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Autore: Starsshine    26/07/2013    1 recensioni
Una bugia può cambiare una storia d'amore?
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!

Ritorno dopo tanto, tantissimo tempo a riprendere in mano a scrivere questa storia, che è proseguita nella mia testa,ma, che su carta ho fatto un po' di fatica a metter giù, presa dalla scuola, concerti e poesie....

Spero che questo capitolo possa piacervi :)

Ringrazio infinitamente tutte le persone che hanno letto questa fan – fiction durante la mia “piccola” assenza e tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le proprie storie e tutti quelli che hanno inserito la storia tre le “preferite” o “seguite”. Grazie mille!

Bene, detto questo....

Buona lettura!

Al prossimo capitolo!

Federica xD

 

“Sei sicura di partire?” mi domandò Sydney,mentre stavo guardando il tabellone dei voli in partenza.

Mi voltai a guardarla.

“Per l'ennesima volta, sì”

“Guarda che fai ancora in tempo a cambiare idea”

“Syd.... stai tranquilla, non mi capiterà nulla”

“Lo so, sarai con tua mamma e riconterai tuo fratello dopo tanto tempo, però....”

Mi avvicinai, l'abbracciai.

“Stai tranquilla” le sussurrai vicino all'orecchio destro, da dove pendeva un orecchino azzurro che le contornava il viso.

Presi in mano la mia valigia rossa e la guardai per un'ultima volta.

“Ti chiamo quando arrivo” dissi interrompendo quel lieve silenzio, disturbato solo dalle persone che ci passavano di fianco.

“Va bene” rispose sorridendomi.

“Fai buon viaggio”

“Grazie” sorrisi.

 

Riguardai il tabellone prima di avviarmi verso il gate B – 10.

Mi incamminai lentamente, aspettando che qualcuno mi chiamasse.

Nessuno.

“Non ci pensare” continuai a ripetermi come un'automa, anche se dentro la mia testa campeggiava solo un ricordo, solo un nome, il suo.

Certe volte mi chiedo: se non avessi conosciuto Shannon, come sarebbe stata la mia vita?

Se avrei risposto alle avance di Jared? Magari, a quest'ora sarei a letto con lui.

Per carità lui è un uomo dalle mille idee: una ne crea, cento ne inventa, è gentile, disponibile, ma, freddo ed io preferisco gli uomini caldi, passionali, forse sarebbe cambiato, per me l'avrebbe sicuramente fatto.

Forse ci saremmo sposati tardi,come quelle coppie di sessantenni. forse avrei avuto dei bambini. O forse no.

Forse non saremmo stati neanche una bella coppia. Lui preferisce le bionde. Quelle formose, quelle da una botta e via. Mi chiedo ancora come Nadia l'abbia conquistato.

Sapevo solo che quando qualcuna si avvicinava a suo fratello, diventava protettivo, possessivo, nei confronti di Shannon.

Anche se con me,stranamente, non si è comportato così. Mi ha lasciato fare, mi ha lasciato entrare nella sua vita, nella sua casa, nel corpo di suo fratello, nel suo cuore.

E adesso mi ritrovo qui.

Da sola.

Da sola, come lo ero all'inizio della mia storia.

Chissà.....

 

“Avvertiamo i gentili passeggeri che siamo in arrivo al aeroporto di Vancouver (YVR). Vi invitiamo ad allacciare le cinture di sicurezza e a spegnere i vostri telefoni cellulari.” spiegò una gentile voce femminile.

 

Una grande freccia bianca su sfondo verde, posta sopra la mia testa, indicava l'uscita.

Percorsi a passi lunghi e distesi quei pochi metri che mi separavano dalla città.

Le grandi porte automatiche si aprirono e una ventata di aria fredda mi colpi il viso.

Respirai a pieni polmoni un'aria nuova, che forse mi avrebbe chiarito le idee.

 

 

 

“Tesoro!” mi voltai di scatto appena qualcuno mi chiamò.

