Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Aya_Brea    25/07/2013    5 recensioni
"E alla fine, con un ultimo schioppo di fucile, Ran ripiombò alla realtà. La torre di Arnolfo era ancora lì, immobile, robusta, imponente. 
Eppure, per un istante soltanto, le era sembrato di intravedere un lembo bianco svolazzare in cima a quel torrione."
 
In occasione del diciottesimo compleanno di Ran, lei e gli altri decidono di trascorrere alcuni giorni presso la meravigliosa città di Firenze. Nell'entusiasmo generale, la ragazza ha la consapevolezza di voler ricevere soltanto un regalo da quella notte: il ritorno di Shinichi. 
Contemporaneamente, dall'altra parte del globo, il Ladro Gentiluomo, Kaito Kid, si ritrova a dover affrontare una delle prove più difficili della propria vita: il confronto burrascoso col proprio passato, e l'inquietudine di un nuovo, insolito, presente. 
Ma quando tutto sembra destinato a franare rovinosamente verso l'oblio, ecco che una nuova speranza torna a ricollegare le vicende di due mondi apparentemente differenti, ma così ineluttabilmente simili.  
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoko Nakamori , Kaito Kuroba/Kaito Kid, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2. Forse, un eroe? 




Shinichi sollevò il capo e vide che la porta si era spalancata di colpo, senza dargli il benché minimo istante di riflessione. Non sapeva bene cosa diavolo stesse succedendo, eppure il suo cuore perse un battito non appena riuscì a focalizzare chi vi fosse al di là dei propri occhi. Un candido mantello bianco svolazzava intorno alla figura imperiosa di Ladro Kid. E come di consueto, come ad ogni sua apparizione, quel soffice manto di seta venne avvolto da un'aura quasi magica. Non seppe spiegarsi come, ma Kid riusciva a rendere teatrale qualsiasi scenario in cui comparisse.  
Il volto del mago passò improvvisamente dalla serietà allo stupore: incrociando lo sguardo del detective liceale, infatti, sembrò come deluso da quell'incontro. Non se lo sarebbe mai aspettato. 
Kudo strinse i denti e con essi, serrò anche i pugni: le nocche spingevano contro la colonna in calcestruzzo. “Che sta succedendo? Sei stato tu ad orchestrare questa specie di rapimento?” Il Detective si sforzò per sfoderare il suo classico sorriso sardonico, ma l'altro, di tutta risposta, non se ne curò minimamente. Come se Shinichi non vi fosse, avanzò con passo rapido ed oltrepassò addirittura il ragazzo legato. Al momento le sue priorità erano ben altre. Come presagiva, in fondo al magazzino, fra i cumuli di macerie e fra la polvere di granito, aleggiava sospinto dal vento, un minuscolo biglietto spiegazzato. Lo raccolse con la mano guantata di bianco e ne lesse rapidamente il contenuto. I suoi occhi corsero lungo la calligrafia spigolosa e calcata. 
'Benvenuto a Firenze, Kaito Kuroba. Sapevo che saresti approdato in Italia pur di scoprire chi si celi dietro l'identità del sottoscritto. Eppure, credo proprio che l'impresa sarà ardua, lunga e faticosa. Tieni d'occhio le persone che ti sono vicine.” 
Shinichi strepitava dall'altro capo della stanza, si lasciò poi sfuggire un mugugno contrariato. “Kid!” Lo richiamò, allo stremo delle forze. 
Il ladro gentiluomo ripiegò il biglietto e lo custodì nella tasca interna della giacca, poi si diresse nuovamente verso l'uscita. 
“Fa' molta attenzione, giovane Detective. Siamo invischiati in un bel guaio.” 
“Cosa vuoi dire?” La porta si richiuse alle spalle di Kid. Cosa voleva comunicare con quella frase? Chi l'aveva rapito, e per quale motivo lo aveva fatto? Sentì una scia di calore percorrergli la spina dorsale, poi il suo corpo fu scosso da alcuni brividi. Soltanto Conan l'avrebbe liberato dalle corde che lo imprigionavano. Stavolta quel piccolo occhialuto si sarebbe rivelato davvero utile. 





