Crossover
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Autore: Registe    23/07/2013    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 8 - Fuochi d'artificio




Valygar Corthala


“Forti di cuore e svelti di mano
pranzano a terra e cenano a Marte
una chitarra se sono in pace,
spada di fuoco per difendere noi.

La loro vita è in mezzo alle stelle
per vigilare su mondi lontani,
navi spaziali o vettura terrestre
per i nemici son come la peste.

Tanti universi, un solo mondo
tanti colori, un solo viso,
portano aiuto a povera gente
danno l'amore in cambio di niente.

Il mondo gira in mezzo alle stelle,
navi spaziali che vanno lontano
portano a bordo soltanto ricordi
immagini, sogni del tempo che fu.”

“La Ballata dei Ribelli”, composta dal bardo Haer'Dalis durante il suo soggiorno sulla Terra II.





Nel giro di pochi secondi furono fuori dalle casse. Mara aiutò un guaritore elfico a liberarsi dei pezzi di ricambio per droidi sotto cui si era nascosto, poi lo spinse bruscamente a terra prima che finisse nel raggio d’intercettazione di un drone-sentinella. Il fragore dei motori dell’Invicta coprì le parole di ringraziamento dell’elfo. L’enorme Star Destroyer decollò dopo aver depositato le scorte, diretto verso il cuore della battaglia.
Aragorn le sorrise da dietro il pilastro di cemento dove si era nascosto.
Bene, e adesso che facciamo?
La base in cui erano stati depositati era la tipica struttura militare che l’Impero Galattico metteva in piedi come supporto durante le invasioni planetarie su larga scala: ogni alloggio, ogni locale, ogni torretta erano pensati per poter essere installati o rimossi nel giro di una manciata di minuti, costruiti in perfette lastre metalliche. Alla loro destra vi era una serie di ambienti collegati tra loro in una lunga fila, che si stendeva da una parte all’altra fin dove poteva giungere l’occhio. Dappertutto erano accatastate casse e sincronizzatori volumetrici oscillanti: armi, pezzi di ricambio, rifornimenti, Mara sapeva bene che il contenuto di quella base –che a giudicare dalle sigle sulle casse rispondeva al nome BEF- era sufficiente per garantire rifornimenti continui agli Star Destroyer per oltre un mese. Era abbastanza improbabile che i demoni riuscissero a scoprire quell’installazione. L’aria sopra le loro teste ronzava, ed accanto a lei Lavok la fissò con interesse: il sistema di occultamento olografico era attivo, e chiunque volasse al di sopra di BEF avrebbe visto soltanto una fitta vegetazione assolutamente anonima. Una qualsiasi nave dotata di controriflettori M2 avrebbe potuto individuare e dissipare quel trucco, ma era certa che né i demoni né gli umani di quel pianeta possedessero simili tecnologie.
“Hai idea di dove potrebbe essere l’uscita?” chiese il mago, premuto contro la cassa.
Lei annuì.
Rimasero appiattiti contro i rifornimenti finché l’ultimo droide non passò oltre. Le sue percezioni Sith si estesero a tutto il perimetro dell’area, e notò che la maggior parte delle difese della base era nelle mani dei droidi, mentre gli ufficiali erano relegati nel comparto amministrativo e svolgevano solo compiti di coordinazione. Con uno scatto si portò contro l’edificio vicino, imitata dal guaritore e da Lavok; Aragorn, Gandalf, Eomer e Valygar vennero per ultimi, intenti com’erano a far passare il manipolo di soldati semplici e di medici oltre il campo d’individuazione delle sentinelle. Quando il gruppo fu riunito, Mara contò più di venti teste.
“Non saremo un po’ troppi?”
“Troppi?” rispose Gandalf a voce bassa “Non si è mai troppi quando si tratta di aiutare qualcuno!”
Mara avrebbe voluto spiegare quel concetto anche alle torrette turbolaser che gettavano la loro ombra poco distante dal loro rifugio. Sapeva per esperienza che quei campi base avevano tutti la medesima struttura, basata sull’incredibile precisione e sulla natura ergonomica delle costruzioni imperiali. Superare le mura difensive era semplicemente impensabile: erano troppo spesse anche per la sua spada laser, ed aveva sensori collegati su tutto il perimetro che avrebbero avvisato le guardie di qualsiasi variazione termica. Quel luogo era pensato affinché a terra vi fosse una sola uscita possibile, controllata a vista, e se il suo senso dell’orientamento non si sbagliava doveva trovarsi a pochi isolati di lì, sempre sulla destra. Se le torrette avessero permesso loro di arrivarci, beninteso. Aveva calcolato quel posto al millimetro, uno dei pochi metri quadri della struttura a non essere raggiungibile dai sistemi di puntamento delle torri, ma non potevano rimanere lì in eterno; anche il più vecchio e arrugginito droide protocollare avrebbe notato venti persone accovacciate in un angolo.
Aragorn sembrò leggerle nella mente. “Uno di quei turbolaser e siamo fritti”.
“Già. E non tutti hanno la nostra prontezza di riflessi” disse, scrutando lo sguardo dei medici. I guaritori elfici erano pronti a tutto, molti avevano già partecipato a missioni di salvataggio, ma non erano combattenti. I loro archi corti avrebbero fatto il solletico ai droideka, e nonostante la loro naturale agilità non erano in grado di muoversi bene tra laser, fuoco e postazioni al plasma.
Quando si voltò, sul viso di Aragorn era dipinto un sorriso. “Basterà metterle fuori gioco per un po’”.
