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Autore: Glenda    05/02/2008    12 recensioni
Reid non si sente bene e JJ lo accompagna a casa...Piccola fic per gli amanti della coppia JJ/Reid
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jennifer JJ Jareau, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal quaderno dei deliri di Glenda:

 

La cartellina piena di fascicoli appena messi in ordine scivolò dalle mani di Reid, e tutto il suo contenuto si sparpagliò sul pavimento.

“Oh, fantastico…” imprecò il ragazzo a mezza voce.

Si era lasciato scivolare via quei fogli come uno stupido; gli pareva di avere le mani di burro, quella sera: se avesse dovuto tenere ben stretto qualcosa non ci sarebbe riuscito.

Era stata una giornata terribile…la conclusione di un caso che li aveva tenuti svegli a turni per svariate notti, la tensione accumulata in quella snervante caccia all’S.I., il viaggio in aereo interminabile, e, per concludere in bellezza, quella pioggia fitta fitta, che sembrava penetrare anche nelle stanze fino a fare nebbia nella testa.

Si chinò per raccogliere i fogli, ma uno sbandamento lo fece sbilanciare, e, per rimanere in equilibrio, dovette sostenersi con una mano alla scrivania.

“Tutto bene?” Morgan si era chinato a sua volta e aveva cominciato a dargli una mano.

“Sì. Bene. Un po’ stanco”

 “Solo un po’? Per rifiutare di giocare a scacchi con Gideon, in aereo, devi essere sfinito! Va’ a casa, Reid! E’ stata una brutta settimana!”

Reid ripose la cartella sulla scrivania, sedette al computer e si mise a scrivere.

“Sistemo un paio di cose e vado…” disse.

In quel momento JJ comparve con due bicchieri di caffé.

“Servizio al tavolo per i miei ragazzi!” esordì.

“Cara, quando fai così sei una dea…”

“Onorata, ma meglio che Garcia non ti senta! Spece…caffè?”

Reid annuì, lasciò per un attimo il suo lavoro, e si alzò per andare incontro alla collega.

Forse fu il movimento troppo rapido, forse quel senso di pesantezza alla testa, ma la vista gli si annebbiò di colpo, e lo stomaco sembrò contorcersi come se si fosse trovato in alto mare. Barcollò visibilmente e si appoggiò con la schiena alla parete, certo che, senza quel sostegno, sarebbe caduto.

“Reid!” Morgan fu subito da lui e lo sostenne “Ehi, che hai?”

Gli porse una sedia al volo, su cui lui si accasciò stancamente.

“Un calo di pressione…” minimizzò.

Ma Morgan gli piazzò una mano sulla fronte, e si scambiò con JJ un’occhiata d’intesa.

“Scotti come una pentola a pressione, ragazzo!” sentenziò “Marsh: si va a casa al caldo! Ti chiamo un taxi”

Reid fece per aprir bocca e dire che non era necessario, ma JJ lo precedette.

“Figurati! Lo accompagno io! Ho la macchina qua sotto, e stavo andando”

Lui sforzò un sorriso, agitando la mano a far segno che non importava.

“Ragazzi, sto bene. All’università sono andato a lezione con la bronchite cronica per non perdere il seminario di psicologia criminale, e quando ero ancora al liceo…”

JJ gli piazzò teneramente l’indice sulle labbra, sfoderando un sorriso che non ammetteva repliche.

“Ssst. Ti accompagno io, Spence. Niente storie”

 

Quando l’auto parcheggiò sotto casa di Reid, la pioggia cadeva a scroscio.

Durante il tragitto, minuto dopo minuto, lui si era sentito sempre peggio. Aveva dei forti brividi, la testa gli scoppiava e la vista non era a fuoco.

