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Autore: reby    27/07/2013    7 recensioni
[...] Erano cambiati tutti.
I tempi che li avevano visti digiprescelti e bambini insieme erano passati, esperienze mai dimenticate ma già lontane.
I lineamenti dei visi più marcati, più adulti.
Ma erano come la frutta maturata precocemente: all’ apparenza, come tutti si aspettano, liscia, succosa, perfetta. Ma dentro.. dentro lo zucchero, la vita non aveva fatto il suo naturale corso, lasciando un retrogusto amaro troppo forte per sembrare normale.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mimi/Matt, Sora/Tai, TK/Kari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Pesano come rocce i ricordi che amo”.
 Charles Baudelaire






Forse fa parte del destino di alcuni di noi, perdere qualcuno ancora prima di averlo.
Sedeva nel bar di una delle più grandi librerie di Tokyo, con lo sguardo perso verso un punto indefinito e un bicchiere di the freddo davanti ancora completamente pieno.
Il ghiaccio si stava sciogliendo lentamente, mischiandosi al liquido rossastro alla pesca e diluendolo in uno più incolore ed insapore.
A volte è proprio ciò che succede alla vita, il venir diluita da freddi ricordi di ghiaccio che la rendono a poco a poco insipida.
Si vergognava di sé stessa, ma spesso si ritrovava a pensare che forse era meglio non vivere affatto momenti indimenticabili perché, essendo tali, continueranno a scavare dentro di te fin quando non avranno corroso anche l’osso più resistente.
Forse fa parte del destino di alcuni di noi, perdere qualcuno ancora prima di averlo.
Perché forse non l’aveva mai avuto, forse non era mai stato suo.
La vita l’aveva strattonato lontano da lei e lui si era lasciato trasportare senza porre alcun freno. Era stato sospinto via dalla marea degli eventi, ma a quanto pare sapeva nuotare.
Lei, invece, in quella marea ci stava affogando.


Mimi Tachikawa osservava la sua migliore amica da lontano con il cuore contratto.
Era in ritardo di qualche minuto al loro appuntamento ma quando l’aveva vista con quella espressione sul viso, ebbe ancora una volta la certezza di quello che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta voce: Sora Takenouchi stava sopravvivendo e basta.
Facendosi coraggio –perché Mimi non poteva permettersi altrimenti davanti a lei,- le si avvicinò sfoderando uno dei suoi sorrisi.
- Ehilà, scusa il ritardo. Il prof mi ha trattenuta un po’ di più, - esordì schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
Vide che il velo opaco sui suoi occhi si dissipava ed anche Sora le sorrise. – Quindi il progetto è passato? – chiese poi.
Mimi sospirò contenta. – Con il massimo dei voti! – esclamò, ed allora l’altra si sporse verso di lei, abbracciandola.
Sora le stava raccontando la sua giornata in Facoltà, e la Tachikawa l’ascoltava attenta, ma non poteva non pensare con un misto di struggimento a quello sguardo che poco prima del suo arrivo aveva dipinto in viso.
Lo sguardo di chi vive nel passato.


Dall’altro lato di Tokyo, sull’isola di Odaiba, un ragazzo si era appena svegliato.
L’orologio segnava quasi le due del pomeriggio.
Aveva i capelli castani in uno stato ribelle e alcune ciocche gli ricadevano sul viso infastidendo le sue iridi dello stesso colore della folta chioma.
La testa gli pulsava in modo ininterrotto e scendendo dal letto barcollò pericolosamente verso il pavimento. Inciampò in alcune bottiglie di vetro vuote sparse per la stanza e, con non poche difficoltà, raggiunse finalmente il bagno.
Afferrò il pacchetto di sigarette logoro che giaceva abbandonato a terra e si ficcò una sigaretta in bocca. Si tastò le tasche dei jeans che non si era tolto per dormire e prese l’accendino.
Aspirò la prima boccata di nicotina; poi, finalmente, alzò lo sguardo.
Lo specchio di fronte a lui era rotto in un angolo e riverberi simili a esili rami partivano da quel punto, diramandosi come vene su tutta la liscia superficie, restituendogli un’immagine del suo viso distorta.
Anzi no, a pezzi.
Proprio come era in realtà.
Taichi Yagami era uno specchio rotto, un giradischi datato che graffiava i vinili invece di accarezzarli dolcemente: era un’anima rotta.
Fumò la sua sigaretta velocemente e poi si sciacquò la faccia.
Rimase con le mani poggiate sui bordi del lavandino e lo sguardo basso. Gocce d’acqua cadevano tintinnando ma lui rimaneva immobile.
I raggi del sole d’estate entravano prepotenti dalla finestra in fondo del suo bagno, toccando i mobili,le piastrelle azzurre e alcuni vestiti sparsi sul pavimento.
Taichi Yagami era diverso.
Taichi Yagami era cambiato.
Ma se c’era lei.
L’unica che riusciva a farlo sentire ancora inesorabilmente, completamente vivo.


