Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: LuLu96    21/07/2013    1 recensioni
"La domanda che mi risuonava nella testa era una sola.
Perchè?
Perchè Sherlock aveva deciso di morire?
Perchè aveva assecondato quella farsa?
Perchè non aveva reagito?
Perchè faceva così dannatamente, maledettamente male?"
Dopo la morte di Sherlock Holmes, John Watson non sa come fare per vivere. i dubbi lo attanagliano, ma c'è qualcosa, in un angolo della sua mente, che lo mette in allarme, che lo avverte che non tutto è perduto, anche se lui non riesce a sentirlo. Presto, però, la sua vita cambierà e tornerà di nuovo a splendere... giusto?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Non degnai Sherlock di uno sguardo. Finii il tea, presi il giornale e mi richiusi in camera. Non ero pronto ad averlo accanto, tutti i giorni, a tornare a quella quotidianità che, diamine, avevo sognato in quei tre mesi. La situazione rimase in stallo per alcuni giorni, durante i quali io mi svegliavo la mattina, bevevo il tea che Sherlock mi preparava, mi godevo le note dolci del suo violino nascondendo il viso nella tazza o dietro il giornale e mi richiudevo in camera a pensare. Non riuscivo a tornare alla normalità. Beh, come avrei potuto? Uscivo da tre mesi in cui credevo che il mio migliore amico fosse morto suicida sul marciapiede di fronte al Bart, tre mesi di allucinazioni e droga. La parola d'ordine era stata dolore e ora il concetto di "perdono" era ancora lontano dalla mia mente non ancora del tutto guarita. Desideravo con tutto me stesso che le cose tornassero a posto, che la vita ricominciasse a scorrere come faceva prima, che la complicità che caratterizzava il nostro rapporto tornasse forte e presente come un tempo. Sorrisi al ricordo di come proprio quello che a me mancava faceva sì che molti ci scambiassero per una coppia. Il mio sorriso si allargò ancora al pensiero delle mie reazioni. Tanto fiato sprecato quando invece, forse, avevano avuto ragione loro, almeno da parte mia. Il pensiero che più di tutto mi aveva occupato la mente in quei giorni erano i miei sentimenti, a discapito di tutto. Diavolo, io non ero gay! Il solo pensiero di toccare un uomo mi faceva venire la nausea. Certo, quando ero nell'esercito capitava che con i miei commilitoni ci toccassimo, ma era per scherzare, nessuno si stava davvero toccando, non come una coppia di amanti. Eppure l'idea del corpo di Sherlock tra le mie braccia, delle sue labbra sulle mie, come l'immagine di qualche giorno prima, mi provocava dei brividi in tutto il corpo, senza che potessi fare niente per respingerli. Mi convincevo che era solo questione di tempo, il fatto che fosse tornato, che fosse vivo.  E allora tornavo ad arrabbiarmi, a tormentarmi. Per quale motivo non mi aveva coinvolto? Perchè non si fidava di me? Probabile. Certo, tutta la storia dei cecchini -tre bersagli, tre pallottole- era un motivo valido, ma se davvero era sempre stato un passo avanti a Moriarty, come lui sosteneva, perchè non mi aveva informato? Avrei aiutato, avrei potuto fare qualcosa, o almeno non avrei sofferto così tanto. Ma a lui cosa importava se le persone soffrivano? Niente. E chi ero io per pensare che con me fosse diverso? Nessuno. Mi ero illuso fin dall'inizio. Avevo creduto che Sherlock mi trattasse diversamente dagli altri perchè in qualche suo strano modo teneva a me più che a loro. Era egoistico da parte mia, era vero, ma non potevo fare a meno di pensarlo. Ma evidentemente non era così.
Prepotentemente le immagini di Dartmoor mi si stamparono in testa, la sua voce mi rimbombò nelle orecchie come se stesse parlando proprio nel moi orecchio in quel momento.
