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Autore: istrice_riservato    25/07/2013    2 recensioni
I fatti descritti in questa storia sono immaginari. Ogni riferimento a cose o persone reali è puramente casuale. I personaggi sono ispirati a persone realmente esistite.
“[...] Percepisco un improvviso trambusto dalle parti dell’entrata del locale e, di riflesso e incuriosito, mi volto in quella direzione, nel momento esatto in cui una ragazza dai capelli rossi fa il suo ingresso in discoteca. La guardo camminare -oserei quasi dire sfilare- decisa e spigliata tra la folla e, in men che non si dica, è già al centro della pista a ballare. È entrata, senza guardare in faccia nessuno e, con quella sua camminata sicura su quei tacchi vertiginosi che ha ai piedi, è come se avesse rubato tutti i nostri cuori. [...]”
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Maybe it’s the way she walked
Straight into my heart and stole it
Through the doors and pass the guards
Just like she already owned it”
 
Sorseggio, dal bicchiere che ho tra le mani, la mia Guinness -da irlandese come sono non avrei potuto prendere altro-, spillata in maniera quasi perfetta, con i gomiti poggiati sul bancone; lo sguardo è rivolto al centro della pista, dove la calca di gente si muove a ritmo di musica. Delle ragazze ballano sui tavolinetti, strusciandosi tra loro e, poco distante, un gruppo di ragazzi parlotta. Sicuramente staranno commentando la varia mercanzia che quelle mettono in mostra, considerando che sono strette in vestitini alquanto striminziti e che lasciano molto poco spazio all’immaginazione altrui.
Mi muovo, cambiando di poco la mia posizione e sento l’alcool iniziare a salire lentamente alla testa, segno tangibile che sta facendo il suo effetto. Rimango abbagliato, quando meno me lo aspetto da una luce che, per qualche istante, è puntata dritta nei miei occhi e strozzo un’imprecazione non troppo carina tra i denti. Sbatto ripetutamente le palpebre, vedendo nient’altro che nero davanti a me per una manciata di secondi.
Ripreso il controllo dei miei occhi, lascio che essi vaghino per la discoteca, cogliendo anche il più piccolo particolare della scena che ho davanti a me. Percepisco un improvviso trambusto dalle parti dell’entrata del locale e, di riflesso e incuriosito, mi volto in quella direzione, nel momento esatto in cui una ragazza dai capelli rossi fa il suo ingresso in discoteca. La guardo camminare -oserei quasi dire sfilare- decisa e spigliata tra la folla e, in men che non si dica, è già al centro della pista a ballare. È entrata, senza guardare in faccia nessuno e, con quella sua camminata sicura su quei tacchi vertiginosi che ha ai piedi, è come se avesse rubato tutti i nostri cuori.
 
“I said: «Can you give it back to me?»
She said: «Never in your wildest dreams»”
 
Il suo corpo si muove sinuoso in mezzo agli altri, distinguendovisi. I suoi lunghi capelli rossi sfiorano con gentilezza chi le sta intorno. La sua figura attira l’attenzione di una bella percentuale del locale, sia maschile che femminile. Tra quella percentuale sono incluso anche io, ovviamente.
Ho la netta sensazione che la temperatura all’interno del locale sia salita di parecchio e slaccio il bottone della polo azzurrina che indosso, per permettere all’aria di passare meglio attraverso la mia trachea. Stacco le braccia dal bancone del bar -ancora qualche istante e avrei iniziato a pensare di esserci rimasto incollato- e muovo qualche piccolo, seppure incerto, passo verso la pista da ballo.
Noto, mentre mi avvicino lentamente, che alcuni ci provano con lei, nella speranza di strapparle un ballo, un bacio o qualcosa di più, ma lei non si concede e, quasi spietata, liquida chiunque con uno sguardo che non ammette alcun tipo di replica, accompagnato da qualche parola per i temerari che non si scoraggiano dopo il primo rifiuto. È chiaro e trasparente che, ormai, sta palesemente giocando con i nostri cuori, quei cuori che noi rivorremmo tanto indietro ma che lei non ci restituirà mai, nemmeno nei nostri sogni più selvaggi.
 
