Libri > I Miserabili
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Autore: plateau_    23/07/2013    2 recensioni
Modern!Au, Parigi 2012/2013, liceo. JehanxBahorel, con leggeri accenni a EnjolrasxGrantaire, MariusxCosette, JolyxMusichetta, CombeferrexEponine.
Bahorel, tipico ragazzo che non ha niente da perdere: alcol, risse e ragazze sono il suo pane quotidiano. Jehan, tipico ragazzo che ha tutto e niente: non amici, ma dei fogli bianchi, una penna e un flauto traverso.
Un incontro nel cortile della scuola in una situazione burrascosa; cosa nasce di buono dall'unione di un cardo e un'orchidea?
La storia si sviluppa sulle note del primo cd dei Mumford and Sons, "Sigh no more": un capitolo per ogni canzone.
Spero la storia possa piacervi, malgrado il pairing non sia uno dei più considerati dal fandom... in ogni caso, buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Giorgia e al suo malcelato amore per il comic sans: buon compleanno e altri cent'anni di questi - da passare con me, ovviamente!


There will come a time I will look in your eye
You will pray to the God that you always denied
Then I’ll go out back and I’ll get my gun
I’ll say, ‘You haven’t met me, I am the only son’

Mumford and Sons, Dust bowl dance.

Jehan.

«Devi calmarti, Bahorel».
Gli poggio le mani sulle spalle, ma le scosta con un gesto brusco – eppure gentile: ha paura di farmi male.
«Io ti porto fuori dopo aver insistito tanto, lo incontriamo a due isolati da casa tua e ti urla contro dandoti della checca. Lo ammazzo, Jehan. Torno giù e lo ammazzo. Lo prendo a pugni fino a quando non gli esce il cervello dal naso, fino a quando non lo sfiguro così tanto che sua madre non sarà in grado di riconoscere il suo cadavere e saranno costretti a fare il test del DNA, come fanno con i corpi carbonizzati».
Urla, e cammina furiosamente da una parte all’altra della camera da letto; non so cosa fare. Sapevo che un giorno di questi sarebbe scoppiato, eppure stavo pregando che la sua furia non fosse così forte quanto invece si è rivelata essere.
Mi alzo, cerco di dire qualcosa, ma mi zittisce con lo sguardo: non seguo neanche più i suoi discorsi, tanto si sono fatti distanti ed intricati. Colgo solo qualche minaccia di morte qua e là.
«Solo tre settimane di servizi socialmente utili. Ti ha quasi ucciso, Jehan, e ha dovuto solo passare tre settimane in un centro di recupero. Forse dovrei prendere a pugni anche il giudice appena finisco con Théo».
Ho paura, e non per me: ha sempre avuto questi scatti di rabbia incontrollabili, e da quanto mi ha detto Grantaire – compare di rogne da una vita – è impossibile farlo calmare; riprende il controllo di sé solo quando raggiunge il suo obiettivo.
E in questo caso le sue parole fanno intendere che il suo obiettivo non è di certo un gesto nobile.
«Per favore, Bahorel. Non essere violento, sto bene. Non ho paura di Théo, né dei suoi amici, né di quello che potrebbero farmi; ho ricevuto insulti peggiori, e credo siano abbastanza spaventati da non picchiarmi più. Ti prego, non fare cose di cui ti pentir…»
«Vado al pub con Grantaire, ci sentiamo dopo. Non aspettarmi sveglio, farò tardi.» Prende la giacca, la infila velocemente e, dopo aver messo il cellulare in tasca, esce sbattendo la porta alle sue spalle.
Sospiro preoccupato; ovviamente, non credo a quello che mi ha detto. Afferro il mio cellulare, e scrivo a Courfeyrac.

 
“Courf, credo che B. stia per combinare un casino dei suoi.
È andato a cercare Théo, ed io sono rimasto a casa sua.

Che faccio?”

Qualche secondo dopo il cellulare vibra, è  Courfeyrac.
 
“Preparati, arrivo con R e Ras.
Avresti dovuto sparargli qualche sedativo in vena piuttosto che lasciarlo andare.”
 
***

Bahorel.

