Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: RubyChubb    04/02/2008    11 recensioni
Spinse con forza la porta di vecchio legno scuro e vetro. Una serie che pareva infinita di scricchiolii e mugolii accompagnò quel breve momento e, non appena anche l’ultimo centimetro del suo corpo fu all’interno, la richiuse. Uno tintinnio sottolineò la sua presenza: attaccati sulla porta, piccoli e di bronzo, delle piccole campanelle avevano suonato fin dal primo istante in cui la sua mano si era appoggiata sulla nera maniglia esterna.... -RubyChubb-
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 5

 

Si sedette accanto all’amico, con il libro appoggiato sulle gambe, lasciando che la testa si riposasse sulla spalliera del divano.
“C’è qualcosa che non va Georg?”, gli fece Tom.
“Bah…”, sbuffò l’altro, facendo spallucce, “L’album non vende, il gruppo sta andando a rotoli, la mia ragazza mi ha praticamente lasciato…”
“Dai, non metterti a fare l’emo, per cortesia, già basta mio fratello!”, sbottò Tom. 
Non aveva voglia di parlare di quanto fossero nella merda le loro vite in quel momento, già glielo aveva sbattuto in faccia Bill poco prima di farlo anche con la porta, quindi non era intenzionato a starsene ad ascoltare il lungo piagnisteo di Georg
“No, tranquillo, non mi taglierò le vene… almeno non stasera!”, disse Georg, ridendo.
“Ah meno male… avevo messo i vestiti nuovi e non volevo sporcarli subito.”, proseguì Tom nell’ilarità, seppur breve, del momento.
“E’ un periodo decisamente sfigato…”, disse Georg.
“Sì… lo è.”
“Abbiamo buttato la spugna.”
“Già.”
“E perso la speranza.”
“Eh sì.”
“Mi sto rifugiando in un libro per scappare un po’ dalla realtà.”
“Non lo avevo capito!”
“Sei un psicoanalista di merda.”
“Concordo pienamente.”
“Hai finito di annuire a tutto ciò che dico? Hai intenzione di ascoltarmi?”, fece Georg, sapendo che la conversazione non sarebbe stata più seria di così.
“Avrei un po’ di sonno Georg.”, disse Tom, facendo una piccola smorfia con le labbra. 
No, proprio no, non aveva voglia di ascoltarlo.
“Ti ricordi dov’è la camera degli ospiti oppure mi chiami per sapere dov’è?”, gli chiese poco ironicamente Georg.
“Stavolta non fallirò.”, fece l’altro, alzandosi ed andando verso la porta giusta.
“Bravo, è quella. Notte Tom!”, gli disse, con un cenno della mano.
“Notte anche a te.”, rispose l’altro, chiudendosi la porta alle spalle.
Georg sbuffò annoiato.
In condizioni normali, Tom sarebbe stato ad ascoltarlo. A guardarlo, pareva uno sbarbatello senza un minimo di intelligenza… ed invece si rivelava avere due belle orecchie pronte ad ascoltare chiunque avesse bisogno di sfogarsi. Tra i quattro era quello con cui aveva legato di più, avevano caratteri molto simili.
Ma tante cose erano cambiate, non solo dentro Georg, che si era fatto più scontroso ed irascibile. Tom pareva quasi sordo, le sue orecchie erano diventate piccole piccole e sembravano essere capaci di stare a sentire solo se stesso e non gli altri. Era diventato scostante e spesso anche irritante…E non erano gli unici ad aver subito questo cambiamento: anche Bill, pure Gustav, parevano diventati altre persone.
Quasi quattro estranei, poteva dire, che ormai avevano in comune solo il fatto di far parte dei Tokio Hotel. Per il resto quasi più niente. Beh, riflettendoci bene, ma proprio bene, non erano proprio messi così male. Erano sempre amici, ma…
Nemmeno con una catena sensata e razionale di pensieri sapeva come dare una spiegazione a quello che stava succedendo loro, ai Tokio Hotel. Ma soprattutto, cosa stava succedendo a Georg, Gustav, Bill e Tom.
Perchè erano loro i Tokio Hotel.
E se loro stavano male, anche i Tokio Hotel stavano male.
Forse con l’aiuto di un’analista poteva arrivare al capo della questione.
Da solo, purtroppo, non poteva riuscirci e probabilmente era per questo che quel libro fantastico lo attirava così tanto. Lasciare la realtà scorrere e perdersi in Fantàsia, nelle avventure… era una cosa infantile, da bambini piccoli, lo sapeva e non gliene fregava un bel niente.
Dato che fuori la vita faceva abbastanza schifo, almeno dentro quelle parole poteva trovare un po’ di pace. Era una serenità illusoria, che durava  il tempo di aprire e chiudere il libro; ne era perfettamente a conoscenza. 
Ma anche di questo non gliene fregava nulla.

