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Autore: Sorella_Erba    02/02/2008    5 recensioni
[...] Perché mai – mai – Sirius era stato felice confinato all’interno delle quattro mura di Grimmauld Place n. 12.
Nemmeno quando lui, Regulus, aveva tentato di far sbocciare sul suo volto un avviso di sorriso.
Mai. [...]
No Spoiler DH.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Giù,
perché la malinconia è come raddoppiata senza di lei,
perché studio di più senza di lei,
perché rido meno senza di lei.
Perché adora l’Angst e perché sappia che le voglio un bene dell’anima.
Love ya, MaritAh! ;)

---


«Volevo solo che ti accorgessi di me».

«Sei un prepotente.
E cattivo, Sirius».

Rumori di passi.
Col solo udire quel suono, sapeva riconoscerlo.
Era inconfondibile: veloce, incalzante, quasi di corsa. Ed ogni volta, puntualmente, se lo ritrovava davanti, con quegli occhi neri luminosi e imbarazzati.
Ma a lui… a lui non suscitava mai il benché minimo interesse.

§

Quando Regulus entrò in camera sua, Sirius stava a ginocchioni sul letto; le coperte grigie, sotto il suo peso, erano tutte spiegazzate e disordinate, come se avesse appena fatto capriole folli e salti mirabolanti su quel materasso dall’aria agevole. Stringeva fra le dita uno stendardo triangolare con un grande grifone riprodotto sui colori giallo e rosso, impennato sulle zampe posteriori e con la bocca aguzza spalancata in un ruggito. Sirius stava per appenderlo alla parete proprio nel momento in cui Regulus si era introdotto speditamente dentro la stanza.
Nell’incrociare quel viso magro, quella bocca storta in un bieco sorriso e quell’espressione vivace e illuminata tipica dei bambini, lo sguardo del maggiore dapprima si acuì, socchiudendo gli occhi, poi si tramutò in un’occhiata apatica. In men che non si dica, Sirius era ritornato alla sua precedente attività, con un broncio stampato sulle labbra morbide tutto nuovo.
«Che vuoi?», borbottò scontroso, mentre con i palmi premeva lo stendardo contro il muro.
Come risposta ottenne soltanto un mugugno prolungato, che sembrava non voler dire niente di buono.
Quando si voltò una seconda volta, gli occhi grigi di Sirius si soffermarono sulle braccia incrociate del fratellino. Salendo con lo sguardo, scorse il solito piglio di infantile dispetto dipinto sul viso di Regulus.
«A mamma non piace che tappezzi la stanza di queste cose».
Era difficile sostenere occhi simili; specie poi per un bambino di soli dieci anni.
Cosa si nascondeva dietro le iridi di argento fuso di Sirius?
Rabbia, cruccio, disturbo… o soltanto semplice indifferenza?  
Mentre si persuadeva a sostenere la forza di quell’occhiata, a Regulus scappò la parola chiave.
«Prepotente».
La parola chiave, già.
Bastava anche solo mormorarla che Sirius spostava lo sguardo con indolenza, ritirandosi in chissà quali pensieri.
Lasciando Regulus irritato e, soprattutto, addolorato.
Con un colpo secco, la porta di mogano venne chiusa.
Per occultare il dolore.

