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Autore: Kumiho    24/07/2013    3 recensioni
Per un attimo, guardandolo sorridere, nella mente di Gokudera si ripresentò l'immagine dell'insolita espressione di Yamamoto di qualche minuto prima e realizzò che forse quella era stata l'unica vota in cui aveva visto per più di cinque secondi il volto del compagno di classe senza un enorme sorriso a trentadue denti stampato sopra.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fuochi d’artificio ed inadeguatezza

 

 

 

Yamamoto non lo aveva più chiamato da quella volta, erano passati diversi giorni ormai e l’estate si faceva sempre più inoltrata e calda con ogni sua singola ora scandita dal canto delle cicale. Gokudera non poteva certo non dirsi sollevato ma, ovviamente, il suo disagio non era diminuito. Si era solo trasformato in qualcosa di nascosto all’interno del suo stomaco, che veniva fuori ogni volta che il suo cellulare suonava, ogni qualvolta sua sorella -o chi per lei- rammentava Yamamoto… ogni volta in cui si ricordava di essere costantemente sotto scacco.

 

L’insopportabile arsura estiva giapponese non aiutava, Gokudera si trascinava per casa, abbattuto dall’afa, finché la temperatura non scendeva abbastanza da permettergli di uscire senza beccarsi un’insolazione. Allora prendeva il portafogli, si infilava un paio di scarpe lise ed usciva a comprare un pacchetto di sigarette e qualcosa di fresco da bere. Non al solito posto però –troppo vicino alla casa di Yamamoto- la strada era più lunga ma così facendo evitava di sobbalzare ad ogni minimo rumore alle sue spalle.

 

Ovviamente ogni giorno telefonava a Decimo, si informava delle sue condizioni e si offriva di andare ad aiutarlo coi compiti -cosa di cui Tsuna spesso approfittava, e a lui andava bene così-

 

Gokudera avrebbe rinunciato alla vita pur di ammetterlo, anche a se stesso, ma da quel maledetto pomeriggio, la gioia del vedere Decimo si era affievolita, anche se di poco. Quel “non è amore” che gli aveva urlato Yamamoto gli attanagliava il cervello ogni volta che vedeva Decimo; e ciò che lo faceva infuriare, più con se stesso che con Yamamoto, non era il fatto che la cosa accadesse spesso, ma quanto il fatto che la questione sembrava aver avuto seriamente il potere di fargli mettere in discussione l’unica cosa che, fino ad allora, aveva rappresentato l’unica solidità priva di dubbio nella vita di Gokudera. Era come se la solita sensazione zuccherina fosse stata avvolta da una patina sottile. Ovattata come il sapore del cibo quando si ha la febbre.

 

 Era impercettibile… ma era lì. Gokudera, comunque, evitava di pensarci, anche se non era facile, e tentava di gustarsi ogni momento in compagnia del suo Boss come aveva sempre fatto.

 

E’ solo un periodo -forse è il caldo- tornerà tutto come prima.

 

 

 

 

 

- Gokudera, mi stavo chiedendo se… ti andasse di venire a vedere i fuochi d’artificio domani sera-

 

Aveva appena finito di risolvere la ventesima equazione del pomeriggio e per poco la punta della matita non si era spezzata contro la pagina del quaderno quando Tsuna gli aveva posto quella domanda. Gokudera aveva alzato la testa di scatto, tanto che gli occhiali da lettura gli erano scivolati appena lungo il naso.

 

-…Co-come…!?- Aveva balbettato incredulo

 

- Se non vuoi non fa nulla! Dopotutto ti stresso già abbastanza con queste ripetizioni di matematica ogni pomeriggio e…-

 

- Verrò! Verrò sicuramente!- Aveva esclamato senza nemmeno farlo finire, e con tanta di quell’enfasi che, questa volta, gli occhiali gli caddero dal naso, finendo sul quaderno di matematica ancora aperto.

 

La sicurezza che si era affievolita in quei pochi giorni sembrava essere tornata fresca e limpida, immergendolo nella solita gioia frizzantina propria solo a quegli impagabili momenti in cui il Decimo accorciava, anche se di poco, la distanza fra loro due.

 

 

 

 

Il giorno dopo gli sembrò interminabile, lungo secoli interi, al punto che, quando giunse la tanto agognata sera e Gokudera si recò in bagno specchiandosi distrattamente, quasi si stupì di non trovarsi invecchiato di qualche decennio. E sì che aveva fatto di tutto per tenere occupata la sua giornata in attesa dell’appuntamento con Decimo: aveva pulito casa, aveva fatto la spesa, aveva perfino svolto i compiti delle vacanze, anche se gli ci era voluto poco più di tre quarti d’ora; ma niente di fatto. L’orologio sembrava scorrere a rilento, tanto che il ragazzo aveva guardato il cellulare più di una volta per accertarsi che non fosse rotto -così come aveva controllato la sveglia, l’orologio da polso, regalo di Bianchi, che non portava mai e che teneva chiuso nel cassetto, perfino l’ora sul display del microonde-

 

Il posacenere sembrava, ormai, una ciminiera e Gokudera riusciva ad avvertire la puzza di nicotina fin dentro la pelle.

 

C’era stato un punto del giorno in cui, forse il sopravvento della noia e dell’impazienza, Gokudera aveva perfino pensato a qualche stratagemma o pianificazione per la serata che sarebbe giunta.

