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Autore: Euachkatzl    22/07/2013    3 recensioni
“Black window of la porte? Ma non è quella…”
“Sì, Tico, è quella che tu non riesci a suonare neppure su Guitar Hero” gli rispose Richie, un po’ pentito di avermi preso in giro, ora che stavo suonando perfettamente una delle canzoni più difficili che avesse mai sentito.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I’m a cowboy,
On a steal horse I ride,
I’m wanted dead or alive.
I’m a cowboy,
I got the night on my side,
I’m wanted dead or alive.

 
 
29 maggio 2013. Partenza per Lisbona.
“Il passaportooooooooo” urlai, appena arrivata in aeroporto. Corsi alla mia auto e tornai a casa, mentre gli altri erano intenti a fissarmi impietriti, un po’ stralunati: mi avevano semplicemente vista arrivare, voltarmi ed andarmene. Cercai ovunque quel maledetto pezzo di carta che non si decideva a venire fuori. Finalmente lo trovai, sotto al tappeto della mia camera. Non mi chiesi come mai fosse lì, ormai ero abituata al fatto che tutti i miei oggetti fossero muniti di piedini che permettevano loro di scappare proprio nel momento del bisogno. Ficcai in borsa il passaporto e tornai in aeroporto, dove il resto della band stava aspettando. “Alleluia” disse Jon, guardando verso l’alto, come per ringraziare un qualche Dio che mi aveva fatta finalmente arrivare.
“Io mi chiedo come mai dobbiamo portare passaporto e altre diecimila carte se tanto ci conoscono tutti” commentò Dave mentre ci dirigevamo al check-in. “E poi abbiamo pure il nostro aereo”
“Secondo me servono solo a vedere lo stupido che le dimentica” rispose Tico, allegro.
“Grazie” dissi, scatenando le risate degli altri. Porsi il passaporto alla hostess al check-in che guardò attentamente la foto, per poi squadrarmi. “Giulia Valente?”
“Sì” risposi io, consapevole che la foto che campeggiava sul documento era di una decina d’anni prima.
“Giulia Valente?” ripetè Richie, sconvolto.
“Sì, anch’io ho un nome normale” gli risposi ridendo, mentre la hostess mi restituiva il passaporto.
Dopo aver passato tutti i controlli, uscimmo e andammo verso l’aereo dei Bon Jovi. Mi fermai ad ammirarlo da lontano. Era l’aereo dei Bon Jovi. L’unica volta che l’avevo visto era nel video di Bed of Roses, ma non avrei mai pensato di salirci, un giorno. “Prego, prima le signorine” mi invitò Tico, facendomi passare avanti. Entrai e presi posto il più lontano possibile dal finestrino, facendo sorgere un po’ di dubbi al resto del gruppo.
“Potrò raccontare di aver incontrato l’unica persona che non vuole stare vicino al finestrino” disse Richie, aspettandosi una spiegazione, che venne fornita però da Dave: “Paura di volare?”
“Paura di cadere” corressi io, e mi allacciai la cintura di sicurezza, come ci aveva appena consigliato il pilota. Essì, avrò fatto un milione di voli nella mia vita, ma la paura resta. Appena sentii il rumore dei motori chiusi gli occhi, che non avrei riaperto fino a che non sarei stata di nuovo per terra.
 