“And we danced all night to the best song ever
We knew every line now I can’t remember
How it goes but I know that I won’t forget her
Cause we danced all night to the best song ever
I think it went oh, oh, oh
I think it went yeah, yeah, yeah
I think it goes”
 
Senza nemmeno sapere io come, mi ritrovo nel bel mezzo della pista, a poche spanne di distanza dalla rossa, la quale sta ancora rifiutando inviti su inviti. Vorrei quasi scappare lontano, dato che probabilmente rifilerà un due di picche anche a me, eppure muovo ancora qualche passo nella sua direzione fino a quando lei non si volta e mi sorride, gentile. È questo che mi spinge ad avvicinarmi ancora di più a lei e a metterle entrambe le mani sui fianchi.
Lei si sposta i lunghi capelli rossi su di una spalla, prima di gettarmi le braccia al collo ed iniziare a giocare distrattamente con i miei sulla nuca. Il cuore smette di battere per qualche istante quando mi attira a sé, facendo scontrare i nostri petti, per poi ripartire ad una velocità inaudita, quasi facendomi male.
Mi fissa, con i suoi occhi verdi -ci ho messo un po’ a capirne il colore a causa delle luci basse, ma ci sono riuscito-, e mi sorride ancora, con aria sbarazzina. Avvicina il suo volto al mio sempre di più e, quando trattengo il respiro, convinto che mi voglia baciare, lei devia la traiettoria verso il mio orecchio, lasciandomi a bocca asciutta.
« Balla con me » urla, per farsi sentire sopra la musica.
Rabbrividisco a quella richiesta, sentendo il suo fiato caldo che mi solletica appena la pelle. La stringo a me, muovendomi a ritmo di musica e guidandola nel nostro ballo. Le onde sonore mi travolgono come un fiume in piena e lei sta sicuramente provando la stessa cosa, visto il modo in cui getta la testa all’indietro. I miei palmi accarezzano la stoffa del suo vestito e le sue iridi inchiodano le mie, rendendomi incapace di guardare altrove, quando torna a fissarmi. Non so quale canzone sia questa, ma sono certo che sia la miglior canzone di sempre visto il modo in cui ci sta coinvolgendo e quello in cui ne stiamo cantando ogni verso anche se, probabilmente, domani non ce la ricorderemo nemmeno.
 
“Said her name was Georgia Rose
And her daddy was a dentist
Said I had a dirty mouth (I got a dirty mouth)
But she kissed me like she meant it”
 
Sfioro delicatamente il suo collo bianco con la mia bocca, arrivando fino al suo orecchio. « Come ti chiami? » le domando, curioso di dare finalmente un nome a quella ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi.
Si stringe ancora di più a me, le sue cosce nude che strisciano contro le mie, avvolte dai jeans chiari che ho scelto di mettere per questa serata. « Georgia Rose ». Mi sistema i capelli distratta, mordicchiandosi un labbro. E vorrei che ci fossero i miei denti invece dei suoi, su quel labbro. Un sorriso spontaneo mi spacca le guance a quel pensiero ed invita lei a fare lo stesso.
« Mio padre fa il dentista, sai? » Racconta la prima cosa che le viene in mente, come se potesse realmente interessarmi il mestiere di suo padre. Di fronte a quella dichiarazione, il mio sorriso si allarga ancora di più, fino a mostrarle i miei denti ormai perfettamente dritti, merito di un collega di suo padre.
« E tu? Qual è il tuo nome? » chiede a quel punto ed io mi sento un vero maleducato, dato che ancora non mi sono presentato. Le dita disegnano cerchi immaginari alla base della sua schiena, mentre mi avvicino di nuovo a lei per degnarla di una risposta che si merita in tutto e per tutto. « Mi chiamo Niall » le dico e poi inspiro profondamente, sentendo il profumo dolce dei suoi capelli entrarmi nelle narici e rimanerci.
« È un bel nome, mi piace » commenta sincera. Sento le sue dita viaggiare tra i miei capelli, come se fossero alla ricerca di qualcosa; le sue unghie solleticarmi appena il cuoio capelluto ogni volta che lo toccano. Guardandomi dritto negli occhi, si bagna le labbra con la lingua ed un attimo dopo sono sulle mie. Le nostre bocche si modellano l’una sull’altra, prendendo confidenza istante dopo istante. Le lingue si incontrano per la prima volta, intimorite e schive, ma ci vuole molto poco prima che anche loro acquistino confidenza.
 