“Se ne accorgeranno, che dici?”
Ma quella era l’espressione delle grandi occasioni. “Non se sono impegnati a guardare qualcos’altro …”
Qualcos’altro … cosa?” chiese, anche se in cuor suo già sapeva la risposta.
“Aspetta e vedrai. Al momento giusto prenditi Valygar e Lavok e andate alla torretta”.
L’attimo dopo lui e Gandalf erano spariti. La ragazza li guardò andarsene su per una scaletta che saliva su una confluenza di tunnel e tubazioni, poi si sedette appoggiando le spalle al muro, la spada laser nervosamente in mano. Detestava le attese. Il Lato Oscuro dentro di lei voleva uscire e trafiggere qualsiasi avversario, umano o droide, le si fosse parato davanti: i turbolaser di quelle torrette sarebbero stati un semplice gioco per le sue percezioni. Se fosse stata da sola, senza deboli umani ed elfi alle sue dipendenze, sarebbe potuta fuggire da BEF in pochi minuti, libera e aggressiva come i venti che spazzavano i mari di Kamino. Ma non era sola.
E le persone intorno a lei non erano un peso. Sospirò, rendendosi conto di quanto fosse difficile liberarsi dalla presa del Lato Oscuro. Non vi era missione in cui non sentiva i proprio poteri oscuri risvegliarsi e tentarla, specie quando la via degenere della Forza le mostrava i suoi lati più rapidi e seducenti. Tutta quella gente contava su di lei, l’aveva accolta senza riserve e le dava migliaia di motivi per combattere per l’Alleanza, ogni giorno: ma le ricordavano anche a cosa aveva rinunciato, a quella sensazione di potere che aveva provato diverse ore prima passeggiando per Coruscant.
“Rilassati” mormorò Lavok, sedendosi accanto a lei. Mara si accorse di quanto forte stesse stringendo la spada laser. “Sei tu ad avere il comando, adesso. Qualunque mossa farai, per noi va bene”.
“Non è facile prendere la scelta giusta. Anche quando si tratta di attaccare una stupida torre di avvistamento”.
Il mago si sistemò la tunica lisa, stringendo i lembi che formavano il cappuccio in una catenella di bronzo. “Quando mai è facile?”
Lei stava per mormorare una risposta quando un boato dall’altra parte della base coprì le sue parole. I medici ed i soldati semplici si scambiarono sguardi preoccupati, che dopo qualche istante si trasformarono in sorrisi quando il familiare sibilo dei fuochi d’artificio riempì il cielo. Dal settore meridionale salì uno sbuffo di fumo e delle scintille argentate attraversarono l’aria, bucando il campo olografico. Lo stemma dell’Alleanza Ribelle comparve sopra le loro teste, e Mara capì che era il segnale.
Una squadra di almeno dodici droideka rotolò proprio accanto a loro, diretti contro l’origine del trambusto, ed una voce gracchiante ai ripetitori vocali emanava ordini di allarme e di apprestare lo stato di emergenza. “Andiamo!” sibilò Mara, certa che Eomer avrebbe protetto con tutte le forze il gruppo di soccorso.
Lei ed i due compagni corsero verso la torretta, che stava facendo ruotare i suoi cannoni verso il lato opposto della base; quando videro un altro drappello di droidi si appiattirono contro una parete, per poi sfrecciare dal riparo improvvisato. Il grido di battaglia di Aragorn si poteva udire anche da lì, e quando sentì le macchine aprire il fuoco capì che dovevano fare in fretta. Tre droideka apparvero di fronte a loro, un piccolo drappello probabilmente fatto appena uscire dagli imballaggi. Prima che riuscissero a spiegare del tutto il loro corpo metallico ed alzare gli scudi deflettori, una freccia saettò dall’arco di Valygar e si piantò dritta tra i cavi di quello più a destra, sprizzando scintille. Il droideka non era ancora caduto a terra che il ranger dalla pelle scura saettò in avanti e piantò le sue spade corte oltre il velo azzurro degli scudi deflettori, colpendo i circuiti delle macchine restanti prima che quelle potessero sparare. Anni di esperienza avevano insegnato ai Ribelli che gli scudi deflettori erano eccellenti contro le cariche laser e tutti i colpi che trasportavano alta energia cinetica, ma erano inefficaci contro una buona spada di metallo piantata nel punto giusto. Valygar rientrò nel gruppo prima che i resti dei droidi lo colpissero con le scintille. “Ranger contro maghi: uno a zero” disse con aria trionfante, rivolto verso Lavok.
Quello si limitò a sbuffare tra i denti un “Nipote degenere!”, poi superò i droidi e corse avanti nel percorso poco illuminato.
Mara sospirò di sollievo, temendo di ritrovarsi impantanata nelle eterne dispute di Lavok e Valygar Corthala, zio e nipote, sulla superiorità dei maghi e dei ranger; dispute che di solito si trascinavano anche durante i combattimenti.
L’ingresso della torre sembrava sigillato. La Sith sapeva che da qualche parte doveva esserci un pannello per controllarne l’apertura, ma con tutti i fari proiettati verso Aragorn e Gandalf vi era ben poca luce. E anche se fosse riuscita a trovarlo non aveva idea di quale fosse il codice d’accesso. Sbuffò tra sé. “Copritemi” disse, accendendo la spada laser “Faccio strada”.



“Tarkin!” mormorò Maul. “Vengo dalla sala comunicazioni. Ho una notizia cattiva ed una pessima. Quale preferisci?”
Quale preferisco?