Il volo fu tranquillo, neanche troppo lungo. Almeno credo, dato che dormii per tutto il tragitto, con la musica a palla nelle orecchie. Risultato: qualche miliardo di fotografie di me immersa nei miei dolci sogni.
Appena scesi, andammo subito all’Estàdio da Luz, dove avremmo dovuto suonare il giorno dopo. “Boas-vindas” ci salutò un uomo calvo sulla quarantina, doveva essere l’organizzatore. “Vi stavamo aspettando. Provate ora?”
“Sì, un po’, giusto per ambientaci. Domani pomeriggio facciamo le prove serie” spiegò Jon, più a noi che al signore.
“Perché in due mesi non abbiamo provato abbastanza” borbottò Tico, al quale tirai un pugno scherzoso su un braccio. Dentro ai camerini trovammo gli strumenti; due chitarre scordate, una addirittura senza il mi cantino, una batteria con un tamburo sfondato e un microfono che, non appena dicevi qualcosa, emetteva fischi molto poco piacevoli. Richie esaminò la chitarra senza una corda. “Il brutto è che non puoi usarla né come chitarra né come basso”. Mandammo tutto a quel paese e prendemmo un taxi verso l’albergo, dove mi attendeva la mia amata Les Paul. La receptionist ci spiegò in un inglese abbastanza maccheronico che i nostri bagagli erano già nelle nostre camere e ci consegnò le rispettive chiavi. Abbozzai un mezzo sorriso notando che la mia stanza era la numero 549: gli scheletri che nascondi nell’armadio riescono sempre a far capolino nel presente. Andammo tutti insieme al quinto piano, dove si trovavano le camere, e cercammo ognuno la porta con lo stesso numero della chiave. Ovviamente, nessuno di noi riuscì a trovarla: la ricerca della camera d’albergo è una tra le cose più difficili del mondo. Sei convinto che sarà semplice, basta guardare le porte e contare i numeri sulle belle targhette dorate. Invece no! Perché manca sempre un numero e, guarda caso, è proprio quello della tua camera. Dopo aver calpestato la moquette del corridoio un numero infinito di volte, Dave gridò, da un angolino “Trovate!”
“Trovate?” ripetemmo tutti, confusi. Cos’era questa storia che parlava al plurale? Ci avvicinammo a Dave e notammo che, in quella porta sapientemente incastrata proprio alla fine del corridoio, c’erano cinque numeri, i nostri. Cinque numeri?
“Magari è una di quelle suite con tante stanze” azzardò Tico, ma Richie bocciò l’idea: “Mannò, quelle hanno un solo numero”
Coraggiosamente, David girò la chiave nella toppa e ci trovammo davanti a uno stretto corridoio, sul quale spuntavano, sia a destra che a sinistra, cinque porte. “Ah, ho capito” disse Tico, dandosi una pacca sulla fronte. Ognuno trovò la propria camera e in men che non si dica vi si fiondò dentro. Fui felicissima di trovare le mie due valigie e la custodia della mia amata chitarra: mi era capitato già una volta di perdere i bagagli, e non era stato affatto divertente. Stavo per lanciarmi sul letto, quando un pensiero mi sfiorò la mente. Uscii dalla mia camera e bussai alla porta esattamente davanti alla mia, che teoricamente era quella di Jon. Invece ad aprirmi fu Tico. Vabbè, fa lo stesso. “Non è che abbiamo bisogno di un bassista?”. Domanda retorica, che celava la domandina ‘Dove cazzo è il bassista?’