JJ aprì la portiera e gli fece spazio sotto un largo ombrello: vedendolo barcollare pericolosamente, lo prese sottobraccio, e serrò la mano attorno alla sua vita. Quanto era esile – pensò. Tutte le volte che lo abbracciava, si trovava a pensare che, se non avesse saputo che lui era il dottor Reid, il genio della squadra, il profiler che a 25 anni poteva vantare un curriculum pari a nessun altro, probabilmente lo avrebbe guardato con la tenerezza con cui, al liceo, guardava i ragazzi delle classi inferiori, ancora così timidi, graziosi e  impacciati. Ma Spencer aveva un’intelligenza che la lasciava stordita: tutte le volte che ci parlava, finiva col sentirsi inferiore a lui.

Scivolarono nel portone, mettendosi al sicuro dalla pioggia battente. Veniva giù talmente forte che, nonostante l’ombrello, l’orlo dei loro pantaloni era completamente bagnato.

“Spence…stai tremando” si accorse d’un tratto. Gli massaggiò la spalla, come se quel gesto potesse scaldarlo, e lo aiutò a salire le scale.

Reid ringraziò a mezza voce: non riusciva a distinguere i gradini, gli pareva di avere la testa di piombo e sembrava che il peso della sua fronte volesse trascinarlo a terra da un momento all’altro.

Cercò di infilare le chiavi nella toppa: non ci riuscì. JJ pose la propria mano su quella di lui, e lo aiutò a trovare l’incastro giusto. La ringraziò di nuovo, con la voce sempre più sottile.

“Ci siamo” annunciò lei, rassicurante, continuando ad offrire al ragazzo la spalla “Adesso, per prima cosa, ti stendi, poi vediamo che fare”

Lo portò in camera e lo fece sedere sul letto: Reid si accasciò sul materasso come se fosse stato un pupazzo di stoffa.

“Spencer…?” lo scosse lei dolcemente “Spencer…mi senti?”

La risposta fu solo un mugolio confuso.

“Spencer, alzati…devi metterti sotto le coperte, fa freddo…”

Lui sollevò appena una mano e fece un piccolo gesto, come a chiedere silenzio, poi se la portò a coprire gli occhi. JJ gli sentì la fronte: scottava. Doveva avere la febbre altissima e continuava a tremare visibilmente.

“Speriamo che tu abbia in casa almeno un’aspirina” disse, quasi fra sé.

Frugò nell’armadio, e tirò fuori uno spesso pile, che stese addosso al ragazzo, poi si sedette accanto a lui, sul bordo del letto, e gli allentò il nodo della cravatta. Infine gli tolse le scarpe e le sfuggì un sorriso nel notare i suoi calzini spaiati.

“Sei un disastro, Reid!” scherzò.

Eppure, nel dirlo, sentì uno strano nodo stingergli la bocca dello stomaco.

Lo sguardo le cadde sul comodino. C’era una piccola fotografia, posizionata in modo che guardasse verso il letto: raffigurava un uomo, una donna e due bambini. Sorridevano al fotografo, come una famiglia felice. JJ aggrottò le ciglia…dove l’aveva vista? Per un attimo le parve di averla notata una volta in mano a Gideon. Sotto c’era una nota a penna, nella calligrafia di Reid: “Contro i brutti sogni”. Su quel piccolo ripiano non c’era nient’altro.

Quella stanza era veramente disadorna. Non c’erano fotografie, né quadri, né soprammobili. Niente. Solo il letto, un armadio, e una serie di mensole piene di libri, tutti perfettamente in ordine…così tanti che l’idea che Reid li conoscesse probabilmente tutti a memoria le diede i brividi.

Guardò il ragazzo che respirava piano: doveva essersi addormentato, ma il suo viso era teso e contratto…con quella febbre, era impossibile riposare serenamente.

Uscì piano dalla camera e si diresse in bagno, sperando di trovare un armadietto dei medicinali o qualcosa di simile.

Anche il resto della casa non era molto diverso: semplicità, ordine, e, ovunque, un senso nascosto di profonda solitudine. Per un momento si stupì nel trovarsi a pensare cosa facesse Spencer tutte le sere, tornato da lavoro: Morgan gli ripeteva sempre che doveva uscire, divertirsi, “vivere” insomma. Ma, quando non erano loro a trascinarlo fuori, dove andava il dottor Reid, quel ragazzo così strano e geniale, che non sembrava fatto per vivere la vita di tutti i giorni? Lo immaginò in quell’appartamento spoglio, seduto a leggere, e si accorse di provare tristezza. Quel pensiero la sorprese: anche lei non viveva con la famiglia, come, del resto, tutti gli altri membri della squadra, se si faceva eccezione di Hotch…non c’era nulla di doloroso. Perché per Spencer non avrebbe dovuto essere lo stesso? Eppure, l’idea di andarsene e lasciarlo lì, tutto solo, quella sera, le appariva inaccettabile.

