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Autore: mikeychan    23/07/2013    1 recensioni
Raphie non è più l'unico Nightwatcher in città... ma cosa succede quando altri tre sosia compaiono all'improvviso? Che sia opera del Foot Clan?
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Una settimana più tardi, fatta di molti segreti e silenzi, il minore della famiglia riaprì gli occhi. Era così stanco ma il dolore stava lentamente scomparendo. Il suo fianco pulsava ancora per ogni suo movimento, anche il più semplice, purtroppo.
Aveva la bocca impastata e un residuo di mal di testa.
Si guardò intorno: era sicuramente nel laboratorio di Donatello, lo intuiva dai bip caratteristici dei suoi macchinari. Il suo corpo era talmente pesante che l'unica cosa che poteva fare, era respirare.
C'era un sordo dolore al petto ma non ci badò.
Era completamente solo ma sapeva che non era il cuore della notte: avvertiva leggermente dei mormorii provenienti dall'esterno della porta chiusa e tentò di aggrapparsi a quelle voci per non ricadere preda del sonno.
La sua mente cominciò a viaggiare: ricordava delle lacrime che aveva versato in silenzio circa la superficialità di Raphael. Quella notte gli aveva detto che era il suo eroe e come risposta aveva ricevuto un distacco.
I frammenti dei suoi ricordi dolevano ancora. Le lacrime si formarono nei suoi occhi senza neppure che potesse rendersene conto... ma non voleva piangere!
Un rumore vicino alla porta lo fece allarmare: chi mai poteva essere?
Un fascio di luce bianco inondò i suoi occhi e Michelangelo se li parò con l'unico braccio libero dalla flebo: emise un grugnito e dei passi si avvicinarono al suo letto. Una mano fresca di appoggiò contro la sua fronte calda.
-Sei sveglio, finalmente-.
Il timbro dolce di Donatello. Mikey sospirò pesantemente e sorrise.
-Ciao, Donnie...-.
L'altro sorrise: -Finalmente ti sei svegliato. Come ti senti?-.
A dirla tutta, Michelangelo non ne aveva la più pallida idea. Doleva il fatto che aveva perso la figura di un eroe su Raphael.
-Bene...- mentì, tenendo lo sguardo distolto.
Donnie sbatté un paio di volte le palpebre e gli andò vicino: aveva bisogno di vedere la ferita. Scoprì il corpo del fratellino e palpò sul bendaggio, ormai sgonfio dal precedente aumento di pressione interna.
Il minore gemette, stringendo la coperta sotto le dita. Lentamente, nella sua mente, iniziò a farsi strada un’idea... probabilmente, avrebbe potuto sfogare la sua frustrazione nei panni di Nightwatcher... o forse no...
-Direi che la febbre è calata... accidenti, fratello, ci hai fatto spaventare- ridacchiò Don.
-Dici?- rispose l’altro, con un sorrisetto: -Beh, non era mia intenzione-.
-Sono contento che il tuo umorismo sia ancora intatto-.
Mikey fece l’occhiolino in risposta all’esclamazione fraterna e vagò con lo sguardo al soffitto. Voleva semplicemente allontanare quella fastidiosa notte dalla sua mente... ma in qualche modo, non ci riusciva. Sospirò pesantemente ma non disse nulla.
-Hai fame?- chiese ancora il genio, annotando qualcosa su un taccuino.
-Non proprio- rispose l’altro, guardando le sue dita: -Ehi, non fare quella faccia!-.
Don inarcò un sopracciglio e rise: -Ok, ok! E’ impossibile che tu non abbia fame!-.
L’altro roteò gli occhi con esasperazione e negò con il capo... voleva anche sapere dove fosse il resto della sua famiglia... ma era ancora molto stanco.
-Hai bisogno ugualmente di mangiare- ricordò il genio, annuendo: -Qualcosa non va?-.
-Uhm... volevo solo sapere... dove fossero Leo, Raph e il maestro... tutto qui-.
Il viola gli accarezzò dolcemente la fronte, guardandolo con occhi nocciola molto preoccupati. Non capiva perché suo fratello fosse così distante, ultimamente. Lo aveva visto rintanato nella sua camera, senza il minimo rumore... a volte perso nella sua fantasia...
Certo, certo... era stato anche malato con l’intossicazione alimentare, la ferita al fianco e la febbre... ma in casi come questi avrebbe condiviso il suo dolore con gli altri, come infinite lagne e prese in giro divertenti.
-Mikey, sei sicuro che non c’è proprio nient’altro che vorresti dirmi?- chiese Don, tristemente.
-No... volevo solo sapere di Leo e gli altri- ribatté l’altro, con un debole sorriso.
-D’accordo. Sono in cucina. E’ quasi l’ora di cena. Se vuoi, te li vado a chiamare-.
-N... no, no- fermò Mikey, afferrandogli il polso destro, prima che potesse lasciare la stanza.
-Come preferisci- concluse l’altro, sempre meno convinto.
 
