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Autore: PinkyCCh    22/07/2013    6 recensioni
Elisabetta, al quinto anno del liceo scientifico, ha sempre cercato di passare inosservata, per evitare problemi. Il suo unico obbiettivo era: arrivare all’ultimo giorno di liceo, indenne, senza problemi. Ma qualcuno sembra non essere d’accordo. Chi? Nico. Il tipico cliché adolescenziale. Bastardo al punto giusto, stronzo al punto giusto e bello al punto giusto. Una scommessa li unirà. Un professore un po’ pazzo li unirà. Riuscirà Elisabetta a cavarsela? Riuscirà a non cadere tra le grinfie di Nico?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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- Nuova vita? -

 

Come mi sarei dovuta comportare da lì in poi?
Mi aveva chiesto di dimenticarlo. Di dimenticare quel bacio, ma forse in quella sua richiesta era contemplato anche il dimenticare ogni singola cosa che c’era stata tra di noi.
Una morsa mi attanagliava lo stomaco, inducendomi a digiunare e riducendomi al fantasma di me stessa.
Mancavo da scuola da tre lunghi giorni, diciotto ore scolastiche, milleottanta minuti. Era una vita, o almeno così sembrava ai miei occhi stanchi per la mancanza di sonno. La mattina uscivo puntualmente alle sette e trenta per non far sospettare nulla ai miei genitori e mi rintanavo nella libreria dove lavoravo, aiutando la proprietaria e guadagnando qualche extra.
Persino Margherita, la proprietaria della libreria, si era resa conto che c’era qualcosa che non andava in me.
Continuava a lanciarmi sguardi eloquenti conditi di sorrisetti che tradotti in lingua parlese significava: so che hai qualcosa e che probabilmente si tratta di un uccello di terra.
Sbuffai sonoramente per via dei pensieri che continuavano ad affliggermi, grattandomi la nuca e scaricare un po’ del nervoso.

“Ok, adesso basta Elis.” Esclamò Margherita, sbattendo sul bancone dove c’era il registro di cassa un libro che stava leggendo.

Alzai lo sguardo, frastornata, fissandola con un pizzico di sgomento.

“Ok che è una libreria, ma non è una biblioteca dove si dilige il silenzio assoluto. Che cavolo succede? Potrei saperlo oppure sarei troppo invadente?” continuò imperterrita Margherita, fissandomi intensamente.

Sospirai, appoggiandomi al bancone e sostenendomi con le mani aggrappate al ripiano.

“Mag, credimi, non c’è nulla da sapere. Solite questioni amorose.” Abbassai lo sguardo, sentendo nuovamente le lacrime minacciare di uscire e venir a far visita alle goto ormai divenute rossastre.
“Nessuna questione amorosa, come la chiami tu, è solita. Ogni storia è a se. Ogni amore ha una caratteristica propria, una sensazione, uno sguardo, una carezza, persino il dolore è personale. Non puoi razionalizzare e omologare quello che provi tu con il resto.”

Non so cosa mi colpì di più di tutto quel discorso, fatto sta che un singhiozzo uscì fuori dalla mia gola, accompagnato subito dopo da altri e dalle lacrime che ormai avevano intrapreso il loro percorso sul mio viso, facendo colare il trucco pesante che mi ero spiaccicata in faccia.
Margherita mi si avvicinò, posando la sua mano sul mio volto facendomi sussultare per quel contatto non chiesto ma del tutto delicato, quasi materno oserei dire. Quel contatto che per tanto, troppo, tempo mi era stato negato da quella che doveva essere la mia vera madre.
Mi avventai praticamente sul suo seno abbracciandola così forte che forse il suo respiro venne meno, ma non si lamentò, anzi, mi abbracciò a sua volta, depositando piccoli baci sulla mia testa, sussurrandomi tenere parole.

