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Autore: Laylath    21/07/2013    2 recensioni
Il suo posto era altrove, la sua fedeltà era per un’altra persona, un altro gruppo.
E ne aveva passate tante prima di giungere a loro…
La storia del nostro amato Maresciallo Falman.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang, Vato Falman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 1.
1890. Rules of game.


East City.
 
La campanella della scuola suonò finalmente la fine delle lezioni e le classi risuonarono del rumore di sedie spostate impazientemente, risate, frusciare di fogli. Le porte delle aule si aprirono e decine di ragazzini corsero via da quell’edificio che li aveva tenuti prigionieri per un’altra mattina. Adesso le loro giovani vite potevano dedicarsi ad attività molto più consone: giocare, scherzare, combinare guai. I libri sarebbero stati accantonati sino al giorno successivo.
Eccetto per uno di loro.
Mentre tutti i suoi compagni si erano affrettati a riporre i libri di testo nelle cartelle per poter scappare via, Vato Falman aveva eseguito l’operazione con calma. Aveva chiuso il libro di storia con religiosa devozione, facendo attenzione che non ci fossero orecchie nelle pagine pulite, senza alcun segno di matita; anche i quaderni avevano subito lo stesso trattamento e così il materiale per scrivere.
In tutto quel tempo gli altri bambini si erano già catapultati nelle vie della città.
“Vato, vogliamo andare? – disse la maestra con voce gentile, aspettandolo all’ingresso della classe – Non vedi che gli altri sono già usciti?”
“Arrivo, signora maestra” sorrise educatamente lui, alzandosi dal banco e mettendosi la borsa a tracolla.
La donna gli accarezzò la testa dai capelli bianchi e neri, così strani per un bambino di appena dieci anni, e si avviarono insieme verso l’uscita.
“Sei stato molto bravo all’interrogazione di storia, oggi: – si complimentò – si vede che hai studiato tanto. Però dovresti passare meno tempo sui libri, Vato: perché durante l’intervallo non vai a giocare con gli altri invece che startene a leggere?”
“Oh, dice che dovrei, signora?” chiese perplesso lui, fissandola con i suoi occhi dal taglio allungato
“Beh, deve far piacere a te, prima di tutto. Fai quello che ritieni giusto; ma ora vai a casa, altrimenti arriverai tardi per il pranzo”
“Va bene, signora maestra. Arrivederci!” salutò il bambino avviandosi in direzione opposta rispetto a quella della donna.
Percorrendo le strade di East City con passo tranquillo, Vato pensò che, ad essere sinceri, per preparare l’interrogazione di storia gli ci erano voluti massimo venti minuti. Erano argomenti per la maggior parte già visti e la lezione nuova era relativamente breve: aveva immagazzinato quei dati con enorme facilità e dunque rispondere alle domande era stata una passeggiata.
Passare meno tempo sui libri… giocare con gli altri invece di leggere
Facendosi serio in viso il bambino rifletté che, forse, avrebbe dovuto dare ascolto alla maestra. Ma se doveva dirla tutta lui continuava a preferire i libri alla compagnia degli altri ragazzi, per tutta una ragione di motivi. Non che gli dessero fastidio, per carità, ma si era accorto sin dai primi anni di scuola di avere interessi totalmente opposti rispetto a loro. Gli altri studenti non vedevano l’ora di accantonare i libri, mentre lui ne divorava uno dopo l’altro: da quando aveva imparato a leggere, a quattro anni, gli si era aperto un mondo incredibile, fatto di milioni di informazioni, storie, definizioni che il suo cervello adorava assorbire per ritirare fuori al momento giusto.
Dopo che aveva iniziato la scuola si era reso conto che era il solo tra i suoi compagni a possedere questa dote. Aveva cercato di capire se ci potesse essere qualche problema in loro, ma era stato costretto a rendersi conto che il diverso era lui. Agli altri non importava di memorizzare tutte quelle cose meravigliose: i libri erano solo un pesante ingombro che occupava le mattinate.