Dalla plancia di comando tutto quello che riusciva a vedere era il ventre squarciato dello Steel Pride. L’enorme Star Destroyer si era interposto tra il Basilisk e la furia del Cavaliere del Drago: tutti i turbolaser del lato destro avevano vomitato fuoco e scintille contro quel mostro, e per un attimo gli ufficiali al suo fianco avevano trattenuto il fiato vedendo la figura alata svanire tra le esplosioni. Ma Tarkin non si era illuso.
L’attimo dopo sul ventre della gigantesca nave da battaglia era comparsa una scintilla. Che poi era diventata una crepa luminosa. La parte inferiore dello Star Destroyer aveva vomitato lunghe scariche elettriche, poi si era piegata a metà. Il Cavaliere del Drago era emerso al centro, con la spada avvolta da fulmini che sembravano alimentarsi direttamente dallo Steel Pride; un drago gigantesco, nero come la notte, era planato dietro al suo padrone ed era atterrato su quello che restava dell’incrociatore, spazzando i turbolaser ancora attivi con un soffio di fuoco e attraversando il ponte alla ricerca di prede umane. Tarkin non era così vicino da vedere in viso il leggendario Ryumajin, ma non aveva bisogno di scorgerne il cipiglio per averne paura.
Era una paura diversa da quella che aveva sempre provato nei confronti di Kaspar: quel mago era pazzo, potente e imprevedibile, ma ritrovarselo davanti era sempre meno terribile del saperselo alle spalle. Ma guardando il Cavaliere del Drago capiva perché i demoni non attaccavano a tradimento.
Semplicemente non ne avevano bisogno.
Il rumore dello Steel Pride sventrato accompagnò la sua risposta.
“Dammi quella pessima. Almeno l’altra non mi sembrerà tanto tragica”.
“I demoni del Grande Satana sono a Coruscant. Con i Nuclei Neri”.
Un solo pensiero razionale lo travolse: “Shandra dov’è?”
“Tranquillo. Boba l’ha già fatta trasferire su una nave in partenza per Ithor insieme a Neos. Credo che sia l’unica buona notizia”.
Il suo cuore si calmò, anche se di poco. Se sua figlia era in orbita, allora l’intera Coruscant poteva anche diventare un campo di battaglia. Le Pietre della Sapienza, l’unico mezzo di teletrasporto dell’Impero, erano con lui sulla flotta e non poteva rischiare di portarle via, specie con un Cavaliere del Drago furioso. Maul gli lesse negli occhi. “Boba ha mandato tutte le truppe a fermarli, Kaspar compreso. Mistobaan con questa stupida storia del Dono è inservibile, ma Zam è in arrivo”.
A che serve aver addomesticato il Braccio Destro del Grande Satana se poi non possiamo mollare il guinzaglio?
“Come pessima notizia ho sentito di peggio. Ora dammi quella cattiva”.
“I Ribelli hanno deciso di andare a BEF per la loro ennesima scampagnata planetaria” disse, mostrandogli un proiettore. Il satellite mostrava dall’alto la superficie della base perfettamente mimetizzata con il terreno, quando dei fuochi d’artificio esplosero dal nulla e disegnarono in cielo il simbolo dell’Alleanza. “Non mi chiedere cosa stiano facendo lì …”
“Oltre metterci i bastoni tra le ruote per divertimento? Niente”.
“Allora me ne posso occupare io?” chiese il Sith “Non so se sono più inutile io a bordo di una flotta o Mistobaan davanti ad un nemico impegnativo …”
Mistobaan, senza alcun dubbio …
“Ovviamente. Hai portato l’Ascia del Millennio, vero?”



L’Impero ha migliorato la qualità delle sue leghe … sbuffò Mara. La lama rossa della sua spada laser era infissa fino all’elsa della parete, ed intorno ad essa il metallo diventava incandescente, costringendola a chiudere gli occhi. Faticava a spingere la lama, e dalla cella energetica che conteneva il cristallo alimentatore schizzarono delle scintille. Spinse di più, fino in fondo, trasmettendo alla spada tutta la forza che le rimaneva nelle braccia. Sapeva che la variazione termica che stava inducendo nella parete avrebbe richiamato i droidi di sorveglianza, ma con un briciolo di fortuna non avrebbero richiamato il resto delle forze già impegnate contro Aragorn e Gandalf. Quando finì il tracciato, spinse il Lato Oscuro contro la spessa lamina di metallo, e quella cadde indietro con un tonfo secco. Si buttò a terra, imitata dai suoi compagni, sicura che i droidi della sicurezza li avrebbero accolti con una raffica di laser, ma non venne sparato nemmeno un raggio. Rimasero in attesa, perplessi, ma dal buco non uscirono ricognitori. I poteri Jedi o Sith erano in grado di percepire la presenza di esseri viventi, ma erano inutili per rilevare macchine o qualunque cosa non organica. Valygar scagliò una freccia nell’apertura fumante, ma non vi fu risposta.
Aspettarono ancora qualche minuto, poi passarono cauti dall’altra parte.
Si trovavano su un pianerottolo, a metà di una scala che partiva da qualche piano sotterraneo e si snodava in alto, verso la sala comandi. Una porta, sulla loro destra, era chiusa e sbarrata da bande metalliche probabilmente elettrificate. I sistemi di illuminazione interna erano funzionanti, ed accompagnavano il percorso della scala, la loro luce tracciava i contorni dei gradini lucidi, mentre il fumo acre della parete appena forzata si sollevava nei punti in penombra.
Il silenzio era assoluto.
Mara gettò un’occhiata a Valygar. Il giovane ranger si guardava intorno, con la freccia incoccata. C’era una rinnovata inquietudine nei suoi occhi.
