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Autore: Aya_Brea    29/08/2013    5 recensioni
"E alla fine, con un ultimo schioppo di fucile, Ran ripiombò alla realtà. La torre di Arnolfo era ancora lì, immobile, robusta, imponente. 
Eppure, per un istante soltanto, le era sembrato di intravedere un lembo bianco svolazzare in cima a quel torrione."
 
In occasione del diciottesimo compleanno di Ran, lei e gli altri decidono di trascorrere alcuni giorni presso la meravigliosa città di Firenze. Nell'entusiasmo generale, la ragazza ha la consapevolezza di voler ricevere soltanto un regalo da quella notte: il ritorno di Shinichi. 
Contemporaneamente, dall'altra parte del globo, il Ladro Gentiluomo, Kaito Kid, si ritrova a dover affrontare una delle prove più difficili della propria vita: il confronto burrascoso col proprio passato, e l'inquietudine di un nuovo, insolito, presente. 
Ma quando tutto sembra destinato a franare rovinosamente verso l'oblio, ecco che una nuova speranza torna a ricollegare le vicende di due mondi apparentemente differenti, ma così ineluttabilmente simili.  
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoko Nakamori , Kaito Kuroba/Kaito Kid, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 3. Come Bonnie e Clyde



Firenze s'era assopita assieme ai suoi cittadini e mentre il nero della notte l'aveva inghiottita in una immobilità surreale, un angelo dal candido mantello si aggirava per le sue strade, apparentemente senza meta. Era ormai lontano dal centro abitato, ma nonostante tutto i lampioni ai bordi dello stradone avevano continuato ad accompagnarlo lungo il suo tragitto solitario.
Kaito Kid avvolse la mano intorno al palo della luce e si lasciò volteggiare intorno ad esso, mentre con lo sguardo vagava fra i contorni della città. Un sorriso malinconico gli si dipinse sul volto. 'Spero che tu sia riuscita a cavartela Ran.' Lasciò andare il palo e con grazia se ne discostò, proseguendo il suo cammino. Il freddo pungente della sera lo costrinse a stringere un poco di più le spalle, mentre le mani si infiltravano nelle tasche dei pantaloni. Alla fine scorse la cabina telefonica a pochi metri da lui, isolata dal resto del mondo; era la prima volta che si ritrovava in una situazione simile. Dopo aver appurato di essere completamente solo, Kaito aprì la porta della cabina e se la richiuse alle spalle. Esitò per alcuni secondi prima di afferrare la cornetta del telefono: non aveva bisogno di controllare il numero poiché sapeva di averlo ben impresso nella mente. Si sentirono parecchi squilli, poi Kuroba sorrise sollevato non appena riconobbe la voce preoccupata di quella ragazza.
"Pronto? Chi parla?"
"Aoko, sono io, Kaito. Kuroba." Sottolineò per poi affrettarsi a continuare. "Non attaccare, lascia che ti spieghi."
Il cavo telefonico che Aoko stringeva convulsamente fra le dita fu percorso da un agghiacciante silenzio. "Ancora tu? Mi hai già chiamata venti volte. Come ti salta in testa di telefonarmi alle quattro di notte? Credevo che fosse successo chissà cosa!" L'agitazione iniziale andava scemando lentamente: non le era mai successo di doversi svegliare di soprassalto per rispondere al telefono.
"Mi dispiace per l'ora, ma non mi hai lasciato scelta."
"E quindi? Cosa vuoi?" Il suo tono era pieno di sarcasmo, oltre che di rancore.
"Stai facendo la stupida come al solito. Non mi hai dato neanche il tempo di controbattere o di spiegarti il perché di tutto questo."
"Se c'è uno stupido, qui, quello sei tu, mio caro Ladro Kid. Non voglio più avere nulla a che fare con te. Mettitelo bene in testa. Non mi lascerò più incantare dalle tue magie. Ti odio." Il pigiama pesante non impedì ad Aoko di rabbrividire e assieme al suo corpo, anche la voce tremò, quasi le si strozzò in gola. "E' finita. Lasciami in pace, per te non esisto più. Addio."
Kaito sentì qualcosa come un flebile singhiozzo, dopodiché non poté più aggiunger nulla, anche se le sue parole si accavallarono comunque sul telefono che continuava a squillare a vuoto, come se da quei 'tu-tu-tu' avesse potuto ottenere delle risposte. Chissà, forse dall'altro lato della cornetta era ancora premuta la guancia di Aoko.
Ma alla fine Kid dovette demordere, anche perché la prospettiva di trascorrere il resto della notte, in piedi, in quella squallida cabina telefonica, non lo allettava affatto. Strinse i pugni e sentì i guanti bianchi stridere fra le dita. "Che stupida. Non cambierai mai, eh Aoko? Non mi hai dato neanche il tempo per chiederti scusa. Ma tanto non te lo avrei chiesto comunque. Stupida. Stupida!" L'ultima parola la proferì con denti serrati: aveva perduto completamente il cipiglio del ladro gentiluomo ed imprecando contro la sua amica, Kaito Kid aveva lasciato, senza neanche rendersene conto, che il più impulsivo Kaito Kuroba prendesse il sopravvento.
Uscì dalla cabina telefonica e con la mano destra accompagnò il suo mantello; incamminatosi lungo la strada, gli bastò sollevare la testa per osservare le colline di fronte a sè, disseminate di inquietanti cipressi scuri. Il vento gli sollevò la tesa del cappello a cilindro, ed il mago se lo calò prontamente sul capo, trattenendolo poi con stizza. L'altra mano si intrufolò nelle tasche e ne tirò fuori un bigliettino spiegazzato, lo stesso che aveva trovato nella stanza dove era stato tenuto prigioniero il giovane detective Shinichi Kudo. Le parole che vi erano impresse le aveva imparate a menadito, ma il retro del foglio recitava un enigma che aveva risolto soltanto da qualche ora.