Ingombro… come si poteva definire la parola scritta con un simile vocabolo dispregiativo?
Nel frattempo era arrivato nel palazzo dove stava il suo appartamento.
Salì al terzo piano ed entrò in casa
“Ciao mamma, sono tornato!” salutò, andando in camera sua a posare la borsa e levando i libri per metterli con cura sulla scrivania.
“Ciao Vato, - salutò la voce della madre dalla cucina – lavati le mani che è pronto in tavola!”
“Va bene” annuì lui
Il tavolo era ancora una volta apparecchiato per due: suo padre non sarebbe rientrato a pranzo nemmeno quel giorno… già il quarto di fila. Mentre mangiava, Vato osservò pensieroso sua madre, chiedendosi che cosa ne pensasse della continua assenza del padre. Era anche vero che, essendo un membro della polizia di East City, Vincent Falman doveva essere sempre reperibile: il suo ruolo di assistente di uno dei capitani era molto importante e il bambino era molto fiero del genitore. Ma gli dispiacevano queste continue assenze…
“Allora, oggi non avevi l’interrogazione di storia?” chiese la madre, Rosie, vedendolo così pensieroso
“Oh, sì.E’ andato tutto bene, mamma. La maestra mi ha fatto i complimenti, come sempre”
“Bravo, bambino mio” sorrise lei accarezzandogli la chioma bianca e nera.
“Mamma, questa sera posso andare ad aspettare papà all’uscita da lavoro?” chiese speranzoso
“Vato – mormorò lei, con indulgenza – lo sai che, anche se dovrebbe uscire per le sette, spesso papà fa più tardi del previsto”
“Oh dai, mi porto un paio di libri da leggere! E poi alla stazione di polizia mi conoscono – sorrise Vato – e mi piace parlare con i colleghi di papà”
“Beh, va bene… del resto questo pomeriggio sono di turno al negozio e dovresti stare a casa da solo. Ma mi raccomando di non disturbare troppo”
“Ovviamente, mamma! – esclamò il bambino finendo di mangiare e andando entusiasta in camera sua per preparare la sua inseparabile tracolla – Prima però passo in libreria, posso?”
“Tesoro, hai la stanza che esplode di libri – lo rimproverò bonariamente la donna – non esagerare come al solito!”
“Va bene! – sorrise lui, già alla porta – massimo due, promesso!”
 
Massimo due… quello sì che era un grosso limite.
Vato fissò addolorato gli scaffali della sua libreria preferita, ricolmi di libri che aspettavano solo di essere sfogliati. Le copertine dai diversi colori, con i titoli così invitanti, sembravano chiamarlo con insistenza.
Però doveva prendere una decisione: ed erano già tre ore che stava là dentro.
Seguendo uno schema di priorità aveva ridotto la scelta a una decina di libri: già escluderne alcuni era stata una sofferenza, ma la questione ora era davvero spinosa.
Uno doveva essere per forza Storia di Amestris dalla fondazione ai giorni nostri: il libro di storia che usava a scuola era troppo semplice e sicuramente trascurava un sacco di dati; bastava pensare che non era nemmeno la metà del volumone presente in libreria.
Per quanto riguardava la seconda scelta…
“Oh, ma perché ne posso prendere solo due!” sospirò il bambino con aria mogia
“Ma perché devi sempre finirla in questo modo?” chiese una bambina accanto a lui
“Ciao Elisa – la salutò Vato, senza nemmeno guardarla - … proprio non capisci come sia difficile scegliere?”
La bambina lo guardò con rassegnazione, scostandosi un ciuffo di capelli castani dagli occhi verdi: avevano la stessa età e frequentavano la stessa scuola, sebbene in classi diverse. Elisa era la nipote del proprietario della libreria e dunque conosceva Vato da quando lui si era trasferito ad East City, tre anni prima. Era probabilmente l’unica che sapeva veramente quanto fosse profondo il suo amore per i libri ed era anche l’unica che avesse un’interazione abbastanza intensa con lui. Per esempio non si era fatta scrupoli di chiedergli come mai i suoi capelli fossero bicolore.