Cominciarono a salire, la schiena contro la parete, le orecchie tese. Lei si mise in retroguardia, lanciando occhiate circospette verso l’ingresso, mentre i rumori della battaglia si affievolivano. Le scale si curvavano serpeggiando lungo il muro, con tenui manti d’ombra nei punti di svolta. Il suo stomaco era in agitazione: non era dall’Impero Galattico costruire una torre senza nemmeno un ascensore, così come non inviare nessun droide contro una palese minaccia all’integrità di quella struttura. La cosa le puzzava di trappola. Le sembrò di sentire qualcosa in cima alla scala: un leggero ronzio, il rumore di un interruttore acceso. Valygar guadagnò il pianerottolo successivo, fugando i suoi dubbi. Batté le palpebre e cercò di rilassarsi, di rallentare i battiti del cuore. Era solo una stupida torretta difensiva, aveva conquistato strutture ben peggiori.
Davanti a loro c’era solo una porta priva di guardie, non sbarrata. La aprirono senza difficoltà. Se quella era la sala comandi avrebbero dovuto esserci dei droidi. Gettò di nuovo un’occhiata a Valygar, ma quello scrutava le pareti della stanza alla ricerca di qualsiasi nemico che potesse sbucare da dietro i terminali. Si mossero rapidi verso il centro, e la Sith si rivolse verso la grande parete di transparacciaio che ricopriva quasi tutto il perimetro della stanza, dando una visione quasi completa di BEF. L’istallazione era più grande di quello che ricordava, forse un nuovo modello: il perimetro aveva una forma ottagonale, con una torretta ad ogni vertice, e per fortuna l’ingresso principale era proprio dove lei aveva immaginato. Gli edifici per il personale umano erano al massimo una decina, mentre le strutture di conservazione per i droidi erano oltre un centinaio, disposte in lunghe file parallele. Lo sguardo andò verso il punto dove erano nascosti i medici ed i soldati di supporto, ma l’area era coperta dalle casse appena sbarcate dietro cui Eomer aveva sicuramente nascosto la squadra. In quel momento i droidi si erano radunati nell’area destinata all’atterraggio delle astronavi, diretti in formazione compatta verso un gruppo di magazzini anneriti dal fumo: due sagome umane saltavano da un tetto all’altro, facendosi beffa dei laser sparati nella loro direzione. I droideka non erano in grado di arrampicarsi, ed i droidi di base stavano approntando delle autoscale per raggiungere i due ribelli, ma Aragorn e Gandalf respingevano i magneti adesivi prima che le autoscale fossero pronte, costringendo le macchine dell’Impero ad infiniti tentativi. Gandalf sparò un secondo fuoco d’artificio –solo la Forza sapeva come avesse fatto a nasconderne così tanti sotto la barba- contro dei droideka in arrivo dal settore d’ingresso, interrompendo il loro rotolamento e mandandoli ad esplodere contro uno speeder parcheggiato.
“Va bene, adesso che facciamo?” chiese Lavok. Si era seduto davanti ad un terminale olografico, facendo scorrere le dita sulla tastiera virtuale. Il nipote si era appostato davanti all’ingresso, l’arco puntato verso le scale.
“Se qui non c’è personale, vuol dire che l’intera torre è automatizzata, forse l’intera struttura difensiva. Questo vuol dire che non sarà facile accedere al controllo manuale, ma ci posso provare”.
Fu in quel momento che sentì il fischio.
Senza riflettere afferrò il braccio di Lavok e lo spinse a terra.
Il soffitto sopra di loro si spalancò, e cinque droidi IG atterrarono sul pavimento, le luci rosse intermittenti sulle loro teste cilindriche. Il corpo di quelle macchine quasi antropomorfe era un arsenale deambulante, con vibrolame, blaster, granate a concussione e fruste sinaptiche su qualsiasi arto. La freccia di Valygar volò verso uno di quelli, ma dal petto del droide da combattimento emerse un lanciafiamme che carbonizzò il dardo a metà percorso. Il ranger scagliò altre due frecce in rapida successione, ma gli IG rilasciarono insieme il fuoco. Uno di questi proiettò in avanti la bocchetta del lanciafiamme, avvolgendo la tunica dell’uomo in una enorme lingua infuocata.
“Valygar!” gridò Lavok, liberandosi dalla presa di Mara. Il mago fece per lanciare una sfera d’acqua contro il nipote, ma uno degli IG si parò davanti a lui e puntò l’estremità rotante del braccio contro la sua testa. “Levati dai piedi, ferraglia!”
Scagliò l’incantesimo d’acqua sul droide, seguito da una rapida Catena di Fulmini. Dal braccio si levò uno sbuffo di scintille, ed il mago ne approfittò per evocare una piccola cascata sulla testa del nipote prima che la tunica venisse carbonizzata. Il droide si riprese dall’attacco, molto più resistente dei comuni soldati da battaglia. Mara vide le sue microcomponenti riassemblarsi lungo il braccio e creare un piccolo scudo deflettore simile al modello montato sui droideka.
Due IG –classe 88, a giudicare dalla mitragliatrice montata sul braccio sinistro- si gettarono su di lei, ed il Lato Oscuro esplose in risposta. Li avvolse come un turbine, spingendoli indietro. Quello alla sua destra impattò contro la parete, ma l’altro attivò i repulsori lungo la schiena e sfruttò quell’attacco come forza propulsiva per attraversare metà della stanza. Quattro vibrolame scattarono nella sua direzione. Mara le parò tutte con la sua spada laser, mandando i pezzi ad infrangersi contro un computer, poi qualcosa si piantò tra le sue scapole ed una scarica di dolore le attraversò la schiena.