 

Non era una persona che prestava molta attenzione alle apparenze, se queste non sfociavano in qualcosa di sospetto o minimamente pericoloso per il Decimo, eppure si era trovato a provare diverse camicie e numerose magliette domandandosi quali potessero essere le più adatte. Ovviamente non essendo una cosa a cui aveva mai prestato troppa attenzione, ritenendo la moda stupida e frivola, alla quarta maglietta la voglia di mettersi in ghingheri era già scemata di molto; e convincendosi del fatto che Decimo era troppo intelligente per badarvi, e nascondendo dietro questa convinzione la sua svogliatezza e la propria inabilità, afferrò una maglietta a caso e dopo un’ultima e veloce occhiata richiuse i cassetti e le ante del proprio armadio.

 

Grazie al cielo l’ora dell’appuntamento era finalmente giunta e Gokudera, dopo un’ultima occhiata veloce, nel riflesso dello schermo spento della televisione, al proprio abbigliamento, afferrò il pacchetto di sigarette e si chiuse la porta alle spalle.

 

Una volta davanti al piccolo cancello di casa Sawada, Gokudera non riuscì a fare a meno di fermarsi e respirare profondamente per cercare di calmare il battito accelerato del proprio cuore; aveva cominciato a galoppargli nel petto non appena aveva messo piede fuori casa, e non si era acquietato neppure quando il ragazzo aveva imboccato la strada più lunga -cosa assai rara quando la destinazione era casa di Decimo- Ciò che lo turbava è che a farlo battere così forte non era la solita ansia d’aspettativa, né la solita fibrillazione eccitata… era un malore fastidioso che sapeva d’angoscia e che gli ricordava orribilmente Yamamoto.

 

Neppure quando suonò il campanello e la madre di Decimo - con tanto di Lambo ed I-Pin al seguito- si affacciò per salutarlo, il malessere sembrò andarsene né, tantomeno, affievolirsi.

Gokudera non riusciva a pensare lucidamente, continuava a smaniare nell’attesa di calmarsi, finendo solo con l’aggravare la situazione ancora di più. Era come se Yamamoto e le prediche -non chieste- che gli aveva vomitato addosso solo pochi giorni addietro avessero inquinato tutto il suo mondo, corrompendone ogni ansito gioioso, ogni aspettativa rosea…e Gokudera finì solo per agitarsi ancora, annaspando nella conferma del suo odio.

 

Quando, finalmente, Decimo aprì la porta di casa e Gokudera lo osservò salutarlo ed avvicinarsi a lui, effettivamente, avvertì il suo malore acquietarsi appena ma non abbastanza da tranquillizzarlo come avrebbe sperato. Come avrebbe dovuto.

 

- Scusa se ti ho fatto aspettare.- Sorrise gentilmente aprendo il cancello

 

- Figuratevi!- Rispose subito Gokudera - S-siete da solo…?- Chiese poi, osservandolo chiuderselo alle spalle.

 

-… Lambo ed I-Pin devono andare a letto presto, quindi mia madre ha deciso di non farli uscire per stasera- Spiegò Tsuna continuando a sorridere e, il pensiero di essere da solo con Decimo, fu di enorme conforto e sollievo per il suo animo; come sotto l’effetto di un farmaco immediato, il malessere scemò nuovamente.

 

- Ah, ma non preoccuparti! Gli altri ci stanno aspettando vicino alla fiera.- Aggiunse poi Decimo continuando a sorridergli gentilmente. Il farmaco finì il suo effetto anche troppo in fretta.

 

-… Gli… altri… !?-

 

 

 

 

 

Ad attenderlo, vicino alla fiera in riva al fiume, come promesso, c’era il solito quadretto fastidioso:

Sua sorella che teneva Reborn tra le braccia, Kyoko ed Haru che si scambiavano stupidi commenti cinguettanti sui reciproci yukata e Ryohei, esaltato come sempre per qualche motivo che al resto del mondo era ignoto. E Gokudera ci aveva provato con tutte le sue forze: aveva davvero tentato di convincere Decimo ad andare via, aveva spremuto ogni singolo neurone per riuscire a trovare una scusa per scappare da un’altra serata assurda, col doppio, col triplo dell’impeto che di solito ci metteva… ovviamente era stato tutto inutile. Senonché il non scorgere Yamamoto nel gruppetto chiassoso che aveva trovato ad accoglierli lo aveva sollevato non poco, e mettersi il cuore in pace fu più facile di quanto aveva creduto.

 

Ma Gokudera si odiava anche per questo: per aver cominciato ad aver paura di lui, lo scoprirsi ansioso ed angosciato anche solo a sentirlo nominare. Perché non se lo meritava. Non si meritava nemmeno una goccia del tempo che Gokudera impiegava a pensarlo. Quello che lo aveva scosso più di tutto era stato lo scoprire di aver scordato come fosse pensare a Yamamoto prima che tutto quell’incubo iniziasse: si era scordato come era pensare alla sua faccia, al suo odore, alla sua voce senza che un’ondata di nausea e disprezzo non lo investisse come un treno in corsa.

 

Una pacca violenta di Ryohei sulle spalle lo fece ripiombare nella realtà ed imprecare verso di lui come suo solito.

 

- Che succede Gokudera!? Sei giù di morale per caso!?- Gli domandò ancora continuando a colpirgli energicamente le spalle ignorando ogni sua protesta.

 

- Non mi toccare, bifolco! Oggi caschi male!- Gli ringhiò di rimando, agitando un pugno per aria!

 

Sentì le risate degli altri fare di sottofondo ai loro battibecchi, ed il cuore gli si alleggerì un altro po’. Tant’è che per un momento, per un breve e piccolo momento, Gokudera fu grato a tutti loro per il solo fatto di esistere. Perfino il fatto che Decimo si fosse avvicinato a Kyoko facendole i complimenti per lo yukata non lo turbò… non più di tanto.