Giardino zen di Ryoan-ji, Kyoto
Hikari Yagami sedeva indossando un tradizionale kimono giapponese su uno dei numerosi futon presenti nel Shisen-do*
Il silenzio sovrastava ogni cosa in quel luogo. Aveva tra le mani minute una tazza di the verde bollente che sorseggiava piano.
Di fronte lei, uno dei maestri del tempio la osservava.
Si recava in quel luogo ogni giorno da ormai qualche mese. Si era offerta per dare una mano nella sua gestione ed il maestro aveva accettato subito: quella ragazza era piena di dolore e lì avrebbe potuto imparare a conviverci.
Quando andava via, sull’uscio l’aspettava sempre un ragazzo con una zazzera di capelli biondo cenere e degli occhi azzurro cristallo.
Le dava un bacio sulla fronte e le prendeva teneramente la mano, guidandola giù per le scale.
Parlava poco, Hikari.
Continuava a bere con il capo basso ed il maestro distolse lo sguardo da lei per poggiarlo fuori, sul giardino. Quella mattina le aveva dato per la prima volta il compito di comporlo lei stessa, disponendo la ghiaia e le rocce come credeva.
Non si stupì del disegno che aveva creato.
- Hikari -.
La ragazza alzò immediatamente lo sguardo su di lui. – Maestro?-
Lui si alzò, le mani congiunte dietro la schiena arcuata dal peso degli anni. – Le rocce, Hikari. Sono una sull’altra -.
Nel silenzio totale il sospiro della giovane Yagami si perse nell’aria. – Si -.
Sapeva bene quello che in realtà il maestro voleva dirle. Le rocce, infondo, erano il simbolo del cuore e della mente.
- Devi imparare a convivere con il tuo spirito. Cuore e mente sono parte di noi, crescono su un equilibrio fragile. Se, come le rocce che tu stessa hai disposto, sono messi uno sull’altro, sai cosa può succedere?-
Hikari posò la tazza a terra e si alzò, raggiungendo il maestro in piedi davanti al giardino.- Possono crollare-.
Lo vide annuire, in silenzio. – A domani, giovane Hikari -.
Si salutarono con il tradizionale inchino ed il maestro si ritirò.
La ragazza mise via la sua tazza ormai vuota, indossò dei pantaloni decisamente più comodi del kimono e si avviò verso l’uscita. Puntuale come ogni giorno, Takeru l’aspettava.
Stavano insieme da quasi due anni ormai, ma ugualmente non riusciva ad impedire alle sue guance d’imporporarsi ogni volta che lui la fissava.
Le posò un bacio tra i capelli ed uno lievissimo sulle labbra.
Hikari sorrise, poggiandosi a lui e lasciandosi abbracciare.
Quella giornata era stata piena.
- Come stai oggi? – le chiese il ragazzo mentre la stringeva tra le braccia.
Takeru la sentì quasi trattenere il respiro a quella domanda. Poco dopo espirò, e alzò il viso sul suo. – Ora meglio-.
Si avviarono giù, dove avrebbero preso la motocicletta del ragazzo che li avrebbe portati nel vecchio appartamento della madre di lui.
Mentre sfrecciavano per le strade di Kyoto –braccia esili di Hikari totalmente a circondare il torace del biondo compagno-, il vento d’estate le sferzava i capelli e la Yagami chiuse gli occhi.
Dietro le palpebre rivide sé stessa l’anno prima a cavallo di una moto più grande e alla  sua guida…
Ogni volta pensarlo era una sofferenza troppo grande ed insieme infinita vergogna.
Aumentò la presa delle braccia e sentì Takeru decelerare un poco ma senza fermarsi.
Alla guida di quella moto l’anno prima c’era suo fratello Taichi che rideva delle sue espressioni impaurite vista la velocità con la quale fendevano le strade notturne di Tokyo.
Non era riuscita a salvarlo, pensò Hikari. Non ci era riuscita e lui alla fine l’aveva cacciata via dalla sua vita, un po’ come aveva fatto con tutti gli altri, decidendo di convivere col suo senso di colpa e nient’altro.
Lavorare al tempio la calmava, stare con Takeru era l’unica cosa che le impediva di sprofondare completamente.
Ma i ricordi non si arginano né poteva cancellare l’immagine di suo fratello ubriaco, drogato o chissà cosa che rientrava a casa la mattina con gli zigomi viola.
E solo. Inesorabilmente solo.
Quelle rocce una sull’altra presero posto nei suoi pensieri ed Hikari le avvertì una ad una, indistintamente e ruvide, sulle sue spalle.









SPAZIO AUTRICE:
* Esempio di Shinsen-do: http://gallery.photo.net/photo/14452433-lg.jpg (fonte Google)
Ecco a voi il secondo capitolo, come promesso ho aggiornato abbastanza in fretta.
Giusto due parole in croce e corro via.
Entrano in scena Hikari e Takeru e la trama si complica un po’, ma qualcosa si sta smuovendo. Come sempre spero di sentirvi, per il terzo capitolo ci sarà da pazientare un po’: è concluso ma ho l’ultimo esame a giorni e non posso proprio rifinirlo come vorrei.
Alla prossima,
Sabrina



   
 
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