E' dolce quello che tu mi dici,
ma più dolce è il bacio che ho
rubato alla tua bocca.
| cit. Heinrich Heine |
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CAPITOLO Ⅱ▪
loving
kiss ~ meringa e frutti rossi. ―
Magnus guardava fuori dalla finestra,
seduto sullo stipite di questa con la schiena dritta contro il lato di legno e
i piedi appoggiati sul parallelo. Si concedeva raramente dei momenti di
pensieri, per il semplice motivo che pensare gli faceva male, lo aiutava a
ricordare e si sa che il ricordo è il peggior nemico di un essere immortale.
In sostanza, si deprimeva. E la cosa
non gli donava affatto: quei suoi bei occhi luccicanti diventavano opachi,
perdendosi nel paesaggio di una Brooklyn spenta e fredda, le labbra sempre
curve in un sorriso o in una risata mutavano in una linea piatta e anonima;
anche i capelli, che sembravano sempre ribellarsi e vantarsi del loro essere
sempre pieni di gel e glitter cadevano in una cascata scura lungo le sue
spalle, sporchi e disfatti.
Il vetro della finestra divideva il
caldo tepore casalingo della coperta rossa in cui era avvolto da una città
macchiata di neve, amava il modo in cui quelle piccole meringhe scendevano
dalle nuvole bianche, danzavano nell’aria inquinata e poi cadevano ormai
vecchie e malate sull’asfalto per poi divenire acqua sporca e poltiglia. Lui
non sarebbe mai caduto, pensava, eppure si sentiva già una poltiglia, sporco
molto più di quello che potrebbe sembrare con il trucco sbavato o macchie di
qualsiasi diavoleria sui vestiti.
Si strinse nelle spalle, come in
cerca di calore; aspettava il ritorno di Alec un po’ come un bambino aspetta la
sera di Natale, e a quel pensiero si ritrovò a sorridere. Ogni tanto faticava a
credere di amarlo così intensamente e profondamente, pensava che dopo tutto
quel tempo uno si scordasse quella sensazione e che imparasse a farne a meno,
lasciando che a invadere la sua mente non fosse più l’amore o l’antipatia, ma
solo la cruda paura di non sapere cosa c’è al di là della vita: per questo gli
stregoni non si suicidavano.
La porta si schiuse con un rumore
secco, un placido «sono a casa» si diffuse in tutto il piano di sotto e Magnus
lo poté sentire dalla camera da letto, rimase fermo al suo posto, troppo
apatico per muoversi, voleva che fosse Alec ad andare da lui: voleva
desiderarlo per non dimenticare come si provasse nel farlo.
Il Cacciatore fece capolino nella
stanza, negli occhi c’era una vaga preoccupazione, evidentemente si era
spaventato nel non essere stato travolto da Magnus. Attraversò la stanza a
grandi passi scavalcando un paio di creepers basse rosse e leopardate; Magnus non ricordava di
essersi mai presentato così spento ad Alec. Il Nephilim
aveva la manica della tuta di cuoio strappata, dal labbro spaccato sbocciava un
rivolo di sangue del colore dei mirtilli rossi, e come se non bastasse il suo
bel viso pallido era macchiato all’altezza dello zigomo da un livido scuro.
Magnus aprì le braccia e subito Alec
andò ad abbracciarlo, come se avesse capito l’urgenza dello stregone che lo
avvolse con la coperta mentre chiudeva le braccia attorno alle sue spalle.
Rimasero così, abbracciati per qualche secondo, fino a quando Magnus non si
sentì abbastanza temerario da fare un qualche commento dei soliti, «puzzi»,
disse senza tanti giri di parole, e abbozzò una piccola risata.
Alec si allontanò facendo un passo
indietro, guardandolo tra il finto-offeso e il
rincuorato, aveva temuto il peggio – Magnus triste non era esattamente una cosa
comune e il pensiero che aveva affrontato certe cose da solo non gli piaceva,
ricordò quella loro vacanza che il Nascosto aveva organizzato per loro e le
notti in cui Alec si svegliava in preda alle urla e al panico dalla morte del
fratellino Max e Magnus era sempre lì, sveglio come se non avesse mai chiuso
occhio che se lo stringeva forte tra quelle braccia color cioccolato.
«Tutto bene, comunque?» chiese infine
il Lightwood, lo guardava con sincera preoccupazione.
«Andrebbe meglio se tu non puzzassi
così tanto» Magnus balzò giù dal davanzale della finestra e con la coperta
sulle spalle si avvicinò al letto nel quale, si accorse poi Alec, vi era una
borsa della spesa – Magnus era andato a fare la spesa?, non riuscì a rispondere
a quel pensiero che lo stregone gli lanciò un flacone di bagnoschiuma alla
frutta, «quello al sandalo era finito, e non avevo voglia di farne comparire uno… e poi sei tu che ti lamenti che rubo le cose».
Senza dire nulla, Alec si avviò verso
il bagno, troppo perplesso per dire qualcosa – Magnus che cambiava
comportamento così drasticamente e così velocemente sembrava quasi una presa in
giro. Ci avrebbe riflettuto sotto la doccia.
Dal canto suo, Magnus si stese sul
letto sempre accompagnato dalla sua bella coperta rossa, guardava la porta
quasi con impazienza, aspettando che Alec uscisse da lì avvolto dal vapore
all’aroma di frutta, e allora gli avrebbe rubato l’ennesimo bacio che gli dava
sempre con amore.
Un amore che, ogni giorno, scopriva
di non aver dimenticato.
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Ebbene sono arrivata, e mi scuso per
questa shot.
Non intendevo farla così “angst” ma, capitemi, amo scrivere di Magnus angst. E soprattutto mi piace pensarlo angst,
e che un giorno racconterà di tutto quello che ha passato ad Alec, e allora io
ne sarò felice e ballerò la macarena.
C’è un grosso riferimento, in questa fanfic, ad una certa cosa che dice Magnus in TDI, ovvero
che ha conosciuto uno stregone vecchissimo che aveva dimenticato molte
emozioni, tranne la paura, perché non sapeva che cosa lo aspettava una volta
morto. E mi è piaciuto riportarlo qua in modo che chi lo ha letto lo ricordi(?)
e chi non abbia ancora messo mano alla saga di Will e Jem
(no, niente Tessa, non la sopporto – sorry) lo
capisca comunque, spero di essere riuscita nel mio intento. Non posso sperare
però di essere riuscita a spiegare(??) tutto il gelato in questa fanfic, soprattutto perché la trovo molto introspettiva e
c’è molto del “mio” Magnus, s’intende quello che ruolo, ma staremo a vedere.
Concludo linkandovi le creepers rosse e leopardate (rawr
♡),
ovviamente sono di Magnus, figurarsi.
radioactive,