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Autore: ourlifesavers    23/07/2013    22 recensioni
Fuoco, fiamme scoppiettanti e fumo avvolgevano ormai completamente quella casa.
Il luogo appariva deserto, se non fosse stato per i quattro ragazzi che ammiravano soddisfatti il tetro spettacolo davanti ai loro occhi.
Erano certi che nessuno, eccetto loro, avesse assistito a quella scena, ma due occhi spaventati avevano visto tutto.
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Jiley fanfiction.
Scritta a quattro mani da: jileyheart e Neverlethimgo
'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Miley Cyrus
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1

Alexis

 

Tre anni dopo.

 

«Dovrebbe esserci ancora uno scatolone in macchina, puoi prenderlo tu?», la voce squillante di mia madre era giunta alle mie orecchie proprio nell'istante in cui mi appoggiai al cofano dell'auto, sperando di riposarmi qualche minuto dopo aver trasportato più di cinque pesanti scatole davanti all'ingresso della nuova casa.

Era passata più di un'ora e ancora non avevamo finito di scaricare le ultime cose. Solo in quel momento mi accorsi realmente di quante cose avevamo portato via.

«Sì, d'accordo.» sbuffai, alzandomi riluttante.

Mi stavo quasi abituando al silenzio di quel luogo desolato, totalmente diverso dal quartiere dal quale provenivo, e la voce di mia madre aveva interrotto quella quiete.

Lasciai cadere la borsa al suolo e afferrai l'ennesima scatola dal sedile posteriore della macchina, raggiungendo poi mia madre all'interno della villetta che avevo davanti.

Mi fermai qualche istante sull'uscio, impiegando diversi secondi a guardarmi intorno.

Se da fuori quella casa sembrava grande, dentro lo era ancora di più, forse un po' troppo per appena due persone.

Sembrava accogliente, sebbene fosse ancora spoglia, ma di questo non me ne preoccupai più di tanto. Non mi dispiaceva, ma probabilmente avrei impiegato diverso tempo prima di abituarmi del tutto a quel luogo quasi deserto. Soprattutto se si cresce in una città dove anche alle quattro di notte non c'è pace.

«Alexis, porta quella scatola in cucina.» mi disse e la raggiunsi immediatamente, distogliendo l'attenzione dalla grande vetrata del soggiorno.

Al di fuori di essa vi erano decine e decine di alberi, apparentemente sembrava un bosco e... forse lo era davvero.

L'idea di viverci di notte mi stava leggermente spaventando, a dire la verità.

«Allora, ti piace?» domandò entusiasta mia madre, posando finalmente a terra lo scatolone.

La guardai torva, studiando attentamente la sua espressione felice.

Probabilmente si aspettava una risposta positiva ed io non volevo di certo rovinare il suo entusiasmo.

«Carina.» risposi atona. Non ero mai stata molto brava a fingere e, comunque, era ancora presto per apprezzare a pieno quel luogo.

Per una abituata alla confusione, la pace che regnava ora era una perfetta novità. Non che non mi piacesse il cinguettio degli uccellini o tutto quello che possa vivere in un posto come questo.

«Vedrai che ti ambienterai subito e poi non è la prima volta che passiamo qualche giorno qui.» ironizzò mia madre, sperando di rallegrare l'atmosfera.

Accennai un sorriso, «lo so, ma prima non mi avevi mai detto “di qui non ce ne andiamo più”.» ribattei, stando al gioco.

Si accigliò, ma non disse nulla. Cominciò a trafficare con una della scatole che aveva davanti, tirando fuori la qualunque: da libri a mestoli e attrezzi per la cucina.

«Ho già chiamato qualcuno che possa venirci ad aiutare con i mobili e tutto quello che ci servirà. Qualche settimana e questo posto sarà fantastico.» esclamò entusiasta.

Inarcai un sopracciglio, evitando di rispondere.

Mi guardai alle spalle e tutto quello che vidi fu un'enorme spazio – probabilmente destinato al salotto – completamente vuoto.

Iniziava già a mancarmi casa.

«Alexis, mi stai ascoltando?» mi chiese, agitandomi più volte una mano davanti al viso, per riportarmi alla realtà.