“I said: «Can I take you home with me?»
She said: «Never in your wildest dreams»”
 
Dieci minuti e qualche bacio più tardi, sono seduto su di un divanetto e Georgia è a cavalcioni sopra di me, in un punto abbastanza appartato del locale, dove ci lasciamo andare a carezze, strusciamenti vari e baci decisamente più audaci rispetto ai precedenti. Il mio stomaco si contorce ogni volta che le sue unghie curate sfiorano la mia pelle, piccole scariche elettriche salgono e scendono lungo la mia schiena. Il labbro inferiore mi fa male a causa dei morsi ricevuti. Sembra quasi che ci trovi gusto a torturarmelo in quella maniera.
Lascio che i miei palmi caldi scorrano sulle sue gambe nude e si fermino alla base della sua schiena, prima che decida di spingerla ancora di più contro me. Il suo seno è a contatto con il mio petto ed i nostri bacini cozzato tra loro, facendoci ansimare. Mi separo dalle sue labbra, dato che mi manca l’aria, e scendo pian piano a baciarle il collo, passando per il mento. Le mordicchio una porzione di pelle e lei, in risposta, tira i miei capelli, reclinando di poco la testa all’indietro.
Risalgo fino al suo orecchio, sfiorando con la punta del naso la sua pelle e schiudo le labbra, leccando appena quello inferiore prima di parlare. « Posso portarti a casa con me? » domando, un po’ di affanno nella voce. I suoi muscoli si irrigidiscono a quella proposta, le sue mani scivolano fino alle mie spalle e lì si aggrappano, decise. Cerca un contatto visivo e lo trova quasi immediatamente, dato che io non glielo nego. Gli occhi si incatenano, verde contro azzurro, ed io tremo come una foglia, sia perché il suo sguardo è alquanto criptico, sia perché qualcosa di indefinito intreccia in chissà quale maniera tutti i miei organi interni.
Sto per tirare un sospiro di sollievo quando è lei ad avvicinarsi al mio orecchio, ma le mie speranze crollano con un castello di carte quando « Nemmeno nei tuoi sogni più selvaggi » mi risponde schietta e sicura di sé, poi prende il lobo tra le labbra, succhiandolo e tirandolo appena.
 
“And we danced all night to the best song ever
We knew every line now I can’t remember
How it goes but I know that I won’t forget her
Cause we danced all night to the best song ever
I think it went oh, oh, oh
I think it went yeah, yeah, yeah
I think it goes”
 