  

***

Oramai trovava quella porta ad occhi chiusi. Avrebbe riconosciuto la crepa del legno che c’era in basso a sinistra tra mille altre crepe di mille altre porte uguali a quella. Ed avrebbe anche potuto distinguere il particolare tintinnio delle campanelline appese a quella; l’odore particolare del legno vecchio, della carta ingiallita, della polvere…
Quella libreria, così antica ed estranea alla modernità, aveva il suo fascino. Non sapeva in cosa consisteva: nella poca luce delle lampade appese al muro ma forse più semplicemente nell’essere proprio… vecchia. Lì dentro pareva non esserci niente di nuovo, tutto era datato, tutto era ingiallito, tutto era fuori moda, se così lo si poteva descrivere.
Tutto pareva di un’altra epoca, di un altro secolo. Non sembrava di essere nel ventunesimo millennio, lì dentro. Pareva di tornare indietro nel tempo, forse agli anni cinquanta o sessanta del novecento. Un salto nel passato.
Un’atmosfera magica, si azzardò a pensare Georg, prima di entrare.
Si tolse gli occhiali da sole, con la penombra gli rendevano impossibile la vista, e allentò la stretta della sciarpa.
Il signor Metternich spuntò guardingo dagli scaffali di legno: i suoi occhialini sulla punta del naso lo rendevano ancora più minaccioso.
“Buongiorno.”, gli disse, quasi timoroso.
“Ah sì, è lei, il giovanotto…”, fece il vecchietto, soffermandosi con molto sarcasmo sulla parola giovanotto. 
Si tolse la pipa dalla bocca, non dopo aver fatto un altro anello di fumo.
“Mia nipote non c’è.”, gli disse.
“Ok… e quando la posso trovare?”, gli domandò, colto alla sprovvista da quell’informazione così diretta.
“Mi faccia capire bene.”, fece il signor Metternich, avvicinandosi a lui con fare un po’ zoppicante, “A lei piace tanto andare per ragazze…. Cosa ci trova in mia nipote?”
L’ultima domanda suonò quasi come una minaccia.
“Beh… a dire il vero non è che io vada con tante ragazze…”, cercò di spiegare.
“Sì, sì… guardi che io non sono nato ieri!”, irruppe l’uomo, innervositosi.
“Senta, ho capito che pensa che io sia il diavolo sceso in terra, “, provò a dire Georg, “ma, mi creda, non ho nessuna brutta intenzione con sua nipote, non la sfiorerei nemmeno…”
“Forse vuol dire che è tanto brutta che non la si può nemmeno guardare?”, sbuffò subito l’ometto.
Oddio… questo era proprio un osso duro!
Stava per controbattere, quando sentì un rumore provenire dallo studiolo.
“Nonno? C’è qualche problema?”, sentì dire dalla voce della nipote, lontana ed ovattata dal muro che la separava dai due.
“No, tutto a posto.”, rispose il vecchietto.
“Hai bisogno di una mano?”, domandò lei, di nuovo.
“Sto risolvendo da solo!”, sbottò lui, infastidito.
O interveniva, oppure avrebbe dovuto sorbirsi di nuovo la predica del vecchietto.
“Ehm… Mondenkind?”, la chiamò. Il vecchietto gli lanciò un’occhiata di sbieco che avrebbe incenerito chiunque.
Dopo qualche secondo la ragazza apparve sulla porta dello studio.
“Hey! Ciao Georg!”, lo salutò lei, andandogli incontro per stringergli la mano, “Non aspettavo di vederti arrivare così presto! Sono solo due giorni che hai quel libro, già lo hai finito?”
“No, ancora no, sono sempre a metà. Ieri sera sono arrivato al punto in cui Atreiu arriva dall’Imperatrice ed avrei anche continuato se non mi fossi addormentato con il libro in mano!”, disse Georg, sorridendo.
“Non sarà mica un libro che ti fa addormentare?”, gli chiese Mondenkin sorridendogli.
“Certo che no!”, sbuffò Georg, “Tutt’altro, ma ieri sera ero molto stanco, ho avuto una giornata molto difficile.”