E forse fu per via del tono chiassoso di Ryohei, forse fu a causa della distrazione dettata dal suo improvviso sollievo… fatto sta che quando sentì quella voce fu come se il terreno gli fosse scomparso da sotto i piedi.

 

- Siete tutti qui! Che bello!-

 

Col senno di poi, e con un po’ di coraggio in più, Gokudera sarebbe sicuramente corso via a gambe levate senza nemmeno voltarsi. Invece lo fece: l’istinto prevalse, facendolo voltare verso di lui.

 

Era lì. Con il solito sorriso stupido stampato in faccia ed il livido, che lui gli aveva lasciato, più violaceo che mai. Gokudera non fu in grado di spiegarsi il motivo ma appena lo vide, per un millesimo di secondo desiderò con tutto se stesso che lui lo guardasse e che continuasse a sorridergli dicendo qualcosa di stupido come faceva sempre. E Gokudera avrebbe capito. Avrebbe capito che tutto era tornato normale, che Yamamoto era tornato Yamamoto e che quello che erano era ritornato ad essere quella strana alchimia costruita sul reciproco rispetto celato da battute e consueti rimproveri. Si sentì pronto a perdonarlo, ancora una volta. Avrebbero entrambi fatto finta di niente e non ne avrebbero mai più parlato. In quel quarto di secondo Gokudera lo scoprì possibile. Lo scoprì essere il suo unico desiderio.

 

Invece Yamamoto congelò il proprio sorriso non appena posò gli occhi su di lui. Gli occhi gli divennero tristi, svuotandosi della loro consona allegria e gli angoli della bocca tremarono appena, prima di appassire verso il basso, nell’espressione di sofferenza che aveva sostituito, nella mente di Gokudera, ogni sfumatura di allegria di cui era capace la spensieratezza di Yamamoto, ormai, solo un ricordo lontano.

 

Tutti gli si riunirono intorno, sorridenti. Gokudera distolse lo sguardo, portandolo sull’erba, sentendo ogni calore avvizzire come aveva fatto il sorriso di Yamamoto; e l’odio gli si insinuò dentro ancora una volta.

 

- Sei sicuro che quel livido non sia peggiorato? La tua guancia mi sembra parecchio più gonfia dell’ultima volta… -

 

-… ah… no. E’ solo un’impressione…-

 

- Haru ha ragione, Yamamoto… anche a me sembra messa male, è come se qualcosa ti avesse colpito nel solito punto. Dovresti andare da un dottore.-

 

- … davvero, non è nulla. Guarirà presto.-

 

Ogni parola che diceva, ogni frase che gli veniva rivolta… ogni prova che lui era lì presente, vivo e reale era il ricordo delle sue mani sulla pelle nuda, era il sapore disgustoso della sua lingua sulle labbra, era il suo tocco urgente, pateticamente trattenuto, sulle proprie guance. Gokudera respirò a fondo e lentamente, cercando di contenere il panico e la rabbia.

 

Non sentiva una parola di quelli che lo circondavano in quel momento e la mano di Decimo che, improvvisamente, gli circondò un polso lo scosse, sì, ma non gli diede alcun sollievo.

 

- Che ne dici, Gokudera?-

 

- C-Come…?- Balbettò lui confuso, più dall’impotenza del tocco di Decimo che non dalle sue parole.

 

- Testa di Polipo non stava ascoltando, eh!?- Sbraitò Ryohei circondandogli il collo con un braccio.

 

Gokudera era così confuso che neanche gli rispose, non se lo scrollò nemmeno di dosso. Si limitò a fissarlo con aira interrogativa e sconvolta; quella di chi si risveglia dopo una sbronza e non si ricorda nemmeno chi è. Poteva sentire ancora lo sguardo di Yamamoto su di lui, ne avvertiva l’odore e tutto ciò che di schifoso si portava dietro.

 

- Una prova di coraggio, Gokudera. Vuoi partecipare?- Disse, allora Reborn – Ovviamente, chi non partecipa si considera, a priori, escluso dalla Famiglia!- Aggiunse poi, con la solita vocetta stridula.

 

Gokudera non rispose subito, entusiasta o con fare combattivo come suo solito, e la cosa fu notata da tutti; perfino Ryohei sembrò stupito del suo atteggiamento, rabbuiandosi appena e fissandolo con aria interrogativa. Aspettavano tutti una risposta, in un muto silenzio sorpreso. Tutti, tranne Yamamoto: aveva abbassato la testa, con aria colpevole –come un cane- cosa che indispettì Gokudera quel tanto che bastò per fargli trovare il coraggio di rispondere.

 

- … va bene.- Disse soltanto - Ma io sto con Decimo- Aggiunse con tono più deciso.

 

Poi guardò Yamamoto e la vista della sua mascella irrigidita e dei suoi occhi che si distoglievano, mestamente da un punto cieco verso un altro, gli diede una carica di pura soddisfazione adrenalinica.

 

 

 

 

 

Il vento fresco d’estate soffiò generoso accarezzando i lunghi fili d’erba che sfiorarono le braccia nude di Gokudera. Il nascondiglio che aveva trovato non era dei più congeniali, ma si accontentò di allontanarsi il più in fretta possibile da Yamamoto, imboccando la strada opposta alla sua e, trascinando Decimo per la mano, si era avvicinato al fiume.

 

La prova era semplice: vinceva chi non veniva trovato nel tempo limite di un’ora.

