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Autore: Thisastro    23/07/2013    0 recensioni
"ma l'uno continua ad influenzare l'altro.
anche se distanti chilometri o anni luce"
ecco la mia vita, questa è la nostra storia.
Mattia, che proprio Mattia non ti chiami, non ti dimenticherò mai, ti aspetterò per sempre... ti amo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cosa importa? Alla fine importerà solo che tu abbia studiato i deponenti e fatti gli esercizi di fisica, il resto può anche fottersi.
Cosa importa la tua felicità? Chiederlo costa davvero troppo, a quanto pare.
Allora forse, non solo gli oggetti costano cari in questa vita, forse in fin dei conti, anche le cose astratte costano un patrimonio.
Anche un semplice ‘come stai?’ oppure ‘sei felice oggi?’ o forse è lei che non lo merita.
Si sente sbagliata, Clarissa, quando si guarda.
La mattina i suoi genitori escono presto di casa.
Lei si sveglia dal suo sonno dove tutto è perfetto, e deve affrontare la dura realtà.
Certe mattine c’è anche quella voglia di chiedersi ‘perché sono ancora qui?’ ma è un pensiero ormai superato, ed è stanca di autocommiserarsi.
Si guarda allo specchio, vorrebbe vedere qualcos’altro, ma questa sua riflessione seguita da un scarso livello di autostima, viene interrotta da un pensiero più dolce, più soave.
È sola, finalmente.
Il pensiero della solitudine, è un pensiero che l’ha massacrata fin da molto piccola, ma crescendo, ha capito che forse è la cosa migliore.
Sola significa libera. Ma forse questo pensiero sarebbe cambiato ben presto.
Sola da quei due che si erano appropriati dell’appellativo di ‘genitori’ per tutti questi anni.
-Probabilmente, -pensa -, sarebbero degli ottimi genitori, solo… non i miei.-
Era infastidita da quelle parole, dai luoghi comuni, da tutti gli stereotipi di cui ormai la sua vita era non piena, ma stracolma.
Si veste e va a scuola, dove ad attenderla c’è la sua vita di tutti i giorni, tutti quei problemi.
Ha le maniche che arrivano fino ai palmi, cerca di nascondere quanto più possibile di lei, anche se a nessuno importerebbe così tanto da notarla nei più minimi particolari.
A nessuno è mai importato, e l’ultima volta che qualcuno si era interessato particolarmente a lei, stava per finire male.
Clarissa ha sedici anni, compiuti ed accantonati.
Ha ricevuto degli auguri smorti, quasi forzati.
Un ‘buon compleanno’ di quelli che non hanno né arte ne parte.
Di quelli che non sanno né di buono, né di compleanno.
La torta sarebbe stata troppo per una come lei, una che non parlava mai e che non chiedeva mai niente, per paura di essere delusa.
Stava sempre in silenzio, e più i toni erano pacati dalle sue parti, più i suoi le urlavano contro.
Le urlavano che non doveva essere così, che doveva sorridere ogni tanto, che non doveva farli fare brutte figure.
Doveva essere più solare, più partecipe, perché loro ne andavano di mezzo.
-Come possono andarne di mezzo?,- pensava – loro sono loro, io sono io.-
era una situazione complicata, complessa, di quelle senza via d’uscita.
Clarissa ha gli occhi marroni, ha i capelli in ordine, dei bei vestiti, ma è dentro che non ci sta con la testa e con quell’equilibrio che bisognerebbe avere per stare bene.
Le sue braccia sono sfigurate, ma col tempo guarirà, il tempo guarisce ogni cosa. È così che si dice, no?
Aveva perso una persona importante nella sua vita, suo fratello.
Non era un suo consanguineo, ma semplicemente una persona in grado di risollevarle il morale ogni volta che si sarebbe voluta fiondare giù dal cornicione del palazzo.
Da quel momento, la sua instabilità emotiva era diventata incontrollabile.
Era morto in un incidente, per colpa di un automobilista avido di vino ma non di rispetto nei confronti di chi sta attraversando delle semplici strisce pedonali.
Ogni tanto insieme, stesi nell’erba, ad osservare il tramonto – la sua ritirata poteva permetterle solo il tramonto – avevano fantasticato sulla loro fine.
 - Io morirò compiendo un grande gesto,- aveva detto lui – non morirò invano. Verrà ricordato almeno qualcosa di me, ne sono certo. E tu?-
ed io?si era chiesta Clarissa. – io non lo so.- ma poi l’aveva spronata ad immaginare situazioni e gente improbabile, ed erano finiti per voler morire nel tentativo di salvare la Casa Bianca da un attaccato terroristico ed essere ringraziati da Obama in persona, per poi morire da eroi.
Quanto ridevano, quanto stavano bene insieme, e di stare bene non si stancavano mai.
Come ci si può stancare di una cosa così naturale come lo star bene? La felicità, l’allegria di un compagno stabile. Tutto svanito, perso.
Quando era andata a trovarlo, aveva fatto uscire tutti, e si era inginocchiata davanti al suo capezzale, piangendo lacrime di disperazione, di rimorso, di dolore, di rimpianto.
Quanto avrebbe voluto abbracciarlo ancora una volta, chiamarlo ancora una volta con uno di quelli stupidi appellativi.
Perché non l’ha fatto? Da quel momento in poi, avrebbe colto l’attimo.
 
