Fuochi
d’artificio ed inadeguatezza
Yamamoto non lo aveva più
chiamato da quella volta, erano
passati diversi giorni ormai e l’estate si faceva sempre
più inoltrata e calda
con ogni sua singola ora scandita dal canto delle cicale. Gokudera non
poteva
certo non dirsi sollevato ma, ovviamente, il suo disagio non era
diminuito. Si
era solo trasformato in qualcosa di nascosto all’interno del
suo stomaco, che
veniva fuori ogni volta che il suo cellulare suonava, ogni qualvolta
sua
sorella -o chi per lei- rammentava Yamamoto… ogni volta in
cui si ricordava di
essere costantemente sotto scacco.
L’insopportabile arsura
estiva giapponese non aiutava,
Gokudera si trascinava per casa, abbattuto dall’afa,
finché la temperatura non
scendeva abbastanza da permettergli di uscire senza beccarsi
un’insolazione.
Allora prendeva il portafogli, si infilava un paio di scarpe lise ed
usciva a
comprare un pacchetto di sigarette e qualcosa di fresco da bere. Non al
solito
posto però –troppo vicino alla casa di Yamamoto-
la strada era più lunga ma
così facendo evitava di sobbalzare ad ogni minimo rumore
alle sue spalle.
Ovviamente ogni giorno telefonava a
Decimo, si informava
delle sue condizioni e si offriva di andare ad aiutarlo coi compiti
-cosa di
cui Tsuna spesso approfittava, e a lui andava bene così-
Gokudera avrebbe rinunciato alla vita
pur di ammetterlo,
anche a se stesso, ma da quel maledetto pomeriggio, la gioia del vedere
Decimo
si era affievolita, anche se di poco. Quel “non è
amore” che gli aveva urlato
Yamamoto gli attanagliava il cervello ogni volta che vedeva Decimo; e
ciò che
lo faceva infuriare, più con se stesso che con Yamamoto, non
era il fatto che
la cosa accadesse spesso, ma quanto il fatto che la questione sembrava
aver
avuto seriamente il potere di fargli mettere in discussione
l’unica cosa che,
fino ad allora, aveva rappresentato l’unica
solidità priva di dubbio nella vita
di Gokudera. Era come se la solita sensazione zuccherina fosse stata
avvolta da
una patina sottile. Ovattata come il sapore del cibo quando si ha la
febbre.
Era
impercettibile… ma
era lì. Gokudera, comunque, evitava di pensarci, anche se
non era facile, e
tentava di gustarsi ogni momento in compagnia del suo Boss come aveva
sempre
fatto.
E’ solo un periodo -forse
è il caldo- tornerà tutto come prima.
- Gokudera, mi stavo chiedendo
se… ti andasse di venire a
vedere i fuochi d’artificio domani sera-
Aveva appena finito di risolvere la
ventesima equazione del
pomeriggio e per poco la punta della matita non si era spezzata contro
la
pagina del quaderno quando Tsuna gli aveva posto quella domanda.
Gokudera aveva
alzato la testa di scatto, tanto che gli occhiali da lettura gli erano
scivolati appena lungo il naso.
-…Co-come…!?-
Aveva balbettato incredulo
- Se non vuoi non fa nulla! Dopotutto
ti stresso già
abbastanza con queste ripetizioni di matematica ogni pomeriggio
e…-
- Verrò! Verrò
sicuramente!- Aveva esclamato senza nemmeno
farlo finire, e con tanta di quell’enfasi che, questa volta,
gli occhiali gli
caddero dal naso, finendo sul quaderno di matematica ancora aperto.
La sicurezza che si era affievolita in
quei pochi giorni
sembrava essere tornata fresca e limpida, immergendolo nella solita
gioia
frizzantina propria solo a quegli impagabili momenti in cui il Decimo
accorciava, anche se di poco, la distanza fra loro due.
Il giorno dopo gli sembrò
interminabile, lungo secoli interi,
al punto che, quando giunse la tanto agognata sera e Gokudera si
recò in bagno specchiandosi
distrattamente, quasi si stupì di non trovarsi invecchiato
di qualche decennio.
E sì che aveva fatto di tutto per tenere occupata la sua
giornata in attesa
dell’appuntamento con Decimo: aveva pulito casa, aveva fatto
la spesa, aveva
perfino svolto i compiti delle vacanze, anche se gli ci era voluto poco
più di
tre quarti d’ora; ma niente di fatto. L’orologio
sembrava scorrere a rilento,
tanto che il ragazzo aveva guardato il cellulare più di una
volta per accertarsi
che non fosse rotto -così come aveva controllato la sveglia,
l’orologio da
polso, regalo di Bianchi, che non portava mai e che teneva chiuso nel
cassetto,
perfino l’ora sul display del microonde-
Il posacenere sembrava, ormai, una
ciminiera e Gokudera
riusciva ad avvertire la puzza di nicotina fin dentro la pelle.
C’era stato un punto del
giorno in cui, forse il sopravvento
della noia e dell’impazienza, Gokudera aveva perfino pensato
a qualche
stratagemma o pianificazione per la serata che sarebbe giunta.
Non era una persona che prestava molta
attenzione alle
apparenze, se queste non sfociavano in qualcosa di sospetto o
minimamente
pericoloso per il Decimo, eppure si era trovato a provare diverse
camicie e
numerose magliette domandandosi quali potessero essere le
più adatte.
Ovviamente non essendo una cosa a cui aveva mai prestato troppa
attenzione,
ritenendo la moda stupida e frivola, alla quarta maglietta la voglia di
mettersi in ghingheri era già scemata di molto; e
convincendosi del fatto che
Decimo era troppo intelligente per badarvi, e nascondendo dietro questa
convinzione la sua svogliatezza e la propria inabilità,
afferrò una maglietta a
caso e dopo un’ultima e veloce occhiata richiuse i cassetti e
le ante del
proprio armadio.