Prestando attenzione, la sua ovviamente concentrata -quasi interamente- su Decimo, erano scesi lungo l’argine ripido e si erano seduti sotto uno dei piccoli ponti che collegavano le due sponde. L’erba lì era alta e li avrebbe nascosti alla vista di chi percorreva la strada soprastante.

 

Anche dopo alcuni minuti di silenzio da parte di entrambi il cuore di Gokudera continuava ancora a battere all’impazzata ed il disagio nelle sue viscere seguitava a non voler scemare minimamente.

Per quanto desiderasse concentrarsi sulla piccola fortuna che gli era stata concessa –quel placido momento di tranquillità assieme a Decimo- non riusciva a focalizzare nient’altro che il volto di Yamamoto e la consapevolezza della sua effettiva presenza poco lontano da loro.

 

- Gokudera?-

 

Gokudera si voltò, quasi scosso dal suono lieve della voce del boss e dalla leggera pressione della sua mano sulla spalla.

 

-… Stai bene?- Chiese Tsuna preoccupato dall’espressione di disagio che sfigurava il volto dell’amico ormai da diversi minuti.

 

Non rispose subito, seguitando a fissare Decimo e poi spostare lo sguardo sull’erba folta davanti a loro. Se gli avessero detto, solo poche settimane prima, che la preoccupazione del boss nei suoi confronti gli avrebbe solo scatenato una scostante impassibilità, non solo non ci avrebbe creduto, ma avrebbe dato fondo a qualsiasi sua risorsa pur di non fare avverare una simile infamia. Eppure, realizzò fissando nuovamente il Decimo, “impassibilità” era la definizione che più si avvicinava a quello che provava in quel momento. E non riusciva nemmeno a vergognarsene quanto avrebbe voluto.

 

 

 

“Non è amore, Gokudera…”. Sta’ zitto. “La tua è solo un’infinita ammirazione…”. Chiudi la bocca.

 

 

 

- Decimo, non è così…- Le parole gli sfociarono dalla bocca come un fiume in piena, ma con un tono decisamente poco fermo, mentre una sua mano si chiuse attorno al polso del suo Boss.

 

Non lo avrebbe mai fatto: Poche settimane prima non avrebbe mai osato neanche sfiorare Decimo con un dito, poche settimane prima non avrebbe lasciato che i suoi pensieri fossero così tangibili, specialmente ai suoi occhi… poche settimane prima: quando Decimo era tutto il mondo di Gokudera… e, per lui, Yamamoto era solo Yamamoto.

 

La testa cominciò a girargli mentre un fastidioso ronzio nelle orecchie aumentava.

 

- Non è così…- Ripeteva stringendo il polso del suo boss un po’ più forte, come se potesse riportarlo alla calma -… Non è così…-

 

Decimo lo fissò per pochi secondi, con la solita aria preoccupata di chi non capisce ma non intende sopportare oltre, prima di sfiorargli la mano tremante con la propria. Gokudera non seppe dire se fu una sua impressione stordita da quel malore che gli stanziava nell’animo o se, effettivamente, Decimo avesse una qualche capacità curativa su di lui; fatto sta che sentì quella mano, poco più piccola della propria riscaldargli tutto il corpo, e la sensazione di nausea e di malessere scemare pian piano.

 

- Va tutto bene, Gokudera…- Gli sorrise lui, stringendogli la mano un po’ più forte.

 

Gokudera avrebbe tanto voluto ricambiare quella sicurezza con una frase sagace o un commento maturo, ma le lacrime nei suoi occhi bruciavano davvero tanto ed erano pesanti. Troppo pesanti.

 

 

 

 

 

 

 

- E’ passata un’ora- Disse Decimo -… questo significa che, o abbiamo vinto, o Reborn ha trovato qualcos’altro da fare… il che non mi stupirebbe poi tanto.- Commentò sorridendo per poi voltarsi verso l’amico.

 

Gokudera ricambiò lo sguardo e annuì piano, la bocca ancora troppo impastata di vergogna per commentare in alcun modo. Il chiasso sulle rive del fiume sembrava aumentato, ed il profumo del cibo di alcune bancarelle li raggiunse anche sotto al ponte. Decimo si alzò, per poi spolverarsi i pantaloni alla bell’ è meglio e porgere una mano a Gokudera, che si limitò a guardarlo con quell’aria stranita che sembrava non volerlo più abbandonare.

 

- Andiamo?- Gli sorrise di nuovo. E quel sorriso gli provocò un dolore ed una gratitudine che lo privarono di ogni voglia di reagire.

 

- Decimo…- Mormorò abbassando lo sguardo, lontano da lui -… io non sono degno di essere il vostro braccio destro. Non sono degno nemmeno di far parte della vostra Famiglia…- Aggiunse tentando di frenare il tremito della propria voce.

 

- Gokudera…- Lo interruppe Tsuna con tono leggermente tetro -… Io non so niente di Famiglie né di Boss né dei doveri di un braccio destro. Non so nulla di quello che secondo te è disonorevole, non so nulla di omertà né di onore. Tutto quello che ho capito di stasera è che tu non stai bene… e non voglio vederti così. Non voglio che tu mi dica che cosa c’è che non va. Voglio che tu mi dica se posso fare qualcosa…-

 

Gokudera quasi temette di ricominciare a piangere, se dalla vergogna o dall’immensa gratitudine non lo sapeva. Tutto ciò di cui ebbe certezza fu il calore nel proprio petto, rinvigorito ad ogni nuova parola del suo boss. Riuscì solo a mormorare un “grazie”, restituendo al volto di Decimo quel sorriso magico e caldo.