In cucina, come detto da Donatello, vi erano Leonardo e Raphael, in discussione circa l’idea di apparecchiare, per dare una mano al sensei. Le loro voci provocavano un tintinnare contro padelle e pentole da parte di uno scocciato maestro Splinter.
-Figlioli miei, ricordate che il silenzio è d’oro e la parola d’argento!-.
I due capirono e si ritrassero, inchinandosi profondamente per delle umili scuse; imbarazzati, si divisero il compito, iniziando a distribuire piatti e stoviglie; nessuno dei due si accorse del sorriso compiaciuto sulle labbra del topo.
-Dato che tu sai sempre tutto, sbrigatela da solo!- ringhiò Raph sottovoce: -Io vado da Mikey!-.
-Ok, ma se è sveglio, fammelo sapere- schernì l’altro, con un sopracciglio alzato.
“Dannato Fearless!”, ringhiò mentalmente, stringendo i pugni.
Leo osservò la figura del fratello che lasciava la cucina, scuotendo il capo, con un sorriso strisciante sul volto; la sua era la più strana delle famiglie...
 
Raph non sapeva per quale motivo avvertiva un vuoto dentro il cuore. C’era anche una sensazione da lui odiata, nei confini della mente: la paura. Era ingiustificata, poi... non poteva essere spaventato dal suo fratellino, no? Non ne era sicuro, però.
Riconosceva pienamente il suo errore... non era riuscito a rimediare e molto tempo era trascorso. Né lui né i suoi fratelli si erano divertiti a fare gli eroi solitari e i vari notiziari davano la medesima notizia della nuova sparizione di Nightwatcher.
“Non m’importa niente di New York! Io devo scusarmi prima con Mikey!", ruggì in mente.
Negò freneticamente con il capo e per poco non si scontrò contro la mite ombra di Donatello, comparsa proprio a due passi dalla porta del laboratorio. Sospirando gravemente, il rosso cercò di mostrare il suo solito aspetto indifferente.
-Guarda dove metti i piedi, Don- sbuffò, con lo sguardo spento.
-Io? Ma se sei stato tu a venirmi quasi addosso!- ribatté l’altro, alquanto divertito.
-Vorrà dire che anche la nostra tana avrà bisogno della segnaletica stradale-.
Il genio ridacchiò alla discreta battuta e si schiarì la gola: -Mikey è sveglio. Puoi andare, se vuoi-.
-D... davvero?- esitò il rosso.
L’altro continuò a camminare verso il bagno, agitando lentamente la mano destra, come in un saluto. Era un sì... Raph inspirò una profonda boccata d’aria e rilassò i nervi a pezzi. Perché tanta fifa? In fondo era Mikey, mica Shredder!
Con questo pensiero, le sue gambe non attesero che la moltitudine di pensieri nella sua mente offuscassero gli altri stimoli per il corpo e condussero Raphael proprio sulla soglia della porta del laboratorio. C’era la testolina di Mikey nel cuscino del lettino... era sveglio.
“Ok... vado, lo saluto, gli dico che mi dispiace e tutti felici e contenti!”, si disse mentalmente.
Si fece coraggio e si schiarì la voce per catturare l’attenzione del fratellino; non appena gli occhi azzurri s’incrociarono nei suoi, Raphael sentì tutta la sua determinazione svanire all’istante.
-Ehm... ciao, Mikey- salutò, entrando il più orgoglioso possibile: -Come va?-.
L’altro chinò lo sguardo, afflitto: -Sto un po’ meglio, grazie-.
Il silenzio calò immediatamente fra i due. Raph non sapeva che cosa dire... anche se voleva semplicemente aprire il cuore e porgere quelle benedette scuse. Però, l’aura fredda che avvolgeva lo spirito del fratellino, creava una barriera davvero difficile da superare.
-Mikey, ascolta- disse, guardandolo: -Nessuno è più stupido di me. Volevo solo ringraziarti per avermi considerato l’eroe che non sono... e soprattutto, per aver respinto il tuo profondo affetto per me-.
La ferita dolse ancora a un piccolo movimento scioccato di Michelangelo; egli alzò lo sguardo ma non seppe dire nulla. Rimase in silenzio, desideroso di ascoltare il seguito di quelle scuse.
-Mi dispiace molto. Ti ho ferito e non sei una palla al piede. Cavolo, fratello, ammetto che... non me la cavo con le parole-.
Mikey si sentì un po’ più sollevato: -Non fa niente, Raphie. Sono io troppo appiccicoso-.
-No! Non prenderti sempre tu la colpa!- sbottò l’altro: -Ti chiedo scusa. Mi dispiace moltissimo-.
-Io ti ho già perdonato- sorrise l’arancione, con le lacrime negli occhi.
Il rosso ebbe un battito mancante... spalancò la bocca e gli occhi... voleva dire qualcosa, ma non trovò alcuna parola. La voce morì in gola, impedendogli di parlare.
-Ammetto che... ci sono rimasto un po’ male, ma... sei mio fratello. Il mio eroe-.
Raph abbracciò l’arancione dolcemente, dopo l’ultima frase e la convinzione pura nell’utilizzo dell’ultima parola: eroe. Il suo sguardo ricadde sulla ferita al fianco... un disgusto inerente alla disavventura gli annodò lo stomaco, ma si aggrappò al dolce abbraccio.
-Ti voglio bene, Raph- sussurrò Mikey, con voce appena percettibile.
I suoi occhi si fecero troppo pesanti e stanco ma felice, si arrese alle tenebre, lasciando che il fratello maggiore lo rimettesse supino, con il cuore guarito e più leggero. Raph sorrise e si asciugò una lacrima...
Amava suo fratello...
 