“A correre dietro ad altre ragazze!”, piombò il vecchietto, che fino a quel momento era stato messo in disparte e reclamava la sua parte nella conversazione.
“Nonno! Per favore!”, lo rimproverò Mondenkind, “Così lo metti in imbarazzo!”
L’ometto sbuffò, si rimise la pipa in bocca e, con il solito passo zoppicante, si allontanò dai due per chiudersi stizzito dentro lo studio.
“Scusalo, oggi è ancora più scorbutico del solito.”, disse Mondenkind.
“Fa niente.”, le rispose, “Allora? Ci stai per questa recensione dal vivo? Magari davanti ad un caffè? Conosco una caffetteria che il sabato pomeriggio si inventa dei miscugli pazzeschi e sono pure buoni!”
Il sorriso di Mondenkind parve diventare forzato appena lui le chiese quella cosa.
“Beh… volentieri… solo che ho un po’ di lavoro arretrato, devo catalogare dei nuovi arrivi….”, gli disse.
“Ok…”, le disse, “Ma in qualche modo dovrò pure ricambiare il libro.”
“Ti ho già detto che non mi devi niente, quel libro l’ho avuto senza tirare fuori un soldo.”, gli ripetè Mondenkind, come aveva fatto qualche giorno prima.
Lei sembrava del tutto restia a ricevere quel caffè. Proprio non ne voleva sapere e lui non capiva il motivo di tutto ciò.
“Per caso hai un fidanzato? E’ per questo che continui a non accettare?”, le chiese.
Lei parve reprimere un sorriso, abbassando la testa.
“No, non è per quello.”, disse, “E’ solo che…”
Allora Georg comprese che non era meglio insistere. 
Sicuramente lei aveva il suo buon motivo per non accettare e non era il caso continuare a chiederle perchè.
“Va bene, capisco. Non ti preoccupare, Mondenkind.”, le disse, sorridendole.
“Ok.”, fece lei, ridendo.
“Beh… visto che non posso sdebitarmi come vorrei, non mi rimane altro che dirti grazie ancora.”, le disse.
“Prego.”, rispose Mondenkind, con un sorriso un po’ troppo stretto. 
Era quasi indecifrabile: Georg non seppe dire se lo faceva solo per cortesia oppure se era imbarazzata.
“Scusami, non vorrei che insistendo abbia causato qualche problema.”, le fece, terribilmente mortificato con lei.
“Tranquillo, Georg.”, disse lei.
In quel momento accadde qualcosa che non si seppe spiegare. Fino a tre secondi prima, era del tutto sicuro che Mondenkind fosse la bibliotecaria bruttina, nipote del signor Mondenkind, con i capelli neri raccolti in una lunga treccia, con gli occhialini lillà sulla faccia che nascondevano un paio di occhi chiarissimi ed il golfino giallo. Eppure ci fu un momento, un attimo, un istante, una frazione di secondo in cui ebbe come una visione fugace, un fotogramma estraneo alla sua vista.
Mentre lei pronunciava il suo nome, scandendo con serenità, gli parve quasi di avere tutt’altra persona davanti. Ma non una persona normale, qualunque. Una persona che non era una persona… un essere umano…
“Georg? Georg ci sei?”, gli fece Mondenkind, con occhi preoccupati, scuotendolo con dei colpetti alla spalla.
“Oh sì… sì, certo.”, disse, recuperandosi, “Ho avuto solo… un giramento di testa, ecco.”
“Stai bene?”, gli chiese lei, facendosi immediatamente apprensiva.
“Sicuro, solo un momento di smarrimento.”, cercò di tranquillizzarla, ma non parve sortire l’effetto giusto.
“Vuoi sederti? Vuoi un bicchiere d’acqua?, gli domandò lei.
“No, sto benissimo, ogni tanto ho momenti del genere… è come un reset!”, le disse, sorridendo, mentre andava verso la porta, “Ci vendiamo Mondenkind. Tornerò quando avrò finito il libro!”
“Va bene…”, disse lei, rimanendo con le mani in mano.