"Quello che ho detto è vero, non ho amici. Ne ho solo uno"  Era sincero in quel momento, lo sentivo nel suo tono di voce, lo leggevo nei suoi occhi. tirai un pugno al cuscino, scaricandovi tutta la rabbia che avevo in corpo. Dannato Sherlock Holmes e il giorno in cui lo avevo incontrato! Il secondo dopo aver pensato quelle parole i sensi di colpa mi attanagliarono. Come potevo pensare una cosa così? Sherlock mi aveva salvato. Aveva reso la mia vita noiosa di soldato in pensione la vita spericolata e adrenalinica che sognavo, la mia gamba era guarita, avevo trovato qualcuno che mi capisse e che mi fosse amico. Certo, c'erano Greg, Sarah, Jeanette e tutte loro, ma non significavano... niente per me. Solo Sherlock era davvero importante e indispensabile. Ne era una prova alquanto chiara e ovvia anche per l'intelligenza sotto la media di Anderson lo stato in cui mi ero ridotto in sua assenza. Risi tra me scuotendo la testa, come facevo quando credevo di aver visto Sherlock seduto in poltrona o sentivo gli spari dal salotto. Mi ero davvero innamorato di Sherlock Holmes? Io? Era la mia eccezione? Sospirai scocciato e abbandonai la testa sul cuscino in un moto di rabbia. Stavo notevolmente meglio nonostante fosse passata solo una settimana, ma ancora i cambi di umore repentini e improvvisi caratterizzavano la mia solitudine.
La mia mente era occupata da un dubbio: potevo perdonare Sherlock? Anzi, quanto ci sarebbe voluto?
"Dannazione!" imprecai tra i denti. Mi alzai e uscii sbattendo la porta. Scesi le scale lentamente cercando di calmarmi, occhi chiusi e respiro irregolare. Quado li riaprii sul soggiorno, Sherlock era al tavolo che stava facendo qualche strano esperimento. Mi attanagliò la curiosità. Un nuovo caso? Lestrad sapeva che era vivo? Stava di nuovo andando via? Per quanto ne sapevo, non era mai uscito da quando era arrivato e nessuno sapeva che era in vita.
"Non posso uscire, gli uomini di Moriarty sono ancora a piede libero, la maggior parte di loro, per lo meno, e se venissero a sapere che sono vivo sareste morti prima che io o Mycroft o chiunque altro possa avere il tempo di aprire bocca." Biascicò quelle parole senza alzare gli occhi dal microscopio e alla solita velocità stratosferica. Pochi capivano quando si esibiva in quei discorsi alla velocità della luce, ma mi ero abituato presto e non mi sfuggiva mai una parola. Mi stupii che nonostante tutto fosse ancora così. Sentii il cuore sanguinare alla sua spiegazione precisa, perfetta e accurata. Andai verso il frigorifero e ne estrassi una bottiglia d'acqua gelata. Da quando c'era acqua in casa? Io non facevo la spesa da non so quanto, Sherlock non era uscito. Rimasi imbambolato davanti al frigo pieno di cibo. La Signora Hudson? dubitavo fortemente di lei, in effeti, ma allora...
"Molly" mi voltai di scatto e trovai gli occhi di Sherlock puntati nei miei. L'idea di cacciarlo di casa in quel preciso istante mi balenò in testa, ma se era vero quello che aveva detto poco fa, allora era fuori discussione. Ma questo non voleva dire che volevo la sua presenza, che volevo che mi parlasse, che tornasse tutto normale. Non subito. Avevo bisogno di tempo. Ancora una volta Sherlock abbassò lo sguardo sui suoi esperimenti e si rimese al lavoro. Rimasi immobil per qualche secondo prima di riprendere a camminare e tornare verso la camera.
"John..."
"Non parlarmi." mi immobilizzai sul posto al suono della mia voce "Non parlarmi, non guardarmi, fa come se non esistessi, se non mi avessi mai conosciuto. Dammi tempo" Non aspetti la risposta prima di ricominciare a sallire le scale che portavano in camera mia, ma sembrò di sentire la sua voce sussurrare un debole "mi dispiace" prima di chiudermi la porta alle spalle.Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi. Avevo bisogno di dormire, di smettere di pensare, ma per la prima volta in quasi quattro mesi non mi venne nemmeno in mente l'idea della droga.

