornato.

Credo che la mamma in quel periodo mi detestasse, non piangevo mai né quando c’era lei né con altri, non le davo la minima dimostrazione di dolore, ma lo capisco era difficile per gli altri comprendere che io dal dolore ci stavo fuggendo. Non so per quanto tempo ho atteso, invano, il tuo ritorno mentre la notte piangevo nel letto pregandoti di ritornare da me, pregando di risvegliarmi la mattina e di ritrovarti seduto a tavola con noi, pregavo affinché quello che mi stava accadendo non fosse la realtà ma solo un incubo.

Poi arrivò il giorno in cui mi resi conto che non saresti più tornato accettai la tua morte e il dolore che ne conseguiva, non potevo più fuggire il dolore mia aveva raggiunto ma nonostante ciò continuai ugualmente a tenerlo ben stretto dentro di me come se provare dolore fosse un peccato. Fu in questo periodo che il mio carattere allegro e estroverso si trasformò, divenni timida ed impacciata e mi chiusi dietro ad un piccolo muro che costruivo quotidianamente, un muro che non permettesse a nessuno di passare, che mi proteggesse dagli altri.

“Sapere di poter contare solo su te stessa, un’ombra più scura delle altre, un’ombra sempre più debole e più pura. Riuscire a non sfiorare le altre ombre per paura di aggiungere un altro taglio al proprio corpo…alla propria anima. Sapere di essere giudicata dalle ombre più forti che non sanno cosa vuol dire dolore, rimpianto. Non voler piangere perché si sa che molti ne riderebbero.”

In questo passo tratto da una poesia che lessi tempo fa ritrovai me stessa, mentre la leggevo trovavo tra le sue righe la mia vita. Fatta di ombre, ombre di amici mai avuti, ombre di sogni impossibili. Sogni nei quali mi ero rinchiusa, creandomi un mondo ideale, un mondo dove a nessuno era concesso entrare senza il mio permesso, un mondo lontano dalla realtà. In questo mondo avevo tanti amici, che a volte potevano nascere dalla mia immaginazione o spesso erano i protagonisti degli “anime” che amavo guardare. Erano questi protagonisti i miei unici amici, forse perché loro non potevano in nessun modo farmi del male, perché loro mi accettavano così come ero e non come mi volevano gli altri, quelli che dicevano di essere miei amici e che poi mi chiedevano di essere diversa.

Caro Papino, quante cose avrei da raccontarti, ma tu le conosci già vero? Sai già tutto. Lo so che anche se non ti vedo tu mi sei sempre accanto e sorvegli il mio cammino illuminando la strada che devo percorrere. Da bambina mi sei sempre stato accanto, eri la figura forte che mi sorreggeva quando ho cominciato a fare i primi passi, eri la figura che mi imparava ad andare in bici, che mi imparava a nuotare, che mi ha imparato ad amare. Mi hai regalato piccoli attimi d’amore, affetto e comprensione, ed è strano ma se ci penso solo ora che non ci sei più quei piccoli gesti quotidiani diventano giganteschi e acquisiscono un valore immenso. Un valore che va oltre ciò che è materiale.

Si chiama amore.

Ti voglio bene Papà, te ne vorrò per sempre.

 

 

 

 

 

 

  
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