Donatello era chiuso nel bagno, a fissare la sua immagine riflessa nello specchio. Aveva il volto dipinto da un’espressione molto cupa e lui non ne capiva il motivo. O forse sì.
C’era qualcosa nel suo profondo che gli obbligava a raccontare la sua esperienza come Nightwatcher ma dall’altra no. I sensi di colpa della menzogna stavano avvolgendo le loro spire demoniache nel suo petto...
“Non posso farlo. Gli altri potrebbero arrabbiarsi... per non averli informati, poi!”.
Si lasciò condurre dal pensiero appena avuto e strinse il pugno sul lavandino. Ultimamente, infatti, sentiva una strana aura galleggiare all’interno della famiglia. Raph era più distante del solito, Michelangelo aveva lo sguardo incomprensibile e Leonardo era ancora il più indecifrabile. Forse anche il sensei se ne era accorto.
“Non so se stasera uscirò per svolgere qualche altra scazzottata. C’è Mikey da badare!”.
Annuì freneticamente e si sciacquò le mani sotto l’acqua fredda, rabbrividendo non poco. Gli era piaciuto molto prendere a pugni i teppisti... gli aveva regalato un’adrenalina mai provata assieme ai suoi fratelli, nelle battaglie in quattro contro il male.
Che fosse stata la solitudine, forse?
Don non lo sapeva; continuò a rivivere le sue gesta come eroe notturno e sorrise pacificamente. Tutto sommato, si poteva ancora fare, purché avesse mantenuto il segreto...
 
Contemporaneamente, al Foot Clan, Karai guardava la città ringhiando contrariata. Odiava le interferenze di Nightwatcher nei suoi piani. La scorsa notte, poi, aveva percepito qualcosa di molto familiare in quell’abile combattente.
Uno stile di combattimento, un’aura e un onore senza eguali.
Peccato non ricordasse chi altre figure della sua vita potessero essere abbinate. Karai sorseggiò un po’ di tè e una ciocca di capelli cadde contro il suo naso; se la spostò e un sorriso sinistro strisciò contro il suo volto.
Ci fu un bussare alla porta della sua camera buia ed ella permise a chiunque fosse di entrare.
Un High Tech Ninja era lì per lei, con la sua tuta blu, stivali, cintura, guanti neri e il congegno arancione (come le protezioni sugli occhi) per l’invisibilità. Due katana appoggiavano sulla schiena.
-Mia signora- disse con voce grave, inchinandosi profondamente: -Abbiamo fallito la ricerca per la corretta posizione delle tartarughe-.
La ninja avvampò e strinse la tazza bianca nella mano con immensa rabbia.
-Continuerete a cercare sino a quando non avrete fortuna. Non voglio fallimenti, chiaro?-.
Il ninja esitò appena alle parole taglienti dell’altra ma s’inchinò in approvazione, come unica risposta. Chiuse la porta e lasciò Karai nuovamente nella sua solitudine.
“Porterò a termine la vendetta di mio padre. Distruggerò quei quattro infidi rettili!”...
 