Grazie al cielo l’ora
dell’appuntamento era finalmente giunta
e Gokudera, dopo un’ultima occhiata veloce, nel riflesso
dello schermo spento
della televisione, al proprio abbigliamento, afferrò il
pacchetto di sigarette
e si chiuse la porta alle spalle.
Una volta davanti al piccolo cancello
di casa Sawada, Gokudera
non riuscì a fare a meno di fermarsi e respirare
profondamente per cercare di
calmare il battito accelerato del proprio cuore; aveva cominciato a
galoppargli
nel petto non appena aveva messo piede fuori casa, e non si era
acquietato
neppure quando il ragazzo aveva imboccato la strada più
lunga -cosa assai rara
quando la destinazione era casa di Decimo- Ciò che lo
turbava è che a farlo
battere così forte non era la solita ansia
d’aspettativa, né la solita
fibrillazione eccitata… era un malore fastidioso che sapeva
d’angoscia e che
gli ricordava orribilmente Yamamoto.
Neppure quando suonò il
campanello e la madre di Decimo - con
tanto di Lambo ed I-Pin al seguito- si affacciò per
salutarlo, il malessere
sembrò andarsene né, tantomeno, affievolirsi.
Gokudera non riusciva a pensare
lucidamente, continuava a
smaniare nell’attesa di calmarsi, finendo solo con
l’aggravare la situazione
ancora di più. Era come se Yamamoto e le prediche -non
chieste- che gli aveva
vomitato addosso solo pochi giorni addietro avessero inquinato tutto il
suo
mondo, corrompendone ogni ansito gioioso, ogni aspettativa
rosea…e Gokudera
finì solo per agitarsi ancora, annaspando nella conferma del
suo odio.
Quando, finalmente, Decimo
aprì la porta di casa e Gokudera
lo osservò salutarlo ed avvicinarsi a lui, effettivamente,
avvertì il suo
malore acquietarsi appena ma non abbastanza da tranquillizzarlo come
avrebbe
sperato. Come avrebbe dovuto.
- Scusa se ti ho fatto aspettare.-
Sorrise gentilmente
aprendo il cancello
- Figuratevi!- Rispose subito Gokudera
- S-siete da solo…?-
Chiese poi, osservandolo chiuderselo alle spalle.
-… Lambo ed I-Pin devono
andare a letto presto, quindi mia
madre ha deciso di non farli uscire per stasera- Spiegò
Tsuna continuando a
sorridere e, il pensiero di essere da solo con Decimo, fu di enorme
conforto e
sollievo per il suo animo; come sotto l’effetto di un farmaco
immediato, il
malessere scemò nuovamente.
- Ah, ma non preoccuparti! Gli altri
ci stanno aspettando
vicino alla fiera.- Aggiunse poi Decimo continuando a sorridergli
gentilmente.
Il farmaco finì il suo effetto anche troppo in fretta.
-… Gli…
altri… !?-
Ad attenderlo, vicino alla fiera in
riva al fiume, come
promesso, c’era il solito quadretto fastidioso:
Sua sorella che teneva Reborn tra le
braccia, Kyoko ed Haru
che si scambiavano stupidi commenti cinguettanti sui reciproci yukata e
Ryohei,
esaltato come sempre per qualche motivo che al resto del mondo era
ignoto. E
Gokudera ci aveva provato con tutte le sue forze: aveva davvero tentato
di
convincere Decimo ad andare via, aveva spremuto ogni singolo neurone
per
riuscire a trovare una scusa per scappare da un’altra serata
assurda, col
doppio, col triplo dell’impeto che di solito ci
metteva… ovviamente era stato
tutto inutile. Senonché il non scorgere Yamamoto nel
gruppetto chiassoso che
aveva trovato ad accoglierli lo aveva sollevato non poco, e mettersi il
cuore
in pace fu più facile di quanto aveva creduto.
Ma Gokudera si odiava anche per
questo: per aver cominciato
ad aver paura di lui, lo scoprirsi ansioso ed angosciato anche solo a
sentirlo
nominare. Perché non se lo meritava. Non si meritava nemmeno
una goccia del
tempo che Gokudera impiegava a pensarlo. Quello che lo aveva scosso
più di
tutto era stato lo scoprire di aver scordato come fosse pensare a
Yamamoto
prima che tutto quell’incubo iniziasse: si era scordato come
era pensare alla
sua faccia, al suo odore, alla sua voce senza che un’ondata
di nausea e
disprezzo non lo investisse come un treno in corsa.
Una pacca violenta di Ryohei sulle
spalle lo fece ripiombare
nella realtà ed imprecare verso di lui come suo solito.
- Che succede Gokudera!? Sei
giù di morale per caso!?- Gli
domandò ancora continuando a colpirgli energicamente le
spalle ignorando ogni
sua protesta.
- Non mi toccare, bifolco! Oggi caschi
male!- Gli ringhiò di
rimando, agitando un pugno per aria!
Sentì le risate degli altri
fare di sottofondo ai loro
battibecchi, ed il cuore gli si alleggerì un altro
po’. Tant’è che per un
momento, per un breve e piccolo momento, Gokudera fu grato a tutti loro
per il
solo fatto di esistere. Perfino il fatto che Decimo si fosse avvicinato
a Kyoko
facendole i complimenti per lo yukata non lo
turbò… non più di tanto.
E forse fu per via del tono chiassoso
di Ryohei, forse fu a causa
della distrazione dettata dal suo improvviso sollievo… fatto
sta che quando
sentì quella voce fu come se il terreno gli fosse scomparso
da sotto i piedi.