Erano trascorse quasi due lunghe ed interminabili ore, aveva osservato gli ultimi amanti sfuggire agli sgoccioli di quella notte per rintanarsi finalmente nei loro nidi d’amore, aveva osservato stancamente, come le luci dei palazzoni si spegnessero una dopo l’altra: alcune rimasero accese, si intravedevano di tanto in tanto delle ombre nere far capolino, furtive. Ed aveva osservato il fiume nella sua immobilità, ne era stata rapita più volte: avrebbe potuto perdersi in quello specchio nero, pieno di infinite e vibranti increspature. Ponte Vecchio di notte, era un vero e proprio gioiellino. 
Aveva ormai raggiunto la maggiore età, lo aveva fatto da un pezzo, ma Shinichi non si era presentato neanche quella volta: Ran ebbe la triste conferma dell’ennesima promessa non mantenuta. Le sembrò di rivedere lo stralcio di ricordo da cui tutto era cominciato: aveva il braccio sollevato, correva inoltrandosi in quel viottolo scuro, inghiottito lentamente nelle tenebre. Il suo ultimo sorriso, le sue ultime parole, ed infine, quel terribile presentimento rivelatosi veritiero. Shinichi scomparve.
E non c’era. Neanche quella volta. Giunse alla conclusione che il caso che l’aveva completamente assorbito doveva essere di gran lunga più importante di lei. Eppure le aveva spedito quel biglietto e forse era stato proprio quel piccolo dettaglio a farle sperare in un suo ritorno, in una sua sorpresa. Ma così non era stato. 
Quando le prime gocce di pioggia avevano cominciato a picchiettare sulla strada, le sembrò come se la natura stesse partecipando al dolore che la dilaniava dentro: indietreggiò di qualche passò ed istintivamente sollevò il volto verso il cielo, osservando le dense nuvole bigie incastrarsi fra loro. Alcune gocce d’acqua le scivolarono sulle guance, tenne gli occhi aperti fin quando l’ennesima goccia non le colpì la palpebra: era troppo fitta perché potesse continuare a guardare all’insù. Shinichi. Perché non c’era mai? Perché doveva farla soffrire inutilmente? Perché? 
Improvvisamente le gambe cedettero e Ran si afflosciò al suolo come un fiore abbattuto dalla violenza di una tempesta: i suoi petali erano fin troppo deboli, gracili ed il suo stelo troppo esile, anche se all’apparenza aveva potuto dimostrare il contrario. Spesso la bellezza è soltanto un velo indossato per nascondere la fragilità interiore. La ragazza infatti, aveva affondato il visino fra le dita congelate dal freddo, percependo subito le lacrime, invece, calde, che gli bagnavano le ciglia. Il suo corpo era scosso da innumerevoli brividi e singulti; la pioggia si faceva via via più incessante. Ormai il suo vestito era intriso di acqua. Rovinato per sempre.
“Mi hanno regalato qualsiasi cosa, ma niente potrà colmare il vuoto che mi dai tu. Ti odio.” Farfugliò, mentre strinse i pugni e si accoccolò ancor di più a terra, stretta stretta e chiusa come un riccio pronto a difendersi dal pericolo imminente. Shinichi aveva ucciso anche quel suo piccolo barlume di speranza, quel piccolo germoglio che ancora custodiva gelosamente nel cuore.
Continuò a piangere a lungo, fin quando d'un tratto, le parve di sentirsi asciutta. La pioggia aveva forse cessato di cadere? Sollevò il viso paonazzo di rabbia e dolore, e vide proprio a pochi centimetri da lei, un paio di eleganti scarpe bianche, laccate. Per un attimo le lacrime smisero di scendere giù, copiose. Si passò una mano sul viso per asciugarselo, e lentamente risalì con lo sguardo. Quei pantaloni di seta chiari erano inconfondibili, tanto più inconfondibile quel volto sbarazzino, lo sfavillante monocolo ed il cappello a cilindro.  Le si mozzò il fiato in gola: il suo candido mantello si agitava sospinto dal vento. 
“Kaito Kid?” Ran sussurrò più a se stessa, che a lui. Era incredula. Strabuzzò gli occhi per assicurarsi che non si trattasse di un sogno. 
Il ladro gentiluomo la stava riparando dalla pioggia con un ampio ombrello nero, mentre l’altra mano, avvolta dal guanto, era tesa e rivolta verso la ragazza. “Non sta bene che una ragazza se ne stia tutta sola, nel bel mezzo di un temporale.” 
Ran lo osservò a lungo, senza avere il coraggio di rispondere: sembrava non curarsi del clima così torbido.  E d'altronde come avrebbe potuto preoccuparsene, una leggenda vivente come lui? 
Come se i brutti pensieri l'avessero abbandonata, la ragazza mora si alzò in piedi e si sistemò, per quanto poté, l'abito: era tutto zuppo d'acqua, le aderiva in maniera fastidiosa ad ogni centimetro della pelle. Aveva la sensazione di indossare un sacco della spazzatura. 
