Cinquantasei
E mi sono detto: “È
tutto qui, il dolore?”
Novosibirsk, 20 Febbraio 2013
C’è una casa che ho sognato
Proprio quando mi han colpito
E mi sono detto: “Ѐ tutto qui, il
dolore?”
(La casa delle farfalle, Roberto
Vecchioni)
-Riferito
a Johann-
Johann trovò a fatica la
forza di cercare il cellulare nella tasca dei jeans, e lo trovò distrutto.
Anche quello gli aveva rotto, quel maledetto
criminale siberiano.
E così aveva perso il numero di Aljona.
Grondava sangue e sentiva
dolori lancinanti in tutto il corpo.
Quante costole gli aveva incrinato, quante ossa gli
aveva sbriciolato?
Non era sicuro di riuscire
a rialzarsi.
Quel bastardo di Lev aveva
quattro anni in meno di lui, ma aveva l’esperienza del carcere.
Aveva la violenza nel sangue.
Aveva la stessa anima della steppa.
Eppure aveva un così gran
cuore, Lev...
Johann sapeva che l’aveva
ammazzato di botte con il cuore,
perché lui non era un ragazzo che picchiava per niente, ma solo il suo amore
poteva valere tutto quel sangue, quel fiume rosso e denso che bruciava la neve.
Quanto era innamorato, Lev...
Quanto era disposto a fare, per la sua Aljonka...
Lui l’amava con tutti i sogni e tutta la
disperazione dei Puškin.
Con quei pensieri provò ad
alzarsi, ma quasi svenne dal dolore per la seconda volta.
Non sarebbe mai riuscito a
tornare a casa sui suoi piedi, con le sue sole forze.
Leninskij era troppo
lontano da Nostal’hiya, senza contare che in quel vicolo di estrema periferia
non passava nessuno da chissà quanto tempo.
Il suo pestaggio da parte
di quel pazzo furioso di suo nipote doveva essere il primo evento di cui era
testimone dopo anni.
Il suo cellulare era a
pezzi, come buona parte del suo corpo, e le emorragie non si fermavano.
Era così, dunque?, pensò Johann, con un sorriso amaro.
Lev Fёdorovič Puškin l’aveva ucciso?
In quelle condizioni e in
quella situazione stava veramente rischiando di morire.
E va bene, per quel giorno era stato lui, il più
forte.
In quel quartiere era lui che comandava.
Ma Lev era un Puškin, e i Puškin erano sempre troppo
sentimentali per poter avere l’ultima parola.
-Помогите
мне!- Pomogite mne!
Aiutatemi!, si mise a gridare, sperando che lo sentisse qualcuno dalle vie
vicine.
In quel momento si accorse
di avere paura.
Non avrebbe mai dovuto
sottovalutare suo nipote.
Lev era un assassino.
Aveva paura, sì, una paura folle.
Stava davvero per morire a venticinque anni, nel
più miserabile vicolo della periferia di Novosibirsk, massacrato di botte da un
pregiudicato russo, il figlio del suo fratellastro?
Lontano dalla sua Amsterdam.
Lontano dalla sua Annajetske.
Nel Paese di sua madre.
Il Paese da cui sua madre era scappata.
-Помогите
мне!- urlò ancora, fuori di sé dal terrore e dal dolore.
-Помогите
мне, я здесь,
помогите
мне... Я
прошу вас!-
Pomogite mne, ya zdes’, pomogite mne... Ya proshù
vas!
Aiutatemi, sono qui, aiutatemi... Vi prego!
Finalmente un uomo si
affacciò nel vicolo, e a Johann venne quasi da piangere dalla gioia.
-Спасибо,
спасибо...- Spasibo, spasibo... Grazie, grazie...
-Cos’è successo?! Oh mio
Dio, chi è stato?!-
-Dieven...- Ladri..., sussurrò Johann,
in olandese. -Воры...- Vory, Ladri... -Una banda di teppisti, avevano il volto coperto...
Mi hanno derubato e poi... Mi hanno lasciato qui- inventò il ragazzo, mentre
l’uomo annuiva, credendogli.
Erano a Nostal’hiya, poteva benissimo essere
successo davvero.
Non era certo la prima volta.
Prima che arrestassero Innokentij Vjačeslavovič
Lebjadkin e Arkadij Pavlovič Julajev, le aggressioni e i furti erano
praticamente all’ordine del giorno.
Ma Lebjadkin e Julajev erano usciti di prigione da
due giorni, il 18 Febbraio.
Possibile che si fossero già rimessi all’opera?
-Non chiami nessun’ambulanza,
le do il numero di mia madre. Mio padre è un medico, ci penserà lui...-
-Ѐ meglio che tu
vada in ospedale, credimi. Hai troppe ferite, e stai perdendo troppo sangue...
Non riesci nemmeno ad
alzarti, Dio come ti hanno ridotto... Sì, devi assolutamente andare in
ospedale. Come ti chiami?-
-Johann- si arrese lui,
sapendo di non avere molto tempo per stare a contrattare.
In ospedale e alla polizia
avrebbe ripetuto la stessa versione raccontata all’uomo che l’aveva soccorso, e
credendolo sotto shock non ne avrebbero dubitato.
A Lev ci voleva pensare da solo.
Al massimo con l’aiuto di suo padre.
-Johann Van der Zijl. Chiami anche i miei genitori, però...- gli chiese,
con voce stanca.
Gli diede i numeri di
Jean-Georges e Natal’ja e poi svenne di nuovo, stremato dalle ferite.
