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Autore: _SillyLoveSongs_    21/07/2013    7 recensioni
Ed ecco(finalmente) la mia fanfiction a capitoli. Anche questa volta McCartney sarà uno dei protagonisti principali della storia. Dopo alcuni mesi dalla morte dell'amico John, Paul decide di raccogliere i suoi ricordi del grande musicista in un libro intervista, che si occuperà di scrivere Brianna, una giovanissima giornalista... leggete e, mi raccomando, fatemi sapere! ogni recensione è davvero gradita.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Paul McCartney
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Ma ciao ragazze!
È con grande piacere (e forse anche un briciolo di timore) che vi propongo questo capitolo.
Non voglio anticiparvi nulla; vi dirò soltanto che le parole che scriverò potrebbero suscitare reazioni differenti a seconda della vostra chiave di lettura. Sono troppo curiosa di leggere i vostri prossimi commenti!
Inoltre sono tornata (credo con vostra sorpresa XD) ad inserire il testo di una canzone in un capitolo. Avevo abbandonato tale usanza semplicemente perché i capitoli erano già complicati ed inserire una canzone diventava un po’ troppo impegnativo per il mio povero cervelletto :P
Ma non ho resistito ad inserire una canzone che, fin dal primo ascolto mi ha fatta pensare a Brianna e Paul e mi ha suggerito questo capitolo.
Trattasi di “Hero” di Enrique Iglesias, che personalmente trovo meravigliosa.
Ecco il link:

http://www.youtube.com/watch?v=dCOu1CSgeCg


Prima i augurarvi una buona lettura voglio ringraziare Giulia, la mia omonima fidata, che ha risolto un problema rilevante di questo capitolo. Senza il tuo aiuto sarei ancora impegnata a scervellarmi; ti ringrazio ancora, tesoro mio!
Buona lettura a tutti!





Londra    Maggio 1981

"Would you dance, if I asked you to dance?"

Distinguo a malapena la musica che da tempo ha rivestito il ruolo di maggior interesse del mio udito, a causa delle parole concitate di alcuni ragazzi. Scivolano inconsapevolmente dalle loro labbra inumidite dall’alcool, che si schiudono liberando risate fragorose. Percepisco l’ipocrisia di quest’ultime, dono generoso di quelle sostanze illegali che ancora circolano in quei corpi giovani, il cui calore satura l’ambiente angusto di un olezzo sgradevole, sprigionato dalle membra degli adolescenti, impegnate nell’esecuzione di una danza frenetica. Osservo con sguardo vacuo tali movimenti, i miei occhi arricchiti dal lucore artificiale delle fastidiose luci intermittenti che come bambine maliziose scherzano sugli abiti dei ragazzi. Quel gioco repentino pare coinvolgere anche gli abiti di quei danzatori improvvisati, succinta espressione di una giovinezza che mi sorprendo ad invidiare. I miei sensi ovattati permettono una percezione altrettanto distorta di quello sgradevole sentimento che tenta di sovrastare i miei pensieri. Essi governano, simili a spietati despoti, quel regno servile che è divenuto la mia mente.
 La realtà che mi circonda riveste una scarsa importanza nei riguardi di quella coscienza che soccombe ad un’ulteriore verità. Questa diviene l’assassina spietata della mia razionalità e mi consiglia di richiamare l’attenzione del barista. L’alcool appena ingerito offre alla mia voce un tono blando e arrochito, simile a quello che caratterizza le lamentazioni dei bambini in seguito ad un pianto deluso. Simili lacrime imperlano ancora i miei occhi; alcune trovano rifugio nelle ciglia, osservando preoccupate le loro compagne, rovinate rapidamente sul ripiano ligneo. Subisce passivamente le carezze distratte della mia mano ancora tremante. Il bicchiere del cocktail che ho richiesto interrompe bruscamente il movimento delle mie dita, causando un gemito infastidito. Ignoro il tepore della sostanza liquorosa che scivola nella mia gola, fino a raggiungere lo stomaco dove riposa il mio malessere. Egli respira ancora affannoso in seguito alla rapida corsa con la quale ha travolto la mia mente. Chiudo gli occhi, mentre distinguo attraverso le palpebre le luci del locale nel quale mi sono avventurata, preda di una delusione, che ancora lacera con la sua irruenza la superfice friabile dei miei ricordi.

