Spring
nicht…
Il freddo ferisce il
mio corpo. Lo percepisco, intenso, trapassa la mia
giacca di pelle, penetrandomi nelle ossa. Salgo le scale, senza sapere perché i
miei piedi mi conducano in quella direzione. Il mio cuore li guida,
una sensazione strana lo attanaglia. Attorno a me, il silenzio. Talmente profondo che il suono del mio respiro è potente come una
bomba, al mio orecchio.
Davanti a me, improvvisamente
una porta. E’ socchiusa, il metallo di cui è composta è arrugginito. La spingo,
con un piede.
La cima di un palazzo.
Pozzanghere per terra, la lampada sopra la porta alle mie spalle è l’unica
fonte di luce. Intorno il buio. In lontananza le luci
della città.
Avanzo. All’improvviso
vedo una persona, che mi da le spalle. La riconosco,
rabbrividisco, i miei piedi diventano pesanti come piombo. Apro la bocca, ma nessun
suono ne scaturisce. Mi ritrovo ad essere uno spettatore impotente. Invisibile
ai suoi occhi, inudibile ai suoi orecchi.
Continuando a darmi le
spalle, si avvicina al cornicione. Appoggia il piede destro sopra di esso, poi il sinistro, issandosi.
Singhiozza. Anche se
non posso vedere il suo volto, lo immagino, bagnato, le lacrime vengono inghiottite dall’abisso sotto di lei.
Apro di nuovo la bocca.
“Spring nicht!” Urlo con tutto il fiato che ho in corpo.
Resta
immobile, sul ciglio dell’abisso, come se le mie parole non potessero spezzare
il suo dolore, raggiungere il suo cuore.
Abbasso lo sguardo, non
voglio vedere. Lo rialzo subito, è ancora lì,
immobile. Rifletto, sperando che possa almeno percepire la voce dei miei
pensieri. Intanto mi ritrovo a ripetere “Spring nicht…” come se fosse una
litania.
Si volta. Vedo il suo volto, mi specchio nei suoi occhi. Scuri, vuoti.
Dentro di essi leggo il dolore, la tristezza. Mi
guarda ma non sembra vedermi. La scruto ancora, comprendendo che, quella che mi
sta di fronte, è una persona arrivata al capolinea, che pensa che la vita non
possa darle più nulla, che vede in un terrificante salto nel vuoto la
risoluzione a tutto. L’oblio.
Mi slancio in avanti,
tentando ancora di muovermi. Il mio cuore mi dice che mi resta poco tempo, per
fermarla. Il mio corpo fa resistenza, come se un’oscura forza
volesse impedirmi di raggiungerla.
“Bitte…Spring nicht!”
urlo ancora.
Sorride, tristemente.
Le lacrime hanno smesso di cadere. Improvvisamente crollo in avanti. Non c’è
più nulla che mi trattenga. Corro,
mi fermo solo a pochi centimetri da lei, porgendole la mano.
“Nimm meine Hand, wir fangen nochmal an…” Afferra la
mia mano, ricominciamo…, le sussurro.
Sorride ancora. I suoi piedi si muovono, avvicinandosi all’orlo. Cerco di afferrarla, lei si scansa.
Gli occhi mi bruciano, ora sono le mie lacrime
a cadere. Non voglio perderla, rinunciare a lei. Il mio cuore è attanagliato
dalla tristezza e da un sentimento di impotenza.
Mi osserva, il sorriso è svanito dalle sue
labbra. I miei piedi si muovono, ora sono io che li muovo, consapevole di quale
sia l’unica cosa che posso fare per salvare lei e, contemporaneamente, me
stesso.
Salito sul cornicione al suo fianco, le sorrido, asciugando le scie
delle lacrime che avevano solcato le sue guance.
L’abisso diventa sempre più grande mentre si avvicina, la sua figura,
sempre più piccola mentre mi allontano. La fisso,
felice di aver fatto la cosa giusta, saltando al suo posto…
…Dann spring ich für Dich…
Calore. Apro gli occhi. Buio. Lei si muove accanto a
me. Va tutto bene, mi dico, era solo un incubo, non era reale.
La stringo, lei continua a dormire. Sorrido, spostandole una ciocca di capelli dal volto, le mie labbra
sfiorano la sua fronte. Il mio cuore batte.
“Ein Tag, wenn es notwendig sein wird, werde ich
für dir springen…” sussurro piano contro la sua pelle.
Un giorno, se sarà necessario, salterò per te…