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Autore: Nymeria90    23/07/2013    1 recensioni
Nel 2183 un nave non identificata attacca e distrugge la Normady SR1. Il comandante Shepard, eroe della Cittadella, muore nello scontro e il suo corpo si perde nello spazio. I superstiti della Normady, dopo aver sepolto una bara vuota, voltano pagina e cercano di ricostruirsi una vita, ma due anni dopo Alexander Shepard ritorna dal mondo dei morti. La sua missione: salvare la galassia, un'altra volta. Ma scoprirà ben presto che il prezzo da pagare è la sua anima, un prezzo che forse è troppo alto, persino per lui.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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Base dei Collettori, 2185
 
Che fosse una missione suicida l’avevano sempre saputo e nessuno parve sconvolto all’idea di non fare più ritorno. Avevano sistemato le loro cose, messo in pace la loro coscienza, vendicato i loro morti, qualunque fosse il destino che li attendeva oltre il portale di Omega 4 i membri della Normandy SR2 erano pronti ad affrontarlo.
Ma Shepard non aveva la minima intenzione di lasciarli morire. Li avrebbe portati a casa, nessuno escluso e, in nome di tutti gli dèi presenti e passati, questa volta non avrebbe fallito. Non era disposto a sacrificare nessuno. Nemmeno se stesso.
Eppure, ben presto, si rivelò un promessa difficile da mantenere.
Rischiò più volte di perdere Kasumi, intrappolata in quel maledetto condotto di ventilazione, soffocata dall’aria torrida che la investiva, ma, per una combinazione di fortuna e abilità, non accadde. La ladra era tenace, veloce, determinata e alla fine riuscì a salvarli tutti, aprendo le porte e chiudendole con precisione infallibile.
Ma la missione era appena cominciata.
Si ritrovarono in una sala enorme, spettrale, ricoperta da milioni di capsule. In ognuna di esse c’era un essere umano. Di fronte ai loro occhi esterrefatti videro i coloni di Horizon sciogliersi come ghiaccioli al sole, furono costretti ad assistere impotenti alla loro morte, ma riuscirono a salvare l’equipaggio della Normandy, un istante prima che seguissero i coloni lungo i tubi che conducevano chissà dove.
Fu con sollievo che strinse la dottoressa Chakwas tra le braccia e ammirò la sua tenacia quando la donna si rimise in piedi, forte e determinata, pronta a guidare i suoi compagni fuori da quell’incubo.
Sperò che l’inarrestabile ferocia di Zaeed bastasse a portarli in salvo sulla Normandy.
Guardò i suoi compagni, sentendosi incredibilmente fiero del loro coraggio, della gelida determinazione che lesse nei loro occhi; non c’era paura o dubbio, nessun tentennamento o esitazione: avrebbero distrutto quella base e ne sarebbero usciti vincenti.
Affidò a Garrus il comando della seconda squadra, non avrebbe potuto scegliere nessun altro, si fidava del Turian più che di se stesso. Il loro obiettivo era aggirare le forze dei Collettori e, mentre il grosso della squadra li avrebbe tenuti impegnati lungo la via più agevole, lui, Jack e Thane avrebbero affrontato gli sciami cercatori, confidando sulla protezione biotica che Samara gli avrebbe fornito. Era un piano pericoloso, ai limiti dell’impossibile, ma non per loro.
Attraversare la base dei Collettori fu come percorrere un girone dell’inferno.
Chiusi in una bolla biotica che teneva lontano quegli insetti ributtanti, dovettero affrontare e respingere orde di mutanti, esseri che un tempo erano stati uomini mentre dall’alto, come diavoli, calavano su di loro quelle creature che un tempo erano stati i Prothean.
Era quello l’affronto più grande dei Razziatori, più terribile del genocidio di intere specie, più abominevole della distruzione di pianeti e civiltà: negare ai vinti la pace dell’eterno riposo. Per 50.000 anni i Protehan erano stati ridotti in schiavitù, privati di una degna morte, di un meritato oblio. Per la prima volta Shepard fu felice di essere un portatore di morte: i Prothean meritavano una libertà troppo a lungo negata.
A cento metri dalla salvezza Samara vacillò, stremata, incapace di portare a termine un compito che forse era troppo arduo persino per una Justicar Asari.