- Siete tutti qui! Che bello!-
Col senno di poi, e con un
po’ di coraggio in più, Gokudera
sarebbe sicuramente corso via a gambe levate senza nemmeno voltarsi.
Invece lo
fece: l’istinto prevalse, facendolo voltare verso di lui.
Era lì. Con il solito
sorriso stupido stampato in faccia ed
il livido, che lui gli aveva lasciato, più violaceo che mai.
Gokudera non fu in
grado di spiegarsi il motivo ma appena lo vide, per un millesimo di
secondo
desiderò con tutto se stesso che lui lo guardasse e che
continuasse a
sorridergli dicendo qualcosa di stupido come faceva sempre. E Gokudera
avrebbe
capito. Avrebbe capito che tutto era tornato normale, che Yamamoto era
tornato
Yamamoto e che quello che erano era ritornato ad essere quella strana
alchimia
costruita sul reciproco rispetto celato da battute e consueti
rimproveri. Si
sentì pronto a perdonarlo, ancora una volta. Avrebbero
entrambi fatto finta di
niente e non ne avrebbero mai più parlato. In quel quarto di
secondo Gokudera
lo scoprì possibile. Lo scoprì essere il suo
unico desiderio.
Invece Yamamoto congelò il
proprio sorriso non appena posò
gli occhi su di lui. Gli occhi gli divennero tristi, svuotandosi della
loro
consona allegria e gli angoli della bocca tremarono appena, prima di
appassire
verso il basso, nell’espressione di sofferenza che aveva
sostituito, nella
mente di Gokudera, ogni sfumatura di allegria di cui era capace la
spensieratezza di Yamamoto, ormai, solo un ricordo lontano.
Tutti gli si riunirono intorno,
sorridenti. Gokudera distolse
lo sguardo, portandolo sull’erba, sentendo ogni calore
avvizzire come aveva
fatto il sorriso di Yamamoto; e l’odio gli si
insinuò dentro ancora una volta.
- Sei sicuro che quel livido non sia
peggiorato? La tua
guancia mi sembra parecchio più gonfia dell’ultima
volta… -
-… ah… no.
E’ solo un’impressione…-
- Haru ha ragione,
Yamamoto… anche a me sembra messa male, è
come se qualcosa ti avesse colpito nel solito punto. Dovresti andare da
un
dottore.-
- … davvero, non
è nulla. Guarirà presto.-
Ogni parola che diceva, ogni frase che
gli veniva rivolta…
ogni prova che lui era lì presente, vivo e reale era il
ricordo delle sue mani
sulla pelle nuda, era il sapore disgustoso della sua lingua sulle
labbra, era
il suo tocco urgente, pateticamente trattenuto, sulle proprie guance.
Gokudera
respirò a fondo e lentamente, cercando di contenere il
panico e la rabbia.
Non sentiva una parola di quelli che
lo circondavano in quel
momento e la mano di Decimo che, improvvisamente, gli
circondò un polso lo
scosse, sì, ma non gli diede alcun sollievo.
- Che ne dici, Gokudera?-
- C-Come…?-
Balbettò lui confuso, più
dall’impotenza del
tocco di Decimo che non dalle sue parole.
- Testa di Polipo non stava
ascoltando, eh!?- Sbraitò Ryohei
circondandogli il collo con un braccio.
Gokudera era così confuso
che neanche gli rispose, non se lo
scrollò nemmeno di dosso. Si limitò a fissarlo
con aira interrogativa e
sconvolta; quella di chi si risveglia dopo una sbronza e non si ricorda
nemmeno
chi è. Poteva sentire ancora lo sguardo di Yamamoto su di
lui, ne avvertiva
l’odore e tutto ciò che di schifoso si portava
dietro.
- Una prova di coraggio, Gokudera.
Vuoi partecipare?- Disse,
allora Reborn – Ovviamente, chi non partecipa si considera, a
priori, escluso
dalla Famiglia!- Aggiunse poi, con la solita vocetta stridula.
Gokudera non rispose subito,
entusiasta o con fare combattivo
come suo solito, e la cosa fu notata da tutti; perfino Ryohei
sembrò stupito
del suo atteggiamento, rabbuiandosi appena e fissandolo con aria
interrogativa.
Aspettavano tutti una risposta, in un muto silenzio sorpreso. Tutti,
tranne
Yamamoto: aveva abbassato la testa, con aria colpevole –come
un cane- cosa che
indispettì Gokudera quel tanto che bastò per
fargli trovare il coraggio di
rispondere.
- … va bene.- Disse
soltanto - Ma io sto con Decimo- Aggiunse
con tono più deciso.
Poi guardò Yamamoto e la
vista della sua mascella irrigidita
e dei suoi occhi che si distoglievano, mestamente da un punto cieco
verso un
altro, gli diede una carica di pura soddisfazione adrenalinica.
Il vento fresco
d’estate soffiò
generoso accarezzando i lunghi fili d’erba che sfiorarono le
braccia nude di
Gokudera. Il nascondiglio che aveva trovato non era dei più
congeniali, ma si
accontentò di allontanarsi il più in fretta
possibile da Yamamoto, imboccando
la strada opposta alla sua e, trascinando Decimo per la mano, si era
avvicinato
al fiume.
La prova era
semplice: vinceva chi
non veniva trovato nel tempo limite di un’ora.
Prestando attenzione,
la sua
ovviamente concentrata -quasi interamente- su Decimo, erano scesi lungo
l’argine ripido e si erano seduti sotto uno dei piccoli ponti
che collegavano
le due sponde. L’erba lì era alta e li avrebbe
nascosti alla vista di chi
percorreva la strada soprastante.