“Io… -un altro singhiozzo- credevo di potermi fidare di lui. Io – ancora un singhiozzo- credevo che avrei potuto cambiarlo, proprio come nelle favole più belle.  Io…-un singhiozzo che mi smorzò il fiato- sono un’illusa. Un’illusa innamorata di una scommessa.”
“Non sei un’illusa mia dolce Elis, sei semplicemente innamorata. Sei un’innamorata sbagliata.” Se voleva rincuorarmi, non ci riuscì per niente, guadagnandosi un mio sguardo alquanto confuso.
“Però –continuò a parlare- c’è un modo per rendere questo amore giusto.”
“Ovvero?” le chiesi in un sussurro.
Cambiare.”
 





 
Forse quando Mag mi disse che per rendere il mio amore giusto, sarei dovuta cambiare, non credeva che lo avrei fatto radicalmente.



Continuavo a guardare la mia immagine riflessa allo specchio. E più mi guardavo e più il mio sorriso si allargava.
Ero soddisfatta di me stessa. Lo ero per davvero.
Il trucco pesante di prima, era stato sostituito da una linea di matita fin troppo nera, il viso pallido, colorato con un po’ di blush  rosa pesca e le labbra lasciate del colore naturale.
Avevo modificato i miei vestiti troppo ordinari aggiungendoci delle borchie. Mi ero recata presso il negozio di bigiotteria in centro, acquistando dei bracciali da dura.
Ero diventata davvero un’altra persona. Sì, ma esteriormente. Interiormente ero ancora la piccola e fragile Elisabetta Molinari di prima e questa cosa m’infastidiva, ma ci avrei potuto lavorare a poco a poco.
Era passato un mese da quando avevo chiuso i rapporti con Blasi. Un mese esatto in cui avevo apportato tutte quelle modifiche alla mia vita.
Per la coppia-studio del prof. Santoro, avevo trovato una scusa banale: odiavo studiare in coppia, poiché abbassava la mia media. Il prof ovviamente storse il naso e non la prese bene, ma notando che i miei voti erano peggiorati, acconsentì a sciogliere quell’assurda coppia che eravamo divenuti io e Blasi.



 
“Elisabetta!” una voce maschile rude mi fece risvegliare dal mio stato di trance e riportandomi con i piedi per terra.

Uscii dal bagno e mi diressi in cucina, trascinando i piedi svogliatamente.

“Dimmi papà.” Tirai un sorriso, cercando di non far trapelare i miei pensieri.
“Ti hanno  già pagata questo mese?”

Ecco, sempre la solita domanda. Mai che chiedesse come stessi, se andasse tutto bene. No, solo soldi.
Sospirai e feci un segno negativo con la testa.

“E quando si decidono? Devo pagare le bollette, lo sai.”
“Papà, lo sai, è nuovo questo lavoro e non mi va di chiedere. Resisti, fra due giorni mi pagano. Per favore.” Mi morsi il labbro inferiore, cercando di reggere il suo sguardo duro che mi scrutava fin dentro l’anima.

Sospirò e mi liquidò con un cenno della mano, lasciandomi finalmente libera di uscire da quella casa infernale.
Io servivo solo per quel fottuto stipendi etto che mi portavo a casa. Ma non potevano alzare il loro culo ed andare a cercare lavoro? No. Troppo difficile.
E poi, avevo deciso di tenermi per me, almeno quella volta, un po’ di soldi poiché avevo promesso a Vincent di andare con lui in discoteca il sabato successivo. Solo per quella volta avrei voluto provare la vita di una normale ragazza della mia età. Solo per quella volta volevo non essere me stessa, quella giudiziosa e pacata.
Dopo il casino con Nico, per un po’ avevo preferito evitare Vincent, finché una sera non si presentò fuori la libreria con un cappuccino in mano e con la faccia da cucciolo.
Avevamo parlato per due ore di fila, senza fermarci un secondo ed alla fine ci eravamo completamente dimenticati di quel bicchiere contenente il mio cappuccino.
 
 




I famosi due giorni erano passati e con lo stipendio tanto atteso, era arrivato anche il sabato in cui sarei andata in discoteca con Vincent.
 


 
“Sei bellissima questa sera, piccola” mi sussurrò Vincent abbassandosi sino al mio orecchio.
“Grazie, ma è un semplice tubino nero.” Risposi, sorridendogli imbarazzata.
“Sei lo stesso bellissima.” Insistette imperterrito.
 