Incontrai lo sguardo di mia madre.

Corsi verso di lei.

Lasciai cadere la valigia vicino alle mie gambe, la guardai negli occhi. Si leggeva chiaramente la gioia.

L'abbracciai.

“Mamma, quanto mi sei mancata”.

Mi lasciai stringere dalle sue braccia, respirai il suo profumo. Profumo che sapeva di arancia e limone.

Lasciai cadere qualche lacrima dal mio viso, che diventò trasparente ai raggi di un caldo sole di mezzogiorno.

“Andiamo a casa, che ne dici?”

“Direi che una fantastica idea” sorrisi.

All'improvviso tutto si fece più leggero, innocuo, come se nel mio cuore tutto il dolore fosse sparito. Almeno. Solo apparentemente.

Lasciai cadere il braccio fuori dal finestrino,mentre l'aria mi accarezzava e il sole mi scaldava il viso, mentre in radio passavano “Last Train Home” dei Lostprophets, canzone appropriata in quel momento.

 

But we sing
If we're going no where
Yeah we sing
If it's not enough
And we sing
Sing with out a reason to never fall in love
To never fall in love again.

 

 

“Tesoro siamo arrivati” mi sussurrò mia madre.

Aprii gli occhi di scatto, come se qualcuno o qualcosa mi avesse colpito. Mi guardai intorno,notai che eravamo ferme davanti ad una casa con giardino, preceduta da staccionata bianca, che si abbinava al colore della casa.

Mi voltai verso mia madre, che mi guardava con aria interrogativa.

“Non scendi?”

“Scusami. Penso di essermi addormentata”

“Sei collassata sul sedile, non hai neanche fatto in tempo a finire di cantare la canzone, che eri già tra le braccia di Morfeo” rispose sorridendomi, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Presi le valigie e lasciai che mamma fece strada verso casa.

Prese le chiavi dalla borsa, girò la chiave dentro la toppa della porta ad arco che incorniciava la struttura insieme a delle finestre molto grandi che lasciavano entrare molta luce.

“Cosa rimani lì sulla porta? Entra”

Mi guardai intorno, c'erano solo case, alberi, staccionate bianche,macchine.

Niente di più, solo quello.

Mi voltai verso mia madre ed entrai.

“Ci farai abitudine ed inizierà a piacerti”

“Già” risposi guardando la rampa di scale che divideva in due il corridoio d'entrata.

“Se sali le scale, sulla destra troverai la tua stanza”

Salii le scale pian piano, leggermente insicura di quello che mi sarei trovata davanti.

Aprii le grandi ali della porta bianca che mi divideva dall'altra stanza.

Sgranai gli occhi e spalancai la bocca vedendo il letto matrimoniale e l'enorme cabina – armadio che erano presenti.

Entrai poi in bagno e rimasi fulminata dallo specchio che estendeva su tutta la parete e terminava fino alla doccia.

Tornai in camera e mi buttai sul letto.

Mi addormentai.

Senza nessuna lacrima, senza nessuna paura, senza nessun rimpianto, senza il mio amore, senza il suo profumo, senza la mia linfa, senza i suoi baci, senza le sue carezze, senza di lui, senza Shannon.

Scesi le scale che mi dividevano dal piano di sotto e da quel profumo di arrosto che usciva dalla cucina che faceva faville nelle mie papille gustative e gorgogliare il mio stomaco.

Proseguii verso la sala da pranzo dove c'erano presenti tutti. Tutti compresi.

Mi fermai sulla soglia della sala da pranzo. Mamma, Jason e un'altra ragazza di cui non conosco nulla.

“Scusatemi, penso di aver dormito a lungo”

“Molto a lungo” terminò Jason, voltandosi a guardarmi.

Si alzò, scostando la sedia, che strisciò leggermente sul pavimento, camminò verso di me.

Si fermò a pochi passi da me, mi avvicinai a lui.

Lo abbracciai, lo strinsi, piangendo.