“-Mamma? Sei in casa?-
Gli anfratti illuminati dell’appartamento paiono rispondere a quell’inutile domanda con la loro silente presenza. Chiudo delicatamente l’uscio, per timore che il rumore stridente della serratura infastidisca il sensibile udito di quella donna che certamente non attende la mia visita. Rassetto con lieve rammarico il tessuto della camicia, ancora increspato sui fianchi a causa della lieve pressione precedentemente esercitata dalle dita di Paul. La mia ingenua certezza di avvertirne ancora il calore provoca un sorriso amaro sulle mie labbra.
Passo una mano fra i capelli che frusciano contro il mio collo, accompagnati da un movimento distratto del mio capo.
Il ticchettio delle mie scarpe ridonda lungo l’ingresso, colmando l’aria rarefatta, interrotta inoltre da alcuni respiri sommessi, provenienti da un padrone altrettanto ansioso.
Permetto a quei rumori fievoli di condurmi verso il loro luogo di provenienza; la cucina inusitatamente inospitale, a cui neppure le stampe floreali impresse sulle piastrelle donano accoglienza.
Percorro con gli occhi quegli steli privi di linfa, incredibilmente somiglianti alle mani di mia madre, le cui dita affusolate arcuate sul lavello esprimono l’intenzione vana di serrare il marmo in una morsa fatale. Ma quest’ultima pare affliggere solo le nocche di mia madre, che sbiancano progressivamente, creando un alone  all’intorno, dipinto di un rossore inspiegabile, come gli occhi della donna. Le sue iridi scure come le labbra screpolate guizzano sul mio volto, alla disperata ricerca di un lucore gioioso e sorpreso con cui mascherare la desolazione che pare oscurare il candore innaturale dei suoi occhi. La sua voce fievole pare fragile quanto i capelli chiari, che scivolano lungo le spalle esili.
-Brianna? Cosa… cosa ci fai qui? Non ti aspettavo fino a domani…-
Le tempie si increspano, conducendo gli occhi all’assunzione di un’espressione lieta che tradisce tuttavia una profonda inquietudine. Essa conduce le pupille verso il lavello, dove un’anonima fiala attende la sua attenzione. Mi avvicino all’oggetto che incute cotanta apprensione in mia madre, la fronte corrugata e le labbra impegnata ad articolare parole atone.
-Sì, ho notato…-
Trattengo la fialetta fra le dita, ignorando i gemiti preoccupati di mia madre. Inclino lo strumento, avverto con un brivido di delusione e apprensione accompagnato dal rumore di alcune pastiglie che si adagiano passive contro il vetro. Un presentimento rapisce i miei pensieri, tramutandosi ben presto in un’inevitabile certezza. Leggo ripetutamente l’etichetta, senza riuscire a tradurre razionalmente le parole che vi sono impresse. Solo il loro significato letterale giunge alla mia coscienza, offuscata dalla realtà che mi avvolge d’improvviso. Inspiro profondamente mentre i miei polmoni vengono gonfiati dall'aria, imitati dal cuore, colmi di una delusione frustrata che dipinge anche le mie parole flebili.
-Cosa sono queste?-
Non accetto affatto di buon grado il composto silenzio di mia madre, che tradisce una consapevole colpevolezza.
Avverto nitidamente il grido a malapena trattenuto nella mia voce, il cui tono paziente pare non riuscire a mascherare la mia ira.
-Mamma, cosa sono queste?!-
La donna elude la mia domanda, passando una mano sul collo, in un gesto infantile ma non per questo foriero d'indulgenza da parte mia. Irrigidisce fiermante la mascella, nella quale riconosco alcuni simghiozzi repressi.
Essi vengono reclusi dalla sua mano nell'oscuro teatro della gola, dove inscenano gemiti rammaricati  che giungono distintamente alle mie orecchie arrossate dal furore. Un sentimento altrettanto spiacevole delinea le mie parole, altrimenti atone e insensibili.