La sensazione di qualcosa iniettato sotto la pelle la fece raggelare.
Dardi kwaith … merda …
La sensazione di smarrimento fu istantanea. L’immagine dell’IG davanti a lei iniziò a tremare. Mulinò la spada davanti a lei, concentrandosi sulle pose di difesa che aveva sempre studiato, aggrappandosi alle vecchie lezioni per non perdere il controllo. Cercò di richiamare il Lato Oscuro per ricacciare almeno l’assalitore che aveva di fronte, ma sentì il potere risalirle tra le labbra, stranamente cupo e con un sapore amaro. Scosse la testa, cercando di allontanare il senso di debolezza, ma nel compiere quel gesto abbassò la guardia. Il droide fece fuoco nella sua direzione: respinse come poteva le raffiche laser, ma una la colpì al fianco sinistro e perse l’equilibrio. Dove i colpi del blaster andavano a segno le ferite non sanguinavano, ma il dolore era forte.
Una seconda scarica elettrica partì dalle mani di Lavok, e attraversò la stanza come un fiume in piena. L’IG 88 attivò lo scudo deflettore con un paio di secondi di ritardo, e l’incantesimo penetrò lungo il corpo metallico facendo esplodere i circuiti della testa a meno di un metro da Mara. Anche nello stadio di torpore, lei si accorse che Valygar stava cercando di rimetterla in piedi.
“Levale quel maledetto dardo dal collo!” sentì gridare il mago “Altrimenti nemmeno il più bravo guaritore elfico riuscirebbe a salvarla!”
“E chi ci pensa a questi quattro droidi?” rispose il ranger, mentre armeggiava con il pugnale alla cintura.
“Io, ovviamente!”
“Quando la smetterai di fare l’esibizionista, zio? Non hai più l’età!”
“Scommettiamo?”
Sollevò il braccio e scagliò fuoco in tutte le direzioni, spargendolo tra gli assalitori, con uno slancio per tenerli a bada. Le lingue rosse coprirono la visuale degli avversari, che interruppero l’attacco per attivare gli estintori incorporati e spegnere le fiamme, ma per fare quello disattivarono la modalità blaster del braccio destro. Lavok doveva aver calcolato tutto, perché appena le armi laser si ritirarono per far posto alla pompa del serbatoio idraulico si gettò sul fianco libero del nemico più vicino. Attraversò la cortina dello scudo deflettore senza un gemito e pronunciò l’incantesimo.
Le sue dita furono attraversate da una luce azzurra.
Prima che il droide potesse riconvertire il suo braccio ad arma, dalle dita del mago erano partiti altrettanti Dardi Incantati. Attraversarono i pochi centimetri che separavano il palmo dalla testa del droide ed esplosero lungo la struttura cilindrica. Le luci rosse si spensero ed il droide cadde a terra, ma prima che il resto del corpo facesse partire il programma di riparazione la mano di Lavok diventò incandescente e raggiunse con un guizzo il generatore energetico. Il busto dell’IG si muoveva ancora, ma l’enorme calore riversato contro il punto vitale fece il resto, e quando la carcassa del droide crollò a terra Mara era certa che non si sarebbe alzato. Lavok pronunciò qualche altro incantesimo e si frappose tra loro due e gli assaltatori rimasti.
“Tsk. I maghi sono tutti così. Tanta coreografia e poca sostanza”.
Mara non ebbe le forze di rispondergli. Il senso di debolezza era aumentato. Il torpore si era esteso fino alle dita, e stringeva la spada laser più per abitudine che per capacità fisica. L’immagine di Lavok davanti a lei si era ridotta ad una tunica svolazzante tra fiamme ed altre magie, ed era a malapena cosciente del fatto che Valygar la stesse tenendo sollevata con il braccio sinistro, mentre con l’altro armeggiava con il coltello.
“Questo farà male …”
Il ranger non aveva ancora finito la frase che Mara urlò per il dolore. La lama sottile penetrò alla base del collo, disegnando un cerchio proprio intorno al punto in cui si era conficcato il minuscolo dardo.
La punta si approfondì.
D’istinto cercò di allontanare quel dolore con un’ondata di Lato Oscuro, ma il compagno doveva aver immaginato quella reazione e le aveva stretto entrambe le braccia con il suo; spossata, Mara si accasciò una seconda volta, cercando di concentrarsi su Lavok, sui droidi ed i loro deflettori, su qualsiasi cosa si muovesse davanti ai suoi occhi. Era troppo debole anche solo per …
“Preso!”
Quello fu il dolore più intenso di tutti. La sensazione di qualcosa strappata via dalla sua carne a forza le attraversò la spina dorsale. “Era profondo, il bastardo!” sibilò Valygar. Quando Mara riaprì gli occhi, umidi di lacrime, vide il piccolo dardo metallico scintillare nella mano scura del ranger. Tra gli aghi sottili, convergenti verso il basso, vide un frammento di carne insanguinata che doveva provenire dal suo corpo. Il torpore era ancora intenso, ma il dardo non era riuscito ad iniettarle tutto il veleno, quindi non avrebbe dovuto preoccuparsi. Non di quello, almeno.
La barriera magica che Lavok aveva creato intorno a loro non sarebbe durata a lungo: Mara sapeva che per quel tipo di incantesimi difensivi occorreva una concentrazione ben maggiore di quella necessaria per scagliare una palla di fuoco, e sapeva che Lavok era allo stremo e non aveva un elevato potenziale magico. Le sottili strie bianche della magia disegnavano un globo nell’aria intorno a lei e Valygar. Il fuoco del lanciafiamme di un IG venne respinto al mittente, ma la donna sapeva che non avrebbe funzionato contro un vecchio, classico proiettile di metallo.