'Così come la bellezza alberga nella crisalide di una farfalla, fra gli sconosciuti mattoni dal cuore d'oro, giace ancora un tassello del grande mosaico.'

Kaito sorrise appena, beffardo. Non sapeva chi fosse quell'uomo, ma era quasi convinto che si trattasse dello stesso individuo che aveva colto un'imboscata anche a Ran. Il motivo per cui l'avesse coinvolta era ancora del tutto ignoto; sapeva soltanto che se cercava entrambi, in un modo o nell'altro avrebbe dovuto proteggere quella ragazza, poiché invischiati assieme in quella specie di gioco. Perché di un gioco, si trattava, almeno per Mr. X. "Mr. X", così si era firmato in quel biglietto.
"Davvero buffo. Una volta sarei stato io a lasciare indizi sparsi qua e là. Ma a quanto pare gli schemi sembrano essersi ribaltati. Ebbene, mio caro Mr. X, accetto la tua sfida." Con fare trionfale, ripiegò l'invito e se lo infilò nella tasca interna della giacca.
I cipressi ondeggiarono mollemente, accogliendolo in quella sua lunga passeggiata nella notte senza luna.
 
 
 
 
 
Ran e Sonoko erano state in albergo per tutto il giorno seguente: avevano appreso da Kogoro del suicidio consumatosi mentre erano al pub. Dato il clima di tensione in città, il detective aveva inoltre ordinato loro di chiudersi in stanza almeno fino a quando non si sarebbero calmate le acque. Le due avevano acconsentito a malincuore e si erano organizzate un pomeriggio di fronte alla tv, assieme ai malcapitati Detective Boys, sfuggiti persino agli indovinelli del dottor Agasa. Ai e Conan erano stati ugualmente sottoposti allo stesso 'trattamento', anche se il piccolo investigatore aveva tentato più volte di svignarsela per ottenere maggiori informazioni relative al caso. Ran e Sonoko erano entrambe strane, confabulavano fra di loro e si estraniavano continuamente dall'allegra combriccola. Così, nel bel mezzo della chiacchierata, Conan saltò sul letto e si alzò in piedi, sfoderando un sorriso raggiante e fanciullesco. "Facciamo un gioco?"
Alla sua esclamazione, tutti tacquero, ed Ai fu la prima ad osservarlo con curiosità. Ma che diavolo gli saltava in testa? Sicuramente qualcuno dei suoi trucchetti. Ayumi battè le mani, le si illuminarono gli occhi.
"Non credo alle mie orecchie! Conan sta proponendo un gioco!"
Genta agitò la mano a mezz'aria, non proprio convinto dalla proposta. "Sarà un gioco tipo: indovina l'anno in cui Sherlock Holmes incontrò Watson per la prima volta. In tal caso sarebbe terribilmente noioso."
Ran, invece, sorrise incuriosita e stuzzicò il piccolo Conan, che nel frattempo era diventato paonazzo. Shinichi sarebbe esploso di vanagloria in una circostanza simile: amava starsene al centro dell'attenzione. "Si dai, qualsiasi cosa sia, io ci sto. E anche Sonoko."
E a quel punto Conan, continuò. "No, Genta. Sei fuori strada. Volevo proporvi un gioco che fanno i bambini ed i ragazzi qui in Italia. Si chiama Obbligo o Verità." Lo sguardo del piccolo guizzò fulmineo proprio negli occhi di Ran, che per qualche istante, lo aveva visto chiaramente, tremarono.
Ai incrociò le braccia al petto, osservando gli altri, che, non potendo abbandonare le loro consuetudini giapponesi, se ne stavano seduti a terra. "E come si svolgerebbe questo gioco, sentiamo?"
Conan si schiarì un momento la voce. "Ci disponiamo tutti in cerchio e facciamo ruotare una bottiglia a terra." Continuò ad esporre la dinamica del gioco e nel contempo afferrò la bottiglia dell'acqua posta sul comodino. "E alla fine bisogna rispondere alle domande che ci vengono poste. Facile, no?"
A seguito delle spiegazioni fu proprio il piccolo Conan a dare il via alla prima manche. Tutti furono completamente assorbiti, e nell'attimo prima che la bottiglia si fermasse, si sentì palpabile il silenzio dell'attesa, mentre gli occhi avevano continuato a seguirla come ipnotizzati.
"Haibara."
Il collo della bottiglia puntava verso le sue ginocchia nude: non poté far a meno di sorridere con scherno, visibilmente seccata da quel giochino così infantile. "Ecco, lo sapevo." Borbottò sottovoce.