 

 

 

Mentre risalivano la piccola salita d’erba, mentre porgeva la mano a Decimo, per aiutarlo a salire, la sentì di nuovo, la voce di Yamamoto flebile e distrutta, mormorare quella frase.

 

“Non è amore, Gokudera…”

 

Stringendo ancora un po’ la mano di Decimo nella sua e tirandoselo contro, per fargli scavalcare senza sforzi l’ultimo tratto di salita, nella mente di Gokudera si affacciò una consapevolezza:

 

“Va bene così. Non mi importa.”

 

 

Ed era così: non gli importava ciò che Yamamoto pensava, non gli importava se aveva ragione e non gli importava nemmeno se aveva torto. Tutto ciò che sapeva, tutto ciò in cui aveva bisogno di credere era che quel sentimento innegabile che provava per Decimo lo faceva stare bene; lo riempiva di luce e di serenità, e qualsiasi cosa avesse fatto o detto Yamamoto, non vi avrebbe rinunciato facilmente.

 

 

 

 

 

 

Come prevedibile, non vi fu un vero vincitore nella sfida indetta da Reborn che, ad un certo punto si era semplicemente stancato, defilandosi assieme a Bianchi. Li trovarono, difatti, tutti lì, più o meno come li avevano lasciati: chi a chiedersi se il gioco fosse concluso, chi a domandarsi se non si fosse fatto troppo tardi e chi, infine, ansioso di decretare comunque un vincitore. L’unica cosa a cui Gokudera, suo malgrado, prestò la massima attenzione, fu il fatto di non riuscire a scorgere Yamamoto, nemmeno quando, dopo un’altra mezz’ora, arrivarono anche Kyoko e Haru.

 

Si preoccupò comunque di sembrare indifferente alla cosa, anche quando qualcun altro sembrò notare l’assenza del ragazzo.

 

- Forse dovremo andare a cercarlo…- Soggiunse Tsuna, sospendendo Gokudera tra ansia ed ammirazione per la gentilezza del proprio boss.

 

- Sono certo che sta benissimo, magari è semplicemente andato ad occupare un posto per vedere meglio i fuochi d’artificio! Prima delle vacanze non faceva altro che parlare di quanto si vedessero bene dalla cima della collina!- Esclamò Sasagawa incrociando le braccia al petto con fare sibillino.

 

Gokudera attese un po’ prima di parlare, più di quanto normalmente avrebbe fatto, ma poi annuì concordando con Ryohei.  Tsuna rimase un attimo in silenzio per poi accordare con una nota di dispiacere nella voce.

 

Le vie si erano riempite di talmente tanta gente che dovettero fermarsi spesso per aspettarsi l’un l’altro e ed impedire di perdersi di vista a vicenda. Avevano deciso di andare in cima alla collina per poter vedere i fuochi d’artificio, fiduciosi (chi più chi meno) di trovare Yamamoto ad aspettarli. Gokudera non riusciva a fare altro che indugiare con lo sguardo sul volto pensieroso di Decimo, altalenando i suoi pensieri tra la preoccupazione, la voglia di rendersi utile al proprio boss, e la speranza di non incrociare più Yamamoto.

 

- Decimo… cosa avete?- Chiese infine, avvicinandosi appena ed abbassando il tono, in modo di essere udito, tra la folla generale, solo da lui.

 

-… Niente, è solo che mi sembra strano che Yamamoto sparisca così, fosse anche solo per aspettarci più avanti.- Mormorò Tsuna sorridendogli dolcemente; agitò infine la mano davanti al volto con fare noncurante e cambiò argomento, continuando a camminare di fianco a Gokudera.

 

 

La cima della collina era accarezzata da un vento fresco, ed il rumore della folla sembrava orami lontano. La cittadina si estendeva a perdita d’occhio illuminata dalle luci delle vie in festa. Ryohei si gettò sull’erba soffice e fresca sospirando beatamente, mentre Kyoko ed Haru indicavano col dito qualche negozio sperduto nel panorama, che Gokudera non aveva mai sentito nominare, stupendosi di quanto fosse facile riconoscerli anche a quella distanza. Tsuna, invece, continuava a guardarsi attorno, ed ad affacciarsi sulla folla tentando di riconoscervi Yamamoto.

 

Gokudera si era, in effetti, sorpreso di non averlo trovato ad aspettarli, ma si sentiva tutt’altro che preoccupato. Sperava davvero di riuscire ad evitare la sua presenza fino a quando non fosse arrivato il momento di tornare a casa, sebbene riconoscesse inspiegabile il fatto che fosse come scomparso nel nulla. La cosa che lo metteva più a disagio era piuttosto il fatto che Decimo sembrasse davvero preoccupato e che non riuscisse a darsi pace.

 

- Sarebbe meglio chiamarlo per avvertirlo di dove siamo…- Continuava a mormorare passeggiando avanti e indietro, continuando a lanciare occhiate verso il chiasso della fiera.

 

-In effetti ha ragione Tsuna… non era qui ad aspettarci e magari ci sta cercando anche lui….- Sussurrò Kyoko, portandosi le mani al petto e fissando Haru con aria preoccupata.

 

- Gokudera- Lo chiamò Tsuna voltandosi verso di lui – Per favore, puoi chiamarlo? Io non ho il cellulare qui con me…-

 

Gokudera sentì un peso al centro del petto, gravoso e pungente. Avrebbe voluto urlare a tutti di quanto Yamamoto non meritasse neanche un grammo di quella preoccupazione, di quanto lo avesse scoperto meschino e crudele, di quanto lo disgustasse e di quanto avrebbe dovuto disgustare anche loro. Ma non riuscì a dire nulla. Si limitò a rimanere in piedi, con le mani tremanti dallo sconforto, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Si sentì sporco al solo pensiero di dover comporre il suo numero. Aveva appena poggiato il cellulare all’orecchio quando un tocco irruento sulla spalla lo costrinse a voltarsi.