. Tico rimase piuttosto dubbioso di fronte al mio quesito, sforzandosi di ricordare. “Allora… Doc ci aveva detto che ci avrebbe raggiunti con lui in aeroporto…” Doc era il manager dei Bon Jovi, una tra le persone più simpatiche e disponibili di questo mondo. Mi aveva spiegato tutto per filo e per segno, aveva risolto tutti i miei dubbi riguardo contratti, viaggi, robe varie e ci aveva pianificato tutto il tour, permettendoci di concentrarci solo e unicamente sulla musica. Tuttavia, non ci aveva detto nulla di questo bassista. “E quindi li abbiamo lasciati in aeroporto?” chiesi. Tico si grattò il mento, continuando a riflettere. “No, Doc ha chiamato Jon e ha detto che ci avrebbero aspettati… allo stadio!”
“Ragazzi, Doc ci sta aspettando allo stadio!” urlò Jon, che era appena schizzato fuori dalla sua camera. Bussò a tutte le porte, mentre rassicurava Doc al telefono. “Svegliaaaaaaaaa…” gli risposi io, passandogli una mano davanti al viso. Mollammo i bagagli mezzi disfatti nelle nostre camere e tornammo allo stadio, dove un manager piuttosto incazzato stava seduto sul palco, con accanto un ragazzo che si guardava intorno spaesato. Non aveva una faccia molto intelligente.
“Ciao” salutò Richie, tranquillo; in fondo la colpa non era certo sua. Infatti, l’unico colpevole fece un cenno con la mano, tenendo la testa abbassata.
“Ma dove cavolo eravate? Eravamo qua ad aspettarvi e voi che non arrivate… Avete cinquant’anni, un po’ di professionalità”
“Professionalità. È una parola grossa per una rockstar” si giustificò Jon, buttandola sul ridere.
“È una parola grossa solo per te” lo corresse Doc, che nel vedermi si addolcì. “Lei” disse, mettendomi un braccio attorno alle spalle “Lei è l’unica che può arrivare in ritardo. D’accordo?”
“No, perché?” chiese Richie. Domanda più che lecita, avrei voluto farla anch’io.
“Perché lei è una donna, perché ha vent’anni, perché è bella come il sole e perché il suo contratto non la obbliga a restare, quindi dobbiamo trattarla bene” Ridemmo tutti, tranne il povero bassista, che era rimasto indietro, isolato dal resto del gruppo. Doc lo squadrò. “Vieni” lo invitò. Il diretto interessato si avvicinò timidamente, con un sorriso falsissimo. Era imbarazzato al massimo. Viste le condizioni in cui versava, fu Doc a presentarcelo: “Lui è Logan, ha venticinque anni, viene da Miami ed è il vostro bassista” Presentazione breve, ma d’effetto.
“Perché non Hugh?” chiese Richie, molto poco educatamente. Hugh era diventato il bassista dei Bon Jovi dopo che Alec se n’era andato. Aveva suonato insieme a loro per anni, avevamo addirittura fatto un paio di settimane di prove insieme, dando per scontato che sarebbe venuto con noi in Europa, e invece ci eravamo trovati questo Logan. “Perché, Logan non vi va?” fu la rispostaccia di Doc, che zittì immediatamente Richie. Intanto, il bassista continuava a squadrarci tutti, con quel sorrisone stampato in faccia.
“Quindi adesso prove?” chiese Jon. Sapevamo tutti la risposta, e nessuno di noi avrebbe voluto sentirla. Invece arrivò, puntuale, dalle labbra di Doc. “Esattamente. Mi hanno detto che hanno un paio di strumenti qui” Ci guardammo e ridemmo. “Senti, facciamo un salto in hotel a prendere i nostri e torniamo, ok?” propose Dave mettendogli una mano sulla spalla. “Basta che facciate in fretta. E portate anche Logan con voi, intanto vi conoscete”
 