Sono sempre stati così. E prima che tu me lo chieda, no, non sono albino, altrimenti avrei tutti i capelli bianchi e gli occhi di un colore differente.
Elisa, che quando avevano avuto quel confronto aveva sette anni, l’aveva fissato perplessa
Cosa c’entra adesso l’albume delle uova?
No! Non albume! Albinismo! E’ un fenomeno consistente nella totale o parziale deficienza di pigmentazione melaninica nella pelle…
Ma lo sai che sei strano?
Lei l’aveva interrotto in modo così brusco e in quel modo era nata la loro amicizia.
A Vato piaceva Elisa perché in qualche modo faceva parte del mondo dei suoi amati libri. Certo, non ne leggeva quanto lui e, se doveva essere sincero, le sue preferenze letterarie non rientravano nei suoi gusti. Ma almeno era una bambina con cui avere un minimo di dialogo e che non si spaventava troppo quando si metteva a parlare di argomenti a lei sconosciuti.
“Non concluderai nulla se continui a fissarli in quel modo” ribadì la bambina
“E secondo te cosa dovrei fare?”
“Tieni i due che hai in mano e basta. Per gli altri ci sarà tempo”
“Ma ne arriveranno altri ancora – protestò lui – e poi, magari, tra una settimana scoprirò nuovi titoli e la lista delle mie priorità cambierà ancora!”
“Che lagnoso che sei, Vato!”
“Senti, uno l’ho già scelto, vedi? – disse orgoglioso mostrando il libro di storia – Quindi non puoi rimproverarmi più di tanto”
“Perfetto – dichiarò la bambina – allora alla seconda scelta ci penso io!” e senza dargli il tempo di ribattere, chiuse gli occhi si diresse allo scaffale opposto e pescò un libro a caso da un ripiano. Senza nemmeno dargli un’occhiata tornò dal bambino, che per tutto il tempo dell’operazione l’aveva guardata perplesso, e glielo consegnò.
Giochi per tutti i tipi e tutti i gusti
“Ma è un manuale di giochi – constatò Vato, sfogliando le pagine – non è proprio il genere di cosa che avevo in mente”
“Beh, meglio così! Magari ti sorprende. Adesso devo andare: purtroppo a me non ci vogliono pochi minuti per imparare una lezione di storia” sorrise Elisa, lasciandolo a rigirare il nuovo libro tra le mani.
“Ciao…” mormorò distrattamente Vato, mentre sfogliava l’indice.
Come al solito un argomento che fino a pochi secondi prima gli era sembrato stupido, adesso gli si presentava carico di aspettative. Notò che fra i giochi erano presenti anche quelli che facevano i suoi compagni durante l’intervallo… e non poté far a meno di pensare al consiglio che gli aveva dato la maestra quella stessa mattina.
 
 La stazione di polizia dove lavorava suo padre si trovava vicino al quartier generale dell’esercito.
Seduto sopra un muretto, con i libro sui giochi aperto sopra le ginocchia, Vato osservava con perplessità la differenza d’imponenza tra i due edifici: quello dell’esercito era molto più grosso. La bandiera verde e argento con dragone, simbolo di Amestris, svettava fiera in cima all’edificio, mossa dalla leggera brezza d’aprile.
“Ciao Vato, sei venuto a prendermi?” chiamò il padre uscendo dalla stazione di polizia
“Ciao papà! – salutò il bambino, scendendo agilmente dal muretto e correndo ad abbracciare il genitore – Certo che sono venuto a prenderti! Ho chiesto il permesso alla mamma!”