Ospedale di Nostal’hiya
Quando riaprì gli occhi
Johann era in ospedale, con una mano stretta in quella di suo padre e gli
inquieti occhi grigi di quest’ultimo, che per la prima volta vedeva lucidi, sul
suo viso cereo e sul suo corpo pieno di fasciature.
Ancora non lo sapeva, ma
aveva quattro costole, una spalla e un braccio rotti, il setto nasale spaccato,
un ginocchio praticamente sfasciato, un discreto trauma cranico ed ematomi
ovunque.
Aveva davvero rischiato di morire.
Aveva fatto proprio un bel lavoro, Lev.
Vervloekt...
(“Maledetto” in olandese)
Come si poteva fare tutto quel casino per een meisje? (Una ragazza)
Su un’altra sedia accanto
al suo lettino sua madre piangeva disperatamente, con la testa stretta tra le
mani e il petto scosso dai singhiozzi.
-Johann!- esclamò
Jean-Georges come incontrò il suo sguardo.
Era decisamente
frastornato, ma almeno si era svegliato.
Avrebbe voluto dirgli
mille altre cose, ma non riusciva a formulare una sola frase di senso compiuto.
Avrebbe voluto stringerlo
a sé, ma gli avrebbe letteralmente sgretolato le ultime costole rimaste
integre.
Così si limitò a
sorridergli, commosso, e a tenergli la mano.
Johann ricambiò debolmente
il sorriso e poi spostò lo sguardo su sua madre.
-Mama...- Mamma..., sussurrò, e finalmente Natal’ja lo guardò.
-Jo...-
-Mam, maak je
geen zorgen. Ik ben in
orde-
Mamma, stai
tranquilla. Sto bene.
Era quasi comico, tragicamente
comico, dire che stava bene nelle
condizioni in cui era, ma almeno il peggio era passato.
-Jo, dimmi chi...-
-Ik weet het
niet. Non lo so, quanti erano. Non mi ricordo quasi niente-
-Che popolo di bastardi, i Russi!- inveì Jean-Georges. -Proprio come quel fesso di tuo marito e
quell’altro menomato mentale che hai avuto la sfortuna di partorire- ringhiò
rivolto alla moglie, tirandole una gomitata.
Natal’ja sussultò e lo guardò con gli occhioni azzurri
sgranati, senza fiato.
Come si permetteva...
-Non parlare così di
mio figlio!- sibilò, con un lampo di quel coraggio che non
aveva mai avuto fiammeggiante negli occhi turchini, sebbene fosse distrutta per
Johann.
-Tuo figlio, il tuo unico
figlio, è su questo dannato letto d’ospedale quasi ammazzato di botte da un
russo come te, stronza-
Jean-Georges sapeva che Natal’ja non amava parlare di
quell’inetto di Fёdor Aleksandrovič, ma non credeva che si sarebbe
mai permessa di difenderlo.
Come se ne valesse la
pena.
-Beh, lasciamo perdere. Oggi siamo tutti su di giri. Stai
tranquilla, Nataša- disse addolcendo la voce e accarezzandole piano i capelli.
Fu in quel momento che Natal’ja capì.
Johann non aveva soldi con sé... Come potevano averlo
aggredito per derubarlo?
Era successo tutto a Nostal’hiya... Nella
sua Nostal’hiya.
No, suo figlio non era stato
malmenato da una banda di teppisti.
Ormai era quasi sicura che fosse
stata una persona sola.
Lui...
Fёdor...
Di colpo Natal’ja si alzò in piedi, sotto gli occhi sconcertati di
Jean-Georges e Johann.
Per la prima volta sicura, per la prima volta coraggiosa.
Aveva visto il suo primo figlio nel sangue versato del suo secondogenito.
Ora riusciva di nuovo a parlare in russo... Perché lei era russa, ed era la madre di Fёdor.
La sua sola lingua, la sua
sola Patria... La libertà da cui era scappata trentuno anni prima.
-Я... Я
должен идти-
Ya... Ya dolzhen idti.
Io... Io devo andare.
Там,
где кричит
сова в тумане
у реки, жить
бы мне с
тобой
Жить
позабыв
слова по
линиям руки
как дано
судьбой
Разве
это так уж
сложно, разве
невозможно
иль душа
слаба
Tam,
gde krichit sova v tumane u reki, zhit’ by mne s toboy
Zhit’ pozabyv slova po liniyam ruki,
kak dano sud’boy
Razve eto tak už složno, razve
nevozmožno, il’ dusha slaba
Là, dove il gufo grida nella nebbia
sul fiume, avrei dovuto vivere con te
Vivere dimenticando le parole lungo
le linee delle mani, come dato dal destino
Ѐ così difficile, è quasi
impossibile, o l’anima è debole
(Линии руки -Linii ruki, Le linee delle mani-, Valerija)
-Riferito
a Natal’ja-
Note
E mi sono detto: “Ѐ
tutto qui, il dolore?”: La casa delle farfalle, Roberto Vecchioni.
Ed ecco qui Johann dopo il
pestaggio di Lev, Johann prima a un passo dalla morte e poi soccorso e portato
in ospedale, Jean-Georges per la prima volta umano, perché nonostante tutto a
suo figlio ci tiene, ma neanche in una situazione del genere riesce a lasciare
stare Aleksandr e Fёdor, e Natal’ja non ce la fa più.
Natal’ja crede di aver
capito, crede che sia stato Fedja a ridurre così Johann, quando invece lui non
ne conosce nemmeno l’esistenza, ma questo in qualche modo le apre gli occhi, e
adesso lei deve andare.
Deve andare, e...?
A presto! ;)
Marty