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Autore: Euachkatzl    24/07/2013    3 recensioni
“Black window of la porte? Ma non è quella…”
“Sì, Tico, è quella che tu non riesci a suonare neppure su Guitar Hero” gli rispose Richie, un po’ pentito di avermi preso in giro, ora che stavo suonando perfettamente una delle canzoni più difficili che avesse mai sentito.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Every time I look at you, baby,
I see something new
That takes me higher than before
And makes me want you more,
I don’t wanna sleep tonight,
Dreamin’s just a waste of time,
When I look at what my life’s been coming to,
I’m all about lovin’ you.

 
Essere la chitarra solista di un concerto è sempre una responsabilità piuttosto grande. Se sei la chitarra solista in un concerto dei Bon Jovi, sostituendo il 28esimo miglior chitarrista di sempre, la cosa si complica ancora di più. Però, tutto sommato, il concerto andò bene. Era vero, le canzoni le conoscevo, la chitarra la sapevo suonare, l’unica cosa che mi bloccava era la paura. Ma quando sei sul palco, quando vedi 20mila persone che urlano sentendoti fare un assolo, la paura se ne va. Piuttosto, ti senti un dio, in grado di abbattere qualsiasi ostacolo. Ti senti il migliore di tutti. Anche se hai vent’anni e ti sei ritrovato quasi per caso sul palco dei Bon Jovi.
Dopo il classico inchino, dopo che le luci si spensero, dopo che ormai avevo finito tutta l’energia nel mio corpo, le preoccupazioni che avevo scacciato tornarono prepotenti nella mia testa. Gli altri si fermarono a firmare autografi e fare foto, mentre io preferii tornare subito in camerino: avevo qualche domandina da fare al signor Sambora.
 
