Ok,eccomi
qui con una nuova OS.
Non
so
se sia proprio una song-fic comunque,perché io ho preso il
video della canzone “Nobody’s
home” e ci ho fatto un racconto mio.
Spero
che comunque vi piaccia.
Il
sole stava sorgendo.
Almeno
lui,stava illuminando l’inizio di un nuovo
giorno con i suoi raggi tiepidi,che mi colpivano il viso.
Forse,inconsciamente,stavo
cercando un riparo,un’ancora
a cui aggrapparmi,una fonte di calore che poteva riscaldare e
affievolire,seppur leggermente,i miei rimorsi e le mie sofferenze.
Forse,quella
fonte di calore che tanto
agognavo,poteva in qualche modo essere rimpiazzata da quei raggi dal
colore arancione
appena accennato,che illuminavano un cielo così freddo e
grigio,che sembrava
essere quasi indifferente e incurante del sole appena sorto.
Mi
avvicinai al ponte,sembrava come se un impulso
irrefrenabile dentro di me,facesse muovere le mie gambe in maniera
autonoma.
Osservai
la distanza tra il punto su cui ero
sospesa e la terraferma,osservai il cielo,così inospitale ad
ospitare un sole
che sembrava volermi accompagnare nel mio ultimo viaggio.
Non
sentivo niente,il nulla più assoluto faceva
da padrone.
Era
tutto nero attorno a me.
Nero,come
i miei capelli corti e ispidi.
Nero
come il buio,che mi avvolgeva spesso come
una seconda pelle.
Nero,come
la morte,che adesso stavo andando a
cercare,come fosse una mia vecchia amica che non rivedevo da tempo.
Nero,
come solo il nero può essere.
Ma,a
volte,anche il nero incontra l’unico colore
di cui poteva avere paura. Il bianco.
Il
bianco della neve che osservavo scendere
copiosa nelle fredde giornate d’inverno,mentre io ero al
calduccio accanto al
camino e alle braccia protettive di mia madre.
Il
bianco lucente delle stelle,che in quelle
poche giornate limpide e prive di nuvole,mi fermavo a guardare
estasiata.
Il
bianco che sconfiggeva il nero.
I
ricordi e la paura di perderli per sempre,contro
il presente e la depressione,di cui era l’assoluta
protagonista.
Ed
era per quella stessa paura che mi allontanavo
in fretta,quasi scottata dal gesto che stavo per fare.
Ma
cosa mi stava succedendo?! Io…io non potevo
perdere tutto così,senza aver prima lottato con le unghie e
con i denti.
“Non
scappare,rimani qui. Fammi felice”
mi aveva detto,e io come la
peggiori delle ipocrite,l’avevo delusa.
Ero
andata via,senza darle una spiegazione
decente,senza tenere conto dei suoi sentimenti e delle sue
preoccupazioni.
Era
passato tanto di quel tempo,che forse,mi
credeva morta.
E
forse,era meglio così.
Perché?
Semplice,niente più dolori,niente più
sofferenze atroci per lei,la donna che mi aveva messo al
mondo,l’unica persona
che mi aveva mai amato e l’unica che davvero non meritava
tutto questo solo per
un mio capriccio.
Mia
madre.
Mentre
mi crogiolavo nel mio dolore,capivo che l’ultima
cosa che avrei voluto fare,era sentire la sua voce,la sua roca e dolce
voce,che
mi aveva consolato tanto,e che alla domanda: ”Mi ami anche tu
così come ti amo
io,piccola mia?”,non aveva mai potuto ringraziare per aver
ricevuto una
risposta da parte mia.
Ma,per
farlo,dovevo trovare un cellulare,o una
cabina telefonica,ma non sapevo neanche dove…
Certo,
il negozio vicino alla fermata dell’autobus
dove dormivo da qualche tempo.
Mi
ricordavo che lì intorno ci sarebbe dovuta essere
una cabina vecchia e un po’ trasandata,perciò
proverò da lì.
Incominciai
a fare l’autostop,non sapevo neanche
dove mi trovassi,ma sicuramente il mio corpo non aveva abbastanza forze
per
raggiungere il supermercato a piedi.
