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Autore: ROY    30/09/2004    2 recensioni
L'ho scritta in un pomeriggio e la pubblico così come mi è venuta, senza canbiarne nemmeno una virgola. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono davanti al portone di casa

 

 

Memorie di un anno passato

 

 

 

 

Sono davanti al portone di casa. Sono le otto passate ma è ancora giorno. E’ estate. Sto aspettando i miei amici per la rituale uscita del sabato sera. Il mio sguardo vaga per la via. Mi volto e guardo oltre il ponte della ferrovia, soffermandomi sulle alte chiome degli alberi. Non me le ricordavo così verdi! Alzo il volto al cielo notando che l’azzurro è molto più intenso ai miei occhi. Continuo a guardarmi intorno come se vedessi il mondo per la prima volta. Da quando i suoi colori sono così brillanti?

 

Percorro a ritroso l’anno passato cercando di capire quando è cominciato.

Il buio, quel lungo tunnel scuro che mi ha tenuta intrappolata per tanto tempo. Analizzo tutte le tappe di quel viaggio mentale, accorgendomi di volta in volta a sperare di trovarne l’inizio. No, ancora non lo trovo, devo tornare più indietro.

Una macchina mi passa accanto, ma io non la vedo. Sento solo il rumore del vento che frusta i miei ricordi ancora sbiaditi.

Torno nel tunnel spingendomi sempre più lontano nella memoria.

Una voce s’insinua nella mia mente. E’ quella della mia dottoressa. Mi sta dando i risultati degli esami fatti.

Risultano delle cellule degeneri, si consiglia una biopsia.

Rivedo i miei occhi assumere un’espressione incredula per poi trasformarsi in terrore.

Ecco dove tutto è cominciato.

Quel giorno, quella notte.

La notte………. Riesco a dormire solo per brevi intervalli di tempo. Faccio incubi che mi destano di soprassalto lasciandomi con il respiro corto. Sono spaventata, spaventata fino all’inverosimile per quelle poche parole che mi sono state dette la mattina.

M’impedisco di dormire per paura di quelle immagini che hanno accompagnato la lunga notte, per paura di non risvegliarmi.

 

E’ mattina, il cielo si rischiara ed io porgo la massima attenzione nell’ascoltare ogni minimo rumore che porti notizia di una qualsiasi presenza sveglia nella casa.

Sono le sette e mezza, mi alzo e telefono al mio datore di lavoro avvertendolo che non ci andrò, che sto male.

Sto terribilmente male. Le pareti della mia stanza si fanno enormi. Mi sembra che si avvicinino tra loro, schiacciandomi. Mi sento soffocare, ho bisogno d’aria. Esco da quella prigione e vado nel salone.

Mia madre seduta al tavolo sta facendo colazione, si volta e mi regala un dolcissimo sorriso.

La sua espressione ora è preoccupata, ha colto l’aria stravolta sul mio viso.

Io non parlo, non dico niente, la guardo sperando di essere rassicurata, coccolata, protetta. Ma niente in questo momento può riuscirci.

 

Passano i giorni e mi chiudo sempre più in me stessa, rifiutando il contatto con gli amici, con i miei, con il mondo.

Passo le notti insonni sul divano, non mettendo più piede nella mia stanza, neanche il giorno. La mia camera è diventata un incubo, ogni volta che mi ci avvicino mi sento oppressa, angosciata e quindi la fuggo.

Sono cominciati dei forti bruciori. Partono dalla nuca e s’irradiano per tutta la testa. Mi prendono grandi crisi di pianto che non riesco ad arginare.

Il fatto è che non so perché piango, le lacrime escono da sole, la mia mente è vuota non vuole vedere, non vuole pensare, vuole solo nascondere.

 

Passano i giorni, continuo a non dormire, faccio di tutto per rimanere sveglia ma la stanchezza mi assale. Arrivano di nuovo gli incubi e il terrore dilaga nel mio animo ormai stanco. Mi tiro fuori dal sonno a fatica maledicendomi per essermi addormentata.

Non devo dormire, non devo dormire è l’unico pensiero che occupa la mente.

Mia madre continua a ripetermi che sto bene, che non c’è niente. Io non riesco a crederle. Quanto vorrei poterle credere ma ormai la paura che ho dentro si è impossessata d’ogni parte razionale di me.

Mia madre gioca l’ennesima carta sperando di riuscire a tirarmi fuori dal gorgo che mi sta inghiottendo. Chiama la mia psicologa ma io non ci voglio parlare, non voglio parlare con nessuno, voglio solo non poter pensare.

Mia madre mi allunga un foglietto con un numero di telefono dicendomi che è di una psichiatra, mi dice di chiamarla, mi dice di smuovermi, di non rimanere prigioniera di quel tunnel in cui mi sto perdendo.

Guardo il foglietto, non lo tocco, lo lascio lì.

Non voglio sentire nessuno, non voglio vedere nessuno, voglio solo cullarmi nella paura e nel dolore che mi attanagliano l’animo. Sembrano diventati per me un rifugio sicuro mentre invece mi stanno distruggendo.

 

E’ un’altra volta notte, la odio la notte. Tutto quel silenzio mi fa sentire le paure amplificate, come se stessi in un campanile tra le assordanti campane che suonano a festa, mancando d'accorgersi che non ho nessuna voglia di festeggiare, voglio solo non poter pensare!

Arrivano i bruciori alla testa, questa volta più forti. Vorrei poterla aprire ed estirpare tutte quelle maledette sensazioni, per gettarle lontano e far smettere quei lancinanti dolori che mi spaccano il cranio.

Ma il silenzio della notte permane e le campane continuano imperterrite a suonare.

Finalmente il sole, finalmente i rumori del giorno, finalmente quelle maledette campane cesseranno di suonare.

E invece continuano, continuano e continuano.

 

Ormai è giorno pieno ed io sono esausta, non ce la faccio più a sentire le campane suonare. Poso lo sguardo sul tavolino di fronte al divano, che mi ha ospitato per l’ennesima notte, e vedo il foglietto con il numero di telefono. Lo prendo, lo guardo e…… aspetto.

Basta sono stufa di star male senza saperne il motivo concreto. Prendo il telefono e compongo il numero. Una voce mi risponde, faccio fatica a parlare, le parole mi si seccano in gola.

Con grande sforzo faccio uscire quattro parole.

-Ho bisogno di aiuto- dico alla voce.

-Vieni da me, sono qui per aiutarti- mi risponde gentilmente.

Chiudo la comunicazione dopo aver preso appuntamento per la sera stessa, con il cuore che mi martella ferocemente nel petto.

Avrò fatto bene? Sarà la cosa giusta da fare?

Non importa l’importante è che abbia fatto qualcosa!

 

Qui comincia la risalita, la strada sarà lunga e difficile. Dio sa quanto è stata lunga e difficile.

Mi arrivano i risultati definitivi delle analisi.

Non c’è niente, è tutto a posto.

Ma non è finita, c’è ancora tanta strada da fare!

Ed io continuo a risalire, a percorrere quel tunnel cercando l’uscita, l’aria, il cielo, la mia vita.

Torno a guardare la strada di casa mia, la gente che mi passa accanto, i colori sempre più vivi del mondo.

Sì ora lo so. Ne sono certa.

Ne sono fuori, sono uscita  dal tunnel, fuori dal buio.

Pronta a ricominciare a vivere per me, per mia madre, per mio padre e per tutti gli altri!

  
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