Mi bacia il collo ancora una volta, prima di rimettersi in piedi. Mi invita a fare lo stesso, porgendomi una mano ed io la assecondo, lisciandomi poi le pieghe che la mia polo ed i miei jeans hanno preso nello stare seduto. Con le mie mani nelle sue mi propone di tornare a ballare ed io acconsento, incapace di negarle qualunque cosa.
Mi lascio trascinare nel mezzo della folla da Georgia, con le sue dita magre strette intorno al mio polso. Si volta verso di me, ogni tanto, sorridendomi ed i suoi occhi verdi scintillano sotto le luci del locale. Di nuovo siamo al centro della pista e si aggrappa a me, stringendomi come fossi di sua proprietà e baciandomi ancora una volta con estremo trasporto, come se dalla mia bocca dipendesse la sua vita.
Accarezza le mie guance, il mio collo, la mia testa; prende le mie mani tra le sue con fare quasi disperato e con crescente smania. Con i denti percorre tutto il profilo della mia mascella ed io mi sento impotente di fronte a tutto quello che sta facendo al mio corpo. È come se fossi sotto effetto di qualche strana sostanza stupefacente che non fa altro che rendere i miei sensi ovattati, lasciandomi in sua balia.
All’improvviso poi, da un momento all’altro, sento freddo ed apro gli occhi, rendendomi conto di essere solo in mezzo alla pista. Non c’è più Georgia attaccata a me, non c’è più quel noi momentaneo che stavamo costruendo insieme. La cerco, con occhi scattanti, tra la folla ma non riesco ad individuarla e mi stupisco di come sia sparita in fretta, come se non fosse mai esistita, dopo aver ballato in mia compagnia sulle note della canzone migliore di sempre, quella di cui domani non ricorderò nemmeno una riga.
 
“You know, I know,
You know I’ll remember you
And I know, you know,
I know you’ll remember me
And you know, I know,
You know I’ll remember you
And I know, you know I’ll hold you
Remember how we danced
How we danced”
 
Non reagisco subito all’abbandono di Georgia, ma resto fermo con lo sguardo fisso davanti a me, senza vedere nulla di preciso, in realtà. Ritorno in me solo quando una ragazza mora, visibilmente ubriaca, mi si avvicina e tenta di attaccare bottone con me. Io, però, mi tiro indietro ancora troppo scosso da quella miriade di sensazioni che la rossa dagli occhi verdi mi ha lasciato sulla pelle e sulle labbra.
Non ha più alcun senso rimanere al centro della pista in solitudine, così mi volto e mi faccio spazio tra la gente che balla per uscire da quel punto alquanto confusionario del locale. Sgomito a destra e sinistra e mi sbraccio per riuscire ad arrivare al bordo della pista da ballo e poi ci cammino intorno, fino a raggiungere il bar. Appoggiò gli avambracci sul bancone, attendendo pazientemente il mio turno.
« Cosa ti porto? » mi domanda il barista, un ragazzo biondo e dal sorriso amichevole.
« Una Guinness, grazie » dico, senza troppi giri di parole. Lo fisso mentre prende il bicchiere e, con calma ed esperienza, la spilla sotto i miei occhi, prima di poggiarla sul bancone davanti a me. Pago quello che gli devo e poi porto il bicchiere alle labbra, rendendomi conto solo in quel momento di quanto sono assetato.
La birra scorre lungo la mia gola, donandomi un leggero e fresco piacere, mentre la mia testa ripercorre quello che ho vissuto fino a pochi minuti prima: l’arrivo in discoteca di Georgia e la sua decisione, che fin da subito ha attirato l’attenzione di molti; Georgia che, tra tutti i ragazzi che le si avvicinavano, ha scelto di ballare con me e poi di baciarmi come se, quella tra me e lei, fosse stata una cosa seria; io che la trascino sul divanetto e lei che rifiuta la mia proposta di venire a casa con me, prima di abbandonarmi, solo, nel mezzo della pista. Sono sicuro che non dimenticherò questa sera tanto facilmente e spero che non lo faccia nemmeno lei.
 