 

Si sedette in macchina ma, invece di premere il pulsante dell’accensione, rimase qualche secondo a riflettere. Ancor prima di formulare qualsiasi pensiero, si dette dello stupido per essere rimasto a fissare imbambolato Mondenkind. Lei se ne era accorta, ma non sembrava esserne uscita imbarazzata, anzi, si era preoccupata per il suo ‘mancamento’, come lui lo aveva definito per scusarsi.
In quell’attimo fugace, forse un raggio di sole era entrato, oltrepassando l’opacità del vetro, e lo aveva, in un certo senso, accecato, facendogli percepire per un piccolo secondo tutta un’altra realtà.
E qual era questa fantomatica realtà che gli era parso di vedere?
Boh, non se la sapeva spiegare.
Non trovava le parole giuste per farlo.
Ma in quell’istante era stato quasi come se avesse avuto la capacità di vedere oltre agli occhialini lilla, alla treccia nera ed al golfino giallo di Mondenkind, per trovarci un’altra persona del tutto diversa da quella che lei sembrava essere.
Che tipo di persona? Anche lì, le parole che gli salivano sulle labbra non sembravano essere adatte.
Non era razionale quello che stava succedendo nella sua testa: aveva visto Mondenkind ma non era Mondenkind. Allora chi era? Era sempre lei con altri vestiti? I vestiti erano gli stessi ma cambiava lei? Lei era del tutto diversa? Aveva altri capelli, altri occhi, altro viso?
No. Quella che aveva visto in quella frazione era sempre Mondenkind, sempre lei. Ma non era lei… Era come se, intorno a lei, aleggiasse qualcosa di vago, indefinito…
Ah! Mannaggia alle parole, pensò Georg, e al non trovare quelle giuste!
……..
Erano pensieri sciocchi, stupidi, cretini. Lei non era nessun’altro se non la nipote del signor Metternich, che lavorava in quella libreria antiquaria e che era del tutto restia da prendere un caffè con lui.
Mondenkind era Mondenkind.
E su questo non c’era da discutere.
Mentre premeva il pulsante di accensione del motore gli venne da fare uno sbadiglio, talmente grande che gli lacrimarono gli occhi. Era stanco, avevano provato tutto il giorno, tutte le loro canzoni. Tutte.
Avrebbe tanto voluto sdraiarsi sul divano e dormire e sicuramente lo avrebbe fatto, ma avrebbe anche voluto uscire, svagarsi, divertirsi e non pensare a nient’altro.
Poteva chiamare gli altri tre.
No, erano già stati insieme per otto ore di fila, poteva anche bastare. Avevano litigato, anche abbastanza pesantemente, per due volte. Una alla mattina ed una alla sera, poco prima di salutarsi.
La questione aveva coinvolto, nel primo caso, lui con Bill: gli aveva rimproverato di essere ben un’ora in ritardo, tanto che Tom era arrivato per conto suo, e l’altro gli aveva risposto di farsi i cazzi suoi eccetera eccetera.
Nel secondo caso, Tom se l’era presa con Gustav ma, dato che lui era stato in bagno per parte della discussione, non aveva capito il motivo per cui stessero litigando.
Voleva buttarsi alle spalle quella settimana schifosa, voleva concluderla in bellezza, magari andando in un locale, in un club, conoscere qualcuna e passarci qualche ora insieme, senza pretese ma con tanto buon sesso. Ora che ci pensava, per via di tutti i suoi impegni, erano diversi giorni che non… insomma, a parte quella ultima mezza volta con Helen, prima che il fattorino li interrompesse. Ma anche prima di quella ce n’era stato ben poco…
Sì, i suoi programmi per la serata erano stati stabiliti. Avrebbe chiamato Fabian, il suo storico migliore amico, e si sarebbero chiusi in un locale a divertirsi.

  

Con il suo drink in mano, l’altro braccio appoggiato sul bancone, mentre alle sue spalle barman acrobatici stavano preparando cocktail alla velocità della luce. Fabian si era già accomodato con una simpatica rossa, lui ancora non aveva trovato nessuna di suo gradimento. Si guardava intorno, scrutava qualche faccia, qualche sorriso, qualche paio di gambe… ma niente.
Cazzo!
Era la serata del divertimento e si doveva divertire!
Punto e basta.
Punto e a capo.
Eppure niente.
La musica stava facendo schifo, la gente non era di meglio, intorno a lui solo gente alticcia. Era nel giusto mood, stava bene, si sentiva rilassato ma… niente, non c’era nulla da fare. Gli altri si davano alla pazza gioia e lui scompariva con la tappezzeria
Quei due accanto pomiciavano che era una meraviglia.
Lui se la faceva con il bicchiere di mojito.
Era meglio togliersi dai piedi, mandare un messaggio a Fabian e dirgli che se n’era tornato a casa in taxi. Erano venuti con la macchina di lui e, visto che decideva di togliere baracca e burattini prima della fine della serata, doveva arrangiarsi. Lo fece presto e, dopo aver riposto il cellulare in tasca, si avviò verso l’uscita.
Furono tante le persone con cui si scontrò, volarono diversi ‘scusami’ ma anche altrettanti ‘vaffanculo scemo guarda dove metti i piedi’. Non ricambiò nessuna di quelle parole, le ignorò semplicemente.
Prima che riuscisse a scavalcare l’ultimo gruppetto di persone, il suo braccio fu nuovamente urtato da qualcuno. Con la coda dell’occhio, fu sicuro di vedere una lunga treccia nera…
Si voltò e, come un’idiota, perse quasi l’equilibrio. Non c’era nessuna treccia nera… nessuna Mondenkind.
O si sentiva inconsciamente in colpa con lei per quel favore non ricambiato…
O si stava facendo sfottere il cervello.
Qualsiasi fosse stata la risposta a questi due dubbi, era meglio tornare a casa, farci una dormita sopra e dimenticare tutto.
Mondenkind compresa.