Fummo costretti a prendere due taxi diversi, montare in sei in uno solo sarebbe stata un’impresa troppo ardua. Io mi trovai insieme a Dave e a Logan. Ci accomodammo tutti sui sedili posteriori e cominciammo a parlare, facendo qualche domanda al ragazzo, più imbarazzato che mai. Alla fine del viaggio, entrò in hotel rosso fino alle orecchie, tanto che gli altri ci chiesero se l’avessimo picchiato. “Io lo voglio vedere domani sera” dichiarai, facendo ridere tutti. Andammo in camera e raccogliemmo gli strumenti, per poi prendere altri due taxi e tornare in quel benedetto stadio, dove suonammo per un’oretta. Lo ammetto, il nuovo bassista era davvero bravo e, dopo un paio di canzoni, si sciolse, gettò via l’imbarazzo e cominciò a fare cazzate, come tutti noi. Gente che saltava per il palco mentre suonava, Dave che faceva i suoi balletti stupidi alla tastiera e Jon che azzardò uno spogliarello in piedi su un amplificatore. Lo fermammo subito e decidemmo che per quel giorno avevamo provato abbastanza. Il cantante ci restò un po’ male, ma se la fece passare in fretta.
 
Tornammo in hotel in tempo per la cena, composta da pasta scotta e qualche tipo di pesce non molto ben specificato. Non vedevo l’ora di fare tappa a Milano, volevo a tutti i costi un piatto di spaghetti alla carbonara.
“E così suoni da quasi vent’anni?” chiese Richie a Logan, che azzardò una battutina: “Sì, a sei anni cominciai le lezioni di chitarra, ma poi provai col basso, e me ne innamorai. Forse è perché io sono molto alto, sapete, gli opposti si attraggono”. Dopo quella scellerata frase, calò un silenzio di tomba. Tutti ci concentrammo sul nostro piatto di pasta, non parlando per un po’. Dovevamo metabolizzare quella battutaccia. Dopodichè la conversazione tornò normale, ma Logan non fece più scherzi del genere. Ci pensarono Jon e gli altri a farci ridere, raccontando aneddoti assurdi dei loro tour in giro per il mondo. Alle nove e mezza, quando ormai la sala era completamente vuota e i camerieri stavano cominciando a sparecchiare, decidemmo che era arrivato il momento di tornare in camera. Salimmo e ci dirigemmo verso quella benedetta porta che avevamo cercato così a lungo quel pomeriggio. La camera di Logan era esattamente all’altro capo del corridoio, quindi ci salutò all’ascensore e prese una direzione diversa dalla nostra.
 Appena chiusa la porta della mia stanza, lanciai i vestiti sopra il letto e mi feci una doccia fredda, per lavare via tutta la stanchezza che si era accumulata quel giorno. Senza accorgermene, cominciai a cantare. È un riflesso automatico, vado sotto la doccia e comincio a cantare. Maltrattai Always per cinque minuti buoni, poi passai agli Aerosmith, urlando come una matta in corrispondenza dei vocalizzi che a Steven Tyler uscivano così bene, mentre a me uscivano… appena appena sgraziati, diciamo. Ad un certo punto sentii bussare alla mia porta, mi avvolsi in un asciugamano bianco e andai ad aprire, trovandomi di fronte a Richie. “Se non la smetti di torturare le canzoni degli Aerosmith arriva Steven Tyler a prenderti a schiaffi” mi informò, con una sonora risata alla fine della frase. Risi anch’io, immaginandomi la scena di Steven piuttosto incazzato che mi schiaffeggiava, rimproverandomi di aver rovinato le sue canzoni. “Noi tra un po’ ci facciamo un giro in centro, che dici, ti va?” propose. “Certo. Mi vesto e arrivo” gli risposi, facendo per richiudere la porta, ma lui mi fermò.
“Mi sembra di averla già vissuta questa scena…” rise, lasciandomi scorrere un attimo i ricordi, fino ad arrivare al momento del nostro primo incontro.
“Hai presente Richie Sambora, il chitarrista dei Bon Jovi? Gli assomigli tantissimo” scherzai, per poi voltarmi e chiudere la porta. Lasciai cadere l’asciugamano sul parquet scuro e cercai nelle valigie qualcosa da mettermi. Alla fine optai per jeans e maglietta, l’eleganza poteva andare a quel paese per quella sera.
 
Passai una serata davvero piacevole, scattammo un centinaio di foto assurde in giro per Lisbona. La migliore resterà sempre quella di me e Richie che fingiamo di cadere in una fontana. Nella foto fingiamo di cadere nella fontana. Nella realtà ci siamo fatti una seconda doccia. Risero tutti, ma la loro espressione cambiò quando li tirammo dentro con noi. Urlammo e ridemmo per un bel po’, attirando inevitabilmente l’attenzione di un vigile lì nelle vicinanze, che ci fece favorire i documenti, bagnati fradici come tutti noi. Fortunatamente, la figlia di questo vigile era una fan accanita dei Bon Jovi, così ce la cavammo con un paio di biglietti e qualche foto.
Quella serata fu la prova di come il buongiorno NON si veda dal mattino.
 
Nota dell’autrice:
ok, non ho aggiornato subito; l’ideuzza che avevo la tengo per il prossimo capitolo J
Aw, che beeeeeella l’amicizia, le cazzate fatte con delle persone a cui vuoi davvero bene. Il tour è iniziato decisamente bene, e la sera seguente c’è il primo concerto! :D
Ooooooook, prossimo capitolo J
Bacioni, Euachkatzl <3 
  
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