“Dev'essere uno scherzo, questo.” Proruppe lei, sarcastica. Ovviamente aveva respinto il suo aiuto.
Kid sorrise, e le sue labbra si inarcarono ancor di più, non appena ebbe l'opportunità di incrociare lo sguardo stizzito di Ran. “Hai un faccino così pieno di rabbia. Dimmi, è per colpa di qualche ragazzo?”
A quel punto, ella sollevò le spalle. “Non so di cosa stai parlando. Ma ti ordino di starmi lontano. Non avvicinarti ancora o chiamo la polizia. Mi hai sentito?” Se solo si fossero ritrovati in un'altra situazione, la presenza del ladro gentiluomo l'avrebbe sicuramente colta di sorpresa, ma i pensieri che la tormentavano e l'ira che si mescolava dentro di lei, non le regalarono neanche un briciolo di lucidità. Era come in trance. Tutto quel che voleva fare, era raggiungere l'albergo per potersi fare una bella doccia calda. 
“Ehi, stai calma. Mi credi davvero capace di far del male ad una splendida fanciulla? Le donne non si toccano, neanche con un fiore. Mi deludi, Ran.” 
Sentendosi chiamare per nome, ella trasalì: aveva girato i tacchi per darsela a gambe, ma quell'ultima esclamazione l'aveva costretta a voltarsi nuovamente verso di lui. La pioggia continuava a scrosciare sulla città di Firenze, la sentiva nuovamente ed in parte le impediva di tenere gli occhi aperti. Kaito invece, teneva l'ombrello con estrema non-chalance. 
“Come fai a sapere il mio nome?” Borbottò, dunque. “Stammi lontano. Guarda che … guarda che hai le ore contate.”
“Se volessi, potrei scoprire qualsiasi cosa.” Kid piegò il capo sulla spalla e le strizzò l'occhiolino. Il sorriso scaltro non era ancora scomparso dal suo volto.
Ran pensò per qualche istante che avrebbe potuto chiedergli dove diavolo fosse finito Shinichi, ma alla fine lasciò perdere. Era una follia! Si maledisse mentalmente per aver pensato, anche soltanto per un secondo, di potersi fidare di un ladro. Ma la curiosità di capire per quale motivo fosse lì era veramente troppo grande. Nonostante ciò, scosse il capo e decise che era giunto il momento di filarsela: Sonoko e gli altri erano sicuramente in pensiero per lei. Con passo svelto e sostenuto, si avviò verso l'albergo, cercando di ricordare la strada che aveva percorso qualche ora prima. Non che le mancasse il coraggio di affrontare quel ladro, ma era sicura che la scelta più saggia da prendere, fosse quella di avvertire il padre e la polizia.
Qualche metro più tardi, ebbe ancora la sensazione di avere un paio di occhi puntati sulla schiena: si voltò con circospezione e vide che Kid la stava seguendo. Ritornò dunque sui propri passi, incurante di quella seccatura. 'Ma guarda un po' che scherzi mi gioca il destino. Mi ritrovo ad attendere con trepidazione quell'imbecille di Detective da due soldi, e come risultato ottengo un ladro montato alle calcagna. Quando si scolla?' Ran continuò camminare, di tanto in tanto gettava un'occhiata dietro di sé: Kaito era ancora lì, sembrava stesse passeggiando per conto suo. D'un tratto prese persino a fischiettare, quasi non volesse seguirla, come se si trovasse a girovagare senza una meta. 
'Certo che è proprio strano. Mi sta mettendo ansia.' Senza neanche accorgersene infatti, Ran aumentò drasticamente il passo, svoltò nei pressi della via dell'albergo e oltrepassò il grande lampione che emanava la sua intensa luce giallastra. Aveva quasi smesso di piovere. Passò rapidamente al di sotto di un porticato, poi finalmente raggiunse l'ingresso dell'albergo. Nella sicurezza data dalle luci alle reception, ella si voltò per l'ultima volta e fu allora che scorse nuovamente la sua figura. 
Sull'altro marciapiede, seduto su di una panchina di pietra, Kaito Kid si era sfilato il cappello a cilindro e la osservava, serio. Non pioveva più. Fra di loro si frapponevano soltanto un pezzo di strada, una manciata di polvere sollevata da una folata di vento e niente più. Il cuore di Ran rallentò, riprese a battere regolarmente, tanto che il suo corpo non percepì più la situazione come 'pericolosa'. Quasi le venne da sorridere. 'Ma che fa? La guardia del corpo?' 
Kid sollevò il braccio e le fece un cenno, dopodiché, sorrise leggermente. “Buonanotte, dolce fanciulla.” 
Ran non riuscì a trattenere un flebile sorriso, la circostanza era più che paradossale. Fece per varcare la soglia, ma con suo grande stupore udì una frase che la fece rabbrividire.
“Le lacrime son come diamanti. Non sprecarle per chi non ti merita.”
 