 
"Ti ho lasciato un piatto con qualcosa da mangiare davanti alla porta, se vuoi. - SH"
Il messaggio mi svegliò facendo vibrare il cuscino. Non ricordavo di aver preso il cellulare, però. Forse Sherlock lo aveva lasciato lì mentre dormivo, così da poter comuqnue cominucare. Quando ebbi letto il messaggio, rimasi con gli occhi sgranati a fissare lo schermo. Sherlock aveva... cucinato? Per me? L'idea che fosse avvelenato mi sfiorò i pensieri solo per un secondo. No, Sherlock non voleva altri motivi per far sì che il mio fantasma volesse vendicarsi di lui.
Mi tirai su dal letto, spinto più dalla curiosità che da un vero e proprio appetito. In quei giorni, oltre la tazza di tea del mattino, non mangiavo quasi niente. aprii piano la porta, cercando di non fare rumore. Su un vassoio era appoggiato un piatto coperto con della stagnola e un bicchiere d'acqua, un pezzo di pane, le posate. Sollevai il coperchio improvvisato per rivelare una porzione di uova strapazzate e del becon. Scossi la testa con un sorriso amaro. Non ne era proprio capace. Rimasi immobile ad osservare il piato per qualche minuto, indeciso se prenderlo o no. Conoscendo Sherlock quello poteva essere benissimo il simbolo delle sue scuse, la sua richiesta di essere perdonato. Se lo avessi presi, voleva dire che per me era tutto come prima? Possibile. Dopo quella che mi sembrava una decina di minuti chiusi la porta lasciando lì il piatto. Mi dispiaceva, ovvio, ma non ero pronto a perdonare. Non ancora. Tornai lenamente a sdraiarmi sul letto. Certo il profumo delle uova era invitante...
No, no, John, ormai hai deciso. mi imposi mentalmente di non toranre a prendere il piatto, ad assaggiarne almeno un po', neppure a prendere l'acqua. Avevo bisogno di pensare e qualunque cosa riguardasse Sherlock doveva rimanere al di fuori di quella porta. Almeno per il momento.