Se c’era un gesto piuttosto abitudinario che compieva ogni giorno, a parte quello di sopravvivere, era il guardare la loro foto.
Un’amicizia come quella aveva solo una foto?
Certo.
Chi aveva mai avuto tempo di scattarne altre.
Erano sempre mano nella mano a correre sotto la pioggia per un inaspettato temporale, a prendere in giro le persone che passavano.
Clarissa si guarda e cerca sé stessa in quella fotografia, e nelle altre.
Ne avevano altre insieme, ma erano stralci di vita vissuta, nient’altro.
In alcune foto lui era in posa con un sorriso stravagante, mentre lei guardava da tutt’altra parte, in altre lei sfoggiava un bel sorriso, mentre lui fissava il telefono o chissà cos’altro.
Che fine avevano fatto quegli anni di spensieratezza? Una volta non era così.
Una volta lei aveva la ritirata a casa alle 20.30, da panico.
Ma a lui non importava.
Usciva col sole, mentre per le vie del centro non c’era ancora nessuno, e probabilmente saranno stati presi per soggetti per tutti quelli anni, ma erano insieme! Il resto cosa importava? Non era mai importato, di certo non sarebbe cominciato ad importare da quel momento in poi.
Sempre mano nella mano, come fratello e sorella, come se quel contatto fisico potesse unirli più di come la gente cercava l’unione in un letto. N’erano sicuri.
 
Adesso si ritrovava ad incolpare Dio, e chi altri sennò.
Poteva lasciarlo vivere con lei, poteva lasciarlo con lei.
Chicco e Clammi, Francesco e Clarissa, due nomi di cui non si sarebbe narrato da nessuna parte, se non nei più reconditi angoli del cuore, lì dove nessuno avrebbe potuto brandirli o sciuparli.
Perché Dio l’aveva lasciata lì, a vivere una vita senza di lui? Una vita senza senso?
Perché, che senso aveva una vita senza di lui? Senza l’altra parte di te.
È come essere vuoti, vuoti dentro e fuori, senza corpo né anima.
 
Il giorno dopo l’incidente, quando era andato a trovarlo, era rimasta ferma sulla soglia di casa.
Una soglia che aveva varcato così tante volte.
La mamma la chiamava per nome.
Quando usciva dall’ascensore e la porta era aperta, non chiedeva neanche  permesso.
Lei era la benvenuta lì, quella era casa sua.
Restavano sul letto a discutere di tante di quelle cose.
I litigi con i suoi, la scuola che andava bene ma tutti che si aspettavano sempre di più da lei.
- Per una volta,- diceva lui -,comincia a chiederti cosa tu vuoi da questa vita.-
gli aveva preso la mano, gliel’aveva stretta, e gli aveva fatto capire che aveva già tutto, e che forse doveva sempre dare il massimo per ripagare la vita del dono più grande che le aveva fatto.
Quel ricciolo senza pensieri.
Fino a quando erano insieme, aveva sempre pensato che la verginità era l’unica cosa che si perdeva ma senza poterla riavere indietro.
E poi è arrivata la morte.
Che con il suo soffio gelido da obitorio, spazza via tutte le tue aspettative di vita in un lampo, senza preavviso.
 
Quella volta, invece, era rimasta sulla soglia.
Erano andati tutti nell’altra stanza, e loro erano rimasti da soli, come sempre.
Lei si era stesa al suo fianco su quel letto, e gli aveva preso la mano.
Le sembrava che la stesse stringendo, e stette a piangere sulla sua camicia per cinque ore e mezza.
Il tempo era volato, proprio come quando stavano insieme, perché infondo non era cambiato niente.
 
Da quel giorno, le sue braccia erano diventate una rivisitazione di quel quadro senza senso che ti fanno studiare alle scuole medie, quello che ha tre tagli come oggetto principale nella tela.
Nessuno capisce veramente qualcosa finché non la testa sulla propria pelle.
 
L’aveva sognato qualche volta, l’aveva sognato e lui le diceva di non fare così perché era ancora con lei, non l’avrebbe abbandonata, sarebbe rimasto al suo fianco per sempre, perché l’amava. L’amava di un amore mai narrato prima d’ora.
Un amore eterno senza limiti e senza confini, un po’ come l’Universo.
 