Tentai di aprire la porta, ma la maniglia non si decideva ad abbassarsi. Qualcuno doveva aver chiuso a chiave. Provai a bussare e ribussare, ma dentro al camerino sembrava non esserci nessuno. Cercai un tecnico e gli chiesi le chiavi, spiegandogli brevemente la situazione. Lui mi accompagnò fino alla porta ed estrasse dalla borsa che portava a tracolla un grosso mazzo di chiavi. Ne esaminò un paio, finchè non trovo quella giusta. Tentò di infilarla nella toppa, ma entrava solo a metà. “C’è già un’altra chiave dentro. Qualcuno ha chiuso la porta dall’interno”. Come qualcuno ha chiuso la porta dall’interno? Avevo bussato per un dieci minuti e nessuno mi era venuto ad aprire. Ringraziai velocemente il tecnico e ripresi a battere sulla porta. “Richie, sono io” chiamai, ma dall’interno non si sentiva niente. Cominciò a montarmi il panico. “Richie!” chiamai più forte, ma sempre zero assoluto. Mi voltai e appoggiai la schiena alla porta, cercando di calmarmi. Non era successo niente. Non poteva essere successo niente. Doc aveva trovato la droga nella borsa di Richie e gliel’aveva portata via. Tutta. Ripresi a bussare. Dio santo, Richie, apri questa cazzo di porta. Alla fine mi arresi e corsi dagli altri nel backstage, ancora presi a farsi foto con ragazzine che urlavano come galline. Tutta quella confusione, sommata a quella che avevo nella mia testa, mi fece quasi mancare il fiato. Scalciando, mi feci strada fino a Jon che, nel vedermi così preoccupata, si incupì subito. “È successo qualcosa?” mi chiese. Come risposta gli presi un braccio e lo trascinai via, tra le proteste di tutte le fan che avevano aspettato chissà quanto per incontrare il loro idolo. Si fottano, io ero terrorizzata. Non degnai Jon di una spiegazione finchè non fummo di fronte alla porta del camerino, ancora chiusa a chiave. “Richie è  dentro e non mi risponde. E ieri sera era fatto, e forse anche prima del concerto si era drogato, e adesso non mi risponde, è mezz’ora che busso e niente, neanche un suono, e io mi sto preoccupando, e cazzo, ho paura” Jon, investito da quella marea di parole, si irrigidì, cercando di far ordine nei suoi pensieri. Quando ci riuscì, si irrigidì ancora di più. “Ok, ascolta” disse, in un goffo tentativo di prendere in mano la situazione “Adesso chiamo qualcuno e… bo, forse dobbiamo buttare giù la porta, vediamo che fare. Tu sta qua e tranquillizzati, d’accordo?” Il biondo corse lungo il corridoio, alla ricerca di qualsiasi persona che avrebbe potuto dargli un consiglio. Anche Babbo Natale in quel momento sarebbe stato adatto. Mi appoggiai contro il muro e mi lasciai scivolare a terra. Era tutto così assurdo. Non poteva essere vero. Mi ero creata una storia nella mia testa che non poteva stare in piedi. Richie doveva essere nella sua camera d’albergo, a dormire, a leggere, a fare qualsiasi cosa. Non poteva essere in quel camerino, no no. Jon tornò dopo un po’ con il tecnico che mi aveva dato le chiavi. “Scusami, piccola, ma dobbiamo buttare giù la porta” mi spiegò con un inglese perfetto, da londinese doc. Mi alzai e mi allontanai di qualche passo, chiudendo gli occhi. Quando sentii il rumore della pota che finalmente cedeva, scivolai velocemente dentro il camerino, precedendo Jon e quel tizio dall’accento perfetto. Mi fermai al centro della stanza e mi guardai intorno. Nessuno. Mi ero inventata tutto, per fortuna. Non mi sentivo stupida, mi sentivo sollevata. Mossi qualche passo intorno alla stanza, per poi bloccarmi sull’uscio del bagno, pietrificata. Ebbi un giramento di testa talmente forte che fui costretta ad appoggiarmi al muro per non cadere. Era lì, di fronte a me. Era seduto per terra, appoggiato al muro, con la testa all’indietro e gli occhi chiusi, la bocca semiaperta e la pelle lattea. Bianchissima. Cadaverica. L’incavo del gomito aveva dei puntini rossi, ai suoi piedi una bottiglia di vodka mezza vuota.
Jon si avvicinò lentamente a me e rimase immobile anche lui di fronte al suo migliore amico in quelle condizioni. Mi posò una mano sulla spalla, incapace di fare altro. Alzai la testa, distogliendo lo sguardo da Richie, e lo guardai negli occhi. Erano di ghiaccio, inespressivi, lucidi. Era un miscuglio di emozioni diverse. Il tecnico capì la situazione e corse a chiamare un infermiere, che arrivò subito. Ce ne andammo, un po’ per farlo lavorare in pace e un po’ perché non ce la facevamo più a restare in quel camerino.
 
Tico, David e Logan erano già stati avvertiti dell’accaduto ed erano tornati in hotel, come aveva ordinato loro Doc. Erano tutti ad aspettarci nell’atrio dell’albergo, manager compreso, e appena ci videro arrivare si avvicinarono a noi, evitando però di fare domande, viste le nostre facce ancora sconvolte. Tico mi abbracciò forte, mentre Dave andò da Jon. Piansi. Solo in quel momento, i pensieri cominciarono a riordinarsi, facendomi vedere la situazione per quello che era. Richie era… Cos’era? Era morto, era vivo, stava bene, non stava bene… “Vado in camera mia” mormorai, districandomi da quell’abbraccio che, invece di farmi sentire sicura, mi faceva solo star peggio.
 