Anche dopo alcuni
minuti di
silenzio da parte di entrambi il cuore di Gokudera continuava ancora a
battere
all’impazzata ed il disagio nelle sue viscere seguitava a non
voler scemare
minimamente.
Per quanto
desiderasse
concentrarsi sulla piccola fortuna che gli era stata concessa
–quel placido
momento di tranquillità assieme a Decimo- non riusciva a
focalizzare
nient’altro che il volto di Yamamoto e la consapevolezza
della sua effettiva
presenza poco lontano da loro.
- Gokudera?-
Gokudera si
voltò, quasi scosso
dal suono lieve della voce del boss e dalla leggera pressione della sua
mano
sulla spalla.
-… Stai
bene?- Chiese Tsuna
preoccupato dall’espressione di disagio che sfigurava il
volto dell’amico ormai
da diversi minuti.
Non rispose subito,
seguitando a
fissare Decimo e poi spostare lo sguardo sull’erba folta
davanti a loro. Se gli
avessero detto, solo poche settimane prima, che la preoccupazione del
boss nei
suoi confronti gli avrebbe solo scatenato una scostante
impassibilità, non solo
non ci avrebbe creduto, ma avrebbe dato fondo a qualsiasi sua risorsa
pur di
non fare avverare una simile infamia. Eppure, realizzò
fissando nuovamente il
Decimo, “impassibilità” era la
definizione che più si avvicinava a quello che
provava in quel momento. E non riusciva nemmeno a vergognarsene quanto
avrebbe
voluto.
“Non
è amore, Gokudera…”. Sta’
zitto. “La tua è solo un’infinita
ammirazione…”. Chiudi la bocca.
- Decimo, non
è così…- Le parole
gli sfociarono dalla bocca come un fiume in piena, ma con un tono
decisamente
poco fermo, mentre una sua mano si chiuse attorno al polso del suo Boss.
Non lo avrebbe mai
fatto: Poche
settimane prima non avrebbe mai osato neanche sfiorare Decimo con un
dito,
poche settimane prima non avrebbe lasciato che i suoi pensieri fossero
così
tangibili, specialmente ai suoi occhi… poche settimane
prima: quando Decimo era
tutto il mondo di Gokudera… e, per lui, Yamamoto era solo
Yamamoto.
La testa
cominciò a girargli
mentre un fastidioso ronzio nelle orecchie aumentava.
- Non è
così…- Ripeteva stringendo
il polso del suo boss un po’ più forte, come se
potesse riportarlo alla calma
-… Non è così…-
Decimo lo
fissò per pochi secondi,
con la solita aria preoccupata di chi non capisce ma non intende
sopportare
oltre, prima di sfiorargli la mano tremante con la propria. Gokudera
non seppe
dire se fu una sua impressione stordita da quel malore che gli
stanziava
nell’animo o se, effettivamente, Decimo avesse una qualche
capacità curativa su
di lui; fatto sta che sentì quella mano, poco più
piccola della propria
riscaldargli tutto il corpo, e la sensazione di nausea e di malessere
scemare
pian piano.
- Va tutto bene,
Gokudera…- Gli
sorrise lui, stringendogli la mano un po’ più
forte.
Gokudera avrebbe
tanto voluto
ricambiare quella sicurezza con una frase sagace o un commento maturo,
ma le
lacrime nei suoi occhi bruciavano davvero tanto ed erano pesanti.
Troppo
pesanti.
- E’
passata un’ora- Disse Decimo
-… questo significa che, o abbiamo vinto, o Reborn ha
trovato qualcos’altro da
fare… il che non mi stupirebbe poi tanto.-
Commentò sorridendo per poi voltarsi
verso l’amico.
Gokudera
ricambiò lo sguardo e
annuì piano, la bocca ancora troppo impastata di vergogna
per commentare in
alcun modo. Il chiasso sulle rive del fiume sembrava aumentato, ed il
profumo
del cibo di alcune bancarelle li raggiunse anche sotto al ponte. Decimo
si
alzò, per poi spolverarsi i pantaloni alla bell’
è meglio e porgere una mano a
Gokudera, che si limitò a guardarlo con quell’aria
stranita che sembrava non
volerlo più abbandonare.
- Andiamo?- Gli
sorrise di nuovo.
E quel sorriso gli provocò un dolore ed una gratitudine che
lo privarono di
ogni voglia di reagire.
- Decimo…-
Mormorò abbassando lo
sguardo, lontano da lui -… io non sono degno di essere il
vostro braccio
destro. Non sono degno nemmeno di far parte della vostra
Famiglia…- Aggiunse
tentando di frenare il tremito della propria voce.
-
Gokudera…- Lo interruppe Tsuna
con tono leggermente tetro -… Io non so niente di Famiglie
né di Boss né dei
doveri di un braccio destro. Non so nulla di quello che secondo te
è
disonorevole, non so nulla di omertà né di onore.
Tutto quello che ho capito di
stasera è che tu non stai bene… e non voglio
vederti così. Non voglio che tu mi
dica che cosa c’è che non va. Voglio che tu mi
dica se posso fare qualcosa…-
Gokudera quasi
temette di
ricominciare a piangere, se dalla vergogna o dall’immensa
gratitudine non lo
sapeva. Tutto ciò di cui ebbe certezza fu il calore nel
proprio petto,
rinvigorito ad ogni nuova parola del suo boss. Riuscì solo a
mormorare un “grazie”,
restituendo al volto di Decimo quel sorriso magico e caldo.
Mentre risalivano la
piccola
salita d’erba, mentre porgeva la mano a Decimo, per aiutarlo
a salire, la sentì
di nuovo, la voce di Yamamoto flebile e distrutta, mormorare quella
frase.