-Rispondi!-
Mia madre tenta di allontanare le mie parole con un gesto stizzito di quelle dita che porta alle labbra. Le unghie cigolano sotto i suoi denti, proprio come l'anima di quella donna, articolando una richiesta d'aiuto che forse non riuscirò mai ad accogliere.
La sua risposta, velata di irritante insicurezza, impregna le pareti della cucina.
-Io...sono... sono...-
-Ti aiuto io, mamma: tranquillanti. Gli stessi, maledetti tranquillanti che popolavano la casa in seguito all'abbandono di quel verme! E allora dimmi, mamma: perchè questi medicinali infernali sono tornati quando eravamo riuscite ad allontanarli? Perchè?!-
Il mio palmo ricade pesantemente sul ripiano ligneo del tavolo, il quale sussurra un lamento discreto che si confonde con i singulti finalmente resi liberi da mia madre. Quest'ultima lascia vagare i palmi all'intorno nella vana speranza di cogliere un'adeguata spiegazione al mio esigente quesito. Tale ricerca pare terminare con una frase appena accennato fra quelle lacrime libertine, che le rigano le guance pallide.
-Brianna, tu... tu non puoi capire...-
Un cinico sorriso colora le mie labbra smorte.
-Capisco benissimo, invece! Capisco quanto tu sia egoista ad affidarti ancora ad un rimedio talmente inutile, che acuisce il tuo dolore anzichè affievolirlo. Un dolore che ho tentato in tutti i modi di placare con la mia dedizione al lavoro e con l'impegno costante riservato alla tua unica felicità! E a cosa è servito il mio amore, mamma?! A cosa sono serviti gli abbracci, le consolazioni e l'affetto, quando l'unica cosa che sembra aiutarti sono queste maledette pastiglie?!-
Scaglio lontano la fiala che ancora impugno, osservando con disprezzo i frammenti vetrati che, come le foglie autunnali durante una tempesta ventosa, si infrangono sul pavimento. Le lacrime che d'improvviso colmano i miei occhi non vogliono essere espressione della desolazione che segue il mio gesto irato, bensì della delusione rigurdo l'inutilità del mio amore. Quell'amore che da anni motiva le mie azioni e il mio lavoro indefesso, i cui frutti pecuniari sono state ben lieta di cedere a mia madre, con la stessa disponibilità con cui le ho riservato il mio affetto. Percepisco l'ombra effimera di tale sentimento nel volto pallido delle pastiglie, che paiono sorridere beffarde dal terreno.
-Brianna, io...-
-Non parlare. Non ho intenzione di restare un momento di più in questa casa. E io che pensavo che vedermi anticipatamente ti avrebbe reso lieta... a quanto pare è compito altrui quello di rallegrarti...- esclamo, occhieggiando con disprezzo i medicinali e avviandomi verso la porta. Il calpestio rapido dei passi di mia madre intona una rapida melodia lungo il linoleum, suggerendomi di interrompere la mia corsa. Questa ignora tale consiglio e raggiunge l'uscio, prima che una mano artigli il mio braccio, accompagnata da una voce arrochita e sconsolata.
-Ti prego, Bri, non andartene... Sono una stupida, una povera donna che non ha saputo resistere ad una tentazione... io non ho altri che te. Io... ti prego... perdonami...- ripete costantemente quest'ultima parola, asciugando le lacrime sulla mia spalla. La mia mente rigetta una consolazione, atteggiamento troppo forte per una giovane donna che non si crede in grado di affrontarla. Tale presentimento non viene affatto smentito dai miei pensieri, nei quali vortica la frustrazione nei confronti di quella recenta scoperta e il surreale amore per Paul.
Solo alcune parole affrontano coraggiosamente la mia mente fino a raggiungere le labbra, producendo una frase perentoria dal significato inequivocabile.
-Lasciami stare, mamma.-"