L’Asari lo guardò con occhi colmi di terrore e per un istante, un breve, folle istante, Shepard temette che fosse tutto perduto. La paura era il nemico più letale, l’assassino più subdolo.
- Tu non ti arrenderai e non morirai.- ringhiò al suo orecchio mentre gli altri continuavano a sparare, cercando di arginare la marea di corpi morti che si riversava su di loro – Non c’è battaglia più giusta di questa: mostrami il valore di una Justicar.-
Una smorfia deformò il viso di Samara, un urlo le salì alle labbra e l’energia oscura esplose dalle sue mani, devastante e bellissima, risalì il pendio come un’onda vendicatrice, travolgendo quegli esseri che non erano niente.
La porta si aprì alle loro spalle ed essi la varcarono. Dietro di loro rimase solo il deserto.
Pochi secondi dopo si ricongiunsero con l’altra squadra, Garrus aveva fatto un ottimo lavoro portando in salvo tutti: nessuna perdita, nessun ferito. Nel cuore di ognuno cominciò a sorgere la speranza che forse ce la potevano fare davvero.
E così ci siamo. Inizia l’ultimo round.
Il round in cui si poteva vincere o perdere tutto.
Il grosso della squadra sarebbe rimasto a difesa della porta per arginare il flusso di Collettori che già si stava ammassando dietro di essa. Shepard, Jack e Thane avrebbero tentato la sorte da soli, penetrando nel cuore della base, per raggiungere il luogo in cui convergevano tutti i tubi, in cui si celavano i misteri di quel popolo che non era un popolo. Era lì che avrebbero piazzato la bomba.
Il suo discorso fu breve, conciso. I suoi uomini sapevano cosa si aspettava da loro e quale fosse la posta in palio. Se fallivano la galassia era perduta, se vincevano non ci sarebbero stati né onori né allori, ma nessuno di loro aveva mai combattuto per quello. Loro combattevano e basta.
Si congedò dai suoi compagni con un sorriso beffardo sulle labbra: vittoria o morte, com’era giusto che fosse.
 
Un Razziatore umano. Stavano costruendo un maledetto Razziatore umano.
Logico. Si chiese perché non ci avesse pensato prima. Ma forse era un bene che non riuscisse a ragionare come loro: non era una macchina, non del tutto.
Non si soffermò troppo a pensare sul come e perché, quella cosa lo disgustava profondamente. Era un essere ripugnante che andava debellato.
Estrasse la batteria che alimentava le piattaforme mobili, sarebbe bastata una piccola carica per trasformarla in una bomba a fissione, in grado di radere al suolo quella dannata struttura.
Ovviamente l’Uomo Misterioso pensò bene di fare la sua comparsa: voleva convincerlo a salvare la struttura.
Come volevasi dimostrare …non vedeva l’ora di posare le sue avide mani sulla tecnologia dei Razziatori. Quell’uomo avrebbe venduto l’anima per una briciola di potere … forse l’aveva già fatto.
Ma era folle o stupido se pensava che l’avrebbe assecondato nel suo delirio d’onnipotenza. Gli disse che distruggeva la base perché non voleva corrompere la sua morale. Stronzate, non era per quello che lo faceva.
Conosceva Cerberus e i suoi esperimenti, conosceva l’Uomo Misterioso e la sua follia e si sarebbe cavato il cuore con cucchiaio piuttosto che permettergli di mettere le mani su qualcosa di così potente. Forse la sua decisione avrebbe condannato la galassia, ma era un rischio che era disposto a correre. E se qualcuno aveva qualcosa da ridire … bé potevano sempre provare a recuperare quello che sarebbe rimasto dopo l’esplosione, ma lui di certo non li avrebbe aiutati.
Rivolse un sorriso grato a Jack quando chiuse la comunicazione in faccia all’Uomo Misterioso, armeggiò con il dispositivo d’innesco e … mi era sembrato troppo facile …
La piattaforma tremò e dalle profondità della base dei Collettori riemerse l’abominio semi-umano che si era illuso di aver eliminato.
Avevano dieci minuti per eliminare lui e i suoi rinforzi alati. Un gioco da ragazzi.
Lasciò che Jack e Thane si occupassero dei Collettori e si concentrò sul proto-Razziatore. Fu una battaglia impari.
L’abominio metallico si schiantò al suolo in un cigolio di giunti spezzati, definitivamente morto, ma nella caduta si trascinò dietro metà delle piattaforme, compresa la loro.