“Mi dispiace di non essere potuto tornare a casa per pranzo, - si scusò Vincent – ma purtroppo c’è un caso molto importante di cui ci stiamo occupando”
“Quando sarò grande potrò venire a darti una mano? – chiese il bambino, mentre si avviavano verso casa – Così farai molto prima”
“Ma certo, sono sicuro che ti piacerebbe lavorare tra tutte quelle scartoffie che abbiamo negli archivi – rise Vincent, arruffando la testa bianca del figlio – e probabilmente ci capiresti molto più di noi”
La prospettiva di poter lavorare negli archivi della polizia assieme a suo padre piaceva molto al bambino. Considerava il genitore una persona meravigliosa e lavorare con lui era la cosa che desiderava di più al mondo: per questo aveva deciso sin da quando aveva cinque anni che sarebbe diventato un poliziotto.
Certo, era un tipo di mestiere che richiedeva anche molta azione, ma lui riteneva di potersela cavare come i protagonisti di tante storie che aveva letto che, solo grazie agli indizi e a un grande intuito, avevano risolto casi difficilissimi.
Suo padre gli aveva spiegato che le cose non andavano proprio così, ma Vato continuava a credere che con una corretta analisi le situazioni si sarebbero potute risolvere senza nessun problema. Bastava conoscere le regole e farle rispettare, tutto qui.
“Come ti stai trovando a scuola?” chiese Vincent interrompendo le sue entusiastiche riflessioni
“Bene, papà. Oggi sono stato molto bravo all’interrogazione di storia”
“Non parlavo solo di questo. Come va con i tuoi compagni?”
“Bene, perché?”
Vato fissò il genitore con perplessità. Sapeva che ogni tanto lui e sua madre si preoccupavano del fatto che non stesse molto con il resto dei suoi coetanei. Sulle prime avevano pensato che fosse stata colpa del trasferimento ad East City nel bel mezzo delle scuole elementari, ma non era mai stato un bambino molto socievole, anche nella città dove stavano prima.
Il problema era che se ne preoccupavano gli altri, non lui. Semplicemente a Vato andava bene così.
“Ho visto il libro che hai in mano… - continuò Vincent – è un argomento strano per le tue letture”
“Oh, questo! Me l’ha imposto Elisa, sai la bambina della libreria: ho promesso a mamma che ne avrei preso solo due e siccome ero molto indeciso, lei ha scelto per me. Però è interessante… non pensavo che ci fossero così tanti giochi e con così tante regole”
“Le regole dei giochi sono come le regole della vita, figliolo. – sentenziò Vincent – Credo che imparerai parecchio da quel libro”
 
La sua cameretta esplodeva di libri, letteralmente. Purtroppo non era molto grande, considerato che vivevano in un appartamento, ma ogni spazio disponibile era stato utilizzato per la grande passione del bambino. Un’intera parete era occupata da una libreria ripiena di volumi di ogni argomento, mentre altri erano impilati sotto la scrivania e sotto il letto. I libri scolastici stavano su una mensola sopra la scrivania, e una mensola gemella stava sopra il letto.
Era sera inoltrata e la luce era ancora accesa: il bambino, già in pigiama, stava sdraiato prono nel letto, continuando a sfogliare il libro che Elisa gli aveva dato quel pomeriggio.
Si stava rendendo conto di molte cose e non vedeva l’ora che arrivasse la mattina successiva.
 
“Ma stai scherzando, spero” esclamò un suo compagno di classe, fissandolo a braccia conserte
“No, non sto scherzando – disse Vato con sicurezza – state giocando nel modo sbagliato. Le regole di questo gioco non sono così!”
“Senti Vato, - disse un altro, tenendo la palla in mano – ci giochiamo da anni a questo gioco e le regole le conosciamo bene”
“Ma le regole ufficiali non sono così! – ribadì il bambino, non riuscendo a capacitarsi del fatto che non capissero – Le squadre devono essere da cinque giocatori e non da otto… e poi la palla non è della grandezza giusta. Inoltre bisognerebbe verificare che le linee tracciate siano uguali a…”
“Ma la vuoi smettere? – sbottò il primo compagno, perdendo la pazienza – Hai chiesto se potevi giocare, e va bene! Però gioca!”
Vato non seppe cosa rispondere. Come poteva giocare con loro se non seguivano le regole?