"Would you run and never look back?"

Le lacrime offuscano i miei occhi, attraverso i quali le figure londinesi si stagliano contro le luci cittadine. Esse riverberano sulle lenti opache dei miei occhiali, costringendomi a chiudere repentinamente le palpebre.
prto le dita attorno al naso, nello strenuo tentativo di proteggerlo dalle raffiche ventose, che arrossano la pelle cartilaginea del naso.
Schiudo le labbra, mentre il tepore del mio respiro raggiunge i palmi. L'alcool formicola nelle mie narici, riscaldando il mio fiato affannoso a causa dei passi che si avvicendano sui marciapiedi inglesi. Porto le mani alla vita, circondando timidamente il busto con le dita affusolate. I miei polpastrelli offrono le loro carezze al giubbotto, concentrando l'attenzione sulle mie scarpe e il loro colore vivace, così diverso dai miei pensieri. Questi conducono la sigaretta alla mia bocca tremante, i cui angoli si incurvano fino ad assumere una posa malinconica.
Libero prepotentemente il fumo, tentando di scacciare con un gesto del capo il recente ricordo di mia madre. Osservo vacua l'estremità incandescente della sigaretta, prima di abbandonarla sul ciglio della strada. Passo una mano fra i capelli, i denti impressi sul labbro inferiore oltre il quale pazienta il dolore e la frustrazione che non accennano ad abbandonarmi. Passo le mani fra i capelli, che come bimbi giocosi, assecondano i capricci del vento, conducendo liberamente la mia figura passiva. Sospiro profondamente, ignorandoi commenti d'apprezzamento riguardanti il mio abito, provenienti dai finestrini delle auto che sfrecciano accanto a me. Nel silenzio innaturale che avvolge la mia coscienza, un'unico pallido desiderio impone la sua presenza con un sussurro appenna percettibile. Ma abbastanza nitido da costringere il mio corpo ad adottare un andamento maggiormente rapido e deciso, così come la mia profonda necessità di una compagnia comprensiva nei riguardi del mio dolore.