 
 
 
 
Ran si trascinò stancamente verso la stanza del padre: nell'albergo non s'udiva un fiato, c'era un silenzio a dir poco opprimente e per questo si premunì di non fare troppo rumore. I suoi passi risuonarono ovattati sulla moquette, poi picchiettò le nocche contro la porta di legno. Rimase in attesa per qualche minuto: non si aspettava che il padre si destasse per qualche colpetto così debole, infatti fu il piccolo Conan ad aprirle. 
“Conan! Ti ho svegliato?”
Il bambino sbadigliò vistosamente ma si sforzò ugualmente di sorridere. “Macché, stai tranquilla Ran. Ero in dormiveglia. Kogoro russa talmente forte da non farmi chiudere occhio.” Osservò la ragazza e poi le chiese dove fosse stata, per quale motivo i suoi vestiti fossero intrisi d'acqua. 
“Volevo fare un giro, mi sono allontanata dall'albergo e alla fine si è messo a piovere. Non potevo correre con questi tacchi.” Ridacchiò, dopodiché si inginocchiò a terra per dare un buffetto a Conan. Il suo sguardo era insolitamente dolce. “Volevo assicurarmi che fosse tutto ok. Dovevo parlare con papà ma a quanto pare è meglio rimandare a domattina. Come si dice? Mai svegliare il can che dorme.” 
Conan annuì, si sforzò di sorridere, ma in fondo agli occhi di Ran lesse un velo di preoccupazione. L'aveva vista. Quel maledetto si era avvicinato troppo. Cosa diavolo voleva da lei? Per quale motivo si trovava in Italia? Quel misero involucro da marmocchio non era mai stato così pesante, si sentiva incatenato in un corpo che non gli apparteneva. Non riusciva ad avere pieno possesso delle proprie facoltà, fu quasi tentato di rivelargli la verità, ma l'istante successivo si ritrovò a pentirsene. Doveva proteggere Ran. Ma anche se stesso. Le afferrò il polso in uno scatto, i suoi occhi vagarono in cerca di risposte. “Ran... io ci sono. Per qualsiasi cosa.” Lasciò subito la presa, quasi se ne vergognò. Sorrise per mascherare la sua apprensione. 
“Va tutto bene. Fila a dormire ora, è tardissimo. Buonanotte Conan.” 
“Notte Ran.” Richiuse la porta ed inspirò.
Kaito Kid avrebbe pagato per quell'affronto.
 