“And we danced all night to the best song ever
We knew every line now I can’t remember
How it goes but I know that I won’t forget her
Cause we danced all night to the best song ever
And we danced all night to the best song ever
We knew every line now I can’t remember
How it goes but I know that I won’t forget her
Cause we danced all night to the best song ever
I think it went oh, oh, oh,
I think it went yeah, yeah, yeah
I think it goes”
 
Vedo il fondo del bicchiere e questo vuol dire che la mia birra è terminata, nonostante sono sicuro di avere iniziato a berla solo pochi minuti prima. La testa gira e la vista è appannata dall’alcool ma riesco comunque a comprendere che forse dovrei cercare gli altri, dato che li ho persi da un po’ troppo tempo. E, per altri, intendo quei quattro scapestrati che mi ritrovo come compagni di band. Già, perché io sono Niall Horan degli One Direction.
Cammino piano, per evitare di cadere oppure andare a sbattere contro qualcuno che potrebbe non gradire, gli occhi attenti -per quello che ancora possono, chiaro- a cercare gli altri. Anche loro, come Georgia, sembrano essersi volatilizzati nel nulla, dato che proprio non riesco ad individuarli e sospiro pesantemente, mentre mi dirigo verso l’uscita del locale, dove il buttafuori mi prende per un polso e mi fa un timbro nero sul palmo della mano, non sapendo che non ho alcuna intenzione di rimettere piede lì dentro.
L’aria fresca della notte mi sferza il viso e scivola per le mie vie respiratorie, come se fosse la miglior cosa che mi sia mai capitata in tutta la mia vita. Chiudo gli occhi, concentrandomi solo sui rumori che sento: quello di una macchina che passa per la strada e quello ovattato della musica che proviene dall’interno della discoteca.
« Niall! Eccoti finalmente! »
Spalanco gli occhi, scoprendo che Harry è davanti a me e mi fissa, la sua testa riccia leggermente inclinata a destra. Si affianca a me e mi passa un braccio intorno alle spalle, poi mi guida ed io lo lascio fare, troppo stanco per opporre resistenza.
« Ragazzi, guardate un po’ chi si è degnato di tornare tra noi » dice di nuovo Harry.
« Ehy, Nialler! » mi saluta Louis, « Che hai fatto tutto questo tempo in cui sei sparito? »
Sbatto ripetutamente le palpebre, leccandomi le labbra, prima di rispondere alla sua domanda. « Ho bevuto e… »
« Si vede, fidati » commenta Zayn, lasciandosi sfuggire una piccola risatina.
« … E ho conosciuto una ragazza, di nome Georgia Rose » completo io, non considerando il moro. Qualcosa, nello sguardo degli altri quattro, cambia quando nomino la ragazza con cui mi sono intrattenuto per buona parte della serata.
« Ti ha rifilato un bel due di picche, vero? » è Liam a parlare, attirando la mia attenzione su di lui.
« E tu come lo sai? » faccio io, stupito.
« Beh, vedi » Zayn mi prende sottobraccio e mi scorta fino al bordo del marciapiede, facendomici sedere sopra, « Ha fatto la stessa cosa con noi quattro e ne stavamo proprio parlando prima che Louis ti vedesse uscire dal locale ».
« Sul serio? »
« Sul serio, Niall. Sul serio » mi risponde Liam, per poi sedersi al mio fianco, così come gli altri.
 
Best song ever
It was the best song ever
It was the best song ever
 
 





 


N d A
Cercherò di essere il più rapida possibile, dato che se mamma mi becca sveglia (e soprattutto ancora al pc) mi fa pelo e contropelo.
Questa oneshot è completamente basata sul testo di “Best Song Ever” e lo segue pari passo.
Ho sperimentato un po’ con questo scritto, dato che ho utilizzato la prima persona singolare al tempo presente quando, solitamente, utilizzo la terza persona singolare al passato.
Il risultato non mi dispiace per niente, nonostante sia stato difficile, in alcuni passaggi, calarsi nella parte di un ragazzo.
Per il resto niente, spero piaccia.
Alla prossima!
 
PS: Deve essere ancora soggetta a revisione e mi scuso per eventuali errori di battitura e/o altro. (Appena provvederò a correggere, questo messaggio scomparirà.)

   
 
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