§

Le grida di panico salirono fino al terzo piano dell’abitazione e penetrarono persino nella sua stanza, risuonando fra le mura come un antico eco. Sirius sobbalzò sul posto, accovacciato sopra le coperte e con l’ultimo numero di Martin Miggs poggiato sulle gambe. Schiuse la bocca in una smorfia curiosa e guardò la porta con occhi perplessi. Poi sospirò, storcendo le labbra.
L’aveva rifatto ancora.
Mentre osservava i vari frammenti colorati della pagina, un sorrisetto furbo gli illuminò il volto. Dopo aver letto l’ultima nuvoletta, chiuse il fumetto e lo gettò fra le coperte, scendendo dal letto con un balzo.
Immaginò la scena che avrebbe trovato di sotto, e questo gli fece piegare le labbra in un ulteriore ghigno monello.
L’ultima volta che la zia di sua madre, Cassiopeia – quell’odiosa vecchia zitella –, era venuta a prendere un the, Regulus l’aveva decisamente conciata per le feste. Sirius si pizzicò il labbro inferiore, ricordando quel volto tutto rughe e porri imbrattato di torta alla melassa.
Abbassò il pomello laccato e spinse la porta. Percorse svelto il corridoio, in un misto di euforia e curiosità che gli fluiva scorrevole nelle vene insieme al sangue.
Aveva appena frenato la corsa che la scena gli si era presentata agli occhi; Sirius dovette ficcarsi un pugno in bocca per reprimere le risate.
«Maledizione! Scendi giù, scendi giù!».
Cassiopeia saltellava terrorizzata da un piede all’altro, le mani nodose a sciorinare per aria, nel tentativo di scacciare il gatto nero che sballottava sul suo gran cappello di tessuto muffito.
Walburga se ne stava a distanza, con i grandi occhi grigi sbarrati e sconcertati. Quando si convinse a fare un passo avanti, con la bacchetta stretta in pugno, il gatto nero soffiò, già abbastanza stizzito.
«Se non stai ferma, zia, sarà difficile togliertelo da lì sopra!».
Ma sua zia non ascoltava. Piuttosto, alzava il tono in contrasto alla voce della nipote.
«Toglilo e falla finita, Walburga!».
Sirius sbuffò, portandosi entrambe le mani alla bocca, per reprimere la risata che gli allargava le guance.
Un solo battito di palpebre e una veloce occhiata attorno alla scena, e scorse Regulus aggrappato con una mano alla cornice di una porta vicina. Gli occhi neri, dapprima concentrati sulla zia, si volsero spediti ad incrociare i suoi.
Un sorriso nacque sulla bocca di Regulus.
Un sorriso così luminoso che quasi Sirius ne rimase abbagliato. Regulus sembrava felice, gioioso per aver suscitato in lui un attacco irrefrenabile di risate ed allegria.
Eppure, fu quello stesso sorriso a trentadue denti a far morire il suo. Le guance rosee di Sirius si rilassarono e la bocca si chiuse, divenendo solo un’inconfondibile linea rossa e retta dipinta sul viso. E gli occhi…
Quello sguardo indifferente, di nuovo.
Regulus sorrideva ancora, quando Sirius gli voltò le spalle per risalire in camera.
Per esibire l’indifferenza.
«Sei un prepotente. E cattivo, Sirius».

§

«Arrogante, presuntuoso, altero!
Sei così borioso da darmi ai nervi, Sirius!».

Fischi, urli, imprecazioni, mazzate e gomitate.
Il Quidditch di un giocatore era diverso dal Quidditch di un tifoso.
Erano i giocatori a mettere a repentaglio la pelle, lì, a cavallo di esili manici di scopa, svolazzando a – come minimo – quindici metri d’altezza.
Era soprattutto Regulus a rischiare di procurarsi un grosso e doloroso ematoma. I Cercatori, dopotutto, erano le prede preferite e più ambite degli enormi gorilla armati di mazza, comunemente chiamati Battitori.
Con una bestemmia nata e morta in mezzo al frastuono del tifo e del temporale, Regulus sterzò violentemente per evitare un Bolide. Per quanto gli occhialini evitassero il fastidioso picchettare delle gocce sugli occhi, non rendevano comunque migliore la visuale.
Aggrottò la fronte, nel vano tentativo di concentrarsi. Sin dal principio del primo tempo, non aveva scorto nemmeno un fugace scintillio del Boccino. Puntò gli occhi sul Cercatore della squadra avversaria. Magari Potter non era stato neanche tanto fortunato; in caso contrario, avrebbe approfittato della sua fortuna.
Chinandosi contro il manico, si diresse spedito verso Potter, completamente zuppo e scarmigliato addirittura con tutta la pioggia che il cielo rigurgitava, insistente.
«Sfiga, Potter?», urlò Regulus con tono alto e provocatorio. James lo sentì e si voltò verso di lui con sguardo torvo.
«Ringrazia che non abbia appresso la bacchetta, Black!».
Regulus acuì gli occhi e dovette mordersi la lingua per non ribattere.
James Potter, più unico che raro, a detta dello stesso. E per fortuna.
Un altro borioso ragazzino, più avvezzo alla bacchetta che al dialogo.
Un altro sciocco ragazzino, così sfrontato e simile a suo fratello.
Il migliore amico di suo fratello.
Una smorfia di disprezzo si aprì sul volto di Regulus; in quell’attimo di rabbia e sdegno, deviò così brutalmente con la scopa da rischiare di sbalzare di sella. Ma proprio in quell’attimo, un inconfondibile riflesso dorato gli passò quasi sotto al naso, digradandosi man mano che il tempo scorreva.
Gridò di giubilo quando si apprestò a volare a ridosso del piccolo e splendente Boccino, il braccio teso in avanti e la mano pronta a chiudersi. L’improvviso cambiamento non sfuggì a James Potter, che immediatamente si lanciò all’inseguimento. In un lampo Regulus se lo ritrovò accanto, sorridente e con aria di sfida. Si guardarono per un secondo, prima di stringere i rispettivi manici con forza e di tendere le braccia fino allo spasmo. Regulus digrignò i denti: le dita gli dolevano tanto da impazzire.
Poi, avvenne tutto così in fretta che la scena che seguì fu difficile da memorizzare. Il dolore fu l’unica cosa che gli rimase impressa e vivida.
Un lampo immediato illuminò a giorno il campo, prima di spegnersi e lasciar tutto immerso nella semioscurità. Prima che potesse capacitarsene, Potter gli lanciò una gomitata allo stomaco che lo lasciò senza fiato. La sua mano era ancora aperta e il suo braccio ancora tirato verso il Boccino quando Regulus si sentì crollare.  
Ma non sarebbe caduto da solo, no.
Le sue dita si strinsero attorno alla stoffa amaranto prima di lasciarsi andare nel vuoto.