________

-Quindi, se non ho frainteso, tu avresti deciso di recarti alla festa vestita in quel modo?-
Esclamo sarcastico, indicando l'abito alquanto succinto che Heather mostra fieramente sul suo corpo sinuoso. I capelli chiari scivolano sulle spalle scoperte dal tessuto scuro che le avvolge il busto, celando appena il seno florido. La ragazza allarga le braccia sorpresa prima di analizzare criticamente il vestito con gli occhi.
-Certo! Non sono bellissima?- la sua istintiva domanda prevede una risposta altrettanto tempestiva che il mio sorriso sincero offre, mio malgrado. Osservo orgoglioso il corpo di quella giovane donna, che ha accompagnato con la sua crescita il mio invecchiamento. Le sue gambe nude non paiono temere il vento che imperversa negli angoli di Londra. Il fischio suadente delle raffiche sui vetri delle finestre procura un gemito infastidito in Mary e Stella, le cui manine si affacendano sulle cerniere dei giubbotti.
Heather rivela la dentatura candida e le gengive umide, sulle quali il lampadario del salotto crea un riverbero allegro. La ragazza giunge le mani sul petto, esclamando parole sognanti.
-A Clive piace così tanto quest'abito. Lo ritiene... "incredibilmente sexy".- Imita la pronuncia virile del fidanzato, causando una mia risata sommessa che viene immantinente sostituita da una preoccupazione paterna evidente.
-Stai attenta. Non vorrei che questo... Clive...-
-Paul, vado solo a passare la notte dal mio ragazzo! Non accadrà nulla, saremo cauti...-
Scuote la testa, ironicamente esasperata da quelle raccomandazioni che non voglio mancare di offrirle.
-Lo spero! Tua madre non sa nulla di questa uscita e se dovessi cacciarti nei guai il sottoscritto ti seguirebbe a ruota e...-
-Non preoccuparti, Paul.-
Sorride, sinceramente grata a quel piacevole timore paterno che ristora l'animo ostentatamente maturo dei figli adolescenti.
Depone un bacio affettuoso sulla mia nuca mentre la mia mano segue il profilo del suo collo, nella creazione di una carezza.
-Ti ringrazio, Paul! Sei il padre migliore che potessi desiderare!-
Sorrido amaramente dell'inconsapevole erroneità della sua constatazione, lasciando scivolare lo sguardo su Mary e Stella, la cui eccitazione riguardo la sera che presto trascorreranno in pizzeria assieme a quelle amiche che si sono gentilmente offerte di ospitarle per la notte, è chiaramente evidente.
Bacio le guance delle mie bambine, raccomandando loro educazione e cortesia.
-Ricordi l'indirizzo della pizzeria, Heather?-
Domando, indicando Mary e Stella con un cenno del capo.
-Paul. Promettimi che ora ti siederai al pianoforte, intonerai le tue meravigliose melodie e ti rilasserai. Credimi, ne hai bisogno.- Esclama Heather, il cui animo spensierato pare essere d'improvviso sostituito da uno maggiormente maturo e responsabile. Tale mutamento è chiaramente espresso dalla sua voce dolce  e premurosa, quanto quella di Linda.Rivolgo loro un'ultimo saluto al quale le loro voci rispondo attutite dal cigolio del portone.
Passo una mano fra i capelli, seguendo il consiglio di Heather.
Sfioro pudicamente il profilo scuro dello strumento che sembra gradire tale carezza. Adagio le dita sui tasti, nell'ingenua attesa dei gemiti insoddisfatti di James che spesso interrompono il mio lavoro e che probabilmente questa sera stanno articolano risate cristalline in compagnia del piccolo Benjamin.
 Ricordo con un sospiro compiaciuto le parole accorate della madre del bambino con cui Jimmy ha stretto una tenera amicizia. Secondo la donna l'ospitalità della sua famiglia è dispinobile ogni qualvolta "lo sviluppo della mia arte necessiti di solitudine".
Ho ringraziato la signora con un sorriso cordiale, aprofittando del suo invito e causando in lei un'onorata gratitudine, forse causata dalla profonda ammirazione nei miei confronti.
Schiudo le labbra, intento ad assaporare le note che si sprigionano da quei tasti, bianchi come il pallore elegante di Brianna e neri come i suoi occhi mori.
Irrigidisco istintivamente la mascella, il ricordo del corpo della ragazza affiancato al mio vivido nella mia mente. Esso riaffora nella mia mente, eludendo le promesse di fedeltà coniugale che ho imposto ai miei pensieri. Le tende scarlatte che velano le finestre come lunghe ciglia femminee istillano in me il ricordo delle labbra altrettanto rosse di Brianna. I motivi floreali che arricchiscono allegramente la tovaglia della cucina, di cui scorgo un lembo oltre la porta, pare sussurrarmi il ricordo peccaminoso della gonna della giornalista che fruscia fra le sue gambe tornite. Quelle gambe che accendono un desiderio che, nonostante la mia volontà di sopirlo, arde ferocemente. Getto su quel fuoco la realtà, fredda e razionale, che gli avrebbe impedito di crepitare. Ma neppure questa convinzione pare soffocare quelle esigenti fantasie. Esse vengono interrotte d'improvviso da un lieve rumore proveniente dalla porta d'ingresso, verso il quale  mi sorprendo grato.
Mi alzo per rispondere a quel bussare flebile come la mia volontà di abbandonare il pianoforte.
Sospiro infastidito, ruotando il pomello sotto le dita e assistendo inconsapevolmente alla rivelazione del corpo di Brianna di fronte al mio.
Schiudo le labbra, alcuna parola stupita in grado di varcare quella soglia umida e carnosa.
Scandaglio attentamente con gli occhi la figura di Bri, i cui lineamenti dolci godono della luce appena accennata dei lampioni. Questi offrono un maggiore candore perlaceo alla pelle della giornalista che freme a contatto con i muscoli tesi del volto. I capelli li sfiorano prepotentemente, nello smanioso tentativo di addolcirli.
Le labbra purpuree e tremule liberano numerosi refoli di fiato, smorzati dal vento.
La curva arrossata del naso, conduce a quella altrettanto provata delle palpebre.