Conan ricambiò il suo sorriso e le strizzò l'occhiolino. "Non lamentarti e cerca di stare al gioco. Allora, cosa preferisci, obbligo o verità?"
Ai alzò lo sguardo al cielo e ci pensò su. "Facciamo obbligo. Sii clemente." Aggiunse poi.
"Ok. Obbligo. Cantaci il pezzo di una canzone a tuo piacimento."
La ragazzina ricevette gli sguardi divertiti degli altri e un lieve rossore si impadronì della sua guance. Con imbarazzo e tono solenne proferì qualche imprecazione rivolta al giovane Detective e giurò che al turno successivo gliel'avrebbe fatta pagare. Dopo l'iniziale esitazione però, riuscì a cavarsela canticchiando un motivetto di "Let it be", una delle canzoni preferite di sua sorella Akemi. Terminata la performance canora, Ai sentì il viso in fiamme, ma la voce dolce di Ran proruppe fra le risate.
"Ma sei bravissima! Hai una voce così bella. E Conan ha sbagliato a sfidarti. Sentissi come stona non appena apre bocca." Rivolse a quest'ultimo un'occhiata complice, poi esortò Ai a lanciare nuovamente la bottiglia. Per la seconda volta tutti trattennero il respiro, fin quando stavolta non fu proprio Ran ad essere sorteggiata per il 'round' successivo.
Ai si morse il labbro. "Obbligo o verità?" Chiese.
Ran fece spallucce e spinse i palmi delle mani a terra. "Facciamo verità, dai. Tanto per cambiare. Risponderò a qualsiasi domanda."
Sonoko alzò le sopracciglia e non potè trattenere una risata. "Stai attenta a quello che dici, Ran."
La piccola Haibara ci pensò su. Il suo volto divenne stranamente serio e nel momento in cui pronunciò le sue parole, era come se gli altri fossero scomparsi dalla stanza e vi fossero rimaste solo loro due. "Hai mai... tradito la persona che ami? O hai mai desiderato di farlo?"
Quella richiesta giunse come un fulmine a ciel sereno ed il respiro di Ran si spezzò, i muscoli tremolarono. Si sentì quasi offesa. Perché quella bambina le aveva rivolto una domanda simile? Anche gli altri tacquero e quel silenzio accrebbe ulteriormente i suoi dubbi. L'unica a ridere ancora fu Sonoko, che, al fianco di Ran, le batté una vigorosa pacca sulla schiena.
"Ma figuriamoci! Troppo facile. Per Ran esiste solo quel Detective da strapazzo. Non si sognerebbe mai e poi mai di tradirlo." Congiunse le mani al petto. "Shinichi di qua, Shinichi di là. Ma figuriamoci. E intanto quell'addormentato se la spassa."
Conan strinse i denti e fulminò Ai con lo sguardo: lei, di tutta risposta, lo guardò con fare inquisitore.
"Smettila Sonoko." Il tono di Ran fu insolitamente freddo, talmente gelido che persino l'amica se ne stupì. Riprese fiato e fissò Haibara, seria. "La persona che amo avrebbe trovato il tempo per me, se solo lo avesse voluto realmente." Inspirò. "Un fiore ha bisogno di acqua per poter crescere, ma anche dell'amore di colui che se ne prende cura. Se quel qualcuno è sempre pronto ad annaffiarlo, quel fiore non avrà mai bisogno di altro. Eppure quel fiorellino a volte viene dimenticato, e quei suoi petali rosa cominciano ad appassire, a soffrire: i suo steli vorrebbero ricevere l'acqua di cui si è sempre nutrito, ma se per caso dovesse piovere, il fiore si accontenterebbe anche di una manciata di acqua sporca, di qualche goccia più generosa. E quando il padrone tornerebbe ad offrirgli il suo aiuto, sarebbe troppo tardi."
Dopo quel discorso metaforico, nessuno ebbe più il coraggio di parlare. La stessa Ran si alzò in piedi. "Vado un secondo al bagno, scusatemi." Aveva gli occhi lucidi e la voce roca, sembrava sul punto di piangere.
Conan inspirò, non seppe cosa dire. E d'altronde, cosa avrebbe potuto rispondere? Aveva pienamente ragione e se avesse potuto farlo, l'avrebbe stretta a sè, rassicurandola del fatto che sì, sarebbe stato disposto a prendersene cura, di quel fiore meraviglioso. Se solo avesse potuto. Strinse i pugni e abbassò il capo. In quell'istante, quando l'atmosfera sembrava destinata a rovinarsi, qualcuno bussò alla porta con insistenza.
"Ehi, ragazzi, aprite. Sono io, Kogoro."