Fu una brutta nottata. Bruttissima. Quell’immagine di Richie, appoggiato alle piastrelle bianche, non se ne voleva andare dalla mia testa. Camminai su e giù per la stanza finchè non fui talmente stanca da potermi solo buttare sul letto, il letto di una camera d’albergo di Londra. Fanculo, Londra, non tornerò mai più in questa merda di città. Mi girai sulla schiena e rimasi a fissare il soffitto beige, canticchiando una filastrocca che mi avevano insegnato all’asilo. Perché mi venne in mente quella canzoncina, proprio in quel momento, non lo so ancora. So solo che il suo ritmo lento e regolare riappacificò un po’ il mio cervello, permettendomi di rilassarmi. I miei occhi si chiusero, i pensieri diventarono una nuvola informe in un angolino della mia testa e finalmente mi addormentai.
Mi svegliai di soprassalto quando una mano mi toccò la schiena. Avevo la bocca impastata dal sonno, la vista offuscata. Mi misi seduta e mi stropicciai gli occhi, scoprendo poi di aver di fronte un uomo. “Jon?” chiesi, timidamente; non ero così sicura che si trattasse di lui. Mi sentii accarezzare i capelli.
“Sì, Juju, sono io…”
“Come hai fatto a entrare?”
“Non avevi chiuso bene la porta” Jon si accomodò di fronte a me, a gambe incrociate. Mi strofinai nuovamente gli occhi, ritrovandomi con le dita macchiate di nero. Il trucco non doveva essere perfettamente a posto. Rimanemmo in silenzio per un paio di minuti, poi Jon decise di cominciare la conversazione.
“Dobbiamo parlare”. Bell’inizio. ‘Dobbiamo parlare’ è una di quelle frasi che sarebbe meglio non pronunciare mai, perché scatena nell’altra persona una preoccupazione assurda. Mi feci un rapido esame di coscienza. Avevo sbagliato qualcosa? Avevo conti in sospeso con qualcuno? Dopo aver risposto ‘no’ a tutte le domande, posai il mio sguardo sugli occhi blu di Jon. “Sono… preoccupato. Per Richie, ma anche per te. Come ti senti?” Già, come mi sentivo? Nelle ultime ore il mio pensiero principale era stato come si sentiva Richie, ma come mi sentivo io? Mi sentivo… male. Colpevole, in un certo senso. Impotente. Male. Fu quella la risposta che diedi a Jon. Male.
“Sì, so quanto tu ci tenga a Richie” Ma cosa vuoi saperne? “Doc ha detto che poco fa hanno chiamato dall’ospedale. Possiamo andare a trovarlo quando vogliamo” Non ero sicura di aver voglia di andare a trovarlo. Quella maledetta immagine non se ne andava via dalla mia testa, e rivederlo me l’avrebbe fatta ricordare ancora più vividamente. “D’accordo” mormorai, alzandomi e dirigendomi in bagno.
Aprii l’acqua calda e rimasi sotto la doccia per un’infinità di tempo, canticchiando quella filastrocca che mi aveva tanto rassicurata quella notte. Non avevo idea di che ore fossero, ma dalla luce che entrava dalle tapparelle appena mi ero svegliata doveva essere mattina inoltrata. Una bella mattina di sole. Mi infilai l’accappatoio beige dell’hotel e mi guardai allo specchio. Ero pallida, con i capelli bagnati appiccicati alle tempie. Avevo gli occhi gonfi e arrossati, lo smalto delle unghie che cominciava a screpolarsi. Non ero un gran bello spettacolo. Uscii dal bagno, Jon era ancora seduto sul mio letto, esattamente nella posizione nella quale l’avevo lasciato, con gli occhi fissi nel vuoto. Certo, era una rockstar, era perennemente circondato da donne adoranti, ma prima di tutto era un uomo. Un uomo normale, che si spezza facilmente. Un uomo che voleva un bene dell’anima al suo migliore amico, che adesso era in un letto d’ospedale. Da solo. Mi asciugai i capelli, mi vestii velocemente e presi Jon per mano. “Andiamo” sussurrai, e insieme prendemmo un taxi diretto all’ospedale.
 
“Buongiorno” salutai un’infermiera che stava masticando una chewing gum piuttosto sonoramente. Questa alzò gli occhi scocciata, squadrandomi da capo a piedi. “Può dirmi dov’è il signor Sambora?”
“Se ha qualcosa da lasciargli, la lasci qui” rispose sgarbata lei, indicando una pila di oggetti ammucchiati più o meno ordinatamente sopra una poltrona.
“No, devo parlargli, sono una sua amica”
“Senti, rossa, sono venuti quindici ‘amici’ stamattina. Non posso far entrare chiunque”
“Fanculo” mormorai, neanche troppo a bassa voce, e mi avviai con Jon verso la porta a vetri, intenzionata a trovare la camera di Richie.
 