 

- Ehi! Che ci fate voi qui? Questo è il nostro posto, andatevene!-

 

Il tizio davanti a loro doveva essere poco più grande di lui, alto e terribilmente magro. Li squadrò con espressione furiosa prima di rivolgersi direttamente a Gokudera.

 

- Ohi, non mi hai sentito!? Che hai da guardare?-

 

- Che urli a fare, non lo hai visto? Deve essere straniero, probabilmente non ti capisce neanche…- Un altro ragazzo, più basso ma decisamente più robusto del primo, si fece avanti fermandosi a pochi centimetri dal volto di Gokudera.

 

-Allora!? Mi capisci, eh!? Dovete levarvi dai piedi…-

 

Gokudera distinse qualche mormorio intimorito di Kyoko ed Haru alle sue spalle, e riconobbe il rumore dei passi di Ryohei sempre più vicini. Con fare calmo e scostante di rimise il cellulare in tasca e fissò il secondo ragazzo dritto negli occhi.

 

- Ti capisco eccome, brutto mostro, forse sei tu che non hai capito contro chi ti sei messo! Io non vado da nessuna parte…-

 

- Gokudera!...- Udì chiamarlo la voce di Decimo dal tono decisamente allarmato, prima che, quella improvvisamente stridula del ragazzo davanti a lui, coprisse ogni altro suono.

 

- Che cazzo hai detto, bastardo…!?-

 

Gli fu accanto in due ampie e goffe falcate, per poi allungare una mano e stringergli il bavero della camicia, strattonandolo appena verso di lui. Prima che Gokudera potesse fare qualcosa vide Ryohei stringere, a sua volta, il polso del ragazzo più alto con fare intimidatorio che venne scemato dal suo tono calmo.

 

- Tranquilli, non c’è bisogno di agitarsi. Questo posto è grande abbastanza per tutti, se volete possiamo spostarci...-

 

- Col cazzo. Io da qui non mi muovo.- Mormorò Gokudera scrollandosi di dosso le mani di entrambi - Figuriamoci se la do vinta a due sfigati del genere.-

 

I due ragazzi palpitarono dall’irritazione e quello più basso si rivolse nuovamente a Gokudera.

 

- Ti conviene ascoltare il tuo amico, ti eviteresti un bel po’ di guai!-

 

- Ah, sì?... Hai intenzione di chiamare tua madre?- Domandò Gokudera sorridendo in modo arrogante, continuando a fissarlo.

 

- Gokudera smettila! Andiamocene e basta! - La voce di Decimo lo raggiunse nuovamente, più allarmata ed urgente di prima.

 

Passò una manciata di secondi prima che Gokudera decidesse di raccogliere, a piene mani, tutta la sua buona volontà ed il suo autocontrollo. Si voltò e prese a camminare verso Decimo, scorgendo il suo voltò rilassarsi. Vide Ryohei imitarlo, dirigendosi verso Haru e la sorella, strette l’una a l’altra con espressione tesa e spaventata. L’iniziale fastidio scemò non appena Decimo gli regalò un sorriso di approvazione.

 

Fece solo pochi passi prima di sentire quel mormorio divertito alle sue spalle.

 

-… Ecco è meglio se scappi. Mezzosangue, figlio di puttana.-

 

L’unica cosa che riuscì a scorgere, fu l’espressione allarmata di Decimo, poi il corpo si mosse da solo, animato dalla rabbia improvvisa che gli divampò nel petto. In pochi secondi fu addosso al ragazzo più basso e, in ancora meno tempo, avvertì le proprie nocche cozzare contro i suoi zigomi. Quello oscillò sgraziatamente prima di cadere a terra, Gokudera lo afferrò per la maglietta per poi colpirlo nuovamente, più forte di prima. Sentiva il suo corpo contorcersi sotto di lui, scosso da sbuffi grotteschi di dolore, mentre cercava di toglierselo di dosso; ad ogni nuovo pugno il bisogno di continuare a colpirlo aumentava paurosamente. Come in un’eco lontana, fusa a quello che sembrava un tempo velocizzato, riconobbe la voce di Decimo e delle ragazze gridare qualcosa di indistinto e delle mani forti, probabilmente quelle di Ryohei, strattonarlo per le braccia e per la camicia. Non aveva nemmeno pensato alla dinamite, non aveva pensato a nulla. Solamente alla rabbia che sembrava non voler scemare… e mentre continuava a picchiarlo, sentendo la pelle sulle nocche lacerarsi ed il sangue dell’altro schizzargli sulle braccia, in un impeto di rabbia, quello sotto di lui divenne Yamamoto.

 

- Gokudera, smettila!-

 

Decimo gli fu accanto e gli afferrò il braccio riuscendo, infine, a fermarlo. Lentamente tutto torno alla giusta velocità ed i suoni riacquisirono spessore. Il dolore alle nocche ed il suono pericolosamente accelerato del proprio respiro lo richiamarono alla realtà. Sotto di lui, il ragazzo si mosse, costringendolo ad alzarsi barcollando, fissandolo mentre, sbavando e sputando sangue, cercava di toccarsi la faccia senza urlare di dolore. L’altro ragazzo si avvicinò al compagno tentando di aiutarlo ad alzarsi, per poi voltarsi verso di lui e lanciargli un’occhiata bruciante di odio e terrore.