Sonoko schizzò in piedi e andò ad aprire: il Detective dormiente entrò nella stanza e si sciolse la cravatta in un gesto liberatorio. Aveva l'aria stanca e provata dalla giornata appena trascorsa. "Allora, a quanto pare il caso di suicidio è materia di indagine della polizia italiana. Non posso far nulla e non ho alcun titolo in merito. Ho dato un'occhiata alle carte, ma per ora non sembrano esserci indizi che provino qualcosa di consistente. Dato il clima, però, è stata indetta una giornata di lutto cittadino, per cui mi sono sentito di prenotare l'aereo di ritorno per questa notte, anticipando di un giorno la nostra partenza. Mi dispiace."
Conan scosse il capo: le parole di Ran lo avevano ferito, ma quelle di Kogoro non stavano nè in cielo, nè in terra. Se non si fosse trovato su suolo straniero, avrebbe smaniato per risolvere il caso, ma lo stato d'animo in cui era sprofondato era un pretesto in più per tornarsene in Giappone. Doveva assolutamente sgominare l'Organizzazione e ritornare Shinichi.
Quando Ran uscì dal bagno, si ritrovò i bimbi vagare come zombies da una parte all'altra della stanza, in un via vai fra il corridoio, la sua camera e quella degli altri: la valigia di Sonoko era aperta ed i suoi vestiti sparsi a terra e sul letto. Ayumi superò Ran con aria abbattuta. "Oh, Ran. Stavo aspettando che uscissi per prendere lo spazzolino." Bofonchiò.
La ragazza mora continuò a guardare Sonoko mentre riponeva con stizza i suoi abiti in valigia, ingaggiando una lotta con la zip che non voleva saperne di richiudersi. "Diavolo, prima della partenza sembrava quasi vuota, questa stramaledettissima valigia. Chiuditi!" 
"Scusate ma... Ce ne andiamo?" Ran parve cadere dalle nuvole, alche, le due si fermarono ad osservarla.
"Si. Non hai sentito tuo padre? E' successo un casino per via di quel suicidio. Ora stanno dando la colpa ai costruttori del palazzo. Pare che la ringhiera fosse pericolante. Insomma, sai come vanno queste cose no?"
Mori annuì, a malincuore. Le dispiaceva che tutto fosse finito così. Osservò le tende sospinte dal vento che proveniva dalla finestra, poi intravide Ai, che, silenziosamente, stava rifacendo i propri bagagli. "Ehi, Ai." La richiamò, dolcemente. "Senti, devi scusarmi per prima. Mi sono lasciata trascinare dalle emozioni e forse sono risultata sgarbata. Non volevo."
La ragazzina ramata si portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio, poi scrollò le spalle. "Non preoccuparti. Anche se si trattava di un gioco, non avrei dovuto farti una domanda così personale."
Ran si limitò ad annuire, ma dentro di sè si stupì della profondità che talvolta riusciva a dimostrare quella ragazzina. Dimenticandosi del fiore e dell'acqua che avrebbe dovuto innaffiarlo, anche Ran si mise d'impegno per fare mente locale e riordinare le sue cose: dovevano tornare alla vita di sempre, e nonostante tutto, nonostante Shinichi non fosse mai presente, era stato un bellissimo compleanno e nessuno avrebbe potuto rubarle quei preziosi ricordi dal cuore. Ripensando ai momenti trascorsi a Firenze, Ran rivolse per l'ultima volta lo sguardo oltre le finestre della loro stanza: il sole era già tramontato e proprio all'orizzonte si sprigionava un alone violaceo, che man mano si mescolava al blu della sera. Soltanto una microscopica stellina brillava in lontananza. Le bastò inspirare per riempirsi i polmoni di quella placida serenità che le infondeva il paesaggio. Ma ecco che, proprio quando stava per distogliere lo sguardo, le sue dita ebbero un sussulto ed il maglione rosa che stava trattenendo fra le mani, le scivolò via.
Di nuovo, eccolo solcare il cielo come un gabbiano dalle ali spiegate.
Kaito Kid. E non si trattava di un'allucinazione, era lì, aveva attraversato quello spicchio di mondo lanciandosi in picchiata col suo deltaplano. Si ritrovò a sorridere come una stupida, senza rendersi conto che Sonoko l'aveva richiamata più e più volte.
No, decisamente non avrebbe dimenticato quel viaggio.
 