Per
strada passavano decine e decine di
automobili,ma nessuna,ovviamente mi prestava anche una minima
attenzione.
Altri
automobilisti invece rallentavano,mi
squadravano da capo a piedi,e poi,schifati,se ne andavano.
E
io,cosa potevo fare,se non rincorrere quelle
schifose macchine lussuose,e pensare in un loro ripensamento?
Niente.
Poi,all’improvviso,un
uomo pelato,grosso,sulla
cinquantina,si fermò con la sua jeep,e abbassando il
finestrino mi chiese:”. Dove
andiamo,tesoro?”
“Ehm…il
supermercato Super Wallet,per favore” dissi,nella
speranza che almeno per un giorno,la vita mi avesse concesso un
po’ di fortuna.
Ma,ovviamente,mi sbagliavo.
“Oh
bene,credo che in un posto isolato sia
meglio,no?” mi chiese,facendomi l’occhiolino.
Non
capii a cosa si riferisse,ma decisi di
lasciare perdere.
L’unica
cosa che volevo,era risentire mia madre.
Non
m’importava né come,ne con quali soldi
l’avrei
fatto,ma ci sarei riuscita.
Dopo
una quindicina di minuti,vidi l’insegna del
supermercato,e feci per aprire lo sportello.
“Ehm,grazie,lei…lei
è stato molto gentile ad
accompagnarmi e…” ma lui non mi lasciò
finire.
Subito
dopo aver parlato,l’unica cosa che sentii
furono le sue mani grandi,ruvide e impazienti toccarmi le gambe
fasciate dai
jeans ed entrare sotto la mia felpa.
“Ehi
ehi,dove credi di andare? Mi devi ripagare
adesso. Dai,tira fuori tutti i preservativi che hai,credo che tu sia
proprio
una di quelle puttane che se lo fa infilare da tutti,vero?”
Ero
completamente in stato di shock.
Io…io
non volevo che lui mi toccasse,ma…era
troppo forte per me.
“NON…NON
MI TOCCARE!” gridai.
“Mmh,così
non fai che rendere il tutto molto più
eccitante” mi sussurrò all’orecchio con
il suo alito schifoso.
Il
mio corpo,questa volta,si mosse prima delle
sue mani,e gli mollai un ceffone ben assestato sulla guancia sinistra
che lo
lasciò traballante e mi diede il tempo di scappare verso la
fermata dell’autobus,dove
non avrebbe potuto raggiungermi.
Stranamente,la
mia mente non reagì come mi
aspettavo,anzi,sembrava essere molto più reattiva del mio
corpo,che al
contrario,faticava a reagire.
Lì,appoggiate
alla panchina della fermata,trovai
Monique,una mia amica sventurata come me,che per mantenersi faceva la
prostituta,e accanto a lei, la mia fidata chitarra,l’unico
oggetto che mi fossi
portato da casa,e incominciai a suonarla per strada.
Blues,County,Rock…non
m’importava dei pezzi che
suonavo. L’importante,era fare soldi.
Alcuni
passanti si fermavano,giudicandomi per i
miei sbagli e passando oltre,altri non si fermavano affatto,e altre
anime
buone,lasciavano qualche spicciolo per allietare le giornate tetre e
vuote di
una povera ragazza in difficoltà.
Alla
fine della serata,avevo guadagnato
abbastanza per permettermi una sola telefonata,ma ovviamente la cabina
non
avrebbe accettato tutti quei centesimi.
Così,decisi
di entrare nel supermercato,per fare
un semplice scambio,ma anche qui,non fui trattata come una persona,e
fui cacciata
fuori dal proprietario.
Mi
sentivo usata,schifata e delusa da tutto e da
tutti,ma soprattutto da me stessa.
Da
me stessa,che avevo gettato all’aria tutto.
Da
me stessa,che mi ero trascinata e affossata
nel baratro,nel nero più profondo.
Mi
fiondai nel bagno dello stesso
supermercato,sapendo già con chi prenderla.
Odiavo
quel colore così profondo,da farmi
soffocare.
Mi
odiavo,perché il nero, lentamente, era
diventato la mia vera essenza.
