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Autore: Altariah    21/07/2013    3 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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II – The house of the Rising Sun

 

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Well, I got one foot on the platform
The other foot on the train
I'm goin' back to New Orleans
To wear that ball and chain

 

Lei camminava, in mezzo al buio dei palazzi, trascinata da un automatismo che la faceva avanzare senza che avesse il tempo di pensarci. Non sapeva se la luce fosse ancora accesa nell’appartamento di Kolyat, non si era voltata una volta in strada cercando la sua finestra, cercando la sua sagoma che la osservava andare via come faceva tutte le altre volte.
Era un’area discreta, quella dove lui si era stabilito. Silenziosa. Il silenzio era un aspetto che lei non riusciva a sopportare, in quel posto era vuoto, isolava completamente gli individui, li rendeva sagome buie senza spessore che ignoravano l’esterno, assillati dai propri problemi, mostri che gridavano. Non era la pace di una mattina lontano dal rumore, una mattina la cui luce fa strizzare gli occhi mentre si osserva il paesaggio vivo scaldato una stella vicina. Era un luogo affollato, in cui le persone stavano a stretto contatto l’una con l’altra, ma ognuna delle quali era profondamente sola, persa dentro se stessa.
Sulla cittadella non pioveva, era una stazione il cui metallo era irrorato solamente dalla vita dei passanti, dalle luci a neon ronzanti delle bettole e dalle insegne olografiche dei bar di lusso più vicini al presidium. Ma Oriana stava cercando di convincersi che stesse piovendo, come sulla Terra, quel pianeta che aveva il nome di casa ma a cui sapeva di non appartenere. Aggrappandosi ad alcune speranze che le rimanevano lei riusciva ad andare avanti anche questa volta, sperando che reggessero ancora per tanto tempo senza farla sprofondare, come era successo a Kolyat.
Ma quelle speranze avrebbero davvero potuto sopportare il peso di entrambi?
 
Entrò nel suo appartamento senza accendere la luce, accolta dal rumore familiare e tanto amato di quattro zampe che atterrano sulla moquette. La ragazza sorrise, improvvisamente tranquillizzata dal contatto dei fianchi del gatto contro le gambe, lasciando che un sospiro si perdesse nella quiete della stanza, carico della confusione e della disperazione provate appena prima. Era bello come senza una parola riuscivano a capirsi, gli animali si appigliavano direttamente all’anima senza venire traviati da quel meschino linguaggio capace solo di occultare le cose più fastidiose.
Eppure doveva avere ricominciato a piovere, forse più forte di prima, perché le labbra di Oriana si tirarono di nuovo e il mento le spingeva verso l’alto, gli occhi si restringevano.
Provò il desiderio di lasciarsi andare contro la porta alle sue spalle, ma di nuovo rovistò tra le speranze e attraversò la casa. Erano gocce crudeli quelle che le piovevano sul viso, un diluvio che Queequeg non capiva, ma che osservava, attento, e ne aspettava pazientemente la fine sulla soglia della porta del bagno illuminato dalla luce sterile del neon sul soffitto.
Il gatto seguiva la sagoma della padrona con i grandi occhi ambra, seguendola attento, piegando la testa prima da un lato e poi dall’altro. La sua coda sembrava quasi seguire il ritmo dei lievi singhiozzi che lei emetteva.
Alzò il viso, trovando nel riflesso dello specchio qualcuno che non avrebbe voluto vedere. Il factotum segnalò un messaggio in arrivo, e questa volta lei lo fece aspettare, temendo di trovare cose che l’avrebbero fatta soltanto sentire peggio.
Si guardò di nuovo, avvicinandosi al vetro tanto da condensarlo con il fiato irregolare, e si osservò gli occhi.
Erano grigi, maledettamente grigi quella sera cupa. Le diverse luci le facevano apparire le iridi in molti modi, ma in quel momento credette di essere riuscita ad afferrarne il reale colore. Grigi e piatti, alcune minuscole macchie castane sparpagliate, senza ordine.
Alzò il braccio, mordendosi le labbra e sentendo il sapore delle lacrime. Trattenendo il respiro aprì il messaggio, mentre ogni cellula del suo corpo tremava, senza un motivo apparente.
Oriana pianse nuove lacrime, sollevata, trovando parole cariche di un affetto che non era certa di meritare. Lesse tutto il testo con avidità, sperando di non arrivare mai alla fine, immaginandoselo pronunciato direttamente dalla sua voce. Quanto era lontana, Miranda.
La ragazza si strinse nelle spalle, accasciandosi accanto al lavandino, consapevole che si sarebbe aggrappata a quel testo febbrilmente, rileggendolo con disperazione un’infinità di volte, fino all’arrivo di uno nuovo.
“Non so fino a quando riuscirò a sopportare la tua mancanza, Miri.” Sussurrò, portandosi il braccio avvolto di luce arancio al petto.
 