 
Sospirai difronte all'ennesimo piatto intatto. A quanto pareva il risentimento di John, come era giusto e logico, era più difficile da debellare di quanto mi fossi aspettato. In ogni caso, le mie giornate avevano comunque portato qualcosa di buono, nella loro monotonia. Ero riuscito a fare chiarezza nei miei... difetti chimici. Amavo John, non c'erano più dubbi. Non avevo mai sentito certe cose, certi... Diamine, Sherlock, chiamali col loro nome!, sentimenti come nei confronti del dottore. Non era stato facile da accettare quanto da diagnosticare. bastava osservare i segnali, per capirlo. Battito accelerato quando lo pensavo, pupille dilatate, sensazione di bisogno, tutto portava all'unica sluzione vera. Era stato semplice e veloce come risolvere un caso di scarsa difficoltà: una volta individuate tutte le ipotesi scartare quelle impossibili, quella che rimane, per quanto improbabile e incredibile -effettivamente non troppo improbabile e incredibile, in queso caso- che sia, è senza ombra di dubbio quella vera. Fin qui nessun problema. La difficoltà stava nell'accettare di provare sentimenti, in primis, e poi il fatto di provarli per John sarebbe venuto di conseguenza, ne ero sicuro. Quello che mi disturbava, però, erano le parole di Mycroft: "I sentimenti non sono un vantaggio [1]". Lo avevo sempre creduto e mi aveva sempre protetto e aiutato a risolvere i casi con oggettività e sicurezza. Conoscevo i sentimenti, li vedevo sul viso della gente, ma non li provavo. Non fino a John. Lui mi aveva cambiato, in quel senso, era stato la mia bilancia. Mi aveva ridato una visione completa del mondo, aggiungendo quella parte di umanità alla mia vita che mancava da troppo tempo, o forse non c'era mai stata. Quando avevo capito di amarlo? Beh, in quei giorni, ma forse avevo iniziato a sentire quel sentimento già da quando Moriarty lo aveva rapito, in quella piscina. Aveva rapito il mio migliore amico e lo aeva imbottito di esplosivo. Avevo rischiato di perderlo concretamente, quella volta, e proprio in quel frangente mi sono reso conto che John Watson era la persona più importante della mia vita. Cetto, nel senso in cui lo potevo intendere in quel momento, dopo tutti i miei ragionamenti. Quel sentimento si era poi evoluto in qualcosa di più forte quando ero in cima a quel palazzo. Lo avrei perso davvero, quella volta, non sarei tornato indietro. Sentire la sua voce dal telefono, quell'urlo squarciare l'aria, mi aveva distrutto. Mi aveva salvato unicamente il fatto che solo in quel modo John sarebbe sopravvissuto. Solo se la mia vita fosse finita la sua avrebbe potuto continuare. E se tutto fosse andato come previsto, non potevo sopportare una vita senza John, un mondo senza più il suo viso. Ero egoista, ma non ne sopportavo l'idea, che io fossi stato vivo o morto. Poi c'erano stati il funerale e il suo discorso difronte alla bara vuota.  Avevo pianto di nuovo nell'arco di pochi giorni quando non avevo mai pianto in vita mia. Tutto a causa di quell'uomo che mi aveva accettato e capito, che mi rispettava e non pensava fossi uno scherzo della natura. Che mi aveva salvato da me stesso. Ma non tutti erano come John, no. C'erano la Donovan e Anderson, quell'idiota. Loro non avrebbero mai smesso di pensare che io fossi un asassino, un impostore, nonostante Jhon avesse fatto di tutto per reintegrare il mio ricordo, prima di chiudersi in casa. Nel loro caso, la mia totale apatia era un vantaggio: non provare sentimenti assicurava che le loro offese, così come quelle di tutto il resto del mondo, non facessero male. Mi ero salvaguardato escludendo l'umanità dalla mia sfera di logica, freddezza e distacco. Ma con John era diverso. Forse con lui potevo lasciare che quella parte di me sepolta nella stanza più remota, lontana, piccola e buia del mio palazzo mentale tornasse piano piano in superficie. Solo con lui. Sì, poteva funzionare.
Aprii gli occhi di scatto con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Steso sul divano con le punte delle dita accostate e unite sotto il mento, gli occhi chiusi, ogni rumore escluso, era molto più facile pensare razionalmente e catalogare ogni azione e reazione, ogni sentimento e segnale di cambiamento e inserire il tutto in schemi precisi e ordinati, sistemare i fogli in una cartellina, chiuderla in un cassetto e metterlo in una stanza del palazzo mentale dove avrei potuto riprendere tutto all'occorrenza.
Questo, però, non era il solo risultato positivo dei giorni passati in casa. Mi alzai e presi una cartellina gialla dal tavolino da tea. Dovetti scavare sotto un mucchio di fogli e fogliacci per trovarla, poi, ancora intatta. Era la quarta che Mycroft mi proponeva, uguale alle altre. In ognuna delle cartelline, uniche impilate in modo ordinato in un angolo della libreria in mezzo al caos che caratterizzava l'appartamento, c'erano i dcumenti e i fascicoli riguardanti i pezzi grossi dell'organizzazione di Moriarty. Dovevo trovarli e al contempo fare la guardia a John. Non potevo permettere che morisse. I primi tre erano i criminali che gliuomini di Moriarty avevano ucciso in modo da far sembrare che io li avessi uccisi, quelli che volevano i codici e che forse sapevano qualcosa. Da loro si poteva espandere la rete. Sapevamo chi fosse l'assassino destinato alla Signora Hudson. John l'aveva visto e Mycroft aveva ancora i fascicoli che aveva fatto vedere a lui in precedenza. A sentire quell'uomo, gli uomini a conoscenza di quella particolare missione erano pochi, essendo l'organizzazione comandata da Moriarty estremamente numerosa  e la missione delicata e di importanza assoluta Jim non aveva voluto coinvolgere troppo persone e rischiare di mandare tutto all'aria. Dopo due settimane di interrogatorio, questo era ben poco su cui lavorare, ma era pur sempre qualcosa.
Aprii il nuovo fascicolo con un sospiro. Mycroft l'aveva portato quella mattina e ancora non lo avevo aperto. Il primo foglio era un messaggio scritto a mano, con la grafia ordinata e precisa di moi fratello.