Dopo quello scambio breve di battute imbarazzanti, ci avviammo verso l’ingresso del locale in un muto silenzio.
Troppo imbarazzati per parlare, troppo presi nei nostri pensieri.
Arrivammo all’ingresso del locale e non appena fummo dentro, un’ondata di aria consumata mischiata alla puzza di sudore ed ormoni su di giri, invase le nostre narici, facendoci storcere leggermente il naso.
Avanzammo verso il centro della pista cercando di farci strada tra la massa informe di carne umana che cercava disperatamente di accoppiarsi.
Vincent, forse, si accorse del mio disagio e mi prese per mano, stringendola forte e sorridendomi dolcemente.
Sentii le guance infiammarsi e la sudorazione aumentare. Mi dissi che doveva essere il caldo e l’aria viziata del locale a recarmi tale effetto.

“Stai tranquilla, non ti accadrà nulla.” Mi sussurrò nell’orecchio Vincent, provocandomi brividi che partivano dall’orecchio sino all’osso sacro.

Ma che stava succedendo? Perché ora guardavo con occhi sognanti Vincent?
Forse il suo portamento elegante e sicuro, la sua dolcezza ed accortezza nei miei confronti o forse il fatto che sapesse cosa stessi passando per via di Blasi, me lo faceva vedere con occhi diversi.
Scossi la testa cercando di non pensare a quei pensieri alquanto destabilizzanti ed incomprensibili.
Giungemmo al bancone del bar e ci accomodammo sugli sgabelli alquanto scomodi e duri.

“Cosa desiderate?” ci si avvicinò un ragazzo bassotto, biondo ed occhi castani, piuttosto carino.
“Per me un angelo azzurro, per te invece?” si voltò verso di me Vincent, guardandomi negli occhi, ma non sentii un cavolo di quella frase. Mi ero persa nell’osservazione del suo corpo e dei suoi lineamenti  così perfetti e delicati.
“Elis? Ohi? Cosa vuoi da bere?” ripeté Vincent sventolandomi una mano davanti al viso.

Sbattei più volte le palpebre aprendo e chiudendo la bocca, sentendola improvvisamente secca e bisognosa di essere idratata.

“U-un…montenegro.” Stentai persino a riconoscere quella voce stridula, come la mia.
“Vai giù pesante, eh piccola?” sogghignò Vin per poi rivolgersi al barman ed ordinare il mio montenegro.

Finalmente arrivarono le nostre ordinazioni e senza esitazione afferrai il mio bicchiere ingurgitando e mandando giù quel liquore che tanto bruciava mentre scendeva lungo il mio esofago. Arricciai il naso e chiusi gli occhi per il senso di disgusto che mi aveva invasa.
Mi alzai di scatto sentendo la testa vuota ed un singhiozzo uscì dalla mia gola, facendo sobbalzare Vincent che mi guardava tra il preoccupato ed il sarcastico.

“Ehi tutto bene?” si avvicinò Vin.
“Sì, ho solo voglia di ballare un po’…con qualche bel ragazzo.” Conclusi senza dargli tempo di rispondere e mi avviai verso il centro pista.

Quelle luci psichedeliche, quei corpi tutti ammassati ed i membri maschili che si strusciavano, iniziavano a darmi il volta stomaco onestamente.
Sentii cingermi la vita da dietro, abbassai lo sguardo e mi resi conto che due braccia maschili mi tenevano avvinghiata ad un corpo alle mie spalle. Cercai di divincolarmi senza risultato. Ma chi cavolo era così stronzo da non lasciare una ragazza nonostante essa gli stesse facendo capire che non era gradito il suo tocco?

“Shh, tranquilla piccola Molinari. Divertiti un po’.” Soffiò al mio orecchio l’individuo, facendomi deglutire. La sua voce mi era familiare. Fin troppo.

Continuando a guardare davanti a me, sibilai il nome del mio aggressore.

“L-luca?”
“Mi hai riconosciuta, vedo. Nico aveva proprio ragione, hai un corpo da favola.” Rispose malignamente Luca.

