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Autore: Dark_Blame    24/07/2013    0 recensioni
Merda, pensò Nikolaj, avrò fregato Trenitalia salendo sui regionali senza biglietto si e no tre volte in tutta la mia vita, e la Morte lo sa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo cellulare era una pietra fredda, con uno schermo liscio e luminoso.

La Morte l’aveva riportato a casa, nel giusto anno, ancora lontano dal 2030. Aveva pensato per un po’, e aveva deciso che il mezzo migliore era un SMS. Come ferire meglio una persona? Un conciso, impersonale, messaggio tramite telefono. Qualcosa che non lasciasse scampo, che non ammettesse ripensamenti.

Gli bastava inviare quel messaggio e rifiutarsi di rispondere ad altre richieste. Inviare e sparire per sempre. Inviare – e diventare un fantasma, piuttosto che un mostro. In genere era molto bravo a trovare le parole adatte, ma quel giorno esse si rifiutavano di assecondarlo. Era faticoso. In un modo o nell’altro, riuscì infine a mettere insieme i pezzi di quello che doveva essere il più efficace sms mai scritto; il messaggio che avrebbe rotto ogni legame tra lui e Gael.

Appoggiò il telefono sulla scrivania e si gettò contro lo schienale della sedia. La luce del sole di Luglio lo colpiva inclemente. In un periodo di tempo breve, lo sapeva, avrebbe dovuto premere il tasto verde dell’invio. Non poteva aspettare la notte. La notte era sempre troppo carica di significati per compiere azioni a mente lucida. La notte era il momento di cambiare idea.

Passarono i minuti. Il suo mp3 gli vomitò una canzone nelle orecchie, e poi un’altra. Sapeva benissimo che cosa stava succedendo – più il tempo scorreva e più aumentavano le possibilità che lei lo contattasse. Considerando che non si era fatto vivo per due giorni, era probabile. Guardava il cellulare come fosse stato l’Unico Anello del libro di Tolkien. L’oggetto del potere. E come quel bamboccione di Frodo, lui era lì a fissarlo invece di fare la cosa giusta.

Nel Signore degli Anelli di Tolkien, il protagonista arriva a dover distruggere una piccola fede dorata, che contiene in sé tutto il male possibile e immaginabile, ed esita, perché la lusinga del potere cerca di farlo deviare dalla retta via. Aveva odiato l’espressione ebete dell’attore che recitava Frodo, nel film. Eppure in quello stesso momento stava indugiando, quando poteva semplicemente inviare quel fottuto messaggio.

Certo avrebbe fatto male, a lui e a lei. Ma non quanto spingere lei a commettere un omicidio-suicidio. Da qualunque lato la guardava, quella era l’unica scelta disponibile.

Testa, disse il suo cervello, o croce.

Si alzò e andò in bagno, guardandosi nello specchio. Aveva bisogno di farsi la barba.

Bianco, disse il suo riflesso, o nero.

Il colore del suo viso non appariva del tutto naturale, oltretutto. Continuò a fissare nel pozzo dei suoi occhi castani, senza distogliere lo sguardo. Probabilmente aveva anche un serio bisogno di una doccia. Biascicò, con in bocca ancora il sapore della birra della sera prima.

«Vita,» disse Nikolaj, «o …»

Qualcosa nei suoi occhi cambiò. Non era stata quella una delle prime lezioni che aveva imparato, nella sua crescita? Perché si era sempre scontrato con la realtà? Appoggiò le mani sul lavandino, sporgendosi contro lo specchio. Perché aveva sempre fatto a botte con gli eventi, e perché, in genere, le aveva prese?

Sapeva troppo bene la risposta a quella domanda.

Nikolaj aveva sempre avuto un’idea abbastanza precisa di come le cose dovessero funzionare, nel mondo. Bianco, o nero. Anno dopo anno la realtà aveva fatto di tutto per maciullare i suoi ideali – frantumandoli, uno per uno.  Insegnandogli coi fatti che il mondo non è perfetto e non è giusto, ma nemmeno la sua presunzione di poterlo giudicare, e classificare come “buono” o “cattivo” lo era. Facendogli conoscere che c’erano più sfumature di grigio che il suo occhio potesse percepire. La vita era stata chiara – Nikolaj non era Dio, non era un giudice, non era un paladino – e più volte l’aveva costretto a infrangere i suoi stessi principi. La vita aveva trasformato un bambino cresciuto con tante belle favole in un adulto complicato.

Ma nonostante tutto, Nikolaj aveva ancora gli occhi buoni. Oh, si, era un’ipocrita, e si nascondeva dietro maschere, talvolta si approfittava del suo prossimo, talvolta rideva amichevole assieme a persone che detestava. Talvolta, semplicemente, detestava tutti indistintamente. In quel momento non aveva importanza. In quel momento, riusciva ancora ad apprendere da i suoi errori.

Non era stata la prima lezione che aveva imparato?

«Non esistono il bianco e il nero.» confidò profetico, allo specchio. «Da soli, non significano una merda.»

La verità stava nelle sfumature. Come lo Ying e lo Yang. Se tutto fosse stato diviso in due, bene e male, il mondo sarebbe stato così facile – stupidamente facile. Era difficile accettarlo, ma, cristo, aveva senso! Nonostante la valanga di luoghi comuni che affollava la sua testa, spalancò gli occhi.

Testa o croce? Vita o morte? Prendere … o lasciare?

Quello era un gioco da bambini! E per poco ci era rimasto fregato.

«Morte,» sussurrò Nikolaj, e visto che niente accadeva, andò ad afferrare un coltellino svizzero dalla sua borsa.

«Morte,» ripeté, a denti stretti e con la lama che gli incideva, dolorosamente, il braccio.

  
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