 
 
 
 
L’aereo sarebbe partito alle 12.35, ma per il Check-In e le procedure d’imbarco, Conan e gli altri avrebbero dovuto recarsi all’aeroporto almeno un’ora e mezza prima.
Con i loro bagagli a mano e con i trolley al seguito, i vacanzieri attraversarono le strade fiorentine per l’ultima volta: gli occhi di tutti erano persi fra i palazzi, i torrioni, i mattoni rossi. Se fosse stato possibile, avrebbero rubato anche solo un pizzico della magia che aleggiava in quella pagina di storia, in quello stralcio di civiltà che non voleva spogliarsi del suo mistero. Lo avrebbero conservato per sempre.
Passo dopo passo, giunsero nella piazza di San Lorenzo, ancora illuminata e popolata degli ultimi turisti, di qualche combriccola di ragazzi che gironzolava fra risate e bottiglie di birra. Fu Ai a fermarsi proprio di fronte alla basilica.
“Conan, non credi anche tu che questa, sia la basilica più interessante che abbiamo visto? Dall’esterno non sembra essere granché, anzi. I mattoni sono di un giallognolo spento e la fisionomia non è così intrigante. Eppure, non appena varchi la soglia dell’entrata, la bellezza degli interni è tale da mozzarti il fiato. Buffo, vero?”
Conan infilò le mani in tasca e borbottò qualcosa come un ‘mai fidarsi dell’aspetto esteriore’, dopodiché lanciò un’occhiata a Ran.
Anche lei aveva udito le parole di Ai e stava giusto osservando la chiesetta, quando lo sguardo della sentinella a guardia dell’entrata non incrociò il proprio. Sussultò e giurò di averlo visto mentre addirittura, le sorrideva. Conan non mancò di notare lo scambio di sguardi e decisamente insospettito, balzò con gli occhi da un viso all’altro: prima alla guardia, poi a lei. Era geloso? Scosse il capo nel tentativo di scacciare il pensiero, eppure non appena vide che il tizio le stava facendo l’occhiolino, si affrettò ad afferrare il polso di Ran. “Ehi, Ran! Ran! Hai un fazzoletto?”
La ragazza sorrideva imbarazzata, distolse lo sguardo e si accorse soltanto dopo di avere Conan avvinghiato al braccio. “Cosa dicevi, scusa?”
“… Ran.” Gemette Conan, desolato, fermandosi nel bel mezzo della piazza. Gli occhi del bimbo esprimevano un indecifrabile sconforto, un retrogusto di abbandono e solitudine; nonostante le dita fossero saldamente incastrate nella mano di Ran, la sentì incredibilmente lontana. “Che vuole quello?” Cercò di riprendersi per non farla preoccupare, ma la sensazione di disagio cresceva a dismisura. Il suo fiore stava forse appassendo?
 