“Non
è amore, Gokudera…”
Stringendo ancora un
po’ la mano
di Decimo nella sua e tirandoselo contro, per fargli scavalcare senza
sforzi
l’ultimo tratto di salita, nella mente di Gokudera si
affacciò una
consapevolezza:
“Va
bene così. Non mi importa.”
Ed era
così: non gli importava ciò
che Yamamoto pensava, non gli importava se aveva ragione e non gli
importava
nemmeno se aveva torto. Tutto ciò che sapeva, tutto
ciò in cui aveva bisogno di
credere era che quel sentimento innegabile che provava per Decimo lo
faceva
stare bene; lo riempiva di luce e di serenità, e qualsiasi
cosa avesse fatto o
detto Yamamoto, non vi avrebbe rinunciato facilmente.
Come prevedibile, non
vi fu un
vero vincitore nella sfida indetta da Reborn che, ad un certo punto si
era
semplicemente stancato, defilandosi assieme a Bianchi. Li trovarono,
difatti,
tutti lì, più o meno come li avevano lasciati:
chi a chiedersi se il gioco
fosse concluso, chi a domandarsi se non si fosse fatto troppo tardi e
chi,
infine, ansioso di decretare comunque un vincitore. L’unica
cosa a cui
Gokudera, suo malgrado, prestò la massima attenzione, fu il
fatto di non
riuscire a scorgere Yamamoto, nemmeno quando, dopo un’altra
mezz’ora,
arrivarono anche Kyoko e Haru.
Si
preoccupò comunque di sembrare
indifferente alla cosa, anche quando qualcun altro sembrò
notare l’assenza del
ragazzo.
- Forse dovremo
andare a
cercarlo…- Soggiunse Tsuna, sospendendo Gokudera tra ansia
ed ammirazione per
la gentilezza del proprio boss.
- Sono certo che sta
benissimo, magari
è semplicemente andato ad occupare un posto per vedere
meglio i fuochi
d’artificio! Prima delle vacanze non faceva altro che parlare
di quanto si
vedessero bene dalla cima della collina!- Esclamò Sasagawa
incrociando le
braccia al petto con fare sibillino.
Gokudera attese un
po’ prima di
parlare, più di quanto normalmente avrebbe fatto, ma poi
annuì concordando con
Ryohei. Tsuna
rimase un attimo in
silenzio per poi accordare con una nota di dispiacere nella voce.
Le vie si erano
riempite di talmente
tanta gente che dovettero fermarsi spesso per aspettarsi l’un
l’altro e ed
impedire di perdersi di vista a vicenda. Avevano deciso di andare in
cima alla
collina per poter vedere i fuochi d’artificio, fiduciosi (chi
più chi meno) di
trovare Yamamoto ad aspettarli. Gokudera non riusciva a fare altro che
indugiare con lo sguardo sul volto pensieroso di Decimo, altalenando i
suoi
pensieri tra la preoccupazione, la voglia di rendersi utile al proprio
boss, e
la speranza di non incrociare più Yamamoto.
- Decimo…
cosa avete?- Chiese
infine, avvicinandosi appena ed abbassando il tono, in modo di essere
udito,
tra la folla generale, solo da lui.
-… Niente,
è solo che mi sembra
strano che Yamamoto sparisca così, fosse anche solo per
aspettarci più avanti.-
Mormorò Tsuna sorridendogli dolcemente; agitò
infine la mano davanti al volto
con fare noncurante e cambiò argomento, continuando a
camminare di fianco a
Gokudera.
La cima della collina
era
accarezzata da un vento fresco, ed il rumore della folla sembrava orami
lontano. La cittadina si estendeva a perdita d’occhio
illuminata dalle luci
delle vie in festa. Ryohei si gettò sull’erba
soffice e fresca sospirando
beatamente, mentre Kyoko ed Haru indicavano col dito qualche negozio
sperduto
nel panorama, che Gokudera non aveva mai sentito nominare, stupendosi
di quanto
fosse facile riconoscerli anche a quella distanza. Tsuna, invece,
continuava a
guardarsi attorno, ed ad affacciarsi sulla folla tentando di
riconoscervi
Yamamoto.
Gokudera si era, in
effetti, sorpreso
di non averlo trovato ad aspettarli, ma si sentiva tutt’altro
che preoccupato.
Sperava davvero di riuscire ad evitare la sua presenza fino a quando
non fosse
arrivato il momento di tornare a casa, sebbene riconoscesse
inspiegabile il
fatto che fosse come scomparso nel nulla. La cosa che lo metteva
più a disagio
era piuttosto il fatto che Decimo sembrasse davvero preoccupato e che
non
riuscisse a darsi pace.
- Sarebbe meglio
chiamarlo per
avvertirlo di dove siamo…- Continuava a mormorare
passeggiando avanti e
indietro, continuando a lanciare occhiate verso il chiasso della fiera.
-In effetti ha
ragione Tsuna… non
era qui ad aspettarci e magari ci sta cercando anche lui….-
Sussurrò Kyoko,
portandosi le mani al petto e fissando Haru con aria preoccupata.
- Gokudera- Lo
chiamò Tsuna
voltandosi verso di lui – Per favore, puoi chiamarlo? Io non
ho il cellulare
qui con me…-
Gokudera
sentì un peso al centro
del petto, gravoso e pungente. Avrebbe voluto urlare a tutti di quanto
Yamamoto
non meritasse neanche un grammo di quella preoccupazione, di quanto lo
avesse
scoperto meschino e crudele, di quanto lo disgustasse e di quanto
avrebbe
dovuto disgustare anche loro. Ma non riuscì a dire nulla. Si
limitò a rimanere
in piedi, con le mani tremanti dallo sconforto, mentre tirava fuori il
cellulare dalla tasca dei pantaloni. Si sentì sporco al solo
pensiero di dover
comporre il suo numero. Aveva appena poggiato il cellulare
all’orecchio quando
un tocco irruento sulla spalla lo costrinse a voltarsi.