"Would you cry if you saw me crying?"

Le ciglia evidentemente imperlate di lacrime si protendono verso di me in un disperato slancio, proteggendo gli occhi dalle raffiche inospitali che si insinuano lungo le pieghe del suo vestito.
La mia voce, sorpresa quanto la mia espressione, interrompe quel silenzio gravoso.
-Brianna? Cosa... cosa ci fai a Londra? Credevo fossi... fossi rimasta a Liverpool, da tua madre.-
Tali parole scuotono la sua immagine silente, provocando in essa un unico singulto che Brianna tenta di soffocare, trattenendo fra i denti il labbro inferiore. Questo viene rilasciato lentamente, con un sospiro.

"Would you save my soul tonight?"
 
-Io... mi dispiace, Paul, non... non so perchè sono venuta da te. è.. è solo che.. è accaduta una cosa terribile e io...ho solo bisogno di qualcuno con cui... con cui parlare...-
Non attende una risposta dal mio volto preoccupato, indietreggiando con un gesto noncurante della mano.
-Ma che sto facendo? Sono solo una stupida... perdonami...-
Racchiudo le sue dita fra le mie, impedendole di allontanarsi. I suoi occhi grandi e speranzosi incatenano i miei, pronunciando una silente richiesta d'aiuto a me incomprensibile ma impossibile da ignorare.
Le sorrido rassicurante, pronunciando quelle parole che tempo prima le hanno intimato di rivelarmi i segreti del suo passato, permettendomi di condividere parte del suo dolore.
-Ti ascolto.-


________

"I can be you hero, baby..."

-Io... io non riesco a capire perchè lo abbia fatto. Io... ho sempre cercato di trasmetterle il mio amore e la mia vicinanza, sia economica che affettiva. Cosa ho sbagliato con lei, Paul? Cosa?-
I fumi dell'alcool, che ancora riscalda le mie membra, incitano le mie parole che scivolano senza posa dalle labbra umide. Osservo con ostentata attenzione il salotto nel quale Paul mi ha ospitata, attraverso la vista offuscata.
Colgo con innaturale soddisfazione gli ornamenti intessuti nel tappeto persiano, seguendone i fregi con gli occhi vitrei, colmi di quelle lacrime che la mia spossatezza mi impedisce di versare.
L'ingente dose di etanolo ingerita poco tempo prima solleva i miei pensieri dalle loro preoccupazioni, donando loro futili oggetti d'interesse.
Odo chiaramente l'eco del mio respiro in quella casa inusitatamente silenziosa, che suppongo inabitata da buona parte dei suoi padroni.
Passo una mano fra i capelli, osservando senza alcun pudore il volto preoccupato di Paul. Le sue iridi chiare si dilatano di fronte alle mie, condividendo con esse la stessa vacuità.
Al contrario, le sue parole risultano espressive e alquanto accorate.
-Nulla, Bri. Credo che tua madre abbia ceduto ad una vecchia abitudine, senza comprenderne le conseguenze.-
-Non avrebbe dovuto. Sa perfettamente quanto quei maledetti tranquillanti abbiano deteriorato la sua condizione psicologica. Credevo fosse guarita abbastanza per capirlo.-
-Forse ha più bisogno del tuo aiuto di quanto tu creda.-
Paul si avvicina a me con un sorriso caloroso e il capo, leggermente inclinato sulla spalla, come un muto invito alla comprensione delle sue parole.
-Ma io non posso farcela, Paul. Io ho solo ventun anni e durante l'ultimo periodo della mia vita mi sono dimenticata di me stessa e delle mie esigenze per soddisfare le sue. Cosa devo fare di più? cosa posso fare ancora per sopire il suo dolore che sta uccidendo anche me?-
Avverto le lacrime colmare gli occhi ma nessuna inibizione che mi consigliasse di rigettarle in gola. Da questa proviene solo un singulto sconsolato che pare ordinare alle mani di Paul di avvolgere le mie spalle.