La piattaforma s’inclinò pericolosamente, scaraventandoli al suolo, Jack perse l’equilibrio e cominciò a scivolare, inesorabilmente, verso la morte. Shepard si slanciò dietro di lei: non le aveva dato il permesso di morire.
Allungò la mano: dove credi di andare, ragazzina?
Per due volte Jack tentò di afferrarlo, per due volte lo mancò e cadde oltre il bordo.
Shepard si gettò dietro di lei, aggrappandosi al bordo della piattaforma, artigliò l’aria con le dita e … e la prese.
Jack lo fissò, gli occhi sgranati dalla paura, lui le rivolse un debole sorriso
– Non ti lascio andare …- sussurrò.
Un altro tremito scosse la piattaforma che s’inclinò dall’altro lato, facendoli precipitare di nuovo, affiancati, senza possibilità di fermarsi. Poco distante vide Thane barcollare e cadere, precipitando insieme a loro incontro ad un destino incerto. La base dei Collettori tremò e dal soffitto piovvero pietre.
Un lampo di dolore accecante e poi il buio.
 
Jack si riebbe con un sussulto, incapace di credere di essere ancora in vita. Questa volta ci era andata vicina, davvero vicina.
Shepard l’aiutò ad alzarsi e strinse con forza la sua mano … quando era caduta si era buttato dietro di lei, non l’aveva abbandonata … non l’avrebbe dimenticato. Mai.
Liberarono Thane dalle macerie, il Drell era più robusto di quanto pensasse, si rialzò senza una smorfia, come se si fosse appena svegliato da un sonnellino ristoratore.
- Forza, andiamocene da qui.- li incitò Shepard spingendoli verso l’uscita.
Doveva mancare poco alla detonazione della bomba e il crollo di quel maledetto ammasso di ferraglia doveva aver seriamente danneggiato la struttura della base. Mentre correvano verso la salvezza rischiarono più volte di essere sepolti dalle macerie. Fortunatamente gli altri si erano già ritirati, rifugiandosi sulla Normandy. Jack sapeva che avevano i secondi contati, se fossero rimasti troppo indietro Shepard avrebbe ordinato a Joker di salpare, con o senza di loro.
Sacrificarne alcuni per salvarne molti.
Non fu necessario.
La Normandy comparve davanti ai loro occhi simile a un miraggio, Jack non si era mai accorta di quanto fosse bella. Joker si affacciò dal portellone aperto, sparando contro i loro inseguitori, ricordandogli la scena di un olofilm da quattro soldi che aveva visto anni prima, in uno dei tanti buchi sudici che chiamava “rifugio”. Per poco non scoppiò a ridere.
Raggiunse il ciglio del precipizio e spiccò il volo, saltando con malagrazia sulla Normandy, rischiando di stendere Joker nell’atterraggio. Thane atterrò con grazia accanto a lei.
Gli sorrise, forse per la prima volta, rischiando addirittura di lasciarsi andare a una risata liberatoria.
Fu in quel momento che si accorse che mancava qualcuno: dov’era Shepard?
Barcollò sentendo il sangue defluire dal volto. Joker sparava e imprecava, la base dei Collettori si accartocciava su se stessa …
Si affacciò dal portellone e lo vide. Indietro, terribilmente indietro. Non si era accorta di averlo distanziato così tanto.
- Andiamo Shepard … - sibilò a denti stretti.
Una roccia grande come metà della Normandy si staccò dal soffitto, mancando di un soffio la nave e facendo franare il terreno davanti a Shepard. Cento metri di vuoto separavano il comandante dalla sua nave.
Non ce la farà …
- Forza, comandante!- urlò Joker.
Shepard non esitò, corse fino al bordo del precipizio e saltò.
Jack lo guardò volare, come al rallentatore, e seppe all’istante che non ce l’avrebbe fatta. Il salto era troppo corto, sarebbe caduto.
E in effetti cadde.
Shepard allungò il braccio, in un disperato tentativo di appigliarsi a qualcosa e, la fortuna, un miracolo o il caso, gli fecero trovare il bordo del portellone.
Jack si buttò in avanti, afferrandolo e mentre IDA faceva virare la Normandy portandoli lontano e Joker continuava a sparare, il comandante Shepard si issò a bordo della sua nave.
Missione compiuta, nessuna perdita.

  
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