 
 
 
 
Dopo aver ultimato le procedure di imbarco, Ran e gli altri vennero condotti a bordo dell’aereo. Dietro ad una fila di persone del tutto anonime, ella si soffermò ad osservare la pista di decollo attraverso le grandi finestre del finger: una lunghissima strada era visibile grazie a due cordoni di luci che procedevano quasi infinitamente, mentre tutt’intorno vi erano miliardi di altri lumini, alcuni rossi, altri verdi. Un’insolita patina di tristezza le si dipinse sul volto, si sentì terribilmente sola, anche se contornata da così tante persone. Era come se in quello schizzo di terra nulla avesse senso: era proprio in momenti come quelli che si chiedeva che senso avesse vivere, se lo stava facendo nel modo giusto o se avesse potuto farlo in qualche altro modo. Ma c’era davvero un modo ‘giusto’ per poter vivere? Fra quelle ed altre domande, si ritrovò a metter piede nell’aereo, continuando comunque ad intravedere le luci dell’aeroporto attraverso gli oblò che si susseguivano tutti uguali. Osservò il numero riportato sul suo biglietto e si girò a guardare gli altri: “Mi sa che stiamo disposti diversamente, un po’ qui e un po’ là.”
Kogoro trascinò le sue valigie e si sporse per poterle riporre negli scompartimenti al di sopra dei sedili. “Non preoccuparti, Ran. Abbiamo tutti qualcosa da fare, pensiamo a riposarci, piuttosto.”
“Ma si, d’altronde è tardi. Avremmo dormito anche se fossimo stati a terra. Domani saremo in Giappone.” Si sforzò di sorridere, anche se constatò di non avere alcuna voglia di ritornarvi. Si liberò dei bagagli e prese posto, lanciando di fronte a sé un paio di cuffie, un lettore musicale ed un paio di giornaletti. Conan e gli altri le passarono di fianco e lei si assicurò che avessero trovato i posti. La hostess, impeccabile come sempre ed avvolta nella sua uniforme, richiamò all’attenzione i passeggeri, ricordando le norme di sicurezza e raccomandandosi di spegnere i telefoni cellulari.
“Cavolo, per poco non lo dimenticavo. Pensavo quasi di non averlo.” Ran tirò fuori dallo zaino il suo e sbloccò il display. Un nuovo messaggio. “Chi sarà mai? Forse mamma?” Pensò. Non era sua madre, il numero era del tutto sconosciuto e per giunta non lo aveva salvato tra quelli della rubrica.
 
“Ehi, ti ho vista di fronte alla basilica di San Lorenzo. Non dovresti sorridermi così. Qualcuno potrebbe seriamente ingelosirsi. Buon Viaggio,
 
Kaito Kid ;-)”