 

- Tu sei pazzo…- Lo sentì mormorare tra i lamenti dell’altro

 

Sentiva la stretta di Ryohei reggerlo ancora per le spalle e quella di Decimo sul suo polso. Avvertì tutto il corpo tremare dall’adrenalina e la bocca dello stomaco dolergli dalla rabbia che andava scemando. Prima che potesse riprendersi e dire qualcosa, Gokudera avvertì la presa di Decimo sul polso abbandonarlo, e quando si voltò verso di lui, Tsuna si era già avviato per la discesa che portava nuovamente alla fiera.

 

 Avvertì il panico pervaderlo nuovamente e con uno scossone si liberò della stretta di Ryohei, ancora salda sulle sue spalle, rischiando di inciampare più volte per via del tremore alle gambe, nel tentativo di raggiungerlo in fretta. Appena gli fu accanto l’espressione rammaricata e dolente del suo volto rischiò di farlo piangere dall’urgenza di scusarsi e dalla costernazione.

 

- Decimo io…-

 

- Perché devi sempre fare così? Sempre!- La sua voce era ferma ma Gokudera vi avvertì la rabbia e l’incontinenza. - Potevamo andarcene. Perché hai dovuto per forza prenderlo a pugni!?... Lo sai benissimo che non lo sopporto, mi spaventa! Puoi pensare che sono un vigliacco, puoi pensare quello che vuoi… ma non voglio che tu, né che nessuno che conosco, venga coinvolto in certe stupidaggini!-

 

Gokudera non riuscì a dire nulla, anche se avrebbe voluto. Il respiro affannato ed il battito accelerato del proprio cuore, gli impedirono di aggiungere altro. Kyoko li chiamò, poco più indietro e Tsuna si voltò verso di lei.

 

-… Non so cosa tu abbia. Ma, ti prego, smettila di comportarti così!- Decimo lo fissò negli occhi mentre lo diceva per poi avvisarsi verso gli altri, e Gokudera si sentì colmare si vergogna e di impotenza.

 

 

 

La serata si era conclusa con qualche battuta imbarazzata e la promessa di risentirsi al più presto. Gokudera non aprì bocca per tutto il tempo. Solo quando Decimo si incamminò verso casa propria si affrettò a seguirlo, ma Tsuna lo guardò e, con aria stanca anche se visibilmente meno arrabbiata di prima, lo pregò di andare a casa da solo.

 

Nessuno si era nemmeno più preoccupato di dove fosse finito Yamamoto.

 

 

 

 

 

 

Il chiasso della festa era cessato da molto ormai, eppure Gokudera aveva continuato a camminare senza una meta precisa, percorrendo i mille vicoli e le stradine della cittadina. Non aveva la minima voglia di andare a casa, né di dormire, sebbene le mani gli facessero ancora male ed il sudore e qualche schizzo di sangue gli impregnassero ancora la camicia. L’unica cosa che sentiva aver la forza di fare era camminare e galleggiare un po’ nel limbo del “non pensare a niente”, perché sentiva che se si fosse fermato a riflettere per meno di cinque secondi sarebbe scoppiato in lacrime o in un urlo isterico. Si frugò in tasca alla ricerca di una sigaretta ma l’unica cosa che trovò fu il pacchetto vuoto e spiegazzato che gettò a terra con un gesto di stizza.

 

La testa gli girava ancora e aveva la gola secca, si frugò ancora in tasca tirando fuori qualche spicciolo e si diresse ad un distributore automatico poco più avanti. Nel vicolo buio la luce della macchina era l’unica illuminazione e Gokudera trovò quell’atmosfera sospesa tra luce ed ombra quasi rassicurante. Il chiassò delle monetine che scivolavano nell’apparecchio e il clangore della lattina di cola che si schiantava all’interno del cesto, rimbombando contro le pareti del vicolo, gli sembrarono quasi assordanti. Il sibilò della lattina che si apriva fu l’ultimo rumore che scosse la tranquillità del buio che lo circondava.

 

Si poggiò contro il distributore, attenuando ancor di più la luce nel vicolo, lasciandosi scivolare fino a toccare terra. Si portò la lattina fresca alle labbra e bevve finché non la sentì svuotata quasi completamente. La gola adesso era meno secca, eppure non si sentiva affatto meglio. Da quando quella storia era cominciata, la sua vita era stata un susseguirsi di eventi disastrosi e, adesso, avvertiva reale più che mai la possibilità di venir abbandonato perfino dal Decimo.

 

Respirò profondamente e strinse i denti finché la mascella non gli dolette. Cosa avrebbe fatto la prossima volta che il telefono fosse squillato per una chiamata di Yamamoto? Lo stomaco gli si irrigidì al solo pensiero, si poteva morire per la troppa afflizione? Era stanco, veramente stanco.

 

 

Come se si stesse destando da un sogno, Gokudera avvertì dei rumori farsi sempre più reali e vicini, finché non divennero due voci distinte. Storse la bocca seccato: neanche in un vicolo di notte riusciva a stare in pace. Erano due voci maschili che discutevano animatamente, sempre più vicine. Gokudera si sentì turbato ancor prima di realizzare il perché. Non si mosse, restò silenzioso ed immobile contro il distributore finché i due non voltarono l’angolo e si diressero verso di lui. Uno, alto e molto magro -la cui figura scura nel vicolo buio era quasi inquietante- sorreggeva l’altro più basso e decisamente più robusto che mugugnava incomprensibilmente come se avesse delle noci in bocca.

