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Autore: Mrs C    26/07/2013    3 recensioni
Il The Dove si trova al numero 19 di Upper Mall, proprio davanti al molo.
A circa quattro chilometri c'è l'Hammermisth Bridge, e tre chilometri più in dietro il Rasvencourt Park. John ci ha passato l'infanzia, lì dentro.
La vista è magnifica - non ha mai visto questa parte di Londra in piena notte - specialmente per lui che ha sempre avuto un debole per le barche. Suo padre era un pescatore e, da bravo pescatore, è morto in mare durante una tempesta quando lui aveva cinque anni.
John preferisce non starci mai troppo a rimuginare.
AU del film "l'avvocato del diavolo" (più o meno, spiego meglio all'interno)
Presenza, nel secondo capitolo, di argomenti un po' pesanti [anche se in maniera molto blanda] per cui cambio rating.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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(Quattro)






- Hai accettato di lavorare per Sherlock.

John soffia piano sulla tazza colma di thè, mentre la tiepida luce del pomeriggio gli solletica le palpebre, gonfie e un po' pesanti, con due enormi occhiaie violacee a fare da contorno. E' sveglio dalle quattro di mattina, e più di un thè, forse gli servirebbe un caffè. Greg lo guarda come se fosse un vulcaniano con due orecchie a punta e strane sopracciglia, e questo non aiuta di certo a farlo sentire meno stupido.

- Non direi esattamente... accettato di lavorare. E' solo un favore. Credo lo sia, almeno... non ho ben capito.

- John... ci tengo a te. Per questo ti darò un consiglio da amico: devi sempre ascoltare Sherlock mentre parla, o userà ogni arma contro di te quando gli farà più comodo.

- Erano le quattro di mattina, Greg! - replica, John, piccato - E poi smettila di parlare di lui come se fosse un criminale psicopatico.

Conosce Greg da un po' di anni, John, e mai prima di adesso gli ha visto quella luce negli occhi. Consapevole. Potrebbe dire quasi rassegnata, come se conoscesse già gli effetti di una vicinanza prolungata con la famiglia Holmes. Non capisce esattamente quale sia il problema con quell'uomo comunque.

Non solo non gli ha fatto un'impressione poi così malvagia anzi, l’ha ammaliato.

Come una moscerino che gira attorno a una luce fin troppo forte.

Storce il naso, bevendo il suo thé alla menta: forse paragonarsi a un insetto non è esattamente il modo migliore per cominciare la giornata.

- Si può sapere perché tutti hanno una cosa bassa opinione di questo ragazzo? A me non sembra la persona così orribile che tutti dipingete.

Greg fa spallucce, mordendo il suo cornetto alla crema.

- Non lo è infatti, almeno per quanto mi riguarda.

John inarca un sopracciglio.

- E allora?

- Allora che?         

- Perché vuoi a tutti i costi che mantenga le distanze? - chiede, John, esasperato.

- Perché avevi promesso di non innamorarti di lui, Johnny.

- Cercare di sviare l'argomento citando a walk to remember non farà cadere il discorso, Greg.

- No? Peccato, ricordo distintamente di esserci riuscito quando volevi che ti raccontassi i dettagli dell'ultima scopata con Myc--

- Greg!

- E' stato arrestato per spaccio di droga e detenzione di cocaina.

John si zittisce, incassando il colpo.

- Spaccio di... è un drogato?

Gli occhi azzurri di Sherlock gli rimbalzano nella mente e l’immagine di un giovane uomo dalle iridi chiare riverso in un vicolo con una siringa nel braccio, gli si impianta nelle cornee. La scaccia di prepotenza, strizzando le palpebre fino a vedere le stelle e Greg non parla per qualche minuto, dandogli il tempo di riprendersi.

- Era.

- Ha smesso?

- Costretto da Mycroft. Non ha fatto neanche cura riabilitativa, a quanto ho capito. Ha semplicemente... smesso. Di punto in bianco.

John fa una smorfia, cercando di cogliere il significato di punto in bianco.

- Cioè? Il fratellone gli ha dato due calci nel culo e lui non ha più toccato una siringa? Niente crisi isterica, di astinenza, da casalinga mestruata?