 
La ragazza sentì un vuoto allo stomaco, rilesse più volte il messaggio e si concentrò sulla firma del mittente. Non poteva crederci. Allora quella guardia all’entrata della Basilica…? Deglutì e non riuscì a trattenere un sorriso. Al di fuori dell’oblò le luci rosse lampeggiavano secondo lunghi intervalli regolari. Già, non esisteva un modo corretto di viversi quel breve tempo che avevano a disposizione. Si alzò in piedi e lasciò tutto al proprio posto, si fece largo fra le ultime persone che stavano entrando e proprio nel momento in cui un gruppo di ritardatari era impegnato con la hostess nel controllo dei biglietti, lei sgattaiolò fuori dall’aereo confondendosi fra di loro. Uno spiraglio di vento le scompigliò i capelli, compì un balzo e prese a correre, attraversando a ritroso il collegamento fra il gate e l’aereo. Non appena la situazione fu più calma, riprese a camminare normalmente e senza guardarsi indietro. Perché doveva sempre sottostare a regole non scritte? Ormai era maggiorenne, doveva fare qualche pazzia. E poi aveva ancora un conto in sospeso con quell’uomo che aveva cercato di aggredirla. Doveva sapere.
La corsa l’aveva letteralmente sfiancata, ma respirando a pieni polmoni, sentì che qualcosa di nuovo oltre all’aria, le stava empiendo i polmoni, il corpo, la mente. Si sentì libera come non lo era mai stata, libera da vincoli, libera di fare qualsiasi cosa. Avrebbe potuto spiegare le braccia e volare, se ne avesse avuto modo. Prese il cellulare e compose il numero da cui aveva ricevuto il messaggio di Kid, poi, col display che le premeva sul viso, rimase in ascolto, col cuore in gola e col respiro corto. “Rispondi, rispondi!”
 
 
 
 
 
Kid si era appena defilato dalla Basilica, consapevole di aver afferrato il senso dell’enigma posto da Mr.X. Proprio al di sopra dell’altare della chiesa, infatti, egli aveva rovistato all’interno di un piccolo forziere d’oro e vi aveva ritrovato un altro di quei biglietti, recante la medesima calligrafia del precedente. Stavolta però, non si trattava di un enigma, bensì di una frase, il cui significato era ancora avvolto nel mistero. Standosene sdraiato sul tetto della basilica, Kaito la rilesse per l’ennesima volta, senza cavarne comunque nulla.
“Il mantello bianco di Ladro Kid è sporco del sangue di un’innocente.” Borbottò, recitandola ad alta voce.
L’apostrofo lasciava presagire che si riferisse ad una donna, o comunque ad una ragazza. Ma cosa voleva dire? Perché il suo mantello sarebbe dovuto essere sporco di sangue? Incrociò le braccia dietro alla nuca ed osservò il cielo: c’erano due nuvole grigie che sembravano rincorrersi l’un l’altra. Fra mille interrogativi e pensieri, sentì il telefono vibrare nella tasca della giacca.
Rispose senza neanche vedere chi fosse.
“Kaito… Kaito Kid?”
Il ladro si sollevò seduto, incrociando immediatamente le gambe e sbarrando gli occhi. “Ran?”
“Oh finalmente hai risposto. Ho chiamato cinque volte! Che voleva dire quel messaggio?”
Lui rise appena. “Oh, il messaggio. Volevo scriverti qualcosa di carino per ringraziarti.”
“Ringraziarmi?” Ran si era allontanata da tutta quella gente nel gate ed era uscita invece nel grande spiazzo presente all’uscita dell’aeroporto. “Per cosa? Io non ho fatto nulla. Anzi.”
“Stavo pensando proprio a te, mi stavo chiedendo che fine avessi fatto dopo il nostro incontro e alla fine mi hai dato l’illuminazione per risolvere un indovinello.” A quel punto Kid inarcò le sopracciglia. “Aspetta ma tu non dovresti essere sull’aereo, di ritorno per il Giappone?”
Lei rimase in silenzio, il vento le sollevò piano la gonna. “Dovrei. Hai detto bene. Ma devo ancora sbrigare alcune cose qui.”
Kid strinse il cellulare con la mano. “Ma sei impazzita? Ma come hai fatto? Dove sei?” Era folle.
“Sono all’aeroporto. Vieni a prendermi. Hai un debito con me, no? L’hai detto tu stesso che ti ho aiutato. Ora sarai tu ad aiutare me.”
Se avesse potuto, Kaito le avrebbe portato le mani al collo e l’avrebbe strozzata. “Ma cosa ti salta in testa? Ora dovrò prendermi cura di te?”
“Esatto. Finché non scopriremo chi si cela dietro quel tale del pub. Dai.” Ran rise con estrema leggerezza. “Saremo come Bonnie e Clyde.” Ironizzò ulteriormente sulla situazione, poiché si rendeva conto anche da sola che stava facendo qualcosa di assurdo.
Kid sbuffò, ma poi, inevitabilmente, rise dopo tale affermazione. “Erano due gangster, mica dei ladri.”
“Fa’ lo stesso. Dai, muoviti, sto morendo di freddo.”
“Ti sta bene. Rientra in aeroporto. Non ti allontanare.” Richiuse la conversazione e guardò nuovamente in alto. Quelle nuvole che si stavano rincorrendo non c’erano più ed oramai il cielo era terso, di un bellissimo blu zaffiro.
 