Cercai di strattonarlo per potermi liberare, ma nulla. Non sembrava funzionare. Ma dov’era Vincent quando serviva? La paura iniziava a stringermi all’altezza della gola, così come la prese di Luca iniziava a stringermi la vita. Perché nessuno sembrava accorgersi di quello che stava accadendo? Le lacrime vennero a bussare alle porte degli occhi, mentre io continuavo a pregare mentalmente.

“Non vedi che le stai facendo male e che non desiderare le tue attenzioni?”
“Vincent!” urlai di gioia, peccato che il baccano del locale non permise al mio urlo di venir udito dagli altri.
“Va tutto bene Elis?” s’informò Vincent, non distogliendo lo sguardo da Luca.
“Sì, ora che ci sei tu.” Risposi titubante.

Luca mi lasciò, anzi, mi lanciò è il termine più esatto, facendomi capitolare tra le braccia di Vin.

“Minchia Molinari, fino al mese scorso ti struggevi d’amore per Blasi ed ora ti strusci a questo qua. Potrai aver cambiato lavoro, ma la spogliarellista che è in te, non ti lascerà mai. Sarai sempre una puttana.” Sputò cattivo Luca, lasciandomi interdetta.

Boccheggiai non riuscendo a trovar risposta e ferita nell’orgoglio. Le sue parole mi avevano colpita in fondo al cuore.
Vincent mi guardò dispiaciuto, prima di prendermi per un polso e trascinarmi via da quello schifo. Via dal pezzo di vita che volevo cancellare.
Per quanto mi sforzassi di non pensare a Nico, c’era sempre qualcosa o qualcuno che me lo ricordava. Era divenuto davvero un incubo. Non ce la facevo più.

“Elis…” esordì Vincent, bloccando la nostra fuga e girandosi verso di me.
“Lo pensi ancora?”
“Eh?” risposi io fingendo di non capire dove volesse arrivare.
“Lo pensi ancora a Nico, vero?” perché il suo tono sembrava amareggiato?
“Vin, io…” che avrei dovuto rispondere? Sì, lo penso e lo amo ancora, nonostante stia cercando di non farlo vedere ad occhi altrui?
“Permettimelo. Permetti a me di entrare nel tuo cuore. Lascia che sia io a prendermi cura di te. Lascia che sia io a curare le tue ferite. Lascia che diventi una cosa sola con te. Lasciati amare da me…Elis.”

Cos’era quella? Una dichiarazione d’amore?

“E poi – riprese a parlare- io ti ho visto in questo mese. Ho visto i tuoi sforzi per cambiare e dimenticare. Ho visto quanti sacrifici hai fatto e continui a fare. Permettimi di farti compagnia nella tua solitudine. Ti prometto che farò il bravo. Te lo giuro.”

Sì, quella era una dichiarazione bella e buona. Ed io? Io mi sentivo una stupida bambinetta alla quale stanno regalando un giocattolo nuovo e non sa cosa farne e come usarlo.
Vincent mi era stato accanto, mi aveva aiutata moltissimo, ma non riuscivo a vederlo come possibile fidanzato. Ma forse, lui, avrebbe potuto aiutarmi a dimenticare Nico. Forse, eh.
Scossi la testa, riposando lo sguardo su Vincent che mi trapassava con i suoi occhi, cercando di capire o captare i miei pensieri.
Forse stare con lui mi avrebbe aiutata.
Mi avvicinai a lui, avanzando molto lentamente, ponderando bene i miei movimenti. Sentivo fremere il mio corpo e il mio cuore battere all’impazzata. Trattenevo a stento il respiro, quasi avessi paura di rompere un precario equilibrio. Vincent, invece, mi guardava con un’intensità paurosamente eccitante, quasi a volermi mangiare. Quando fui dinnanzi a lui, gli accennai un sorriso. mi alzai in punta di piedi e lo baciai a fior di labbra. Un bacio casto. Nulla di più. Nulla a che vedere con il bacio che c’era stato tra me e Nico.
Mi staccai da lui e lo fissai intensamente, continuando a sorridergli.

“Questo era un sì?” sorrise Vincent, stringendomi forte tra le sue braccia.
“Sì.” Fu la mia sola risposta.

   
 
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