Trovò un antipiretico e sciolse la pasticca in mezzo bicchiere d’acqua.

“Spence” lo svegliò piano, scotendogli appena una spalla “ce la fai a tirarti su?”

Reid sentiva gli occhi bruciare immensamente: fece leva su una mano e sollevò il busto, abbastanza da permettere alla ragazza di aiutarlo a bere la medicina.

Sforzò un debole sorriso.

“JJ…” disse “grazie…”

“Figurati” si affrettò a rispondere “Adesso dormi ancora un po’”

“J-Jj…” sussurrò lui, chiudendo gli occhi e affondando il capo nel cuscino “Vai a casa…sto meglio...”

Lei gli sistemò la coperta fino sotto il mento.

“Dormi…” ripeté.

Rimase qualche minuto a guardarlo.

Pensò a quando era stata l’ultima volta che lo aveva visto così: pallido, sfinito…vulnerabile. Il ricordo le diede un brivido lungo la schiena. Lo schermo del computer…Spencer semi disteso su quella sedia…Tobias Henkel. E quel terrore…il terrore che aveva avuto di non rivederlo vivo.

Quasi senza accorgersene, come rapita da quell’angoscia, JJ si chinò su di lui e gli posò un bacio sulla testa. La sua fronte era veramente calda.

“Hai preso proprio un bel febbrone, Spence”

 

Reid aprì gli occhi e il suo sguardo cercò i numeri fosforescenti della sveglia: le tre di notte.

La testa gli faceva ancora male, ma le palpebre non erano più così pesanti ed anche i brividi erano passati: la febbre doveva essere scesa. Si avvolse la coperta attorno alle spalle e sporse i piedi fuori dal bordo del letto. Aveva bisogno di un bicchier d’acqua.

Barcollò fino alla porta e si affacciò in salotto: alla luce di una piccola abajour lasciata accesa, vide JJ che dormiva sul suo divano.

“Oh…”

Rimase con la bocca semi aperta qualche secondo, domandandosi quale fosse il sentimento che provava in quell’istante. Si sentì confuso.

Poi, un attimo dopo, ebbe chiaro cosa fare: tornò in camera, tirò fuori una coperta da un cassetto e la stese addosso alla ragazza. Si chinò sulle ginocchia e la guardò: l’istinto lo avrebbe spinto ad accarezzarle la testa, ma la sua mano rimase sospesa a mezz’aria, esitante. Perché mai, si chiese Reid, a lei veniva così naturale di passargli accanto e scompigliargli teneramente i capelli, e per lui era un gesto tanto complicato?

In quel momento, JJ aprì gli occhi.

“Ehi, Spence…! Che fai in piedi?”

Reid sussultò

“J-Jj…”

Strinse le labbra in quel modo così “suo” e spostò lo sguardo da un'altra parte. Lei rise, nascondendo dietro il sorriso un piccolo attimo di imbarazzo. Quale era stato il momento in cui aveva cominciato a trovare Spencer Reid così carino?

“Torna a letto!” gli ordinò “Comportati da malato!”

Gli piazzò la mano sulla fronte con decisione, facendo sbilanciare Reid, che quasi dovette tenersi al bracciolo del divano per non cadere. La situazione lo fece scoppiare a ridere.

Sorridi ancora così e ti bacio…pensò JJ.

Invece si alzò in piedi, gli tese la mano, e lo aiutò a tirarsi su.

“A domani, ragazzo…” disse, posandogli le mani sulle spalle e spingendolo verso il letto “e non svegliarmi di nuovo. Sul tuo divano si dorme benissimo”

 

  
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