§

«Venti metri, miseria! Venti!».
Salazar, venti metri? Pensava fossero meno…
«Adesso non farla esagerata, James».
Ma dopotutto, a parlare era James Potter… Ovvio che ogni cosa paresse enfatizzata rispetto al vero…
«Esagerata? Esagerata, Moony? Falla finita, l’ha detto anche Dumbledore!».
Moony… che stupido soprannome…
La risata che seguì, indusse Regulus a schiudere le palpebre.
«Dumbledore! Prima di fidarmi delle parole di un vecchio eccentrico come lui, ne passerà di acqua sotto i ponti!».
E di nuovo, quel riso nella mischia di voci vivaci.
Tonante, scrosciante e sguaiato come l’abbaio assiduo di un cane.
La sagoma slanciata di Sirius era a pochi metri dal suo letto, illuminata da un debole raggio di luce. Il viso pallido e fascinoso emanava allegria e felicità.
E con una fitta al petto, Regulus si rese conto che il ragazzo poco distante da lui era fin troppo raggiante per essere suo fratello.
Perché mai – mai – Sirius era stato felice confinato all’interno delle quattro mura di Grimmauld Place n. 12.
Nemmeno quando lui, Regulus, aveva tentato di far sbocciare sul suo volto un avviso di sorriso. Mai.
Chiuse gli occhi, troppo stanco per origliare ancora.
Chiuse gli occhi, troppo afflitto per guardare.
Chiuse gli occhi… per occultare il dolore.