Appoggiò una mano sui miei capelli accarezzandoli leggermente come se quella persona che stavo stringendo tra le mie braccia fosse irreale.

“Ciao sorellina” mi sussurrò nel orecchio.

“Ciao fratellone” risposi.

Mi discostai dal suo abbraccio, lo guardai: alto, magro, con qualche muscolo, capelli corti neri ed occhi verdi.

Mi prese per mano e mi condusse verso il tavolo. La sua mano era calda.

“Lei è Catline, la mia fidanzata”

Si alzò anche lei ed allungò la mano verso di me.

La strinsi.

“Piacere Catline, io sono Sarah”

Catline si presentava come la tipica ragazza canadese, alta ,qualche centimetro in meno di Jason, occhi azzurri, capelli lunghi biondi, ed una pelle bianca, quasi di porcellana.

Mi sedetti.

Tra me e Jason c'era un piccolo centrotavola, dove in mezzo era posta una piccola candela, che emanava un leggero profumo di biancospino.

Mamma mi diede un piatto dove sopra c'erano disposte delle fette di arrosto di pollo con a fianco delle piccole fette di carote tagliate a rondelle, con sopra una piccola glassa di noci.

“Mangiate ragazzi”

“Grazie” risposi sorridendo.

 

 

“Non fate tardi mi raccomando!”

“Sì, mamma” risposi, mentre sentivo la porta chiudersi dietro di me.

Lo presi per mano e camminammo lungo il vialetto di casa.

Notai che la sua mano era rimasta calda, nonostante lo sbalzo di temperatura tra dentro e fuori, mentre la mia era fredda.

Respirai a lungo, osservando il cielo stellato e l'enorme Luna che faceva concorrenza alle sue amiche stelle.

“Come stai?”

Mi voltai verso Jason richiamata dalla sua domanda.

Lo guardai a lungo prima di articolare una parola di quattro lettere, ma, che dietro nascondeva un fiume di lacrime versate nei giorni precedenti alla mia partenza.

“Bene” gli risposi sorridendo.

Ci sedemmo su una panchina.

Mi guardò.

Mi specchiai all'interno dei suoi occhi neri.

“Tu non stai bene. Mamma mi ha raccontato quello che è successo.”

Lasciai che l'aria fredda mi riempisse i polmoni, procurandomi un lieve sollievo.

Mi discostai dal suo sguardo e spostai la mia attenzione vero il fruscio del vento tra gli alberi.

“Non sapevo cosa fare”

“ Questa non è una scusa plausibile” disse rimproverandomi.

Lo guardai.

“Tu non capisci”.

Sentii la sua mano calda appoggiarsi sulla spalla, avvicinai il mio viso al suo petto, chiusi gli occhi.

“Provo solo dolore e rabbia per come mi sono comportata”.

Jason mi strinse a sé, sentii il suo cuore battere più forte.

“La rabbia e il dolore passeranno e subentrerà l'amore”

“Quando?”

“Tempo al tempo”

Riaprii gli occhi, la mia mano si incatenò alla sua

“Hai ancora la foto?”

“Quale foto?”

“Quella di noi due, in salotto, a casa a Los Angeles”

“Quella in cui io avevo diciassette anni e tu quindici o quattordici?”

“Sì, proprio quella”

“Ho due copie: una la tengo nel portafoglio, mentre l'altra la tengo a casa, sopra il camino”

“Davvero?”

“Sì e, sai le guardo ogni giorno” rispose, sorridendo.

“Non ti sei mai dimenticato di me?”

La sua mano destra si staccò dalla mia, risalì lungo la giacca, la sciarpa e si fermò sul mento, alzò leggermente il mio viso, mi guardò.

“Non mi sono mai dimenticato di te, ti ho sempre pensata.”

Le mie braccia finirono intorno al suo collo.

“Ti voglio bene Jason” dissi con la voce spezzata dalle lacrime che scendevano come un fiume in piena.

“Ti voglio bene anch'io Sara”.

   
 
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