Completamente all’oscuro di tutto, alla tana, gli Hamato ignoravano tale minaccia e si ritrovano seduti al tavolo, mentre Raphael aiutò Michelangelo, con quel fianco malato. Lo accompagnò sino in cucina, con un braccio sul guscio e lo fece sedere accanto a Leonardo.
-Ah, che profumino! Che cosa si mangia di buono?- chiese il minore, affamato.
Il maestro ridacchiò: -Brodo di carne e insalata di pomodoro-.
-Mitico! Adoro il sughetto nel pane delle pomodoro...!- esclamò ancora l’arancione, felicissimo.
-Vacci piano con i movimenti, ti farànno solo male al fianco, fratello!- ricordò Don, sorridente.
-Ops... scusa, è vero!-.
Il maestro e Leonardo servirono generosi porzioni del primo piatto, prendendo posto a tavola. Dopo una preghiera e un “buon appetito”, i cinque iniziarono a mangiare. Michelangelo mostrò, sin dal primo boccone, un dolore alla ferita.
Non poteva contrarsi per evitare di gettarsi il brodo addosso e restare in posizione perfettamente dritta era faticoso e doloroso. Il fianco non gli dava tregua; gli altri, però, si accorsero di tutto quando appoggiò il cucchiaio contro il bordo del piatto, già stufo di mangiare e della nausea dovuta ai medicinali nel suo corpo.
-Lascia che ti aiuti, fratello- propose Leonardo, spostandosi di più verso il fratellino.
-N... non è il caso, non fa niente- rispose l’altro, non volendo disturbare.
-Sciocchezze, non puoi rimanere a pancia vuota-.
Il cucchiaio colmo di brodo e pasta raggiunse la bocca di Michelangelo, il quale masticò e deglutì, dimostrando un forte dolore al fianco; non poteva inghiottire, gli causava un ingrossamento della milza che pompava nuova circolazione sanguigna, per favorire l’apporto di sangue nella digestione.
Si strinse la ferita, causando una preoccupazione generale. Leo cercò di invogliarlo con un’altra cucchiaiata, ma Mikey negò debolmente con il capo, mostrando alcune piccole gocce di lacrime agli angoli dei suoi occhi.
“Non posso vederlo così sofferente, accidenti!”, pensò Raphael, cupamente.
-No... sono pieno- mentì l’arancione, desideroso solo di raggiungere la sua cameretta.
-Ma sei a digiuno da circa tre giorni... Mikey, solo un altro po’, dai!- propose ancora Leonardo.
-Mi fa male il fianco e ho la nausea- spiegò l’altra, con il volto sbiancato.
-Leonardo, non insistere- sospirò il sensei: -Donatello, accompagna Michelangelo a letto-.
Il genio annuì e fece scivolare le sue mani sotto le gambe del fratellino, prendendolo in braccio, lasciando la cucina, con dei cuori affondati dalla tristezza.
-Povero fratellino- mormorò Leonardo, sottovoce...
 
Donatello cambiò direzione, non volendo riportare suo fratello nella sua stanzetta; entrambi raggiunsero il laboratorio. Accendendo la luce, egli sistemò comodamente Michelangelo nel lettino affiancato alla parete est, coprendolo con una coperta bianca, sino alle spalle.
-Don, fa molto male e... ho freddo- spiegò debolmente l’arancione.
-Sì, lo so. Penso tu abbia ancora un po’ di febbricola. Riposati, è meglio-.
L’arancione sorrise addolorato: -Don, coraggio, vai a mangiare. Non restare qui-.
-Ma non voglio lasciarti da solo. Non mi piace non averti a tavola con noi- ribatté l’altro.
-Lo so, lo so... ma, sopravvivrò altri dieci minuti!- schernì il minore, ridacchiando.
Don sorrise e gli accarezzò la fronte amorevolmente: -Sei unico-.
-Sono l’unico Campione del Battle Nexus...-.
Il viola mantenne il suo sorriso e lo guardò ancora una volta, prima di spegnere la luce e tornare in cucina, il cui fascio giallastro rischiarò fuori la porta del laboratorio. Una volta che Donatello fu tornato a destinazione, Michelangelo ringhiò al dolore.
-Io devo tornare in città... devo battere i nemici...-.
Tentò di alzarsi ma la pressione aumentò nel suo fianco; piagnucolando, ricadde pesantemente nella sua posizione supina, chiudendo gli occhi per arrendersi alla realtà di una lunga e sofferta convalescenza...

  
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