§

Quando riaprì piano gli occhi, era pomeriggio inoltrato.
Il sole stava per scomparire oltre le creste selvagge della Foresta Proibita; i suoi lunghi raggi d’oro sporco illuminavano l’infermeria di un tetro arancio.
Regulus rivolse il suo sospiro alla finestra di fronte, che rimandava il riflesso dell’astro diurno in tramonto. Le nuvole sembravano fatte di oro sopra lo sfondo rosa del cielo. Lo facevano pensare ai marshmallows; e adesso aveva la vaga voglia di mordere un marshmallow.
«Oh, sei sveglio».
Regulus sussultò e gemette, accostando il braccio destro al fianco. Sbirciando sotto le coperte notò che era per la maggior parte bendato da una spessa calza. Doveva esserselo rotto per bene, se Madama Pomfrey gliel’aveva avvolto in una simile fasciatura. Alzò di seguito gli occhi sulla figura accovacciata di Sirius. Stava seduto malamente in bilico su di una sedia, i piedi incrociati sopra le coperte del letto di Potter. In mano stringeva una scatola di Bertie Bott’s Every Flavour Beans.
«Come va il braccio?», domandò, frugando nella scatola.
Regulus non rispose. Si limitò a scrutarlo dalla testa ai piedi con aria torva. Si ricordò che era da tanto che non guardava suo fratello così a lungo. Solitamente lo intravedeva in giro per i corridoi nei cambi d’ora o in Sala Grande durante i pasti. Ovviamente, non c’erano mai stati saluti né di sfuggita, né tanto meno affettuosi.
Sempre la solita, maledetta indifferenza.
Un’indifferenza che Sirius gli riservava tuttora. Lo vedeva sempre disponibile con gli amici e i compagni, e istintivamente provava nei suoi confronti un moto di collera. La stessa che in quel momento lo portava ad osservarlo in silenzio e con nervosismo.
«Come mai questa domanda?».
Sirius gli regalò un’occhiata sorpresa. Dopo il lungo silenzio, non si sarebbe aspettato che il fratello ribattesse. Si mise in bocca una caramella e la masticò lentamente, pensando a come replicare.
«Perché? Ti sembra strano?», fu tutto ciò che disse.
Regulus si esibì in un’alzata di spalle.
«Non dirmi che hai mai provato interesse per me».
Sirius si dondolò sulla sedia, ingollando la caramella e masticandone un’altra. Ostentò la tipica espressione di chi riflette per preparare una buona replica, la fronte corrugata e la bocca storta.
«Interesse hai detto? -, chiese con finta cortesia, - Uhm… no, mai».
Regulus deglutì, sperando di riuscire a mandar giù qualcosa di più pensante insieme alla saliva. Sospirò, infine. Ormai lo conosceva fin troppo bene per poter rimanere ferito dalle sue taglienti parole.
«Sei il solito sbruffone», sussurrò Regulus calmo.
«Sbruffone? Ti ho solo dato ragione, fratellino». Sirius frugò ancora nel pacco di caramelle. «Adesso sarei uno sbruffone perché mi trovo d’accordo con te?».
Regulus non disse nulla e il silenzio calò fra loro, come un ennesimo muro divisorio.
Furono quelli gli attimi in cui Regulus riscoprì il viso di Sirius, osservandolo con attenzione sdegnata, marcata dalla smorfia di disgusto che gli stravolgeva le labbra.
Il suo volto era cambiato, ne era certo. Forse Regulus era ancora rimasto ai tempi della loro infanzia, quando l’unico modo per avvicinare il fratello era la consueta marachella. Ora che lo guardava, notava tratti nuovi che nei mesi di vacanze estive non era riuscito ad individuare. Come, ad esempio, l’angolo marcato della mascella, o le sopracciglia più scure e folte, o ancora i capelli più lunghi rispetto agli standard di Hogwarts. Tutto, l’intero suo aspetto si confaceva al suo carattere.
Ogni cosa in lui sapeva disgustosamente orgogliosa e sprezzante.
«Mamma come sta, Regulus? Ti ha per caso spedito una lettera raccomandandoti di maledirmi?».
Il ghigno fiero, però, c’era sempre stato.
«T’importa ancora qualcosa di noi, forse? Se no, tieni la bocca chiusa».
Sirius si rivolse a lui, affettando l’espressione seria che Regulus aveva imparato ad attribuire all’inizio di una rissa o di un duello.
«Hai ragione -, disse freddamente Sirius, - non dovrebbe importarmene nulla».
Lanciò un ultimo sguardo glaciale al fratello prima di ritornare a rovistare con la mano nel pacchetto di caramelle. Indifferenza, sempre e solo indifferenza.
E forse fu questo a far perdere le staffe a Regulus.
Prontamente, il ragazzino drizzò la schiena dal cuscino candido; la mano sinistra si strinse attorno al lenzuolo, tremante.
Perché?
Perché a lui era riservato solo distacco e disinteresse? Perché?
«Mi domando se a volte tu abbia mai provato nei miei confronti un minimo, solo un minimo moto di affetto, Sirius».
Regulus si ritrovò puntati addosso gli occhi del fratello. Erano dilatati per la sorpresa.
«Ma che…».
«Ho mai contato per te? Sono stato importante?».
Sirius era disarmato. La sedia immobile, le gambe slanciate ancora tese. E il silenzio.
Sembrava che tutto – ogni cosa, persino gli strani liquidi che fino a poco prima avevano borbottato nelle ampolle – erano tenuti al silenzio per prestare orecchio alle parole di Regulus.
Nella mente di Regulus si fece breccia il ricordo dell’ultima visita della zia della madre, Cassiopeia. E dell’ultimo sorriso sincero che aveva rivolto al ragazzo ribelle che lo stava ascoltando.
«Ti sei mai domandato perché combinassi tanti disastri in casa? Te lo sei mai chiesto, eh, Sirius?».
Ma Sirius pendeva dalle sue labbra, gli occhi grandi sempre puntati sul suo viso.
«Perché proprio zia Cassiopeia?», sbuffò Regulus, calando lo sguardo sulle pieghe delle coperte, carezzandole con le dita.
Era più facile continuare adesso che aveva cominciato. La rabbia bolliva nelle vene, insieme al sangue. Era questo a farlo andare avanti, a lasciare che la sua lingua si muovesse per articolare quelle parole che sapevano così tanto di verità e di amarezza.
D’improvviso, la voglia di stringere quelle lenzuola fresche lo attraversò, fulminea. Le serrò, con tutta la forza che le dita gli consentivano. «Tu odi zia Cassiopeia! La odi! Ed era lei la vittima che preferivo fra tutti! Proprio perché non la sopportavi, Sirius… Lo facevo per te. Volevo un pizzico d’attenzione, volevo che ti accorgessi di me. Ma tu sei così…».
Il rumore strascicato e violento della sedia rimossa interruppe le parole di Regulus. Alzò gli occhi e si accorse che Sirius si era appena alzato. Sotto il suo sguardo scuro, il ragazzo calciò di lato la sedia e si allontanò a grandi passi verso la porta.
«Arrogante, presuntuoso, altero! Sei così borioso da darmi ai nervi, Sirius!», urlò Regulus a pieni polmoni. Dal letto poco distante dal suo, udì il mugugno infastidito di Potter.
I passi andavano a smorzarsi, fino ad interrompersi. Regulus sentì il distinto scatto della porta.
Si aprì e si richiuse con un leggero tonfo.
Per occultare il dolore, per esibire indifferenza.
Ancora una volta.

   
 
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