 
 
 
 
Ran aveva trascorso il giorno seguente a rimuginare sul suo recente incontro: il sole era caldo, l'afa rendeva difficoltosa la loro traversata della città, specialmente nei tratti in cui il terreno diventava scosceso. Passo dopo passo, non riusciva a non pensare alle parole di Kid, al suo mantello bianco, a Shinichi. Conan infatti,  non mancò di notare che la ragazza se ne stava sulle sue; il suo faccino nascosto dal cappellino, poi, non dava adito ad alcun dubbio. Ma come qualsiasi giornata storta, anche quella volse al termine. Si ritirarono tutti nelle loro camere  e dopo una breve doccia ristoratrice si ritrovarono nella hall per la cena. 
Ran e Sonoko scesero assieme, Kogoro le vide scambiarsi alcune chiacchiere fugaci, che lui non riuscì a comprendere neanche tramite il labiale, data la loro terribile abitudine di nascondersi dietro i palmi delle mani. Si avvicinarono agli altri scoppiando in una fragorosa risata d'intesa.
Conan le aspettava insieme ad Ai. 'Ma quando diavolo si decide a parlare al padre di Kid? E che hanno tanto da confabulare queste due? Non me la raccontano giusta.' Il detective aggrottò la fronte e le seguì entrambe con lo sguardo, fin quando non raggiunsero il tavolo riservatogli. 
Durante la cena, Ran fu tentata più volte a rivelare la verità al padre, ma qualcosa la frenava non appena provava ad aprir bocca per aprire il discorso. Si pulì le labbra col fazzoletto e trasse un sospiro carico di incertezza. Dopodiché si rivolse a Sonoko, intenta a spiluccare le ultime briciole di pane. 
“Cosa facciamo stasera? Seguiamo gli altri, oppure preferisci fare altro?” 
L'ereditiera si portò entrambe le mani al viso e sorrise ampiamente. “Dipende da quel che vogliono fare.” 
Ran sollevò le spalle ed osservò il padre mentre ingurgitava avidamente quel che aveva nel piatto. Avrebbe potuto fidarsi di un tale scellerato? “Credo che stasera ci sia l'orchestra in Piazza della Signoria. Ayumi e gli altri vorranno andare ad ascoltarla, e credo che anche il Dottor Agasa sia interessato.” 
“E tu? Cosa vuoi fare, Ran?” Incalzò Sonoko, evidentemente seccata al solo pensiero di starsene in piedi per sentire musica d'altri tempi. A quel punto la ragazza mora non riuscì a trattenere un sorriso, anche per la palese reazione dell'amica. 
“Ho capito, non ti va di andare. Beh, potremmo sempre farci un giro per la città.” 
“Magari qualche localino nei dintorni.” Sonoko lasciò scivolare le mani sul petto e ve le intrecciò, con sguardo sognante e perso. “Sarebbe bello trovare un fidanzato italiano!”
“Ma smettila! Non siamo qui per fare colpo.” Ran le diede un leggero colpetto. Ma si, per una volta avrebbero potuto godersi la serata come preferivano. 
Una volta fuori dall'hotel, infatti, le due si separarono dal gruppo. 
Conan rimase a guardarle mentre si allontanavano: Ran e Sonoko stavano percorrendo lo stesso ponte che avrebbe dovuto percorrere anche Shinichi. Strinse i denti e pensò immediatamente che non poteva lasciarle sole, era una follia: divenivano due figure sempre più lontane, poi alcune persone le circondarono fin quando non si confusero fra la folla. Fu allora, proprio quando erano lontane dai propri occhi, che il Detective provò a lanciarsi di corsa verso di loro. E proprio in quel preciso istante, non solo la mano di Ai si avvolse intorno al suo polso esile, ma un urlo lacerante si udì proprio alle loro spalle, nella direzione opposta a quella di Ran e Sonoko. 
Il vociare confuso si acquietò, Conan provò a guardare nuovamente fra la folla nel tentativo di scorgere le due amiche, ma alla fine ritornò sui propri passi e si voltò: un cerchio di persone dal volto pallido contornavano quella che aveva tutta l'aria di essere una tragedia. Scavalcò alcuni gradini, incurante delle parole di Haibara, e non appena si fece largo fra gli astanti, vide il corpo di una donna riverso in terra ed immerso in una pozzanghera di sangue. 
“Si è suicidata, si è buttata da quel palazzo. Oh mio Dio, è terribile.” Esclamò una signora. Ricevette il consenso da parte di altri, ma Conan non comprese quel che si stava dicendo. 
Haibara alzò lo sguardo ai merli guelfi del palazzo, stagliarsi nitidamente contro il cielo nero. “Stanno dicendo che si è buttata giù.” 
“Suicidio?” Conan aveva la cattiva abitudine di gettarsi a capofitto nei propri casi, così corse verso il cadavere. Prima che qualcuno lo avesse afferrato per la collottola, riuscì a scorgere il volto straziato della donna. Non sembrava affatto un suicidio.
“Quante volte devo dirtelo di farti gli affaracci tuoi, moccioso!” Kogoro non mancò di trascinarlo via in malo modo. Fra le sue braccia serrate che gli impedivano di sgattaiolare via, valutò alcuni fattori, fra i quali l'altezza del palazzo, la posizione del cadavere e il vento che spirava nel verso contrario.
Gli bastarono quei pochissimi dettagli per capire che non si trattava di suicidio. Qualcuno l'aveva spinta, non accidentalmente, ma con la precisa intenzione di ammazzarla. 
 