Scendo da casa mia in fretta, ho paura che quello stronzo possa scappare in qualche modo; ma scemo com’è, probabilmente è ancora dalle parti di casa di Jehan. Pensa forse che ci andrò leggero, o che non ho intenzione di caricarlo di botte?
Supero di quattro volte il limite di velocità massimo consentito, passo almeno cinque semafori rossi, vado controsenso due volte, sorpasso quattro macchine in una strada con una sola corsia e per un momento mi ritrovo a guidare sul marciapiede: non m’interessa più di tanto.
Scendo dalla moto, e mi ritrovo la brutta faccia sogghignante di Théo a qualche metro. C’è solo uno dei suoi amici: tanto peggio per lui.
«Ehi, guarda Théo, il fidanzato della ch…» Un pugno dritto nella mandibola lo zittisce: sento le ossa scricchiolare e spostarsi sotto le mie nocche. Dovrà stare zitto per un bel po’, probabilmente.
Lo lascio lì, non ho tempo per un poveraccio come lui.
Il mio obiettivo è un altro.
Mi ritrovo faccia a faccia con Théo: il suo sogghigno si spegne –  mentre con il pugno insanguinato lo colpisco dritto nello stomaco – e si trasforma in quella che sembra paura.
Tanto meglio.
Non credo di sentire più i miei pensieri: non penso neanche di essere più umano. Ringhio, mentre lo scaglio contro il muro, e gli assesto un calcio ben piazzato nello sterno; si piega in avanti, e con uno spintone lo lancio a terra.
Lo sottovaluto: nella caduta, tira fuori un coltello, e mi lascia una bel taglio sul braccio. Non sento il dolore, tanto sono preso dal momento; mi lancio su di lui, mi siedo a cavalcioni, e do il via ad una scarica di pugni e colpi sparsi.
Sono furente. Per colpa sua ho quasi rischiato di perdere la persona più importante della mia vita.
In qualche modo riesce a farmi cadere all’indietro, e le posizioni si invertono: adesso le sto prendendo io. Ma niente e nessuno può fermarmi, qualche secondo dopo siamo uno di fronte all’altro, in piedi.
Metto una mano nella giacca, e con stupore di Théo mi ritrovo fra le mani una rivoltella.
Cerco di calmare il mio respiro affannato, mentre punto la canna della pistola in direzione della fronte di Théo.
«Dammi una buona ragione per non farlo».
Il braccio inizia a pizzicare, l’occhio destro fa male, e l’addome sanguina: evidentemente il coltello di Théo è arrivato da qualche altra parte.
Fa male, ma non importa. Sto sanguinando, ma non importa. Lo sguardo terrorizzato negli occhi di Théo è appagante.
«Ehi, Bahorel. Calmati. In nome della nostra vecchia amicizia…» Théo cerca di fare un tentativo, inginocchiandosi piano e alzando le mani, dopo aver deposto il coltello per terra.
«Amicizia? Dovrei spararti seduta stante, e porre fine alla tua miserabile vita. Io me ne vado a casa contento, e tu vai all’Inferno: è perfetto, non credi?»
Sono perfettamente calmo. Potrei premere il grilletto in un momento qualsiasi, e tutto finirebbe.
Eppure, il tremolio del bastardo in ginocchio davanti a me è così paradisiaco che potrei stare così per ore e sentirmi una persona completamente felice dopo.
Devo divertirmi.
«Bahorel, ho… ho una ragazza, Michelle. È incinta, e nel giro di qualche mese ci sposeremo. Non vorrai far crescere un bambino senza padre, vero?» Prega. Ho trovato il suo punto debole.
«Michelle, dici? Bene, come ti sentiresti se picchiassi Michelle mentre tu non ci fossi e al tuo ritorno la trovassi in coma? Staresti male, perché la ami. Suppongo.
Stavo tornando pieno di rimorso per averlo lasciato senza una spiegazione – un rimorso bruciante, di quelli che non ti fanno dormire la notte e ti torturano per tutto il giorno – e lo trovo in terapia intensiva, più morto che vivo.
Ora, immagina la tua Michelle in coma per colpa mia. Mi uccideresti?»
Annuisce lentamente, abbassando la testa; sì, sì mi ucciderebbe. Prendo bene la mira, la pistola puntata contro il suo cranio e, diversamente da quello che si vede nei telefilm, la mia mano non trema. Sono deciso.
«Bahorel!»
Dei passi dietro di me: non volto neanche la testa, perché riconosco la sua voce. Sento Grantaire borbottare qualche imprecazione a mezza voce; Jehan non è venuto da solo, allora.
Lancio un’occhiata veloce alla mia destra. A completare il felice quadretto familiare ci sono Courfeyrac con le mani nei capelli ed Enjolras che mi guarda con aria severa e preoccupata.
Jehan si posiziona fra me e Théo.
«Spostati, Jehan. Non ho intenzione di farti male».
«Ti credevo una persona migliore, Bahorel. Qualche giorno fa mi hai detto che ti ho reso una persona migliore; per favore, provamelo. Non puoi uccidere Théo: se non vuoi farlo per me, fallo per te stesso. Che razza di vita faresti chiuso in carcere? Ti renderebbe migliore di lui?»
«Non c’è niente di buono in me, Jehan.» Muovo lentamente il braccio, puntando la pistola contro di lui. Courfeyrac bestemmia, e non si fa scrupoli nell’abbasare la voce.
Grantaire fa un passo avanti, ma Enjolras gli posa una mano sul petto fermandolo.
Jehan mi guarda dritto negli occhi, fermo con aria fiera, senza mostrare paura. È questo il mio ragazzo, buono e coraggioso. È per questo che lo amo.
Lo oltrepasso senza problemi, e mi ritrovo a un metro da Théo. Sta piangendo.
Jehan si volta, ma non si avvicina. «Ti prego Bahorel, stai sanguinando. Andiamo in ospedale, e lasciamo stare tutto, diremo che avete avuto una rissa ma che è tutto risolto. Non vuoi essere un assassino.»
Lo ascolto appena. Lancio uno sguardo veloce al mio braccio abbandonato contro il fianco: le mie dita gocciolano di sangue; per non parlare della chiazza rossa pericolosamente grande sulla t-shirt grigia che indosso sotto la giacca.
Poggio la punta della pistola contro la testa di Théo, e lui sussulta.
«Chiedi scusa a Jehan per quello che gli hai fatto».
«Bahorel, non ho bisogno delle sue scuse…»
Mi volto, e Jehan smette di parlare.
«Scusami Jehan. Scusami tanto, sono stato un’idiota.» Dice, fra un singhiozzo e un altro.
«Adesso promettimi che insegnerai a tuo figlio ad amare tutti incondizionatamente, e che ognuno è libero di fare, essere e amare chi vuole».
Non parla neanche più, ma annuisce vigorosamente. Si appende con le mani al mio braccio, il petto che si alza e abbassa a singulti.
Lo osservo per qualche secondo, poi mi giro verso Jehan: ho perso tanto sangue, e inizio a sentirmi la testa un po’ vuota.
Apro la rivoltella, e mostro a Jehan il caricatore vuoto.
«Non sono così male come credi».
Improvvisamente un tuono rimbomba nel cielo, e inizia a venire giù la pioggia.
  
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