 
***

  

Mercoledì era arrivato.
Più velocemente di quanto avesse mai pensato.
I giorni, uno dopo l’altro, si erano susseguiti freneticamente. Prove, interviste e servizi fotografici per pubblicizzare l’evento. Non c’era stato un solo momento per respirare, avevano lavorato fino a tardi, lasciando il giorno agli appuntamento pubblici e la sera alle prove fino a tarda notte.
Inutile dire quante volte si erano scontrati tra loro, la tensione e la stanchezza erano così alti da far crepare un toro. Ma se quella esibizione fosse andata in porto, tutto avrebbe preso un’altra svolta. Se avessero fatto un buon lavoro, in diretta televisiva, la loro immagine si sarebbe sollevata e potevano buttarsi qualche spauracchio alle spalle, per poi partire con il tour… Se si fossero impegnati al massimo, avrebbero potuto anche prendere la loro sorte con più ottimismo, invece di stare sempre a pensare al peggio…
Era il loro giorno del giudizio
Paradiso o inferno, erano loro a disegnare il loro prossimo futuro.
Gustav era impegnato altrove, si stava concentrando con la sua musica e non voleva essere disturbato. Bill si stava scaldando la voce nell’altro camerino, lo poteva sentire anche da lì. Tom, sdraiato nel divano di fronte a lui, respirava profondamente.
Mancavano una quarantina di minuti all’inizio dello show.
Il nervosismo stava salendo, piano piano, lento, ma ad ogni minuto diventava sempre più grande. Qualcuno bussò alla porta ed entrò senza attendere che gli venisse dato il permesso per farlo.
Era David.
“Ragazzi, sono tutti con voi i vostri strumenti?”, chiese loro, con aria preoccupata.
“I miei due bassi sono qui.”, disse Georg, facendo spallucce.
“La mia chitarra è sul palco, l’ho lasciata lì.”, rispose a sua volta Tom, con tranquillità.
 “Tom, ne sei sicuro?”, chiese un’altra volta David.
“A meno che non abbia messo le gambe e non si sia incamminata per la via di casa…”, ironizzò Tom.
“Perchè ce lo chiedi?”, fece Georg, perplesso.
“Sul palco non c’è niente Tom… quante volte te l’ho detto che non dovete lasciare gli strumenti sul palco!”, si animò David, perdendo del tutto le staffe.
“Ma come? E dov’è?”, fece Tom, allarmandosi.
“Che cazzo ne so dov’è la tua chitarra, Tom! L’hanno presa! L’hanno portata via!”, gli gridò contro David, totalmente incazzato.
Come un fulmine, Tom sfrecciò via dalla stanza. La sua chitarra era scomparsa, non si trovava, l’avevano presa, l’avevano rubata, l’avevano nascosta… non si sapeva cosa era successo, fatto stava che era sparita dal suo sostegno, sul palco. 
Se non la trovavano erano fottuti…
David seguì prontamente Tom, mentre Georg affondò le dita nei capelli. C’era stata una possibilità, tutto stava per andare per il verso giusto… poi era arrivato il cretino di turno che si rubava la chitarra di Tom. Se lo avesse trovato, se avesse capito chi era questo coglione, gli avrebbe aperto il culo seduta stante.
Più che cercarla in lungo ed in largo, era meglio farsene dare un’altra dalla direzione dello spettacolo… Ma cazzo! Tom si portava sempre tre o quattro chitarre dietro, ad ogni cazzo di spettacolo… stavolta doveva venire solo con quella! E se la direzione non avesse avuto nessun strumento di riserva? Come cazzo avrebbero fatto? Non valeva la pena salire in una macchina e andare a prenderne un’altra allo studio… erano distanti almeno tre ore di viaggio!
Guardò velocemente l’orologio… mancava solo mezz’ora allo spettacolo.
“Merda!”, gridò ad alta voce. Con un gesto rapido ed arrabbiato della mano, fece volare via il cuscino che se ne stava pacifico sul divano.
Bill apparve alla porta del camerino, con viso stravolto.
“Te l’ha detto David?”, gli chiese.
“Sì…”, sbuffò Georg.
“Cosa lascia a fare in giro la sua chitarra!”, fece Bill, pronto a sfogare la sua rabbia.
“Non lo ha fatto apposta.”, cercò di difenderlo Georg.
Effettivamente, di tutte le volte che Tom, oppure lui stesso, avevano lasciato gli strumenti in scena, quella era la prima in cui sparivano.
“Non me ne frega un cazzo! Adesso per colpa sua lo spettacolo andrà a monte e ci faranno un culo così!”, continuò a gridare Bill, in una crisi isterica che sembrava appena iniziata.
“Bill, calmati, non serve a niente perdere la pazienza adesso…”, disse Georg fermamente, ma non servì a nulla. Bill scomparve dalla porta del suo camerino, furibondo, non avrebbe sentito altre ragioni tranne le sue, era meglio non averci a che fare.
Si buttò a peso morto sul divano, a braccia conserte sul petto. Un’occasione d’oro, l’unica disponibile sul mercato, buttata nel cesso. Non per colpa loro… ma comunque dentro al cesso, giù per il tubo, fino alle fogne, dentro al mare.
C’era solo da aspettare che la situazione si risolvesse… era necessario annunciare che ci sarebbero stati dei ritardi per colpa di disfunzioni tecniche.
Avrebbe voluto prendere tutto a calci e a pugni, ma era la cosa più inutile e stupida che potesse fare in quel momento. Se prima della scomparsa della chitarra di Tom era nervoso, adesso poteva dirsi in preda di una crisi d’ira. Doveva trovare un modo per calmarsi… Si accese una sigaretta ma, nel giro di pochi minuti, era già arrivato al filtro e si sentiva più incazzato di prima.
Andò nel frigo e prese una birra, se la scolò quasi in un secondo. Nessun effetto positivo. Anzi, si sentiva ancora come la corda tirata dai partecipanti, a destra e a sinistra, che stava per strapparsi in mezzo…
Camminava avanti ed indietro nel camerino, senza sosta, mentre la rabbia ribolliva dentro di sé. Incautamente, inciampò sul laccio del suo borsone, rovesciandolo a terra. Un asciugamano ed un maglietta di ricambio pendevano dal bordo dentellato della zip, un libro aperto, spaginato, giaceva invece sul pavimento freddo.
Lo raccolse e lo richiuse, sistemando le pagine affinché non si spiegazzassero ulteriormente. Rilesse il titolo, ormai lo conosceva a memoria.