 
 
 
 
Ran e Sonoko erano ormai troppo lontane perché potessero rendersi conto dell'accaduto, inoltre avevano trovato un pub molto carino che costeggiava il fiume. Lontane dalla movida di strada, nel locale si respirava un leggerissimo profumo di limoni e di fiori, le luci soffuse sprigionavano colori intensi dalle tonalità azzurrognole e gli arredi erano perfettamente inquadrati nell'atmosfera moderna: sedie e tavoli erano essenziali e squadrati, le superfici bianche riflettevano sapientemente i giochi di luce offerti dalle lampade. Le due ragazze erano sedute ad un tavolo sul fondo del locale e la visuale consentiva loro di osservare tutti coloro che entravano ed uscivano.
“Speriamo che si stiano divertendo, un po' mi dispiace di aver lasciato Conan da solo.”
“Mica è da solo! E poi devi smetterla di badare sempre a quel ragazzino come fosse tuo figlio. Avremmo bisogno anche noi di un po' di relax no?”
Ran giocherellava con le decorazioni del suo cellulare, osservava lo schermo nella vana speranza di ricevere qualche messaggio, se non addirittura, qualche chiamata. Era assente, non riusciva a divertirsi. “Si certo. Ma sono preoccupata. Oltre ad avere un brutto presentimento ce l'ho a morte con Shinichi.”
“E quando mai. Si sarà dimenticato ed ora si starà mangiando le mani, te lo dico io!”
“Ma come può essersi scordato di una cosa così? Era il mio compleanno, fra l'altro uno dei più importanti di tutta la mia vita.” Proferì lei con rammarico. Oramai la rabbia era scemata, lasciando spazio al solo dispiacere. 
“Dai, cerca di non pensarci. Almeno stasera. Fai un bel sorriso e guarda avanti. Quando lo sentirai, gliene dirai quattro.” Sonoko non riusciva più a consolarla, aveva terminato anche gli ultimi banali consigli da darle. Si sentiva anche un po' inutile e stupida. 
“Forse hai ragione. Tanto di lui non me ne importa nulla. E' solo un amico.” Proferì con tono scarsamente risoluto. Ma a chi voleva darla a bere? Osservò nuovamente il display del cellulare, poi i suoi occhi balzarono al bancone del bar e d'improvvisò avvampò. C'era un uomo, seduto comodamente su di uno sgabello, che sembrava non aver fatto altro per tutto il resto della serata: la stava guardando, o meglio, la stava fissando. 
Sonoko si accorse dell'espressione attonita di Ran, così anche lei notò lo strano tizio seduto al bancone. “Santo Cielo, che occhi. Ma chi è quello?” 
L'uomo aveva infatti, due occhi di un grigio chiarissimo: era alto e ben piazzato, i capelli corti erano argentei e tirati indietro con la gelatina, il volto affilato e gli zigomi ben proporzionati. Tutto sommato avrebbe potuto sembrare affascinante, se non fosse stato per l'enorme cicatrice che gli solcava il viso: lo squarcio correva in diagonale, attraversando  i suoi occhi e tagliandogli la guancia sinistra, poi si interrompeva sulla linea della mandibola. Fra le labbra sottili teneva un sigaro, che prontamente, si sfilò dalla bocca e lo spense nel posacenere. Anche i suoi vestiti denotavano una cura a dir poco maniacale della sua persona: i pantaloni erano neri, di raso, mentre la camicia del medesimo colore era a dir poco perfetta, non una piega di troppo. 
Ran percepì il suo cuore esplodere, si sentì inadeguata ed osservata. “Ma perché mi sta fissando, Sonoko?” Un tremolio le fece vibrare la voce. Si sentì spaventata, forse inutilmente. 