- Ehi! Che ci fate
voi qui? Questo
è il nostro posto, andatevene!-
Il tizio davanti a
loro doveva
essere poco più grande di lui, alto e terribilmente magro.
Li squadrò con
espressione furiosa prima di rivolgersi direttamente a Gokudera.
- Ohi, non mi hai
sentito!? Che
hai da guardare?-
- Che urli a fare,
non lo hai
visto? Deve essere straniero, probabilmente non ti capisce
neanche…- Un altro
ragazzo, più basso ma decisamente più robusto del
primo, si fece avanti
fermandosi a pochi centimetri dal volto di Gokudera.
-Allora!? Mi capisci,
eh!? Dovete
levarvi dai piedi…-
Gokudera distinse
qualche mormorio
intimorito di Kyoko ed Haru alle sue spalle, e riconobbe il rumore dei
passi di
Ryohei sempre più vicini. Con fare calmo e scostante di
rimise il cellulare in
tasca e fissò il secondo ragazzo dritto negli occhi.
- Ti capisco eccome,
brutto
mostro, forse sei tu che non hai capito contro chi ti sei messo! Io non
vado da
nessuna parte…-
- Gokudera!...-
Udì chiamarlo la
voce di Decimo dal tono decisamente allarmato, prima che, quella
improvvisamente stridula del ragazzo davanti a lui, coprisse ogni altro
suono.
- Che cazzo hai
detto,
bastardo…!?-
Gli fu accanto in due
ampie e
goffe falcate, per poi allungare una mano e stringergli il bavero della
camicia, strattonandolo appena verso di lui. Prima che Gokudera potesse
fare
qualcosa vide Ryohei stringere, a sua volta, il polso del ragazzo
più alto con
fare intimidatorio che venne scemato dal suo tono calmo.
- Tranquilli, non
c’è bisogno di
agitarsi. Questo posto è grande abbastanza per tutti, se
volete possiamo
spostarci...-
- Col cazzo. Io da
qui non mi
muovo.- Mormorò Gokudera scrollandosi di dosso le mani di
entrambi -
Figuriamoci se la do vinta a due sfigati del genere.-
I due ragazzi
palpitarono
dall’irritazione e quello più basso si rivolse
nuovamente a Gokudera.
- Ti conviene
ascoltare il tuo
amico, ti eviteresti un bel po’ di guai!-
- Ah,
sì?... Hai intenzione di
chiamare tua madre?- Domandò Gokudera sorridendo in modo
arrogante, continuando
a fissarlo.
- Gokudera smettila!
Andiamocene e
basta! - La voce di Decimo lo raggiunse nuovamente, più
allarmata ed urgente di
prima.
Passò una
manciata di secondi
prima che Gokudera decidesse di raccogliere, a piene mani, tutta la sua
buona
volontà ed il suo autocontrollo. Si voltò e prese
a camminare verso Decimo,
scorgendo il suo voltò rilassarsi. Vide Ryohei imitarlo,
dirigendosi verso Haru
e la sorella, strette l’una a l’altra con
espressione tesa e spaventata.
L’iniziale fastidio scemò non appena Decimo gli
regalò un sorriso di
approvazione.
Fece solo pochi passi
prima di
sentire quel mormorio divertito alle sue spalle.
-… Ecco
è meglio se scappi.
Mezzosangue, figlio di puttana.-
L’unica
cosa che riuscì a
scorgere, fu l’espressione allarmata di Decimo, poi il corpo
si mosse da solo,
animato dalla rabbia improvvisa che gli divampò nel petto.
In pochi secondi fu
addosso al ragazzo più basso e, in ancora meno tempo,
avvertì le proprie nocche
cozzare contro i suoi zigomi. Quello oscillò sgraziatamente
prima di cadere a
terra, Gokudera lo afferrò per la maglietta per poi colpirlo
nuovamente, più
forte di prima. Sentiva il suo corpo contorcersi sotto di lui, scosso
da sbuffi
grotteschi di dolore, mentre cercava di toglierselo di dosso; ad ogni
nuovo
pugno il bisogno di continuare a colpirlo aumentava paurosamente. Come
in
un’eco lontana, fusa a quello che sembrava un tempo
velocizzato, riconobbe la
voce di Decimo e delle ragazze gridare qualcosa di indistinto e delle
mani
forti, probabilmente quelle di Ryohei, strattonarlo per le braccia e
per la
camicia. Non aveva nemmeno pensato alla dinamite, non aveva pensato a
nulla.
Solamente alla rabbia che sembrava non voler scemare… e
mentre continuava a
picchiarlo, sentendo la pelle sulle nocche lacerarsi ed il sangue
dell’altro
schizzargli sulle braccia, in un impeto di rabbia, quello sotto di lui
divenne
Yamamoto.
- Gokudera,
smettila!-
Decimo gli fu accanto
e gli
afferrò il braccio riuscendo, infine, a fermarlo. Lentamente
tutto torno alla
giusta velocità ed i suoni riacquisirono spessore. Il dolore
alle nocche ed il
suono pericolosamente accelerato del proprio respiro lo richiamarono
alla
realtà. Sotto di lui, il ragazzo si mosse, costringendolo ad
alzarsi
barcollando, fissandolo mentre, sbavando e sputando sangue, cercava di
toccarsi
la faccia senza urlare di dolore. L’altro ragazzo si
avvicinò al compagno
tentando di aiutarlo ad alzarsi, per poi voltarsi verso di lui e
lanciargli
un’occhiata bruciante di odio e terrore.