La Storia Infinita.

Non si ricordava di averlo messo nel borsone. Anzi, gli pareva di averlo abbandonato nel cassetto del suo comodino, di avercelo messo quella sera di ritorno dalla discoteca… Mah, pensò, magari lo aveva buttato nella borsa in un momento in cui non doveva essere stato molto sveglio o attento.
Si sedette sul divano, una letterina fantastica poteva essere più utile di alcol e fumo. Sfogliò le pagine finchè non trovò il punto esatto in cui aveva lasciato la storia.
Ritrovò Atreiu in piedi davanti all’Infanta Imperatrice.
Lei cercava di spiegargli che la sua Grande Ricerca del Figlio dell’Uomo, l’unica persona in grado di poterle dare un nome e farla rinascere, era terminata, anche se lui era sicuro di aver fallito perchè non era riuscito a trovarlo in nessun luogo di Fantàsia.  Ma mentre Atreiu sembrava non capire, nel frattempo Bastian, che leggeva quelle parole, stava iniziando lentamente a realizzare qual era il suo ruolo in quella storia. Ma ancora non aveva la forza per pronunciare un nome…
Cosa ci voleva a dire un nome? Uno stupidissimo nome! Gliene venivano a mente un milione: Julia, Lia, Jennifer, Martha, Sarah… Ecco, lui l’avrebbe già salvata se fosse stato Bastian, ma sfortunatamente era Georg Moritz Hagen Listing e, vivendo nella realtà, non aveva questo ‘fantastico’ potere.
Costretta a ricorrere ad una via alternativa per chiamare Bastian in Fantàsia, per salvarla, l’Infanta Imperatrice dovette recarsi dal Vecchio della Montagna Vagante, l’unico che poteva darle un aiuto…
Gli tornò in mente il film, dove i fatti non si erano svolti assolutamente in quel modo. Infatti Bastian, pregato dall’Imperatrice in lacrime, si abbandonava ai suoi sogni e, affacciatosi alla finestra della soffitta della scuola, tra la pioggia ed i fulmini, gridava il nome di sua madre…
Tornò con la mente e gli occhi sul libro.
Trovato il Vecchio della Montagna Vagante, l’Infanta Imperatrice scoprì che era lui stesso a scrivere la medesima storia infinita che lui, lei, Bastian e tutti gli altri abitanti del mondo terrestre e di Fantàsia stavano vivendo.
Complicati!, esclamò Georg, ridendo tra sé e sé.
L’unico modo per far rinascere Fantàsia, ormai completamente inghiottita dal Nulla, era dare il suo destino nelle mani di Bastian. Sarebbe stato lui, con i suoi desideri, a farla rinascere dall’ultimo granello di polvere rimasto di essa.
Per chiamarlo a sé, il Vecchio della Montagna Vagante fu costretto a leggere tutto ciò che aveva scritto fino a quel momento.