Era cambiato un po’ tutto da quando Francesco non era più visibile agli occhi della gente, da quando non era più tangibile come un tempo.
 
Clarissa non faceva che dormire, come se volesse simulare il modo in cui l’ha visto per l’ultima volta.
Si era presa troppe di quelle sgridate, ma nessuno le aveva chiesto perché lo facesse, perché dormisse sempre così profondamente.
Nessuno le aveva chiesto se voleva qualcosa, se stesse bene, se avesse bisogno di essere ascoltata, o anche solo compresa con un semplice sguardo. O forse lasciata in pace.
Dormiva per cercare un suo consiglio, perché solo così riusciva a sentirlo, a percepirlo. A sentire il suono della sua voce, i suoi consigli, le sue parole.
 
Al quarto mese, era entrata ancora più nel suo dramma.
Il silenzio l’avvolgeva, ma nessuno era deciso a rompere questa barriera, tutti pensavano che fosse meglio lasciarla stare, quando invece aveva bisogno di parlare e di aprirsi con qualcuno.
Ma forse questo aprirsi, fu inteso male.
 
Quanto era figo quel ragazzo che tutte quante si mettevano a guardare per strada, che tutte quante salutavano sperando di essere ricambiate.
Francesco era ancora al suo fianco quando questo fenomeno da circo le si avvicinò.
Avevano perso un po’ i contatti in quel periodo, e casualmente stava per fare una stronzata di dimensioni elefantiache.
Questo ragazzo si era avvicinato con l’aria dolce, l’aria solenne da giovane galantuomo che di galante e di solenne, non aveva proprio un bel niente.
Ma infondo cosa pensi? Cosa pensi quando un ragazzo come lui si avvicina ad una come te?
La prima cosa che pensi e che forse ti svaluti, forse non ti eri mai data fin troppa importanza.
Forse non sei poi così tanto di bassa lega, infondo vali qualcosa.
Lui si avvicina sempre di più, fa il carino, le ragazze cominciano ad invidiarti, ti senti forte.
Acquisti sicurezza e notorietà, in un attimo vieni catapultata in un Universo parallelo a te prima sconosciuto.
Questo mondo ti piace, conosci gente considerata il top, considerata il meglio, ma poi ti rendi conto che erano illusioni.
I tuoi castelli mentali crollano in un soffio di timido vento estivo, ormai autunnale.
Capisci che quel ragazzo ti ha imbrogliato, che voleva ben altro.
 
Quella fu la prima volta che prese uno schiaffo in vita sua.
L’era arrivato un messaggio anonimo che le intimava di scendere giù al portone.
Scende e trova Francesco.
Sta per corrergli incontro, ma quando la distanza diventa misurabile, questi, ti molla un ceffone in pieno viso, senza ripensamenti.
Ti sbatte a terra un foglio con stampato uno stralcio di conversazione con quel cerebroleso tamarro di periferia, e se potesse, se non ti amasse alla follia, ti prenderebbe a randellate nei denti.
Non urla. Lo fanno già i suoi genitori. Almeno le grida se le risparmia.
Si risparmia le parolacce, le bestemmie, il dialetto.
La guarda, e quello sguardo fa male fin dentro.
Lei vorrebbe raccontargli la sua, le sue ragioni. Ma non ce la fa.
Lo schiaffo è forte, ha lasciato il segno, una bella cinquina.
La mano di Clarissa è su quella guancia arrossita non per l’imbarazzo, ma per lo sbaglio.
Lui respira a pieni polmoni, mentre Settembre incombe sulla notte che è ormai calata.
Non dicono nulla, si capiscono con lo sguardo.
Gli occhi si gonfiano di sbagli, sbagli che si tramutano in gocce.
Ne calano un paio prima che Francesco si addolcisca e la tiri per un braccio, stringendola forte. Il che non la farà che cominciare a piangere come una bambina.
Continua a non dirle niente, scende un’impercettibile lacrima anche a lui, perché sa che infondo è anche colpa sua, non doveva lasciarla sola, una che si faceva abbindolare così facilmente.
Messaggiarono per tutta la notte, fino alle due, quando Clarissa si addormentò col telefono sotto il lenzuolo e le guance umide. Ancora di sbagli.
Si era fatta ingannare.
Pensava davvero di essere così forte da potersi permettere un ragazzo di quel genere, ma alla fine aveva capito che non era forte, era debole.
Quella notte aveva pensato a tante cose.
I suoi castelli mentali ricominciarono a piantare le loro fondamenta nel cervello di quell’ingenua ragazzina.
Pensava a come sarebbe potuta andare a finire se solo lui avesse avuto intenzioni poco più nobili, se solo lei avesse capito prima il suo inganno, se solo Chicco non si fosse allontanato.
 
Francesco se n’era andato poche settimane dopo, e adesso, siamo a Gennaio.
   
 
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