 

- Lo ammazzo - Mugugnò il più basso sputando a terra -Giuro che se lo incontro di nuovo lo ammazzo!-

 

- Chi cazzo se lo aspettava!?... Sembrava uno psicopatico. Ti è saltato addosso in meno di un attimo!... Nemmeno quell’altro tipo è riuscito a farlo smettere!- Disse l’altro -… Ti offro qualcosa, non ci pensare per ora.-

 

Gokudera smise di respirare per un attimo, mentre si irrigidiva ancora di più contro il distributore. Erano i tipi della collina. Se avesse potuto si sarebbe quasi messo a ridere per la sua strabiliante sfortuna. Ma l’unica cosa che riuscì a fare fu alzarsi lentamente cercando di non farsi vedere in faccia.

 

- Merda, ho finito i soldi! …Ehi, ragazzino, hai qualche spicciolo?-

 

Decisamente non era la sua giornata fortunata quella. Gokudera tentò di far finta di nulla ed accelerò il passo cercando di raggiungere il prima possibile la strada principale. Di norma non si sarebbe certo preoccupato di due tipi del genere, poteva stenderli come e quando voleva, ma non aveva alcuna voglia di scontrarsi -verbalmente o fisicamente- con qualcuno, specie dopo quello che Decimo gli aveva detto.

 

- Ehi! … Ehi! Sto parlando con te!...-

 

In poche falcate il ragazzo più alto gli fu accanto e lo strattonò per la camicia; non riuscì a fare nulla se non ascoltare le parole morirgli in gola e vedere la sua espressione mutare in una maschera di rabbia non appena lo vide in faccia.

 

-… è il ragazzino di prima…! O-Oku! È il bastardo di prima!- Strillò quello continuando a strattonarlo per la camicia. L’altro lo raggiunse subito e Gokudera quasi atterrì per la sua espressione deformata dai lividi dal sangue rappreso.

 

- Brutto stronzo…- Ringhiò rabbuiandosi e stringendo i pugni -Lo sai che hai fatto!? – Gli urlò sferrandogli un pugno che Gokudera riuscì a schivare senza troppi problemi, liberandosi dalla stretta del più alto.

 

- Ti ho reso più bello…- Sorrise Gokudera indietreggiando di nuovo.

 

Il ragazzo magro gli fu di nuovo addosso e lo bloccò per le spalle. Gokudera stava quasi per colpirlo quando il volto di Decimo gli apparve di nuovo, deformato da quell’espressione di spavento e rabbia:

 

“Lo sai benissimo che non lo sopporto, mi spaventa!”

 

Prima che potesse anche solo realizzare a come agire di conseguenza alla fitta dolorosa che quel ricordo gli aveva procurato al centro del petto, un pugno lo colpì in pieno. La testa gli rimbombò dolorosamente e, prima del dolore alla guancia, avvertì il sapore del sangue riempirgli la bocca.

 

- Ora ci divertiamo…!-

 

Un altro pugno lo colpì dal basso ed avvertì una fitta lancinante lungo la schiena e dietro gli occhi, come se una scarica elettrica fosse partita dalle sue nocche. Più che dolorante o furioso Gokudera si sentì umiliato ed impotente, e non se ne stupì più di tanto, il tremore furente alle mani era automatico e, se avesse potuto, lo sapeva, li avrebbe fatti a pezzi seduta stante, anche solo per avere la possibilità di sentirsi rinvigorito come quando aveva colpito quel tizio con tutta la forza che aveva. Ma le parole del Decimo, la sua espressione spaventata quando lo aveva visto scattare contro quei due… governavano ogni centimetro del suo corpo, costringendolo all’immobilità.

 

Gokudera aspettava già il terzo pugno, la testa bassa, gli occhi chiusi e la bocca piena del suo stesso sangue, quando un fragore improvviso lo costrinse ad alzare la testa. Senza che lui avesse mosso un dito vide il suo aggressore scaraventato contro il distributore automatico, che oscillò pericolosamente prima di tornare traballante al suo posto, mentre quello rimase accasciato al suolo.

 

Prima di poter capire cosa, a conti fatti, fosse successo, sentì l’altro tizio strillare qualcosa di indistinto per poi avvertire la sua stretta abbandonarlo completamente. Si voltò appena in tempo per vederlo atterrare in malo modo sull’asfalto del vicolo. Gli ci vollero diversi secondi per accorgersi che c’era qualcun altro.

 

-… Stai bene?-

 

Gokudera rimase immobile, non sapeva se sentirsi grato o, semplicemente, ancor più sfortunato di prima. Seppe solo percepire il proprio cuore fermarglisi nel petto, le gambe quasi gli cedettero per la sorpresa. Infine, riuscì a voltarsi verso la persona al suo fianco.

 

 

 

 

 

-… Yamamoto…?-

 

 

 

 

 

 

Ebbene sì, sono riuscita ad aggiornare! Non presto quanto speravo ovviamente.

Cavolo, mi sembra passata un’infinità dall’ultimo capitolo… mi scuso enormemente ma… un po’, per citare Gokudera… non è proprio il mio periodo fortunato questo. Non so che dire se non che spero in un vostro commento e augurandomi di rivederci il più presto possibile!

 

P.s: l’appellativo “mezzosangue” che i due rivolgono a Gokudera non è un omaggio a Harry Potter (anche se sarebbe carino <3) Gokudera è, a conti fatti, mezzo giapponese e mezzo italiano, e anche nel manga due o tre volte si vede dei mafiosi chiamarlo così; ovviamente in senso dispregiativo!

  
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