...Perchè la Storia Infinita sta dentro la Storia Infinita…

Georg lo lesse direttamente dalle parole stampate, ma non riuscì a comprenderne a pieno il senso. Che cosa significava? Perché la storia infinita stava dentro se stessa? Provò a rifletterci sopra, però non riuscì comunque a capirci qualcosa… Forse non aveva colto il vero spirito di quel libro.
Ad ogni modo, Bastian nelle parole che il Vecchio leggeva sul libro, rivisse la sua giornata, dal momento in cui precipitò dentro alla libreria del signor Koreander fino a quello in cui il Vecchio prese a leggere il suo libro. E poi ancora, ed ancora… e ancora di nuovo. La storia iniziò a ripetersi nelle parole del Vecchio per decine di volte finchè Bastian, comprendendo che era l’unico in grado di poter fermare quel cerchio inesorabile, gridò improvvisamente un nome… 

...Mondenkind…

“Mondenkind?”, borbottò Georg.
Bastian aveva dato all’Infanta Imperatrice il nome Mondenkind…

Mondenkind.
Come la ragazza della libreria. Che coincidenza, pensò Georg, quando il caso ci si metteva di impegno…
“Georg! Che cazzo stai facendo!”, urlò Gustav, fuori dalla porta, rimasta per tutto il tempo aperta, interrompendo il suo sorriso a fior di labbra.
“Uhm?”, fece lui, distogliendo lo sguardo e l’attenzione dal libro.
“Ti vuoi muovere imbecille!”, gridò ancora l’altro, “Che cazzo ci fai ancora lì!”
“Beh…”, disse Georg, infilando il libro dentro la borsa.
“E dove cazzo sono gli altri!”, riprese Gustav, che quando perdeva la pazienza era un pericolo pubblico.
“A Tom hanno rubato la chitarra, lo sapevi?”, lo informò Georg, intuendo che forse lui non sapeva niente.
“Certo che lo so, mica sono deficiente! Siamo in ritardo di un quarto d’ora e là fuori vogliono farci il culo!”
Georg guardò l’orologio.
Aveva perso totalmente la cognizione del tempo. E anche della situazione reale che stava vivendo.
“Hanno ritrovato la sua chitarra?”, chiese a Gustav, mentre imbracciava il suo basso.
“Sì… quelli dello studio l’avevano messa al sicuro, al riparo… l’hanno trovata cinque minuti fa.”
“Ah bene… allora iniziamo?”
“Se non ti dispiace! Mancavi solo tu all’appello!”, gli fece Gustav, che sembrava avere i carboni ardenti sotto ai piedi.

 

L’unplugged dei Tokio Hotel, in diretta televisiva, per i minuti in cui la chitarra di Tom risultava ancora introvabile perchè coloro che se ne dovevano occupare sembravano essersi furbescamente volatilizzati proprio prima dell’inizio dello spettacolo, era stato sostituito da una specie di improvvisazione teatrale, fatta dal presentatore, un ragazzo buffo con un pizzetto strano, e dalla sua spalla, un paio di gambe chilometriche che sostenevano una ragazza bionda platinata.
Il pubblico, già in agitazione per l’evento, quando seppe che per problemi tecnici il gruppo non si sarebbe subito presentato sul palco, iniziò lentamente ad andare in escandescenza e, al momento in cui i ragazzi entrarono in scena, il regista fu costretto a mandare a nero, cioè a inserire uno stacco pubblicitario improvviso, per salvare gli spettatori a casa dalle cannonate di fischi che vennero rivolti ai Tokio Hotel.
Georg lesse la delusione sulla faccia di Bill.
La rabbia su quella di Tom.
La sconfitta su quella di Gustav.
E sulla sua?
Un miscuglio di tutti questi sentimenti.

  

Non era il caso di stare a rivangare tutto quello che era uscito dalle loro bocche dopo l’unplugged.
Non era il caso di pensare al fatto che l’esibizione aveva fatto schifo.
No, di più.
Aveva fatto letteralmente cagare.
Di merda.
Lo schifo più assoluto.
Fuori tempo, stonati, parevano un gruppo messo insieme all’ultimo momento. L’unica cosa che riuscirono a rispettare fu la scaletta, almeno su quella non si sbagliarono.
Il pubblico se n’era accorto all’istante e, anche se la redazione era riuscita a calmarlo, si fece sentire diverse volte con i suoi fischi.
Erano tornati in camerino imprecando e bestemmiando talmente tanto che i santi del calendario erano fuggiti via. Si erano gridati contro cose impossibili. Ognuno era salito nella macchina, guidata dal solito Saki, senza rivolgere all’altro nemmeno una parola, un pensiero o uno sguardo. E nello stesso modo erano stati accompagnati alle loro case.

 


EHEHEHEH 11 recensioni di cui almeno 10 si chiedevano: ma che minchia e minichia di nome è Mondenkind? eheheeh! Che genitori fantasiosi che ha quella ragazza? (che genitrice XDD). 