Sobbalzai, «sì, sì. Sarà fantastico.» ripetei, cercando di metterci quanto più entusiasmo potei.

Sospirò e lasciò perdere lo scatolone, venendo vicino a me. Mi fece passare un braccio attorno alle spalle, stringendomi a sé.

«Andrà tutto bene, tesoro, te lo prometto. Sarà divertente iniziare una nuova vita lontano da tutti.» mormorò, prima di darmi un leggero bacio sulla guancia.

Annuii, cercando di sorridere, «lo so.» risposi, «chiamo papà per dirgli che abbiamo quasi finito.» la avvertii. Era sempre meglio dirle certe cose prima.

«Certo.» sussurrò, staccandosi da me e tornando al suo scatolone.

Uscii fuori dalla nostra ipotetica cucina/sala da pranzo e andai fuori a recuperare la borsa. Cercai il cellulare, fino a quando non lo trovai. Dovetti fare qualche passo per trovare un po' di campo e quando finalmente le tacche aumentarono, composi l'oramai familiare numero di papà.

Attesi che rispondesse e intanto diedi un'occhiata intorno: alberi. Solo alberi. Sembrava di stare a Central Park, con l'unica differenza che New York era sempre costantemente popolata, mentre qui le uniche anime eravamo io, mia mamma e qualche scoiattolo.

Dopo qualche squillo, la voce di mio padre arrivò dritta alle mie orecchie.

«Pronto piccola?» rispose, con il suo solito tono ilare.

«Papà, ciao.» sorrisi, «so che probabilmente sei al lavoro. Volevo solo dirti che siamo arrivate sane e salve e che abbiamo appena finito di scaricare gli scatoloni.»

Lo sentii sfogliare alcuni fogli, «e come ti sembra?» domandò curioso.

Mi guardai nuovamente intorno, «grande. E verde. e... quasi spaventoso.» mormorai, sperando che mamma non mi sentisse.

Scoppiò in una fragorosa risata, e la cosa mi infastidii, «non è la prima volta che rimani da quelle parti.» disse.

Sbuffai. Era la stessa cosa che aveva detto mamma poco fa, «lo so, ma è diverso. Prima sapevo che, passato qualche giorno, sarei tornata a casa.» sbottai.

Sospirò rumorosamente, «lo sai che puoi tornare quando vuoi, casa mia sarà sempre casa tua.» disse serio.

Sorrisi, «lo so.»

«É quasi ora di cena. So che sei stanca, ma ti va di andare in città a mangiare qualcosa?» domandò mamma, dopo aver appeso l'ultimo abito nel suo armadio, nella sua nuova camera da letto.

Scossi la testa e mi lasciai cadere di schiena sul letto, sospirando, «se invece vado io in città a prendere qualcosa e ceniamo qui?» proposi, chiudendo gli occhi.

La sentii ridacchiare, «troppo presto, vero?» chiese, venendo a sedersi accanto a me e accarezzandomi gentilmente la gamba.

Annuii, sorridendo.

«D'accordo allora. Ricordi la strada?» continuò.

«C'è un'unica strada, credo non sia così difficile arrivare in città.» ribattei sarcastica.

Scoppiò a ridere ed entrambe ci alzammo dal letto, scendendo al piano di sotto. Indossai la giacca e mamma mi porse le chiavi della macchina.

La lasciai sulla soglia ed entrai in macchina, mettendo in moto. Uscendo in retromarcia, percorsi la piccola stradina che portava poi sulla strada principale. Armeggiai qualche istante con i pulsanti della radio, fino a trovare quello che stavo cercando.

Canticchiai fino a che le luci della città furono ben chiare. Non sapevo bene dove andare. Erano passati tre anni dall'ultima volta che c'ero stata, ma ricordavo che, non molto distante da casa dei miei nonni, c'era un grande centro commerciale, così mi diressi là.

Cercai parcheggio e, quando finalmente riuscii a trovare uno spazio vuoto, spensi la macchina, incamminandomi verso l'entrata.

Seguendo le indicazioni, salii al piano superiore e mi guardai intorno, cercando il ristorante take-away.

Una volta individuato, mi mossi velocemente. C'era un po' di fila, ma non mi andava di girare a vuoto per cercare qualcosa d'altro, così aspettai.