- Neanche uno starnuto troppo forte.

John si chiede con che razza di gente si è messo a trafficare, ma non dice niente a Greg che invece sembra piuttosto tranquillo. Tutta la faccenda gli sembra così incredibilmente da favola horror che ha paura saltino fuori altri particolari agghiaccianti.

- E comunque non mi ha chiesto niente di così complicato. - dice, alla fine.

- Sarebbe?

- Una piccola indagine interna al tribunale di stato.

Greg gli lancia un’occhiata penetrante, mentre John litiga con una patatina.

- Sei sicuro di volerti immischiare in questa storia?

John sta in silenzio per qualche istante. Nel locale entrano due o tre ragazzini, e un raggio di luce arancione lo colpisce in pieno viso. Ormai è pomeriggio inoltrato.       

- Perché? Ho forse qualche scelta?







John non ha mai pensato di fare qualcosa di diverso dall'avvocato. Ogni suo passo è stato in conseguenza di quella scelta, e non si è mai pentito di aver corso su determinate strade, solo per poter arrivare al suo obiettivo. Certo, nello stesso modo, non aveva mai nemmeno pensato di finire la sua carriera alla mercé di un ragazzino che gioca a fare il detective. In effetti niente di quello che è successo negli ultimi mesi, era in programma. Mentre sale le scale del tribunale, John sbuffa. Sa perfettamente che Sherlock non gioca, e che il suo lavoro lo prende molto seriamente, ma in questo momento sente di aver fatto più di qualche caduta nella sua scala personale, e non è sicuro di riuscire ad accettarlo.

Mostra il cartellino alla guardia d'ingresso e, scivolando come un'ombra, cerca di evitare tutte le persone che potrebbe anche solo disgraziatamente conoscere di vista.

Non ha niente di cui vergognarsi, né sente di dovere spiegazioni a nessuno che non sia se stesso, ma anche intrattenere una conversazione amichevole – e probabilmente falsa – lo disgusta più di qualunque cosa in questo momento.

Sale le scale del primo e secondo piano a passo cadenzato, cercando di non attirare troppo l'attenzione e mimetizzarsi con quei pochi avvocati che sono in giro alle sette di pomeriggio.

Al terzo piano, seconda porta a sinistra, campeggia la scritta “Richard J. Brook – Giudice di Pace” [1].

Il lungo brivido che sente nella schiena, non è per niente piacevole.

Bussa alla porta, cercando di ignorare il suo subconscio.

- Giudice Brook? Posso entrare?

- Certo, Mr Watson, prego.

John preferisce non chiedersi come faccia a sapere il suo nome senza neanche averlo visto.

Brook è piegato su una pila di fogli che scarta e ammucchia, firma e poi rimette in ordine nel lato destro della scrivania. John rimane stoicamente in piedi, aspettando che Brook gli faccia un cenno con la mano.

- Che cosa posso fare per lei, John?

Ha un sorriso a labbra piene, e occhi piccoli e freddi, scuri come la notte. John vorrebbe alzarsi e andarsene il più in fretta possibile, ma indossa la sua più eccezionale maschera e rimane fermo, il volto immobile.

Faccia da poker, John, faccia da poker.

- Ho bisogno di un lavoro... pulito.

Richard Brook alza gli occhi dal fascicolo che sta esaminando e assottiglia lo sguardo puntandolo in quello azzurro di John.

- Suppongo sia difficile per lei tornare a lavorare normalmente dopo quella brutta storia di Lomax. Tre bambine uccise in un mese, e tutte le colpe che ricadono sulle sue spalle... deve essere distrutto.

John ingoia il rospo, stringendo le mani a pugno sul pantalone costoso che indossa. Se vuole aiutare Sherlock e restituirgli il favore non è davvero il caso di spaccare il naso all’uomo che deve pedinare.

- No, infatti.

Richard si toglie gli occhiali da lettura, posandoli sulla scrivania, guardando John con occhi acquosi.

- Perché è venuto proprio da me? - domanda, pragmatico.

- E’ l’unico che non mi tratta come un appestato.