Le gambe ancora le tremavano, ma si appoggiò alla spalla del ranger e si rimise in guardia, la spada accesa, cercando un varco nei loro tre nemici: le macchine si erano disposte in modo difensivo, come da programmazione quando troppi membri della squadra venivano distrutti. Valygar lanciò un pugnale attraverso uno scudo deflettore, ma la lama nemmeno scalfì il metallo.
Fu un flebile, quasi impercettibile tintinnio ad attirare la sua attenzione. Non se ne sarebbe mai accorta senza il suo allenamento nel Lato Oscuro. Guardò nella direzione del rumore, oltre il campo distorto dei deflettori, e nonostante la vista indebolita per il veleno si accorse del piccolo contenitore azzurro caduto dall’arsenale di uno degli IG. E non per caso.
“GAS TRION!” urlò, evitando l’ennesima raffica laser nella sua direzione. Si coprì il naso e la bocca come meglio poté, avvolgendoli in una delle pieghe dell’abito nero: ma sapeva che in quel modo poteva guadagnare al massimo qualche minuto. Alla sua destra Valygar fece altrettanto, mentre Lavok creò intorno alla sua testa una sottile bolla di aria giallastra incontaminata.
Quei droidi assassini li stavano tenendo a bada, e avevano altre vite che dipendevano dalla loro incursione. Si gettò su uno dei terminali, sforzandosi di non respirare, mentre lungo la pelle si diffondeva un terribile bruciore; percepì un droide avventarsi contro di lei, ma trovò una delle spade di Valygar ad attenderlo.
Mara ringraziò tra sé il suo compagno ed iniziò a digitare sulla tastiera olografica tutti i comandi manuali che trovava, alla ricerca dell’attivazione del sistema di puntamento centrale. I suoi polmoni chiedevano aria, ma per tutta risposta strinse maggiormente la tunica intorno al naso; la mano destra, sebbene protetta da un guanto, sembrava bruciare per l’effetto del trion. Quando combatteva per l’Impero aveva usato quel gas più di una volta, e sapeva bene quanto fosse efficace: la pelle e le mucose delle vittime venivano corrose nel giro di cinque o sei minuti, e non era considerata una morte rapida o pietosa. Era così pericoloso che i normali droidi da battaglia non ne erano equipaggiati per timore che potessero sprigionarli senza un valido motivo e danneggiare la componente umana delle truppe imperiali, ma gli IG erano diversi. In battaglia non si interfacciavano con gli uomini, quindi l’uso del trion era tollerato.
Il sistema rispose.
Adesso parti, maledetto!
Mosse la mano dentro l’immagine dell’ologramma, e sotto di loro la batteria di turbolaser iniziò a muoversi con un ronzio intenso. La sagoma allungata del cannone comparve proprio oltre il vetro, e la Sith lo direzionò fidandosi solo dei propri occhi. Fece fuoco.
L’ingresso principale di BEF esplose in una massa di fiamme, schegge, detriti e lamiere, l’intero portone d’ingresso di terra spazzato via dalla sua raffica di turbolaser. Da quella distanza non riusciva a vedere se vi fossero umani o droidi sopravvissuti, ma quelli ormai non erano più compito suo: Eomer era rimasto indietro proprio per guidare la squadra fuori di lì, e di certo avrebbe fatto l’impossibile per sfruttare l’opportunità che lei gli aveva lasciato.
Un secondo dardo saettò verso di lei, ma stavolta non fu impreparata. Si girò ed il piccolo proiettile metallico si distrusse al contatto con la lama laser, e prima che l’IG riuscisse a caricarne un altro fu impegnato da Valygar in un combattimento frontale. Ma l’aria della stanza era diventata azzurrina, ed il dolore alla mano destra stava diventando ben poco sopportabile. Si lanciò contro il vetro della torretta, e quello si infranse in una pioggia di schegge ad un suo calcio; una ventata d’aria attraversò la stanza, e nonostante fosse rovente per gli spari nel cortile fu comunque un’ondata di freschezza rispetto al gas. “RAGAZZI, CE NE ANDIAMO DI QUI!” gridò, cercando di farsi sentire sopra gli spari.
Nella piazza, oltre i magazzini, la battaglia infuriava. Aragorn e Gandalf si erano gettati dalla loro postazione e stavano intrattenendo da soli almeno cinquanta droidi schivando, fintando, abbassandosi di scatto e lasciando che le raffiche laser cogliessero gli avversari anche tra di loro. Dall’altra parte della base vide lo scintillare dell’armatura di Eomer tra i fuochi, e le sottili sagome degli elfi che correvano dietro di lui, leggeri e quasi invisibili nelle esplosioni e nel frastuono che i due leader dell’Alleanza stavano allestendo. Non c’era momento migliore per fuggire, ma quando guardò in basso sentì il corpo reagire in maniera terribile, come se un’ondata di sonno la attraversasse dal corpo alla punta dei piedi. L’effetto del veleno non era ancora scomparso, ed i tetti dei capannoni in metallo oscillarono proprio sotto di lei. Il suono della battaglia le giunse più ovattato. Solo il vento sembrava essere più forte.