Trascorse una buona mezz'ora prima che la cameriera, al di là del bancone, mi chiedesse cosa desiderassi.

Ordinai per lo più a caso, scegliendo le prime cose che mi capitavano sotto agli occhi.

Imbustò il tutto, lasciandomi poi le due bibite fuori, per evitare che si rovesciassero. Ci avrei pensato io, questo era sicuro.

Ritornai al piano terra, con due buste in una mano e le bibite nell'altra. Uscii dalle porte automatiche con calma, ma evidentemente qualcun altro aveva più fretta di me.

Mi sentii sbattere di lato e persi la presa dalle bibite, che si rovesciarono in parte a terra e in parte addosso alla persona che avevo davanti.

«Dio, ma stai attenta!» esclamò, saltando letteralmente indietro, per evitare che altro le finisse addosso.

«Stare attenta io? Dico, ma non mi hai vista?» gridai, lasciando che i bicchieri cadessero al suolo.

La ragazza di fronte a me sbuffò così violentemente che mi venne voglia di prenderla a calci.

«Guarda come mi hai ridotto!» si lamentò, toccandosi la maglia bianca – ormai tendente al marrone – bagnata di coca cola, «come minimo me la ripaghi.» aggiunse, acida.

Scoppiai a ridere in una risata tutt'altro che divertente, «se tu guardassi avanti quando cammini non sarebbe successo. Non mi hai visto uscire?» chiesi, asciugandomi la mano sui pantaloncini.

Strinse le labbra e scosse la testa, «evidentemente no, cosa dici?» ribatté, cercando di strizzare la maglietta.

Sbuffai, «senti, te la ripago, non è un problema.» sbottai. Stava facendo una tragedia, quando l'unica che aveva il diritto di lamentarsi ero io.

Avevo rovesciato tutto ed avevo anche rischiato di cadere.

Agitò una mano davanti al mio viso, come per dirmi di stare zitta, «lascia perdere. Anzi scusami. Non ti ho proprio visto uscire.» mormorò, cambiando completamente atteggiamento.

Inarcai un sopracciglio, sorpresa, ma alla fine scossi la testa, «non importa, davvero. Mi dispiace averti completamente rovinato la maglietta.» replicai, arricciando le labbra.

«Tranquilla, era solo uno stupido regalo del mio ex ragazzo.» spiegò, accennando un sorriso.

«Oh, allora non ringraziarmi.» scherzai, stringendomi nelle spalle.

Scoppiò a ridere, «hai bisogno di una mano?» domandò, indicando le due buste che avevo in mano.

«Ho la macchina qui vicino, non è un problema.» risposi, iniziando ad incamminarmi.

Mi prese quasi con la forza la busta dalla mano, così la lasciai fare. Arrivammo alla macchina e cercai le chiavi. Feci scattare l'apertura automatica e misi una delle due borse sul sedile posteriore, voltandomi per prendere l'altra.

«Sono Andie, comunque.» disse, rompendo quel breve silenzio, dopo essersi asciugata le mani alla bene e meglio sui pantaloni.

«Alexis.» risposi, ritirando l'altra borsa.

«Aspetta!» esclamò, facendomi sobbalzare.

Mi voltai, spaventata. Mi guardai attorno, alla ricerca di qualche pericolo, ma non vidi nulla.

«Che succede?» domandai, preoccupata.

«Io ti conosco. Non è la prima volta che ci vediamo.» rispose, indicandomi.

Aggrottai le sopracciglia, studiandola per qualche istante.

No, decisamente non era un viso familiare.

«Sei la nipote di Ruth.» esclamò, schioccando le dita, come se avesse appena fatto una scoperta grandiosa.

«Come fai a conoscere mia nonna?» domandai curiosa.

Sorrise, «perché mi ha praticamente cresciuto.» rispose.

Rimasi spiazzata in seguito a quella sua affermazione, avevo completamente rimosso ogni particolare di quella piccola cittadina, a cominciare dalle persone che ci vivevano.

Non seppi assolutamente che cosa dire, mi limitai ad abbozzare un sorriso mentre lei sembrava totalmente esaltata per la scoperta che aveva appena fatto.

«Quanto tempo resterai qui?» mi domandò, sorridendomi apertamente e spostandosi dietro all’orecchio una ciocca dei capelli biondi che le era sfuggita dalla coda.