Well, there is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it's been the ruin of many a poor boy
And God, I know, I'm one

 

Su Kahje non c’era l’azzurro, non c’era il verde, non c’era nulla. Le nubi pesanti appiattivano i volumi, soffocavano le ombre, e la brillantezza dei colori spariva davanti agli occhi sbagliati, creati per percepire il mondo in altre condizioni.
La loro casa era nella regione in cui il nuovo giorno arrivava prima… prima che in qualunque altro punto del globo.
“Il cielo non è mai stato così bello, vero?” Kolyat sorrideva, sdraiato nel suo letto, osservando luminosità del crepuscolo dalla finestra.
“Hai ragione” Rise lei, in risposta. “Guardalo più che puoi, è uno spettacolo raro.”
Le piccole mani acerbe cercarono quelle della madre, senza guardarla. Lui era troppo interessato ai nuovi colori di cui il mondo si stava tingendo fuori da quella stanza.
“Sembra tutto più nitido, non è vero, piccolo?”
Chissà quanto era bella, avvolta in quella luce… ma il tempo era poco, lui non voleva voltarsi, il cielo era troppo prezioso.
Kolyat non riusciva a smettere di sorridere. “Sì”
Lui avrebbe voluto che non diventasse mai notte, avrebbe voluto stare ad osservare quella meraviglia per il resto della sua vita… però, lentamente, i suoi occhi si chiusero, ma la gioia non aveva intenzione di abbandonarlo.
Le prime stelle non le vide neppure, ma si aprirono con un canto e con le dita fresche che sfioravano le palpebre giovani. L’antica canzone diventò un sussurro, e poi andò sfumandosi nel silenzio.
 
Kolyat riaprì gli occhi e vide il grigio. Le sue mani, ora, erano vuote e grandi.
Una delusione opprimente lo investì, senza lasciargli il tempo di riprendersi dal ricordo così vivido. La stessa sensazione che aveva provato da bambino, il giorno seguente, nel riaprire gli occhi e vedere il vetro bagnato di pioggia.
Ora che ci pensava era sempre stata così la sua vita, monocroma e spenta, come la Kahje che lui aveva conosciuto per anni e che aveva imparato a sopportare.
Le screziature di colore, la vita vera, erano cose che lui aveva intravisto poche volte, offuscate e in lontananza. Ma gli era rimasto nel cuore il colore di quel tramonto insolito, tanto da voler ricercare il cielo ovunque, pur di fingere di essere ancora lo stesso di quando tutto sembrava più giusto ai suoi occhi ingenui.
Il blu profondo del cielo che diventa viola e poi si perde nel porpora e poi nel giallo accecante del sole. Il blu, che si rispecchia nelle onde del mare, dipingendole e dando loro consistenza.
Il suo vestito aveva il colore di quel mare, pensò lui, e qualche volta andava a rispecchiarsi nei suoi occhi.
 

 
 











 
 
Ripetizioniii oooohhh oh  ri pe ti zio niii oh oh oh 
zonk izizwe mazibuye
Ovunque e e e 

Volevo ringraziare tantissimo Andromeda e shadow_sea, senza di loro questa storia sarebbe stata bloccata subito e non si sarebbe sviluppata... *non sarebbe nemmeno un male hauhshahahhua* Ma beh, io ci provo e anche se fatico come un mulo a scrivere queste due righe che vi propino dopotutto credo di divertirmi. (Ho detto credo) 
Almeno, se non mi piacesse farlo non lo farei, no? 
O forse, più semplicemente, sono solo masochista. Chi lo sa. 


(non ho avuto la minima voglia di rileggerlo, volevo solo liberarmene. Quindi.. gli eventuali errori, beh, svaniranno quando la riguarderò)
<3 <3 <3 Coniglietti.
  
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