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Autore: Chi no Yuuki    24/07/2013    1 recensioni
Quattro ragazzi in fuga dalla follia di un giovane e spietato reggente. Saranno accompagnati da uno scostante principe e dalla sua fenice, e da una strana ragazza dai capelli color della neve.
Cavie inconsapevoli di un esperimento che sconvolgerà l'ordine naturale delle cose, saranno in grado di rimettere le cose al loro posto? Vittime di un destino cieco che a volte ha uno strano senso dell'umorismo, impareranno a fidarsi solo delle proprie forze e visiteranno luoghi selvaggi ai confini dei pianeti conosciuti. Impareranno che viaggiare nello spazio non sempre è divertente e apprenderanno sulla propria pelle il significato dell'essere braccati. Accompagnati dal proprio spirito, dovranno affrontare i propri demoni per trovare la soluzione a questo pericoloso gioco.
Bisogna fare in fretta, l'ordine deve essere ristabilito.
// E' la mia prima storia... Ditemi cosa ne pensate, sono curiosa di saperlo, c'è sempre modo di migliorare no?
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo grigio fuori dalla finestra prometteva pioggia. Mi rintanai sorridente sotto la coperta pesante, sapendo che avrei passato la giornata al coperto in quelle quattro mura grigie, e rimasi a guardare il cielo.

Ero nata lì, abbandonata da una madre irresponsabile e forse troppo giovane, ad una gruppo di sacerdotesse della Dea votato al servizio della vita in tutte le sue forme. Avevo studiato per anni presso di loro con altre orfane come me e alcune apprendiste. Ora, terminati gli studi basilari dovevo decidere del mio futuro.

Le sacerdotesse hanno due scelte, una volta giunte a questo punto: rimanere nubili a vita, o trovare un compagno tra i guerrieri.

Solo per essere precise, i guerrieri, sono i nostri aitanti vicini di casa; fanno parte di un ordine sacerdotale, esclusivamente maschile che provvede alla difesa delle sacerdotesse della Dea, e, a dirla tutta, anche a fare i lavori pesanti.

Fortunatamente  noi orfane siamo più libere, non abbiamo fatto alcun giuramento, né alcuna scelta sacerdotale, quindi abbiamo la possibilità di vivere con e come le sacerdotesse, purché prestiamo servizio un paio di volte a settimana, senza però vivere il nubilato o il matrimonio obbligato.

Quando mi vide sveglia, Mariae, un cucciolo di gatto che avevo salvato dalla strada tempo prima, saltò sul letto e s’infilo sotto le coperte insieme a me, facendo le fusa. Era un piccolo, tenero ammasso di pelo, e adoravo averla attorno. Se una delle sacerdotesse ci avesse viste così, ancora in pigiama e pigramente distese, si sarebbe certamente arrabbiata: “La pigrizia non è nei valori delle sacerdotesse. Il riposo è per le ore notturne, dall’alba al tramonto bisogna lavorare”, avrebbe detto.

La campana della sveglia suonò, precisa come ogni mattina.

Mi alzai, preparandomi per le ore di apprendistato e lavoro in giro per i laboratori delle sacerdotesse. Indossai la divisa delle Accolite, così erano chiamate le ragazze nella mia medesima condizione.

Vestii l’abito lungo, il corsetto e il giacchino; indossai le scarpe e legai i capelli secondo le regole.

Quando fui pronta uscii ed andai a mensa. Strada facendo incontrai un gruppetto di Accolite che seguivano il mio stesso percorso. Riconobbi immediatamente quelle che potrei definire le mie sorelle adottive, due ragazze molto diverse tra loro.

Cassandra e Ashley erano le mie compagne da sempre, eravamo cresciute insieme, fidandoci sempre l’una delle altre.

Le guardai. Cassandra aveva corti capelli biondo scuro, quasi castani, da cui spuntava un unico codino lungo sino a metà schiena. Era una ragazza di buon cuore, ma istintiva ed imprevedibile.

Ashley era tutt’altra cosa: bionda, occhi chiari e un carattere non facile. Da quasi un anno era la compagna del mio fratello naturale, Daniel.

Arrivammo in sala mensa, e prendemmo come al solito posto accanto alle finestre a ovest. La colazione era già stata servita dalle inservienti: latte freddo, cereali, miele burro e fette di pane scuro.

Cominciammo a mangiare, vivendo nella convinzione che quella giornata sarebbe stata come le altre, ma dovemmo cambiare idea.

