Memorie
di un anno passato
Sono davanti al
portone di casa. Sono le otto passate ma è ancora giorno. E’ estate. Sto
aspettando i miei amici per la rituale uscita del sabato sera. Il mio sguardo
vaga per la via. Mi volto e guardo oltre il ponte della ferrovia, soffermandomi
sulle alte chiome degli alberi. Non me le ricordavo così verdi! Alzo il volto
al cielo notando che l’azzurro è molto più intenso ai miei occhi. Continuo a
guardarmi intorno come se vedessi il mondo per la prima volta. Da quando i suoi
colori sono così brillanti?
Percorro
a ritroso l’anno passato cercando di capire quando è cominciato.
Il
buio, quel lungo tunnel scuro che mi ha tenuta intrappolata per tanto tempo.
Analizzo tutte le tappe di quel viaggio mentale, accorgendomi di volta in volta
a sperare di trovarne l’inizio. No, ancora non lo trovo, devo tornare più
indietro.
Una
macchina mi passa accanto, ma io non la vedo. Sento solo il rumore del vento
che frusta i miei ricordi ancora sbiaditi.
Torno
nel tunnel spingendomi sempre più lontano nella memoria.
Una
voce s’insinua nella mia mente. E’ quella della mia dottoressa. Mi sta dando i
risultati degli esami fatti.
Risultano
delle cellule degeneri, si consiglia una biopsia.
Rivedo
i miei occhi assumere un’espressione incredula per poi trasformarsi in terrore.
Ecco
dove tutto è cominciato.
Quel
giorno, quella notte.
La
notte………. Riesco a dormire solo per brevi intervalli di tempo. Faccio incubi
che mi destano di soprassalto lasciandomi con il respiro corto. Sono
spaventata, spaventata fino all’inverosimile per quelle poche parole che mi
sono state dette la mattina.
M’impedisco
di dormire per paura di quelle immagini che hanno accompagnato la lunga notte,
per paura di non risvegliarmi.
E’
mattina, il cielo si rischiara ed io porgo la massima attenzione nell’ascoltare
ogni minimo rumore che porti notizia di una qualsiasi presenza sveglia nella
casa.
Sono
le sette e mezza, mi alzo e telefono al mio datore di lavoro avvertendolo che
non ci andrò, che sto male.
Sto
terribilmente male. Le pareti della mia stanza si fanno enormi. Mi sembra che
si avvicinino tra loro, schiacciandomi. Mi sento soffocare, ho bisogno d’aria.
Esco da quella prigione e vado nel salone.
Mia
madre seduta al tavolo sta facendo colazione, si volta e mi regala un dolcissimo
sorriso.
La
sua espressione ora è preoccupata, ha colto l’aria stravolta sul mio viso.
Io
non parlo, non dico niente, la guardo sperando di essere rassicurata,
coccolata, protetta. Ma niente in questo momento può riuscirci.
Passano
i giorni e mi chiudo sempre più in me stessa, rifiutando il contatto con gli
amici, con i miei, con il mondo.
Passo
le notti insonni sul divano, non mettendo più piede nella mia stanza, neanche
il giorno. La mia camera è diventata un incubo, ogni volta che mi ci avvicino
mi sento oppressa, angosciata e quindi la fuggo.
Sono
cominciati dei forti bruciori. Partono dalla nuca e s’irradiano per tutta la
testa. Mi prendono grandi crisi di pianto che non riesco ad arginare.
Il
fatto è che non so perché piango, le lacrime escono da sole, la mia mente è
vuota non vuole vedere, non vuole pensare, vuole solo nascondere.
Passano
i giorni, continuo a non dormire, faccio di tutto per rimanere sveglia ma la
stanchezza mi assale. Arrivano di nuovo gli incubi e il terrore dilaga nel mio
animo ormai stanco. Mi tiro fuori dal sonno a fatica maledicendomi per essermi
addormentata.
Non
devo dormire, non devo dormire è l’unico pensiero che occupa la mente.
Mia
madre continua a ripetermi che sto bene, che non c’è niente. Io non riesco a
crederle. Quanto vorrei poterle credere ma ormai la paura che ho dentro si è
impossessata d’ogni parte razionale di me.
Mia
madre gioca l’ennesima carta sperando di riuscire a tirarmi fuori dal gorgo che
mi sta inghiottendo. Chiama la mia psicologa ma io non ci voglio parlare, non
voglio parlare con nessuno, voglio solo non poter pensare.
Mia
madre mi allunga un foglietto con un numero di telefono dicendomi che è di una
psichiatra, mi dice di chiamarla, mi dice di smuovermi, di non rimanere
prigioniera di quel tunnel in cui mi sto perdendo.
Guardo
il foglietto, non lo tocco, lo lascio lì.
Non
voglio sentire nessuno, non voglio vedere nessuno, voglio solo cullarmi nella
paura e nel dolore che mi attanagliano l’animo. Sembrano diventati per me un
rifugio sicuro mentre invece mi stanno distruggendo.
E’
un’altra volta notte, la odio la notte. Tutto quel silenzio mi fa sentire le
paure amplificate, come se stessi in un campanile tra le assordanti campane che
suonano a festa, mancando d'accorgersi che non ho nessuna voglia di
festeggiare, voglio solo non poter pensare!
Arrivano
i bruciori alla testa, questa volta più forti. Vorrei poterla aprire ed
estirpare tutte quelle maledette sensazioni, per gettarle lontano e far
smettere quei lancinanti dolori che mi spaccano il cranio.
Ma
il silenzio della notte permane e le campane continuano imperterrite a suonare.
Finalmente
il sole, finalmente i rumori del giorno, finalmente quelle maledette campane
cesseranno di suonare.
E
invece continuano, continuano e continuano.
Ormai
è giorno pieno ed io sono esausta, non ce la faccio più a sentire le campane
suonare. Poso lo sguardo sul tavolino di fronte al divano, che mi ha ospitato
per l’ennesima notte, e vedo il foglietto con il numero di telefono. Lo prendo,
lo guardo e…… aspetto.
Basta
sono stufa di star male senza saperne il motivo concreto. Prendo il telefono e
compongo il numero. Una voce mi risponde, faccio fatica a parlare, le parole mi
si seccano in gola.
Con
grande sforzo faccio uscire quattro parole.
-Ho
bisogno di aiuto- dico alla voce.
-Vieni
da me, sono qui per aiutarti- mi risponde gentilmente.
Chiudo
la comunicazione dopo aver preso appuntamento per la sera stessa, con il cuore
che mi martella ferocemente nel petto.
Avrò
fatto bene? Sarà la cosa giusta da fare?
Non
importa l’importante è che abbia fatto qualcosa!
Qui
comincia la risalita, la strada sarà lunga e difficile. Dio sa quanto è stata
lunga e difficile.
Mi
arrivano i risultati definitivi delle analisi.
Non
c’è niente, è tutto a posto.
Ma
non è finita, c’è ancora tanta strada da fare!
Ed
io continuo a risalire, a percorrere quel tunnel cercando l’uscita, l’aria, il
cielo, la mia vita.
Torno
a guardare la strada di casa mia, la gente che mi passa accanto, i colori
sempre più vivi del mondo.
Sì
ora lo so. Ne sono certa.
Ne
sono fuori, sono uscita dal tunnel,
fuori dal buio.
Pronta
a ricominciare a vivere per me, per mia madre, per mio padre e per tutti gli
altri!