- Tu sei
pazzo…- Lo sentì
mormorare tra i lamenti dell’altro
Sentiva la stretta di
Ryohei
reggerlo ancora per le spalle e quella di Decimo sul suo polso.
Avvertì tutto
il corpo tremare dall’adrenalina e la bocca dello stomaco
dolergli dalla rabbia
che andava scemando. Prima che potesse riprendersi e dire qualcosa,
Gokudera
avvertì la presa di Decimo sul polso abbandonarlo, e quando
si voltò verso di
lui, Tsuna si era già avviato per la discesa che portava
nuovamente alla fiera.
Avvertì
il panico pervaderlo nuovamente e con
uno scossone si liberò della stretta di Ryohei, ancora salda
sulle sue spalle,
rischiando di inciampare più volte per via del tremore alle
gambe, nel
tentativo di raggiungerlo in fretta. Appena gli fu accanto
l’espressione
rammaricata e dolente del suo volto rischiò di farlo
piangere dall’urgenza di
scusarsi e dalla costernazione.
- Decimo
io…-
- Perché
devi sempre fare così?
Sempre!- La sua voce era ferma ma Gokudera vi avvertì la
rabbia e l’incontinenza.
- Potevamo andarcene. Perché hai dovuto per forza prenderlo
a pugni!?... Lo sai
benissimo che non lo sopporto, mi spaventa! Puoi pensare che sono un
vigliacco,
puoi pensare quello che vuoi… ma non voglio che tu,
né che nessuno che conosco,
venga coinvolto in certe stupidaggini!-
Gokudera non
riuscì a dire nulla,
anche se avrebbe voluto. Il respiro affannato ed il battito accelerato
del
proprio cuore, gli impedirono di aggiungere altro. Kyoko li
chiamò, poco più
indietro e Tsuna si voltò verso di lei.
-… Non so
cosa tu abbia. Ma, ti
prego, smettila di comportarti così!- Decimo lo
fissò negli occhi mentre lo
diceva per poi avvisarsi verso gli altri, e Gokudera si
sentì colmare si
vergogna e di impotenza.
La serata si era
conclusa con
qualche battuta imbarazzata e la promessa di risentirsi al
più presto. Gokudera
non aprì bocca per tutto il tempo. Solo quando Decimo si
incamminò verso casa
propria si affrettò a seguirlo, ma Tsuna lo
guardò e, con aria stanca anche se
visibilmente meno arrabbiata di prima, lo pregò di andare a
casa da solo.
Nessuno si era
nemmeno più
preoccupato di dove fosse finito Yamamoto.
Il chiasso della
festa era cessato
da molto ormai, eppure Gokudera aveva continuato a camminare senza una
meta
precisa, percorrendo i mille vicoli e le stradine della cittadina. Non
aveva la
minima voglia di andare a casa, né di dormire, sebbene le
mani gli facessero
ancora male ed il sudore e qualche schizzo di sangue gli impregnassero
ancora
la camicia. L’unica cosa che sentiva aver la forza di fare
era camminare e
galleggiare un po’ nel limbo del “non pensare a
niente”, perché sentiva che se
si fosse fermato a riflettere per meno di cinque secondi sarebbe
scoppiato in
lacrime o in un urlo isterico. Si frugò in tasca alla
ricerca di una sigaretta
ma l’unica cosa che trovò fu il pacchetto vuoto e
spiegazzato che gettò a terra
con un gesto di stizza.
La testa gli girava
ancora e aveva
la gola secca, si frugò ancora in tasca tirando fuori
qualche spicciolo e si
diresse ad un distributore automatico poco più avanti. Nel
vicolo buio la luce
della macchina era l’unica illuminazione e Gokudera
trovò quell’atmosfera
sospesa tra luce ed ombra quasi rassicurante. Il chiassò
delle monetine che
scivolavano nell’apparecchio e il clangore della lattina di
cola che si
schiantava all’interno del cesto, rimbombando contro le
pareti del vicolo, gli
sembrarono quasi assordanti. Il sibilò della lattina che si
apriva fu l’ultimo
rumore che scosse la tranquillità del buio che lo circondava.
Si poggiò
contro il distributore,
attenuando ancor di più la luce nel vicolo, lasciandosi
scivolare fino a
toccare terra. Si portò la lattina fresca alle labbra e
bevve finché non la
sentì svuotata quasi completamente. La gola adesso era meno
secca, eppure non
si sentiva affatto meglio. Da quando quella storia era cominciata, la
sua vita
era stata un susseguirsi di eventi disastrosi e, adesso, avvertiva
reale più
che mai la possibilità di venir abbandonato perfino dal
Decimo.
Respirò
profondamente e strinse i
denti finché la mascella non gli dolette. Cosa avrebbe fatto
la prossima volta
che il telefono fosse squillato per una chiamata di Yamamoto? Lo
stomaco gli si
irrigidì al solo pensiero, si poteva morire per la troppa
afflizione? Era
stanco, veramente stanco.
Come se si stesse
destando da un
sogno, Gokudera avvertì dei rumori farsi sempre
più reali e vicini, finché non
divennero due voci distinte. Storse la bocca seccato: neanche in un
vicolo di
notte riusciva a stare in pace. Erano due voci maschili che discutevano
animatamente, sempre più vicine. Gokudera si
sentì turbato ancor prima di
realizzare il perché. Non si mosse, restò
silenzioso ed immobile contro il
distributore finché i due non voltarono l’angolo e
si diressero verso di lui.
Uno, alto e molto magro -la cui figura scura nel vicolo buio era quasi
inquietante- sorreggeva l’altro più basso e
decisamente più robusto che mugugnava
incomprensibilmente come se avesse delle noci in bocca.