“Dio, non lo so. Magari gli piaci. Mamma mia che tipo inquietante. Hai visto la cicatrice?” La ragazza bionda bisbigliava con tono concitato. 
“Senti, io esco a prendere una boccata d'aria. E comunque sarà che gli ricordo qualcuno.” Si sforzò di sorridere e si allontanò. Una volta fuori si appoggiò con le spalle al muro: c'era tanta gente, non doveva preoccuparsi di nulla. E poi era una karateka, per cui aveva le armi giuste con cui contrattaccare in caso di pericolo. 
Qualche minuto più tardi, Ran lo vide uscire dal locale, le mani infilate nelle tasche, il portamento disinvolto. Non si curò neanche di rivolgerle lo sguardo, si limitò soltanto ad ostentare un ghigno soddisfatto. 
“Sapevo che saresti uscita ad aspettarmi. Ho un paio di occhi piuttosto eloquenti, giusto?” 
Ran sussultò, avrebbe voluto rientrare nel locale, ma non voleva coinvolgere Sonoko. “Chi sei?” 
“Non ti ricordi di me? Ci siamo conosciuti quando tu eri piccola.” Solo allora, l'uomo la guardò. 
Lei scosse il capo. “Non ne ho la più pallida idea. Non mi ricordo.” Si stava mettendo nei guai. 
“Mi rincresce. Credevo che ti ricordassi. Beh, se non altro ti ricorderai di quel bimbo con i capelli castani. Giocavate sempre insieme.”
A quel punto, Ran trasalì. 'Shinichi?' Non rispose, non avrebbe saputo cosa dirgli. Aveva la gola secca.
“Peccato. Perché io mi ricordo molto bene di te. E per questo mi sarai molto utile.” L'uomo avanzò minacciosamente verso di lei, e quando fu a pochi centimetri dalla ragazza, ella cominciò a sentirsi braccata: l'istinto prevalse su qualsiasi cosa e a quel punto Ran gli sferrò un destro dritto sullo zigomo con tutta la forza che aveva in corpo. 
“Sei un portento, ragazzina. Ma non così in fretta. Non così in fretta.” Ripeté con un sorrisetto: aveva reagito anche lui afferrandole il braccio. La spinse in malo modo, tanto che Ran cadde rovinosamente al suolo. Ancora a terra, si tastò il polso e poi cercò di alzarsi in piedi per poter contrattaccare. Successe la stessa identica cosa, ma a quel punto lei decise di tentare la fuga. Scappò via, col cuore in gola, e stupidamente svoltò in una viottola della strada principale. Corse fino alla fine nello spazio angusto fra due antichi palazzoni, ma alla fine della via si rese conto di essere incappata in un vicolo cieco. 'Cavolo.  Sono spacciata. Sono stata proprio stupida' Pensò. Aveva il fiatone, per il momento non osava voltarsi a guardare se quel tipo la stesse ancora seguendo, ma a giudicare dalla risata che seguì, le stava ancora alle costole. 
“Game over, piccola. La tua corsa finisce qui. Fai la brava, ora io e te dobbiamo collaborare.” Quando Ran si girò a guardarlo, vide i suoi occhi grigi, quasi bianchi, balenare nel buio, poi l'orrenda cicatrice. Ebbe come un flash di come se la sarebbe potuta procurare. C'era solo sangue che gocciolava. Soltanto dopo si rese conto che brandiva un coltellaccio nella mano destra.  
“Che vuoi da me?” Chiese Ran, allarmata. Indietreggiava sempre più, ma l'uomo avanzava e copriva la loro distanza di secondo in secondo. 
“Non preoccuparti. Vedrai che andrà tutto bene. Non voglio farti del male.”
La ragazza strinse i denti e si mise in guardia. “Non avvicinarti!” Eppure aveva paura. Quell'uomo aveva un coltello, rischiava di farsi molto male. Chiuse gli occhi proprio quando la sua arma si stava abbattendo su di lei, ma all'improvviso si sentì letteralmente sbalzata da terra e due braccia agili e leggere la sostennero: osservò il pavimento ai suoi piedi farsi sempre più lontano. L'uomo che l'aveva minacciata si era come dileguato, ma qualcuno la stava facendo fluttuare sempre più su. Soltanto dopo pochi istanti sentì le suole toccare nuovamente terra. 
