Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Natalja_Aljona    23/07/2013    2 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cinquantasei

Cinquantasei

E mi sono detto: “È tutto qui, il dolore?”

 

Novosibirsk, 20 Febbraio 2013

 

C’è una casa che ho sognato
Proprio quando mi han colpito
E mi sono detto: “Ѐ tutto qui, il dolore?”

(La casa delle farfalle, Roberto Vecchioni)

-Riferito a Johann-

 

Johann trovò a fatica la forza di cercare il cellulare nella tasca dei jeans, e lo trovò distrutto.

Anche quello gli aveva rotto, quel maledetto criminale siberiano.

E così aveva perso il numero di Aljona.

Grondava sangue e sentiva dolori lancinanti in tutto il corpo.

Quante costole gli aveva incrinato, quante ossa gli aveva sbriciolato?

Non era sicuro di riuscire a rialzarsi.

Quel bastardo di Lev aveva quattro anni in meno di lui, ma aveva l’esperienza del carcere.

Aveva la violenza nel sangue.

Aveva la stessa anima della steppa.

Eppure aveva un così gran cuore, Lev...

Johann sapeva che l’aveva ammazzato di botte con il cuore, perché lui non era un ragazzo che picchiava per niente, ma solo il suo amore poteva valere tutto quel sangue, quel fiume rosso e denso che bruciava la neve.

Quanto era innamorato, Lev...

Quanto era disposto a fare, per la sua Aljonka...

Lui l’amava con tutti i sogni e tutta la disperazione dei Puškin.

Con quei pensieri provò ad alzarsi, ma quasi svenne dal dolore per la seconda volta.

Non sarebbe mai riuscito a tornare a casa sui suoi piedi, con le sue sole forze.

Leninskij era troppo lontano da Nostal’hiya, senza contare che in quel vicolo di estrema periferia non passava nessuno da chissà quanto tempo.

Il suo pestaggio da parte di quel pazzo furioso di suo nipote doveva essere il primo evento di cui era testimone dopo anni.

Il suo cellulare era a pezzi, come buona parte del suo corpo, e le emorragie non si fermavano.

Era così, dunque?, pensò Johann, con un sorriso amaro.

Lev Fёdorovič Puškin l’aveva ucciso?

In quelle condizioni e in quella situazione stava veramente rischiando di morire.

E va bene, per quel giorno era stato lui, il più forte.

In quel quartiere era lui che comandava.

Ma Lev era un Puškin, e i Puškin erano sempre troppo sentimentali per poter avere l’ultima parola.

-Помогите мне!- Pomogite mne! Aiutatemi!, si mise a gridare, sperando che lo sentisse qualcuno dalle vie vicine.

In quel momento si accorse di avere paura.

Non avrebbe mai dovuto sottovalutare suo nipote.

Lev era un assassino.

Aveva paura, sì, una paura folle.

Stava davvero per morire a venticinque anni, nel più miserabile vicolo della periferia di Novosibirsk, massacrato di botte da un pregiudicato russo, il figlio del suo fratellastro?

Lontano dalla sua Amsterdam.

Lontano dalla sua Annajetske.

Nel Paese di sua madre.

Il Paese da cui sua madre era scappata.

-Помогите мне!- urlò ancora, fuori di sé dal terrore e dal dolore.

-Помогите мне, я здесь, помогите мне... Я прошу вас!-

Pomogite mne, ya zdes’, pomogite mne... Ya proshù vas!

Aiutatemi, sono qui, aiutatemi... Vi prego!

Finalmente un uomo si affacciò nel vicolo, e a Johann venne quasi da piangere dalla gioia.

-Спасибо, спасибо...- Spasibo, spasibo... Grazie, grazie...

-Cos’è successo?! Oh mio Dio, chi è stato?!-

-Dieven...- Ladri..., sussurrò Johann, in olandese. -Воры...- Vory, Ladri... -Una banda di teppisti, avevano il volto coperto... Mi hanno derubato e poi... Mi hanno lasciato qui- inventò il ragazzo, mentre l’uomo annuiva, credendogli.

Erano a Nostal’hiya, poteva benissimo essere successo davvero.

Non era certo la prima volta.

Prima che arrestassero Innokentij Vjačeslavovič Lebjadkin e Arkadij Pavlovič Julajev, le aggressioni e i furti erano praticamente all’ordine del giorno.

Ma Lebjadkin e Julajev erano usciti di prigione da due giorni, il 18 Febbraio.

Possibile che si fossero già rimessi all’opera?

-Non chiami nessun’ambulanza, le do il numero di mia madre. Mio padre è un medico, ci penserà lui...-

-Ѐ meglio che tu vada in ospedale, credimi. Hai troppe ferite, e stai perdendo troppo sangue...

Non riesci nemmeno ad alzarti, Dio come ti hanno ridotto... Sì, devi assolutamente andare in ospedale. Come ti chiami?-

-Johann- si arrese lui, sapendo di non avere molto tempo per stare a contrattare.

In ospedale e alla polizia avrebbe ripetuto la stessa versione raccontata all’uomo che l’aveva soccorso, e credendolo sotto shock non ne avrebbero dubitato.

A Lev ci voleva pensare da solo.

Al massimo con l’aiuto di suo padre.

-Johann Van der Zijl. Chiami anche i miei genitori, però...- gli chiese, con voce stanca.

Gli diede i numeri di Jean-Georges e Natal’ja e poi svenne di nuovo, stremato dalle ferite.