Incominciai
a pettinarmi furiosamente i capelli,a
sciacquarmeli e ad asciugarmeli senza sosta,nella speranza di eliminare
almeno
parte delle mie sofferenze.
Appoggiai
le mani al lavabo e mi guardai allo
specchio.
L’unica
cosa che vedevo era quel colore, lo
sentivo addosso, lo sentivo espandersi dentro di me,cercando di coprire
le mie
cicatrici esteriori,ma anche quelle più difficili da
cancellare,quelle
interiori.
Era parte di me. Nero.
Una parola descriveva tutta la mia
esistenza.
Ma non era sempre
stato così. Un tempo avevo conosciuto altri colori.
C’era stato un momento in
cui la
mia vita era
fatta di
colori.
Un tempo in cui anche per un essere così infimo come me,c’erano
state
quelle deliziose e fantastiche sfumature a riempirmi
l’esistenza. Un tempo in
cui c’erano delle spalle amorevoli a cui aggrapparsi, su cui
piangere e venire
consolati.
E
forse,oggi,avrei sentito la sua voce.
Uscii
dal bagno e mi diressi ancora verso la
fermata dell’autobus,verso Monique.
“Ehi
Avril,ma che cosa ti è successo?”mi chiese
lei.
“No
niente,davvero. Senti Monique,non ti
chiederei mai una cosa del genere se non fosse
necessario,ma…”
“Ma?”
“Si,insomma…potresti
cambiarmi questi pochi
spiccioli? Sai,li ho guadagnati questo pomeriggio con la chitarra,e li
vorrei usare
solo per risentire la voce di mia madre” le
confessai,abbassando lo sguardo e
lottando contro le lacrime che premevano di uscire dai miei occhi.
“No,non
ti preoccupare,sai che a me puoi chiedere
tutto,specialmente se si tratta di una sciocchezza del genere. Tieni,e
va a
chiamare tua madre.”mi disse,porgendomi quei soldi che per me
rappresentavano una
nuova speranza.
“Grazie,grazie
davvero” le dissi,sorridendo per
la prima volta dopo chissà quanto tempo,e raggiungendo la
tanto agognata
cabina.
Inserii
i soldi,ricordavo a malapena il numero di
casa,che riuscì però a digitare,tremante sia per
il freddo che per l’emozione.
“P-pronto?”
mi chiese
Non
ero abbastanza pronta,non ero preparata a
sufficienza.
Le
fitte e il dolore che il risentire la sua voce
mi provocò,fu straziante.
Mi
accasciai sul vetro,gridando in silenzio e cercando
di soffocare i pianti e singhiozzi.
“M…mam,,,”
“S-senti,non
so chi tu s-sia,m-ma abbi al-lmeno
un po’ di rispetto p-per le persone che stanno
s-soffrendo!” mi disse
disperata.
“Mamma,sono
io! Sono Avril,ti ho chiamato! Mi senti,riesci a sentire la mia
voce?!” avrei
voluto dirle. Ma non me ne diede il tempo.
Riattaccò
due secondi prima che riuscissi anche
solo a emettere un miserabile suono.
Uscii,sconfitta,straziata
e piangente da quella
cabina malridotta.
Ma
perlomeno,quella giornata mi regalò un ultimo
sollievo.
Quella
sera di settembre piovve,piovve come non
fu mai successo a Los Angeles, e almeno le gocce di pioggia si
confondevano tra
le mie lacrime,inzuppando e bagnandomi i vestiti ormai logori.
Cercai
riparo in un parcheggio,trovando un’auto
che non era stata chiusa e mi ci infilai dentro,portandomi le ginocchia
al
petto.
Mai
mi sentii tanto sola,come in quel momento.
Mai
mi sentii più abbandonata,come in quel buio che
mi circondava.
Vorrei
essere una donna che ama abbastanza se
stessa,da non voler soffrire più,ma purtroppo non lo sono.
Ero
intrappolata in quest’abisso,e non credo che ne
sarei uscita mai.
Ma
la cosa che rimpiangevo di più era il
tempo,perché
di essere intrappolata in quest’abisso,me ne ero accorta
troppo tardi.
P.S.
Qui c’è un video alternativo del video ufficiale
di Nobody’s home. Se non lo
conoscete,guardatelo.