“Appena in tempo. Stasera non mi è andata bene.” Non appena Ran si girò, riconobbe subito quel mantello bianco dolcemente adagiato sulle sue spalle. 
“Kid?” Inizialmente lei fu spaesata, disorientata. “Si può sapere chi era quello? Cosa voleva da me?” 
Il ladro scosse il capo. “Non ne ho la più pallida idea. Ma so per certo che sta cercando me. E per qualche altro assurdo motivo, adesso pare interessato anche a te.” 
La ragazza avanzò di qualche passo: erano sulla sommità di un palazzo, da quella posizione si scorgeva tutto il panorama della città Fiorentina. Pareva un perfetto ricamo che si delineava sopra all'argine del fiume, immobile nel suo splendore. 
“C'è una cosa che voglio chiederti. Perché sei qui? Perché adesso, per me?” Gli occhi di Ran erano due oceani azzurri. 
Kaito le si avvicinò e le sfiorò delicatamente il polso per poterle baciare la mano. “Ma per proteggere te, è ovvio.” 
“Non prendermi in giro, lo so che sei un cascamorto.” Ran indietreggiò per liberarsi del suo gesto galante, poi rise. L'aveva salvata. Il cascamorto. “Grazie, comunque. Ma me la sarei ugualmente cavata.” Gli sorrise. 
Kid osservò il cielo, dopodiché, lei. “Una fanciulla non dovrebbe mai sporcarsi le mani. Dico bene? Lascia che ti riporti giù, ti accompagno in albergo.” Le si avvicinò ancora per poterle prendere il braccio, ma lei si accorse subito di qualcosa. 
“Oddio, ma tu sanguini.” Esclamò Ran mentre ispezionava la sua giacca lacerata sul petto. Un rivolo rosso sangue scivolava giù. “Dai, aspetta, me ne occupi io.” 
“N-no non preoccuparti. Non è nulla. E' solo un graffio. Ora ti accompagno.” Le si avvicinò e la avvolse a sè. Ran divenne rossa in viso, si sentì improvvisamente agitata. 
“Ehi, aspetta un attimo. Che vuoi fare? Kid?” Lo richiamò più volte, ma lui la prese in braccio e corse proprio verso il ciglio del palazzo: era buffo sentirla avvinghiarsi alla sua giacca come un polipo. Non appena raggiunse il baratro, si lasciò scivolare giù con estrema grazia. Avvenne tutto in una manciata di secondi; Kid aveva compiuto quella manovra nella maniera più naturale possibile, tanto che Ran dovette chiedersi se era piombata in una sottospecie di sogno o se si trattasse della realtà. La adagiò al suolo e così come era giunto nella sua vita, di soppiatto, il ladro gentiluomo la abbandonò lì. Sonoko si precipitò in suo aiuto, ma tutto quello che Ran seppe dirle fu un banalissimo: “Niente. Non è successo niente.” 







Ehmmm.. si lo so. Son mesi che non aggiorno... XD ma sono successe un po' di cose e ci sono stati gli esami universitari di mezzo, per cui non ho proprio avuto il tempo per poter scrivere.. dannazione mi sento così arrugginita :(
Spero che nonostante ciò il capitolo vi piaccia :) 
Più in là si chiariranno molte cose che ora sembrano molto... oscure ed ambigue.
Per quei pochi che saranno rimasti a seguirmi........ mi piacerebbe avere un vostro parere 
o consiglio! Ringrazio caldamente Flaminia per tutto il supporto che mi da... <3
Tu vu bu tanto!!!
A presto e al prossimo capitolo y.y sperando di non impiegarci una vita per scriverlo... Ahahahaha!!
Baci :)

Aya_Brea

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Aya_Brea