"Abbiamo interrogato ancora Wilkinson[2]. Ci ha fatto il nome di quest'uomo come secondo di Moriarty. Era il suo braccio destro e ora ha preso il controllo dell'orgnanizzazione con un altro di cuo non sapeva l'identità. Ha detto che nessuno, a parte Moriarty e il suo sottoposto, sapevano il nome e l'identità di quell'uomo, quasi come se la sua esistenza fosse in dubbio. Abbiamo, però, trovato qualcosa sul'uomo di cui ci ha fatto il nome. Troverai tutto all'interno del fascicolo."
 
Lessi velocemente quelle poche righe per poi passare al contenuto della cartellina. In primo piano la foto segnaletica di un uomo, sotto un resoconto dettagliato della sua vita. Sebastian Moran, colonnello dell'esercito inglese, cecchino, il migliore, stando ai documenti della cartellina, congedato con disonore. Non era scritto il motivo, ma ben poche potevano essere le ragioni per farsi congedare con disonore. Esaminai il contenuto di ogni documento. Tracciare un profilo psicologico di quest'uomo non era difficilissimo. Di famiglia nobile, con un'ottima istruzione. Uomo d'onore e amante dell'azione, nonchè ottimo cecchino, si arruola e prende parte prima ad una spedizione in India, successivamente nelle guerre Afghane, al campo di Kabul. lì succede qualcosa che lo fa congedare con disonore, un gesto avventato, magari, un'insubordinazione, ma no, non si congeda con disonore per così poco. No, più probabilmente aveva commesso qualcosa di più grave. Assassinio di civili, forse, o addirittura di un suo superiore, più probabilmente. Una personalità egocentrica e assolutamente eccentrica, desiderosa di dimostrare la sua bravura fino al superamento dei suoi limiti. Sparisce dalla circolazione e lo ritroviamo come braccio destro di Moriarty. Un mercenario che ha scelto la sua parte, quindi. Uomo di una freddezza straordinaria, forse più di me, ma che ha guadagnato la fiducia di uno degli uomini più geniali del mondo, una delle menti criminali migliori che il mondo abbia mai visto. Sebastian Moran è desideroso di potere e ora che ce l'ha diventerà ancora più pericoloso di quanto già non fosse. Priorità assoluta.
Mandai un messaggio a Mycroft con quello che avevo dedotto. Gettai il cellualre nuovo che mio fratello mi aveva procurato sul divano e mi alzai per andare a recuperare l'ennesimo vassoio pieno lasciato da John.  Salii i gradini lentamente, la mente che lavorava senza pausa per cercare di capire dove Moran potesse nascondersi, chi era davvero, che rapporto aveva con Moriarty, ma mi congelai sul penultimo gradino. Il piatto con le uova era intatto, ma mancava il pane e il bicchiere d'acqua era mezzo vuoto. Ce l'avevo fatta, quindi. John stava piano piano perdonandomi. Non riuscii a trattenere un sorriso di contentezza pura, mentre Moran, Moriarty e l'uomo misterioso svanivano in un lampo dalla mia mente per lasciare spazio solo all'immagine di John che lentamente recuperava le forze.

 




 
[1] Chiedo scusa se la traduzione non è quella usata dai traduttori della serie, ma avevndo guardato gli episodi solo in inglese non sapevo come avevano tradotto la frase di Mycroft "Caring is not an advantage" e volevo cercare di tenerla fedele al significato, diciamno, filosofico che ha più che a quello letterale.
[2] Ho inventato il nome dell'assassino di cui Mycroft mostra il fascicolo a John. Se qualcuno sa qual'è quello vero dica pure che correggerò!


Lulu's Corner

Heilà! Rieccomi con un nuovo capitolo, fresco fresco. Spero davvero che vi piaccia!
Ho deciso di introdurre il personaggio di Moran, nonostante mi fossi ripromessa di non farlo e di usare solo personaggi effettivamente presenti nel telefilm o inventati di tutto punto, ma il caro Colonnello è un personaggio che mi ispira, o almno lo fa la versione di lui di Game of "Shadow" XD Se trovate qualche errore o imprecisione, ogni correzione sarà ben accetta, come sempre :) Beh, grazie per aver letto e in anticipo grazie per le recensione, se me ne vorrete lasciare!
Un bacio,
Lulu :D
   
 
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