All’improvviso, mentre eravamo tutte radunate lì, ridendo, scherzando e preparandoci ad una giornata di lavoro, la terra tremò e si udì un rumore così forte che i vetri andarono in frantumi. Sembrava il rombo di un tuono. Ma quale fenomeno naturale poteva aver causato simili danni? Quella non era la natura che le sacerdotesse amavano e proteggevano. Quello era molto di più.

≈ ≈ ≈

Il soffitto crollò. Nessuno si era aspettato un attacco, né tantomeno uno di quella portata. Mi guardai attorno, Cassandra e Ashley erano sotto il robusto tavolo di legno lì con me. Il terrore che una vera e propria guerra fosse in atto serpeggiò tra noi che invano cercavamo di darci coraggio.

Ben presto arrivò qualcun altro sotto il tavolo. Era Daniel.

- dovete andarvene, non resisteremo ancora allungo. I gruppi sacerdotali si divideranno e andranno a dare man forte alle sedi di confine. Voi andrete a Nord-Ovest, appena sarà possibile vi raggiungerò. -

Lo guardammo come se venisse da un altro pianeta.

- cosa diamine ti salta in mente! -  gli urlai contro mentre mio fratello mi spingeva fuori dal nascondiglio.

- avete meno di venti minuti per raccogliere tutte le vostre cose. All’uscita Nord vi aspetta un mezzo sicuro per il viaggio, dovrei essere lì per pilotarlo. Se non dovessi arrivare entro dieci minuti, partite: ho inserito il pilota automatico . - continuò lui come se non avesse udito null’altro.

Eravamo ormai nel corridoio del dormitorio quando un urlo agghiacciante ci bloccò.

Daniel estrasse la spada dal fodero, preparandosi ad affrontare qualsiasi creatura fosse spuntata da dietro l’angolo; ci spinse dietro di sé, incitandoci ad andare.

Corremmo lungo il corridoio verso le rispettive camere.

Non appena fui rientrata nella mia piccola e caotica tana presi una grande sacca di cuoio infilandoci dentro abiti ed oggetti fondamentali per un lungo viaggio. Riempii poi un piccolo cesto di vimini con cibo e acqua. Indossai un mantello spesso e impermeabile; sulla spalla nascosi Mariae e nella mano libera strinsi uno stiletto.

Corsi fuori dalla mia stanza attraversai i corridoi guadagnando lentamente l’uscita. Ad ogni rumore mi nascondevo dietro una colonna o dietro la mobilia; ogni ombra era un mostro, ogni movimento una corsa contro il tempo e contro il fato. Davanti a me, dopo il percorso a ostacoli nei corridoi, si stendeva lo spiazzo verde antistante l’edificio, l’ostacolo più difficile da superare. La mia meta era lo Skyran fermo a motori spenti proprio al centro dello spiazzo. Pregai con tutto il cuore di passare inosservata agli occhi dei miei nemici.

Nemici? Quali nemici? Non avevo idea di chi o di cosa stessimo combattendo. Diamine, non sapevo nemmeno se  ci fosse un combattimento in atto o se la nostra sarebbe stata solo un’inutile fuga da qualcosa che non potevamo controllare.

Dall’esterno lo Skyran somigliava ad una grossa punta di freccia: nella parte anteriore era posta la cabina di pilotaggio. Da quel punto in poi la forma andava allargandosi, all’interno, in corrispondenza delle piccole finestrelle appena visibili da dove mi trovavo, erano poste quattro camere; una minuscola sala macchine al centro e un serbatoio per il carburante ben protetto nel ventre del veicolo.

Raggiunsi il mio mezzo di salvezza e vi salii senza esitare un secondo di più. Mi accolse la domanda più frequente nella mia vita, non che la più fastidiosa: - dov’è Daniel? - tutti cercavano sempre mio fratello, ma io non ero, non sono e non sarò mai il radar in grado di trovarlo ovunque egli sia! Cassandra, insensibile alle preoccupazioni di Ashley e ai miei monologhi interiori, avviò i motori.

 Il mio tanto sospirato ed eroico fratello entrò un secondo prima che il veicolo staccasse il carrello da terra e fosse pronto al decollo. Un fulmine attraversò teatralmente il celo plumbeo. Perché i momenti drammatici devono sempre essere accompagnati da un temporale in grande stile?

  
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