 

 

Ospedale di Nostal’hiya

 

Quando riaprì gli occhi Johann era in ospedale, con una mano stretta in quella di suo padre e gli inquieti occhi grigi di quest’ultimo, che per la prima volta vedeva lucidi, sul suo viso cereo e sul suo corpo pieno di fasciature.

Ancora non lo sapeva, ma aveva quattro costole, una spalla e un braccio rotti, il setto nasale spaccato, un ginocchio praticamente sfasciato, un discreto trauma cranico ed ematomi ovunque.

Aveva davvero rischiato di morire.

Aveva fatto proprio un bel lavoro, Lev.

Vervloekt...

(“Maledetto” in olandese)

Come si poteva fare tutto quel casino per een meisje? (Una ragazza)

Su un’altra sedia accanto al suo lettino sua madre piangeva disperatamente, con la testa stretta tra le mani e il petto scosso dai singhiozzi.

-Johann!- esclamò Jean-Georges come incontrò il suo sguardo.

Era decisamente frastornato, ma almeno si era svegliato.

Avrebbe voluto dirgli mille altre cose, ma non riusciva a formulare una sola frase di senso compiuto.

Avrebbe voluto stringerlo a sé, ma gli avrebbe letteralmente sgretolato le ultime costole rimaste integre.

Così si limitò a sorridergli, commosso, e a tenergli la mano.

Johann ricambiò debolmente il sorriso e poi spostò lo sguardo su sua madre.

-Mama...- Mamma..., sussurrò, e finalmente Natal’ja lo guardò.

-Jo...-

-Mam, maak je geen zorgen. Ik ben in orde-

Mamma, stai tranquilla. Sto bene.

Era quasi comico, tragicamente comico, dire che stava bene nelle condizioni in cui era, ma almeno il peggio era passato.

-Jo, dimmi chi...-

-Ik weet het niet. Non lo so, quanti erano. Non mi ricordo quasi niente-

-Che popolo di bastardi, i Russi!- inveì Jean-Georges. -Proprio come quel fesso di tuo marito e quell’altro menomato mentale che hai avuto la sfortuna di partorire- ringhiò rivolto alla moglie, tirandole una gomitata.

Natal’ja sussultò e lo guardò con gli occhioni azzurri sgranati, senza fiato.

Come si permetteva...

-Non parlare così di mio figlio!- sibilò, con un lampo di quel coraggio che non aveva mai avuto fiammeggiante negli occhi turchini, sebbene fosse distrutta per Johann.

-Tuo figlio, il tuo unico figlio, è su questo dannato letto d’ospedale quasi ammazzato di botte da un russo come te, stronza-

Jean-Georges sapeva che Natal’ja non amava parlare di quell’inetto di Fёdor Aleksandrovič, ma non credeva che si sarebbe mai permessa di difenderlo.

Come se ne valesse la pena.

-Beh, lasciamo perdere. Oggi siamo tutti su di giri. Stai tranquilla, Nataša- disse addolcendo la voce e accarezzandole piano i capelli.

Fu in quel momento che Natal’ja capì.

Johann non aveva soldi con sé... Come potevano averlo aggredito per derubarlo?

Era successo tutto a Nostal’hiya... Nella sua Nostal’hiya.

No, suo figlio non era stato malmenato da una banda di teppisti.

Ormai era quasi sicura che fosse stata una persona sola.

Lui...

Fёdor...

Di colpo Natal’ja si alzò in piedi, sotto gli occhi sconcertati di Jean-Georges e Johann.

Per la prima volta sicura, per la prima volta coraggiosa.

Aveva visto il suo primo figlio nel sangue versato del suo secondogenito.

Ora riusciva di nuovo a parlare in russo... Perché lei era russa, ed era la madre di Fёdor.

La sua sola lingua, la sua sola Patria... La libertà da cui era scappata trentuno anni prima.

-Я... Я должен идти-

Ya... Ya dolzhen idti.

Io... Io devo andare.

 

Там, где кричит сова в тумане у реки, жить бы мне с тобой

Жить позабыв слова по линиям руки как дано судьбой

Разве это так уж сложно, разве невозможно иль душа слаба

 

Tam, gde krichit sova v tumane u reki, zhit’ by mne s toboy

Zhit’ pozabyv slova po liniyam ruki, kak dano sud’boy

Razve eto tak už složno, razve nevozmožno, il’ dusha slaba

 

Là, dove il gufo grida nella nebbia sul fiume, avrei dovuto vivere con te

Vivere dimenticando le parole lungo le linee delle mani, come dato dal destino

Ѐ così difficile, è quasi impossibile, o l’anima è debole

(Линии руки -Linii ruki, Le linee delle mani-, Valerija)

-Riferito a Natal’ja-

 

 

Note

 

E mi sono detto: “Ѐ tutto qui, il dolore?”: La casa delle farfalle, Roberto Vecchioni.

 

Ed ecco qui Johann dopo il pestaggio di Lev, Johann prima a un passo dalla morte e poi soccorso e portato in ospedale, Jean-Georges per la prima volta umano, perché nonostante tutto a suo figlio ci tiene, ma neanche in una situazione del genere riesce a lasciare stare Aleksandr e Fёdor, e Natal’ja non ce la fa più.

Natal’ja crede di aver capito, crede che sia stato Fedja a ridurre così Johann, quando invece lui non ne conosce nemmeno l’esistenza, ma questo in qualche modo le apre gli occhi, e adesso lei deve andare.

Deve andare, e...?

 

A presto! ;)

Marty

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Natalja_Aljona