“Mara, reggiti!” fece la voce di Lavok, e la sua mano le strinse forte il polso. Quel contatto improvviso la riportò alla realtà, e quando si accorse che stava per fare una caduta di svariati metri imprecò contro la sua debolezza. Una vibrolama fu lanciata contro la sua schiena, ma si infranse contro un incantesimo barriera. “Grazie, Lavok!”
“I ringraziamenti a quando siamo usciti di qui. E comunque un bacio non guasterebbe!”
“Sono sposata”.
“Lo so. Ma lo prenderò per un no”. Lei si liberò dalla presa e deflesse con la spada laser una raffica di proiettili metallici che un IG rivolse contro di loro. Si accorse che uno dei droidi era a terra, gli arti in maniera scomposta, e Valygar sarebbe andato a dargli il colpo di grazia se non fosse stato impegnato con l’ultimo droide assassino, che aveva pensato bene di scagliare nella sua direzione un intero armadio. Il ranger si liberò appena in tempo, superò in corsa l’IG-88 che stava sparando contro di lei e srotolò la lunga corda che portava sempre al fianco. La Sith coprì anche lui, deviando il secondo assalto diretto verso di loro, spingendoli indietro con i suoi poteri.
Le dita di Lavok si erano illuminate di azzurro. Quando l’uomo le ebbe appoggiate per terra si formò una grande spirale luminosa che partiva dai resti del transparacciaio in frantumi e giungeva a terra. L’incantesimo prese forma, si espanse al tatto ed ai comandi del mago e divenne un lungo scivolo di ghiaccio che fendeva il buio della base come una spada. Mara iniziò ad indietreggiare, ma il suo sguardo era fisso sulle macchine che continuavano a rialzarsi e combattere. Persino quella che sembrava giunta al limite si era sollevata sulle braccia ed aveva ripreso a sparare da dei comparti sulla testa. Lei usò il suo potere per sollevare quello che restava di un altro IG per farsi da scudo, e l’attimo dopo lo vide esplodere sotto i colpi.
Valygar aveva realizzato un cappio e aveva lanciato la fune contro l’antenna del magazzino oltre la strada. Oltre il rumore degli spari lo vide rivolgersi a lei, invitandola a saltare insieme. Mara stava per seguirlo, ma per evitare l’ennesimo contenitore di gas lanciato contro il suo viso si spostò di lato e si ritrovò con un piede sulla rampa di ghiaccio di Lavok.
“Le donne preferiscono i maghi, Valygar. Non lo scordare!”
La acchiappò per la tunica e scivolarono insieme sul percorso. La testa le scoppiava e faticava a tenersi in equilibrio, ma l’uomo la sosteneva. Sotto i suoi stivali vi era la morsa del gelo incantato, ma non fece in tempo a lamentarsi che erano già per la strada, con i laser nemici che esplodevano tutt’intorno a loro. Il giovane ranger attraversò l’aria sopra le loro teste, mollò la corda prima di impattare contro il muro ed atterrò con molta poca grazia alla loro destra.
“Maghi contro ranger, quattro a uno”.
Valygar nemmeno rispose, e iniziò a correre nella direzione del cancello. Mara rifiutò gentilmente l’invito di Lavok di portarla in braccio –invito di pura formalità, visto che lei pesava quanto e più di lui- e fece appello a tutte le sue forze per raggiungere l’obiettivo convenuto. Ormai tutta BEF era al corrente della loro azione, ma se gli altri erano riusciti ad andarsene da lì i loro problemi erano risolti: l’Impero non aveva soldati da sprecare per inseguirli nei boschi e nei campi, e se c’era una cosa che gli elfi sapevano fare a perfezione era nascondersi nella natura. Nella corsa estese le sue percezioni per tutta la base alla ricerca di qualche Ribelle rimasto indietro, ma non ne trovò: vi erano sempre i soliti Aragorn e Gandalf, che probabilmente stavano aspettando che loro tre uscissero dall’avamposto per iniziare a ripiegare. Saltarono tra i resti di un droide e l’altro, e le torrette non aprivano il fuoco contro di loro semplicemente per non danneggiare troppo la struttura, ma sapeva che oltre i cancelli il fuoco nemico li avrebbe seguiti per un bel po’.
Tutto quello che restava del cancello di BEF era un ammasso di lamiere fumanti. Un gruppo di droidi astromeccanici era già in funzione ed aveva spento le fiamme, ma a giudicare dal foro avrebbero avuto bisogno di almeno qualche ora di tempo per riparare il tutto. Beh, ho ancora una discreta mira …
Due droideka cercarono di fermarli, ma Lavok abbatté su di loro un’enorme scarica elettrica che li fece cadere a terra nonostante i deflettori alzati. Valygar si voltò verso di loro, poi con un salto superò i droidi riparatori ed attraversò la cortina di fumo. Quando il suo mantello scomparve tra le volute scure, Mara ed il mago lo imitarono.
Il contatto dell’erba sotto gli stivali fu un istante meraviglioso. La stanchezza sembrò sciogliersi come neve al sole. Sentì il crepitio della barriera dell’occultamento olografico mentre la attraversava, e quando si girò notò che il dispositivo era ancora in funzione, perché della base militare non vi era alcuna traccia. Complimentandosi con l’Impero per l’efficienza delle sue tecnologie, lanciò un sospiro di sollievo e si mise a correre sostenuta dal mago, dietro la figura scura del ranger. Prima dello sbarco avevano convenuto con Eomer l’eventuale direzione della fuga, ed avevano convenuto di correre nella direzione del tramonto del sole, qualunque essa fosse; il terreno era solcato dalle ultime luci della giornata, e la Sith era certa di percepire un ampio gruppo di persone –quasi certamente il loro gruppo di soccorso- più avanti, ma nella loro stessa direzione.