«Credo fino a che mia madre non deciderà di trasferirsi di nuovo.» dissi, cercando di ironizzare la mia risposta.

«Perfetto!» esclamò lei, congiungendo le mani, «se domani sera non hai da fare vieni da me. Do una festa e ci sarà da divertirsi.»

«Ecco, i- io non lo so…» risposi titubante.

«Avanti, Alexis, non farti pregare. Ci divertiremo, e poi ti farò conoscere un sacco di persone, così ti togli questo muso triste.» insistette con enfasi e mi sentii quasi costretta ad accettare, sebbene non mi entusiasmava poi così tanto l’idea di andare a quella festa. Sarebbe finita esattamente come la prima volta che frequentai quella nuova compagnia di ragazzi a New York: la festa era stata organizzata da una delle ragazze più popolari della mia scuola e io, ovviamente, non conoscevo nessuno se non due o tre persone, così trascorsi l’intera serata a guardare quei ragazzi ubriacarsi e andare fuori di testa. Non volevo ripetere l’episodio, assolutamente.

«Se lo dici tu.» mormorai sempre meno convinta.

«Fidati di me.»

«Dovrei fidarmi di una che mi  ha quasi privato della cena?» scherzai, ma fortunatamente la prese sul ridere. «D’accordo, ci verrò.» dissi infine, accontentandola.

«Lo sapevo che avresti ceduto. Posso chiederti un’ultima cosa?»

Annuii e nel frattempo aprii la portiera dal lato guidatore.

«Mi daresti un passaggio? Abito a circa due chilometri da qui.»

«Certo, non c’è problema.» le sorrisi e, una volta che entrambe fummo in macchina, partii.

 

Durante il breve tragitto, Andie non stette zitta un solo secondo, mi raccontò la maggior parte della sua vita e a stento avevo l’occasione di ribattere, ma, dopo tutto, era simpatica.

In prossimità di un incrocio ci fermammo e lei si zittì tutto d’un tratto.

La guardai seguire con lo sguardo un ragazzo che stava attraversando proprio davanti a noi. Aveva il cappuccio, così non ebbi la possibilità di scorgerne a pieno i lineamenti, s’intravedeva appena il ciuffo color biondo scuro che sporgeva da esso, alzato in una cresta scombinata.

Spostai lo sguardo sulla bionda e la fissai con aria interrogativa, lo stava letteralmente fulminando con lo sguardo.

«Lo conosci?» le domandai, dato che non sembrava avere alcuna intenzione di darmi una spiegazione.

«Sì.» rispose con aria schifata, «un tempo lo frequentavo, come amici s’intende, ma da qualche anno a questa parte è diventato una sottospecie di delinquente e, se posso, lo evito.» spiegò frettolosamente, sventolandomi poi la mano davanti al viso.

Ripartii non appena il semaforo fu verde e, dallo specchietto retrovisore, seguii per qualche secondo i movimenti di quel ragazzo.

Mi domandavo cosa avesse mai fatto per essere stato etichettato da Andie come delinquente.



 


Ci sono anche io :)

 23 recensioni e ben 62 preferiti. Siamo solo al prologo, voi davvero non vi rendete conto della felicità che abbiamo provato a vedere tutto ciò, siete splendide, davvero.

Non vi ringrazieremo mai abbastanza per questo, siamo contentissime che vi sia piaciuto così tanto, nonostante fossero solo poche righe.

Sappiamo che avrete sicuramente mille dubbi,  ma andando avanti, riusciremo a chiarirveli tutti, ne siamo sicure.

Tanto per sottolineare una cosa, questa fanfic, non è come quella di Fede - used to tell me sky’s the limit, now the sky’s our point of view, tranquille. (anche perché Giulia non sa quello che c’è nella mia testolina. Forse.. non ancora credo lol)

Detto questo, speriamo che il primo capitolo vi sia piaciuto. È parecchio lungo ed è tutto dal punto di vista di Alexis. Man mano, si aggiungeranno anche altri punti di vista.

Fateci sapere che ne pensate.

Alla prossima belle, un bacio.

Giulia e Fede.

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Se avete domande, ecco i nostri ask:

Giulia e Fede.

  
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