 
 
 
Kogoro si alzò in piedi e si sgranchì le braccia, poi si avviò verso la parte centrale dell’aereo per assicurarsi che sua figlia stesse bene. Se la immaginava già, sonnecchiante e con una cuffietta  scivolata fra la clavicola e la scapola, con le labbra leggermente schiuse e le palpebre calate sugli occhi stanchi. Non appena arrivò al suo sedile, però, stranamente lo ritrovò vuoto. Non pensò immediatamente al peggio, ma un piccolo tarlo si era già insinuato nella sua mente. Le cuffiette ed il lettore erano lì, ma di lei, nessuna traccia. Passò una mano lungo il sedile e percepì soltanto il freddo del rivestimento in cuoio, come se nessuno vi si fosse seduto. Non c’era il calore della sua pelle. Con passo decisamente più spedito, egli arrivò ai bagni: attese che quello di destra si liberasse e lo controllò da cima a fondo, poi passò ad ispezionare quello di fronte. Nulla. Non c’era.
“Ran!” Richiamò a voce più alta del solito. “Ma dove si è cacciata?” Svegliò persino il dottor Agasa, ma quest’ultimo, parve cadere dalle nuvole.
“Non è seduta al proprio posto? Era all’inizio dell’aereo, vicino alla cabina di comando.”
“No, dannazione. Non c’è! Ran non c’è!” Dopo l’ultima affermazione del vecchio, si ritrovò decisamente agitato, gli tremavano le mani. Conan era in piedi sul sedile. “Tu, piccolo mostro!” Lo additò, Kogoro. “Ne sai qualcosa? Dov’è Ran?”
Ma il piccolo Detective scosse il capo. “Non lo so.” Era agitato almeno quanto il signor Mori, ma forse aveva una sua versione dei fatti. Ai osservava il paesaggio al di fuori dell’oblò, quando improvvisamente si voltò verso Conan e gli altri.
“Ran non c’è perché è scesa dall’aereo.” La scienziata lo disse come se fosse stata la cosa più banale ed elementare del mondo e a quell’affermazione Kogoro si sentì mancare. Imbiancato come una statua di gesso, corse verso la hostess e la scosse vigorosamente per le spalle.
“Mia figlia! Mia figlia è rimasta in Italia!” Gridò, in preda al panico. “Dobbiamo tornare indietro!”
La donna deglutì e cercò di rassicurare il passeggero, visibilmente sconcertata per la sua assurda richiesta. “Signore non possiamo fare nulla oramai, l’unica cosa che possiamo fare è comunicarle gli orari successivi e richiedere che sua figlia venga imbarcata sul prossimo volo. La prego, si calmi.”
“Oddio, Ran…” Kogoro si premette una mano sulla fronte e si lasciò ricadere sul primo sedile vuoto che aveva trovato, consapevole che di lì a poco sarebbe svenuto. Ma perché sua figlia avrebbe dovuto compiere un gesto così sconsiderato?
Conan strinse i denti ed inspirò talmente forte che persino Ai riuscì a percepire la tensione dell’amico.
“Haibara, dimmi che non è stata colpa mia.” Sussurrò, poi.
Ai scosse il capo. “Non ne ho idea, Kudo. Ma purtroppo credo che in parte, sia anche colpa tua.”
 

 

 
Ok, dopo questo capitolo in stile "Mamma ho perso l'aereo", mi dileguo in attesa di una cassa di pomodori che riceverò in testa... :( Non ho molto tempo per scrivere, ma spero ugualmente che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere! E grazie a tutti coloro che hanno recensito e che recensiranno ancora... ! Un caloroso abbraccio

Aya_Brea
  
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