Diretto, preciso. Non è abitudine di John girare intorno alle cose. Brook fa una smorfia compiaciuta.

- Che cosa potrebbe mai fare lei che non posso già fare da solo?

Che fosse un osso duro, Sherlock gliel’aveva detto. Ma John lo è tanto quanto lui. Forse di più. Raddrizza la schiena, John, schiocca il collo sulla destra, inclina la gamba e si avvicina alla scrivania come se stesse per rivelare un gran segreto.

- Io sono sveglio. Sono un gran lavorare. Farò qualsiasi cosa... e non me ne andrò da qui senza un lavoro. [2]

Richard Brook sorride, quasi ghignando. John capisce di aver fatto centro.




All’una di notte quando, stremato dalla giornata faticosa collassa sul letto, John riceve una chiamata sul cellulare. La prima cosa che fa è tirargli una manata che lo fa finire per terra. La suoneria si interrompe bruscamente, e John sospira di sollievo. Poi, la luce verde dello schermo si espande appena nella stanza, e la stravagante musica dell’aggeggio infernale riprende a spaccargli i timpani. John pensa seriamente di lanciare se stesso - o, in alternativa, il telefono - fuori dalla vetrata. Con uno sforzo immane, invece, risponde e la voce roca di Sherlock gli distende i sensi, facendo passare i pensieri omicidi-suicidi formati nella sua testa.

- Ma tu non dormi mai?

John può sentire quasi fisicamente la smorfia di disgusto sulla bocca di Sherlock. Ringrazia solo di essere troppo intontito dal sonno per scoppiare a ridere.

- Sei stato bravo John - mormora Sherlock, ignorando la battuta - Brook è un osso duro, conquistare la sua fiducia non è facile. Ma non abbassare la guardia, solo perché adesso sei diventata la sua schiavetta personale.

John agrotta le sopracciglia.

- La sua schia... io non sono la schiavetta di nessuno!

- Non ancora, - è malizia quella che sente nel suo tono di voce? - ma a parte questo... John. Davvero. Fai attenzione. Richard Brook è una persona malvagia e intelligente. Non farti trascinare giù con lui.

John sospira, sedendo sul letto e sistemandosi il cuscino dietro la schiena.

- Spero che tu sappia cosa stai facendo, Sherlock. Sto rischiando il mio posto nell’Ordine per aiutare te.

- Me lo devi.

- Lo so.

- Ti racconterò tutto, ma per adesso è meglio che tu sappia solo lo stretto necessario.

- Mh.

Un silenzio leggero cade fra loro, ma John non è intenzionato a spezzarlo. Il respiro di Sherlock è piacevole dall’altra parte della cornetta e, piano piano, scivola di nuovo sotto il piume. Avvolto da un tepore caldo che non dipende solo dalle coperte in cui è raggomitolato, John si addormenta prima ancora di accorgersene. Sherlock chiude la comunicazione solo quando il respiro pesante di John gli arriva all’orecchio.

 





Ps. I'm a Serial Addicted

[1] In Inghilterra il giudice di pace è chiamato "magistrate", ma sarebbe stato difficile capire che intendevo proprio quello e non un altro "magistrate", visto che si intende anche i giudici non stipendiati.
[2] Citazione del film "Erin Brockovich" che amo profondamente!

Dopo tre mesi - tre mesi? La miseria °__° - aggiorno, finalmente. Mi dispiace da morire per il ritardo, ma fra una cosa e l'altra, casini vari e testa a fanculo non ho proprio avuto il tempo di dedicarmici. Oggi invece, dopo l'ennesima notte in bianco, mi sono svegliata e scrivere è stato naturale e bellissimo come un tempo. Mi piace questo capitolo, mi sono divertita a scriverlo e spero sarà lo stesso per voi (le vostre recensioni mi rendono sempre felice, mi dispiace di non rispondere mai .__. ma vi assicuro che vi amo profondamente). Spero di aggiornare prestissimo, così da poter andare avanti :) 

Ps. E' in cantiere anche un nuovo progetto, ma lo posterò solo quando sarà completamente finito (il primo cap è già finito comunque XD). 

Tanto amore e devozione! See ya,




Jess


 
   
 
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