Ho scovato un giorno, girovagando per Wikipedia, che nella versione originale, cioè tedesca, del libro perchè l'autore è tettesco, che Mondenkind è il nome che Bastian da all'Imperatrice Bambina. In italiano è Fiordiluna (bleah). 

Questo avrà qualche ripercussione sulla trama? Tranquille, riponete i vostri cervellini andati in fiamme! Semplicemente mi piaceva come nome e l'ho usato.

Coooooooooomunque, ora che il "mistero" del nome è svelato, passiamo ai ringraziamenti!

Cowgirlsara: spero che ripeterai le solite parole che dicevi nella rcensione, cioè che la crisi è sempre più realistica... soprattutto da questi capitoli in poi, che saranno incentrati soprattutto su di loro ed il libro verrà lasciato perdere per un po'.... daidai! La cucina? Mondo convenienza oppure all'Ikea????

Dark_Irina: ecco il seguito delle mirabolanti avventure del nostro (mio) beniamino preferito, Georgtreiu! XDDD spero che il capitolo sia di gradimento almeno tanto quanto sono piacevoli le tue recensioni! *me arrossice*

Sososisu: weeee, Pollicina! Il club della piastra che non perdona è stato fondato, presidentesse onorarie me e te, ovviamente. C'è da dire altro? Ah, sì! Piaciuto il capitolo? Spero proprio di si! Ci sentiamo!

Princess: per rispondere ai tuoi tre punti 1) Helen sta sul cavolo anche a me che l'ho creata. 2) se mi uccidi la bilbiotecaria... XD la resuscito! XD 3) ti dispiace, quando ti accaparri dell'uomosesso, lasciarmelo almeno per cinque minuti? Tanto più di quelli non dura... XDD te lo ridò come nuovo, I promise! Ti rigrazio vivamente tutti i complimenti che mi hai fatto, detti da te mi fanno molto piacere, soprattutto perchè sei un'autrice che stimo tantissimo. La tua storia fa veramente venire i lacrimoni per la sua dolcezza (appena posto vado subito a leggere l'aggiornamento). Ah si? Anche tu hai scritto una caratterizzazione delle litigate dei due K che è simile alla mia? XDD ormai li conosciamo più di loro stessi (ma quanto siamo presuntuooooose!!! XDDD). Alla prossima!

Kltz: Fondiamo la lega per la soppressione sistematica di tutte le helen di questo modo (che poverelle hanno in comune con la mia solo il nome, ma fa lo stesso). Ah! Ho visto che hai pubblicato qualcosa di tu! Molto bene, lo leggerò sicuramente e lascerò un commento, te lo devo! Grazie di tutto!

Natalia: spero allora che anche questa storia vada tra i tuoi preferiti! XDD purtroppo non si può dare un parere sul georg migliore della sezione, secondo me, perchè forse a parte la mia e pochiiiiiiiissime altre non ci sono storie che parlano di lui, come protagonista, intendo! E la cosa mi dispiace parecchio perchè, oltre ad essere un gran pezzo di sequoia, è anche un personaggio che stimolerebbe la fantasia molto di più che dei Kaulitz, che sono sempre in primo piano. Prometto che mi impegnerò su questo fronte! E che ne scriverò una anche su Gugu... è già in cantiere!

LaTuM: il mulo deve avere una statua in ogni piazza italiana, una via dedicata in ogni sobborgo urbano!!! ehehe! Ci becchiamo su msn! E grazie di nuovo per la citazione sul tuo blog, non sai davvero quanto piacere mi abbia fatto!

Picchia:  ho pescato nel cappello del cappellaio matto di alice nel paese delle meraviglie!!! Il riciclo di Helen ci sarà... ma per una cosa mooooolto lontana dal libro... mooooolto reale... mooooolto vedrai XD nessuno sfogo agli amichetti, ci ho già pensato con le shot che ho scritto (ne ho terminata poi un'altra, te la passo se vuoi XD), la mia mente tossica lavora lavora lavora per voi! come nella salerno reggio calabria, solo che i lavori in corso vengono terminati XD

Ciribiricoccola: Tom rompicoglioni e anche un po' stronzarello. Eh, insomma, c'è il tuo amico che ha bisogno di un conforto e tu gli volti il culo? ma in che mondo vivi???? eheheh!

Kit2007: se il capitolo precedente ti è sembrato cinico e pessimista, quando leggerai gli altri ti metterai l'anima in pace... eheheh, tempi duri per i tokio!

Lidiuz93: eh, i twins sono dei grandissimi stronzi, se ci si mettono. Anche nella realtà, secondo me! XDDD grazie e alla prossima!

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: RubyChubb