Da BEF nessuno sparo. Una batteria di turbolaser lanciata oltre l’ologramma sarebbe stata avvistata dai demoni, e Mara rifletté che gli ufficiali avevano preferito lasciar fuggire un pugno di Ribelli piuttosto che essere avvistati dalle truppe del Grande Satana. Da quello che aveva capito vi era Tarkin al comando di quell’assalto, il marito di Daala. Lei lo conosceva bene, e sapeva che non avrebbe mai bruciato una postazione sicura per dei nemici che in fondo potevano sempre stanare sulla Terra II. Il fatto che gli imperiali non avessero tempo e truppe da impiegare contro di loro era la chiave per il buon successo della missione che, come aveva puntualizzato Leia, aveva fin troppi punti deboli nell’organizzazione. Lanciarsi a salvare i civili era un’azione meritevole, ma non tutti erano abituati ad improvvisare come Aragorn e Gandalf, lei stessa inclusa.
La raffica di laser rossi la colse alla sprovvista.
Prima che potesse rendersene conto era a terra, trascinata da Lavok, con il sapore di erba secca sotto i denti; il prato vicino alla testa esplose e frammenti di terriccio le entrarono negli occhi. Il mago imprecò qualcosa tra i denti, ma prima che potesse erigere una barriera una seconda raffica, più intensa, lo travolse. Lavok rotolò, ma non riuscì a creare l’incantesimo. Mara guardò in alto, e prima ancora di mettere a fuoco l’immagine grigia riconobbe il rumore dei propulsori a razzo.
Uno degli IG era sopra di loro, ben lontano dalla portata di Lavok o dalle frecce di Valygar. A giudicare dai movimenti interrotti doveva essere danneggiato, ma non abbastanza dal prendere la mira dannatamente bene. Il mirino montato sulla testa si mosse alla ricerca del petto del mago, e Mara deflesse con la spada un dardo rivolto verso di lui. Rimase ferma, sapendo che correre avrebbe condotto quella macchina da combattimento verso gli altri, ma l’ondata di fuoco ripartì, più intensa, senza dare a Lavok il tempo e la concentrazione per richiamare un incantesimo o a lei per manipolarlo con i suoi poteri. L’altezza gli forniva un vantaggio senza pari, ed era programmato abbastanza bene da averne piena coscienza. Lei provò ad allontanarsi dal compagno per distrarre la macchina, ma i blaster gemelli sui due arti potevano attaccare entrambi, quindi dopo qualche passo tornò vicino a Lavok nel tentativo di disimpegnarlo.
Però non ce ne fu bisogno, perché un istante dopo il droide perse il controllo. Schizzò verso l’alto con una velocità che nessun propulsore a razzo possedeva, avvolto in un fumo grigio e bianco. Quando salì di quota di almeno cinquanta metri esplose in un tripudio di scintille verdi, rosse e blu, che formarono un elegante ghirigoro; la donna fu rapida a scostarsi, perché quello che rimaneva dell’erogatore di trion e la canna di un blaster caddero a pochi passi da lei mentre altri pezzi della letale ferraglia si disperdevano per il campo. Il vento portò via la nuvola di fumo in pochi attimi, ed il cielo fu avvolto da una meravigliosa coltre di silenzio.
Gandalf sbucò da dietro un albero, e con un soffio spense ciò che rimaneva della sua miccia. “Mi restano ancora tre cariche per i fuochi d’artificio. La prossima volta ne devo portare qualcuno in più. Non pensavo fossero così efficienti!”.
Nonostante il combattimento sembrava riposato. Si stiracchiò per bene, e quando sollevò la barba Mara vide i candelotti rimanenti spuntare da sotto la barba. La tunica mostrava solo qualche taglio in più, ma oltre alla punta bruciacchiata del cappello azzurro non sembrava molto diverso da quando usciva dalle feste. Il vecchio stregone si sincerò che non fossero feriti, e lei rifiutò con gentilezza il sostegno del suo bastone –che Gandalf portava solo per scena-; quando si rimisero in marcia, Mara si accorse che mancava qualcuno.
“Che fine ha fatto Aragorn?”
“Mi ha detto di andare avanti. Sai com’è, gli era venuta un’altra idea …”


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Nota: la canzone a inizio capitolo e' in realta' un pezzo della bellissima "Ballata di Bryger" di Franco Martin, che potete ascoltare seguendo questo link: https://www.youtube.com/watch?v=XjMHdOIH0Y4


Nota 2: come richiesto dal nostro lettore Siirist (che ringraziamo tantissimo per la costanza e il calore con cui ci segue!) postiamo qui in appendice uno schemino riassuntivo dei corpi d'armata dell'esercito demoniaco:

- Hyakujumadan: il corpo d'armata degli animali e delle creature bestiali al servizio dei demoni. E' comandato dal generale Crocodyne.
- Yomashidan: questo corpo e' composto da creature magiche di taglia piccola sotto il controllo dell'Arcivescovo Stregone Zaboera.
- Maegudan: armature vuote animate e controllate tramite la magia. E' il corpo d'armata di Mistobaan, e in sua assenza viene manovrato dal Grande Satana in persona.
- Fushikidan: l'esercito di non morti comandati dal generale Hyunkel.
- Choryugundan: il corpo d'armata dei draghi del generale Baran.
In qualità di generale supremo dell'esercito demoniaco, Hadler ha il comando di tutti i corpi d'armata. Lui e i demoni propriamente detti sono sotto il comando diretto del GSB e non appartengono a nessun corpo d'armata.
  
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