"...I can kiss away the pain..."

-Sei molto più forte di quanto immagini, Brianna Richards. Riuscirai a superare anche questa difficoltà, come sei stata in grado di affrontare quelle precedenti che hanno popolato il tuo passato.-
Un unico, improvviso, desiderio che non riesco a domare, pare smentire questa sua convinzione. Divengo improvvisamente preda di un istinto che da troppo tempo tento di soffocare e che ora eroga il suo diritto di rivelarsi. Esso non viene placato da quella razionalità che ormai è stata rilegata in un anfratto remoto della mia mente dal quale non desidero aiutarla a riemergere.
Ignorando la portata del mio gesto, intreccio le mie dita oltre il collo di Paul; il collo di quell'uomo che ha ascoltato accuratamente le mie parole, senza distogliere gli occhi dai miei; quell'uomo che con la sua voce melodiosa ha accompagnato pazientemente la mia infanzia, erodendo le sponde di quel fiume arido che ha trasportato il mio tragico passato; quell'uomo che pare ora la mia unica àncora solida ed efficente in quel tempestoso mare in cui si infrangono le onde della realtà.
Mentre queste effimere convinzioni regnano sovrane la corte confusa e indifesa dei miei pensieri, adagio le mie labbra sulle sue, assaporandone con un gemito sorpreso la morbidezza. La sua bocca diffidente freme contro la mia, prima di cedere al mio prepotente desiderio con altrettanta irruenza. Percepisco le sue mani premere trepidanti sul mio collo, come nel tentativo di lasciar sprigionare dalla mia pelle quelle note melodiose che solo il suo pianoforte è in grado di intonare. Schiude dolcemente la mia bocca con la sua, prima di incurvarla in un sorriso appagato.
Ma le sue dita esigenti che premono sulla stoffa del mio vestito, paiono suggerire un bisogno più profondo che non può essere soddisfatto da quell'unico bacio peccaminoso. Assecondo questa necessità con una lasciva carezza, che scivola fra i suoi capelli.
Senza distogliere le sue labbra dalle mie, conduce il mio corpo oltre il salone, in una stanza che si rivela assai più oscura ai miei occhi chiusi.
Il mio capo, colmo di pensieri irrazionali plasmati da una fantasia pungente, saggia una piacevole morbidezza di cui gode soltanto durante il sonno. Riconosco la ruvidezza delle lenzuola che avvolgono il letto matrimoniale, contro il mio petto nudo, rivelato dalle mani ansiose di Paul. Sussurro il suo nome piacevolmente sorpresa, insinuando le dita sotto la sua camicia setosa.
Affacendo lascivamente le mani sulla sua cintura, avvolgendo con le gambe la sua vita; gesti naturali che la mia mente non pare in grado di controllare.
 Sorrido dei suoi baci audaci che percorrono la curva del mio seno, abbandonando la mia moralità all'abisso tanto piacevole quanto irreversibile dell'estasi.



Angolo autrice:
oooook, questa scena finale era inaspettata all'inizio della storia. Ma credo fosse naturale inserirla; infondo il nostro caro Paul impazziva per Bri e quest'ultima (forse a causa della leggera sbornia, o forse per un amore da troppo tempo sopito) cede ad un'irresistibile tentazione.
Ora sta a voi immaginare cosa accadrà fra i due nel prossimo capitolo ;)
Aspetto con ansia le vostre recensioni
Peace&Love
Giulia


Ps: ringrazio Kia85 per il prezioso consiglio che mi ha offerto nella recensione al capitolo 18; spero di averne fatto buon uso.
  
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