“Secondo te in che reparto potrebbe essere?” chiesi a Jon, leggendo a uno a uno i nomi assurdi che campeggiavano sulla mappa dell’ospedale.
“Juju!” mi sentii chiamare da una voce dietro di me. Mi voltai e vidi Doc alla fine del corridoio, seguito da Logan, Tico e Dave. “Che ci fate qui? Richie è dall’altra parte dell’edificio” Detto questo, ripartì di gran carriera, facendoci cenno di seguirlo.
Quell’ospedale era davvero grande. Raggiungemmo il reparto giusto dopo dieci minuti, ma finalmente trovammo quella benedetta camera. Era una camera singola, con un armadio in un angolo e una porta all’angolo opposto, che probabilmente portava ad un bagno. La parete di fronte al letto era interamente in vetro, e il panorama era diecimila volte meglio di quello della mia camera d’albergo. Chissà come doveva essere bello, la notte. Richie dormiva della grossa, disteso su un letto che non dava certo l’aria di essere comodo. Eravamo ancora fermi fuori dalla porta, quando un’infermiera ci notò e ci venne incontro. “Non è orario di visite, questo. Dormono ancora tutti” bisbigliò. Era un elegante invito a toglierci dalle palle.
“Eravamo preoccupati per il nostro amico” spiegò Tico. L’infermiera sbuffò. “Non può stare così tanta gente qui, adesso. Una persona al massimo” Guardammo tutti Jon, che però si voltò e mi disse: “Resta tu”. Non avrebbe potuto dire cosa più bella.
“Potete tornare tra tre ore” informò l’infermiera, mentre tutti si dirigevano verso l’uscita del reparto. Una ricerca disperata della camera e, sul più bello che l’avevano trovata, dovevano andarsene. Entrai e mi sedetti su una sedia accanto al letto. Per ammazzare il tempo, presi una rivista dal comodino e cominciai a sfogliarla.
Ero arrivata a metà di un articolo dal titolo ‘Is rock n’ roll dead?’, quando un “Buongiorno, stellina” mormorato piano mi fece tornare al mondo reale. Abbassai il giornale e vidi Richie che tentava goffamente di mettersi seduto. Quando finalmente ci riuscì, mi chiese: “Ci sei solo tu?” Gli sorrisi, lo vedevo… bene. Lui mi sorrise a sua volta, e a quel punto mi ricordai della domanda che mi aveva appena posto. “Sì, non è orario di visite e poteva rimanere solo una persona”
“Tanto meglio. Volevo parlarti” Sentirmi dire quella frase un’altra volta mi costrinse ad un nuovo esame di coscienza, ma in quel momento dovetti ammettere di averne fatti, di errori. “Parlarmi?”
“Parlarti” mi confermò Richie. “Ti ho fatta preoccupare parecchio, no?” Abbassai gli occhi, ripensando al panico che mi aveva fatto compagnia per tutta la notte. “Già. Direi di sì” Lo guardai. “Perché l’hai fatto?” chiesi, senza mezzi termini.
“Quella chiacchierata con te, l’altro ieri… Mi ha fatto ricordare cose che avevo considerato cancellate. Ha riaperto vecchie ferite. E anche ferite piuttosto recenti”
“Mi dispiace” fu l’unica cosa che riuscii a dire. Era colpa mia.
“Non fartene una colpa” mi consolò lui, come se mi avesse letto nel pensiero “Tutto quello che è successo tra noi… Certo, è stato anche a causa tua, ma tu eri disposta a ricominciare. Sono io che ho voluto chiudere tutto”
“Non avevi tutti i torti. Sentirsi traditi non è una gran bella cosa”
“Ti ricordi quando ti ho raccontato che avevo scommesso con i ragazzi che ti avrei sposata?”
“Certo”
“Non la voglio perdere, quella scommessa”
 
Nota dell’autrice:
nsogbveuogwneutho anch’io voglio un Richie T.T
 
Comunque non è finita, ho una mezza idea di scrivere un epilogo ma… sorpresa!! Sarà un attimo traumatico, lo ammetto ù.ù
Oooooook, spero che la storia vi sia piaciuta, e dalle recensioni che mi avete lasciato credo proprio di sì.
Tanto amore, Euachkatzl <33  
 
  
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