- Lo ammazzo -
Mugugnò il più
basso sputando a terra -Giuro che se lo incontro di nuovo lo ammazzo!-
- Chi cazzo se lo
aspettava!?...
Sembrava uno psicopatico. Ti è saltato addosso in meno di un
attimo!... Nemmeno
quell’altro tipo è riuscito a farlo smettere!-
Disse l’altro -… Ti offro
qualcosa, non ci pensare per ora.-
Gokudera smise di
respirare per un
attimo, mentre si irrigidiva ancora di più contro il
distributore. Erano i tipi
della collina. Se avesse potuto si sarebbe quasi messo a ridere per la
sua
strabiliante sfortuna. Ma l’unica cosa che riuscì
a fare fu alzarsi lentamente
cercando di non farsi vedere in faccia.
- Merda, ho finito i
soldi! …Ehi,
ragazzino, hai qualche spicciolo?-
Decisamente non era
la sua
giornata fortunata quella. Gokudera tentò di far finta di
nulla ed accelerò il
passo cercando di raggiungere il prima possibile la strada principale.
Di norma
non si sarebbe certo preoccupato di due tipi del genere, poteva
stenderli come
e quando voleva, ma non aveva alcuna voglia di scontrarsi -verbalmente
o
fisicamente- con qualcuno, specie dopo quello che Decimo gli aveva
detto.
- Ehi! …
Ehi! Sto parlando con
te!...-
In poche falcate il
ragazzo più
alto gli fu accanto e lo strattonò per la camicia; non
riuscì a fare nulla se
non ascoltare le parole morirgli in gola e vedere la sua espressione
mutare in
una maschera di rabbia non appena lo vide in faccia.
-…
è il ragazzino di prima…!
O-Oku! È il bastardo di prima!- Strillò quello
continuando a strattonarlo per
la camicia. L’altro lo raggiunse subito e Gokudera quasi
atterrì per la sua
espressione deformata dai lividi dal sangue rappreso.
- Brutto
stronzo…- Ringhiò
rabbuiandosi e stringendo i pugni -Lo sai che hai fatto!? –
Gli urlò
sferrandogli un pugno che Gokudera riuscì a schivare senza
troppi problemi,
liberandosi dalla stretta del più alto.
- Ti ho reso
più bello…- Sorrise
Gokudera indietreggiando di nuovo.
Il ragazzo magro gli
fu di nuovo
addosso e lo bloccò per le spalle. Gokudera stava quasi per
colpirlo quando il
volto di Decimo gli apparve di nuovo, deformato da
quell’espressione di
spavento e rabbia:
“Lo sai
benissimo che non lo sopporto, mi
spaventa!”
Prima che potesse
anche solo
realizzare a come agire di conseguenza alla fitta dolorosa che quel
ricordo gli
aveva procurato al centro del petto, un pugno lo colpì in
pieno. La testa gli
rimbombò dolorosamente e, prima del dolore alla guancia,
avvertì il sapore del
sangue riempirgli la bocca.
- Ora ci
divertiamo…!-
Un altro pugno lo
colpì dal basso
ed avvertì una fitta lancinante lungo la schiena e dietro
gli occhi, come se
una scarica elettrica fosse partita dalle sue nocche. Più
che dolorante o
furioso Gokudera si sentì umiliato ed impotente, e non se ne
stupì più di
tanto, il tremore furente alle mani era automatico e, se avesse potuto,
lo
sapeva, li avrebbe fatti a pezzi seduta stante, anche solo per avere la
possibilità di sentirsi rinvigorito come quando aveva
colpito quel tizio con
tutta la forza che aveva. Ma le parole del Decimo, la sua espressione
spaventata quando lo aveva visto scattare contro quei due…
governavano ogni
centimetro del suo corpo, costringendolo
all’immobilità.
Gokudera aspettava
già il terzo
pugno, la testa bassa, gli occhi chiusi e la bocca piena del suo stesso
sangue,
quando un fragore improvviso lo costrinse ad alzare la testa. Senza che
lui
avesse mosso un dito vide il suo aggressore scaraventato contro il
distributore
automatico, che oscillò pericolosamente prima di tornare
traballante al suo
posto, mentre quello rimase accasciato al suolo.
Prima di poter capire
cosa, a
conti fatti, fosse successo, sentì l’altro tizio
strillare qualcosa di
indistinto per poi avvertire la sua stretta abbandonarlo completamente.
Si
voltò appena in tempo per vederlo atterrare in malo modo
sull’asfalto del
vicolo. Gli ci vollero diversi secondi per accorgersi che
c’era qualcun altro.
-… Stai
bene?-
Gokudera rimase
immobile, non
sapeva se sentirsi grato o, semplicemente, ancor più
sfortunato di prima. Seppe
solo percepire il proprio cuore fermarglisi nel petto, le gambe quasi
gli
cedettero per la sorpresa. Infine, riuscì a voltarsi verso
la persona al suo
fianco.
-…
Yamamoto…?-
Ebbene
sì, sono riuscita ad aggiornare! Non presto quanto speravo
ovviamente.
Cavolo,
mi sembra passata un’infinità
dall’ultimo capitolo… mi scuso enormemente
ma… un
po’, per citare Gokudera… non è proprio
il mio periodo fortunato questo. Non so
che dire se non che spero in un vostro commento e augurandomi di
rivederci il
più presto possibile!
P.s:
l’appellativo “mezzosangue” che i due
rivolgono a Gokudera non è un omaggio a
Harry Potter (anche se sarebbe carino <3) Gokudera è,
a conti fatti, mezzo
giapponese e mezzo italiano, e anche nel manga due o tre volte si vede
dei
mafiosi chiamarlo così; ovviamente in senso dispregiativo!