“Che succede?” chiese Elisa, avvicinandosi al gruppetto nel cortile della scuola
“Stavamo giocando a Palla Nera e Vato ci ha chiesto se poteva unirsi a noi – spiegò il bambino con la palla – però poi ha iniziato a tirare fuori un sacco di regole assurde”
“Non sono assurde. Sono quelle ufficiali”
“Le regole ufficiali?” si sorprese Elisa
“Sì, le ho lette ieri sera nel libro che mi hai suggerito tu – replicò Vato recuperando la sua solita calma – Però loro non le vogliono applicare”
“Perché sono assurde! Cavolo, Vato! Siamo a scuola, vogliamo giocare tutti… e se facessimo squadre da cinque invece che da otto, qualcuno resterebbe fuori!”
“Ma le regole…”
“Me ne faccio un baffo di quelle regole! O giochi secondo le nostre o niente! Abbiamo ancora dieci minuti di intervallo e non voglio perderli in questa discussione… andiamo ragazzi!”
Vato si grattò la nuca con aria sconsolata, mentre guardava i suoi compagni allontanarsi. Elisa, accanto a lui, si mise a giocherellare con un bottone della sua giacca blu scuro.
“Vato… è solo un gioco… perché devi farla difficile?” gli chiese
“Se le regole esistono c’è un motivo… E poi, alle loro condizioni non potrei giocare. Mi conosco: continuerei a pensare a tutte le norme che stanno ignorando e non mi divertirei… e li farei arrabbiare”
Elisa sospirò, dispiaciuta per quanto era successo. Forse non era stata una buona scelta quel libro che gli aveva imposto ieri in libreria.
“C’era qualche gioco per due persone con le regole abbastanza semplici. Che si possa terminare in dieci minuti?” chiese all’improvviso con un sorriso
“Sì, almeno dieci giochi di quelli presenti nel libro” annuì lui distrattamente
“Oh, perfetto! Allora scegli il terzo in ordine crescente e spiegamelo! Ci giochiamo io e te, prima che finisca l’intervallo!”
 
“Papà, è giusto fare a meno delle regole?” chiese quella sera Vato, quando l’uomo entrò per dargli la buonanotte.
“Che intendi dire?” chiese Vincent sedendosi nel letto accanto a lui
“E’ che stamane a scuola…”
E gli raccontò quanto successo durante l’intervallo, esprimendo tutta la sua perplessità: se un gioco aveva determinate regole era giusto rispettarle, altrimenti non aveva senso giocarci.
“Non dovresti essere così rigido e schematico, figliolo – gli spiegò il padre, accarezzandogli i capelli – è stato solo un gioco”
“Sì, ma le regole del gioco sono come le regole della vita, l’hai detto tu ieri”
“Appunto. Fai attenzione Vato: le regole vanno applicate, ma a volte è meglio usare il buon senso. Hai detto tu stesso che, seguendo le regole di Palla Nera, alcuni sarebbero rimasti fuori dal gioco. E non sarebbe stato bello. Devi sempre valutare la situazione: le regole sono una cosa oggettiva certo, ma pensa anche con la tua testa, ragazzo mio”
“Mmh” annuì il bambino a capo chino, fissando le coperte verdi del letto.
Si sentiva oggettivamente uno stupido: era andato dai suoi compagni convinto di migliorare il gioco e invece aveva fatto solo la figura dello scocciatore. Forse era davvero troppo diverso da loro.
“Pensaci su, Vato – gli consigliò il padre, con un ultima arruffata di capelli – sono sicuro che ci arrivi”
E lui ci pensò tutta la notte, andando con difficoltà fuori da quanto dicevano i libri e capendo che, tutto sommato, era necessario uscire dagli schemi se voleva andare d’accordo con gli altri.
Suo padre aveva ragione: quel gioco e le sue regole erano un ottimo esempio anche per affrontare la vita.
Però, se doveva essere sincero, avrebbe continuato a leggere durante gli intervalli scolastici… o, al massimo, a fare qualche gioco a due con Elisa.
  
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