“Pesano come rocce i ricordi che amo”.
Charles Baudelaire
Forse fa parte del destino di alcuni di noi, perdere
qualcuno ancora prima di averlo.
Sedeva
nel bar di una delle più grandi librerie di Tokyo, con lo sguardo perso verso
un punto indefinito e un bicchiere di the freddo davanti ancora completamente
pieno.
Il
ghiaccio si stava sciogliendo lentamente, mischiandosi al liquido rossastro
alla pesca e diluendolo in uno più incolore ed insapore.
A
volte è proprio ciò che succede alla vita, il venir diluita da freddi ricordi
di ghiaccio che la rendono a poco a poco insipida.
Si
vergognava di sé stessa, ma spesso si ritrovava a pensare che forse era meglio
non vivere affatto momenti indimenticabili perché, essendo tali, continueranno
a scavare dentro di te fin quando non avranno corroso anche l’osso più
resistente.
Forse fa parte del destino di alcuni di noi, perdere
qualcuno ancora prima di averlo.
Perché
forse non l’aveva mai avuto, forse non era mai stato suo.
La
vita l’aveva strattonato lontano da lei e lui
si era lasciato trasportare senza porre alcun freno. Era stato sospinto via
dalla marea degli eventi, ma a quanto
pare sapeva nuotare.
Lei,
invece, in quella marea ci stava affogando.
Mimi
Tachikawa osservava la sua migliore amica da lontano con il cuore contratto.
Era
in ritardo di qualche minuto al loro appuntamento ma quando l’aveva vista con quella espressione sul viso, ebbe ancora
una volta la certezza di quello che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta
voce: Sora Takenouchi stava sopravvivendo e basta.
Facendosi
coraggio –perché Mimi non poteva permettersi altrimenti davanti a lei,- le si
avvicinò sfoderando uno dei suoi sorrisi.
-
Ehilà, scusa il ritardo. Il prof mi ha trattenuta un po’ di più, - esordì
schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
Vide
che il velo opaco sui suoi occhi si dissipava ed anche Sora le sorrise. –
Quindi il progetto è passato? – chiese poi.
Mimi
sospirò contenta. – Con il massimo dei voti! – esclamò, ed allora l’altra si
sporse verso di lei, abbracciandola.
Sora
le stava raccontando la sua giornata in Facoltà, e la Tachikawa l’ascoltava
attenta, ma non poteva non pensare con un misto di struggimento a quello
sguardo che poco prima del suo arrivo aveva dipinto in viso.
Lo
sguardo di chi vive nel passato.
Dall’altro
lato di Tokyo, sull’isola di Odaiba, un ragazzo si era appena svegliato.
L’orologio
segnava quasi le due del pomeriggio.
Aveva
i capelli castani in uno stato ribelle e alcune ciocche gli ricadevano sul viso
infastidendo le sue iridi dello stesso colore della folta chioma.
La
testa gli pulsava in modo ininterrotto e scendendo dal letto barcollò
pericolosamente verso il pavimento. Inciampò in alcune bottiglie di vetro vuote
sparse per la stanza e, con non poche difficoltà, raggiunse finalmente il
bagno.
Afferrò
il pacchetto di sigarette logoro che giaceva abbandonato a terra e si ficcò una
sigaretta in bocca. Si tastò le tasche dei jeans che non si era tolto per
dormire e prese l’accendino.
Aspirò
la prima boccata di nicotina; poi, finalmente, alzò lo sguardo.
Lo
specchio di fronte a lui era rotto in un angolo e riverberi simili a esili rami
partivano da quel punto, diramandosi come vene su tutta la liscia superficie,
restituendogli un’immagine del suo viso distorta.
Anzi
no, a pezzi.
Proprio
come era in realtà.
Taichi
Yagami era uno specchio rotto, un giradischi datato che graffiava i vinili
invece di accarezzarli dolcemente: era un’anima rotta.
Fumò
la sua sigaretta velocemente e poi si sciacquò la faccia.
Rimase
con le mani poggiate sui bordi del lavandino e lo sguardo basso. Gocce d’acqua
cadevano tintinnando ma lui rimaneva immobile.
I
raggi del sole d’estate entravano prepotenti dalla finestra in fondo del suo
bagno, toccando i mobili,le piastrelle azzurre e alcuni vestiti sparsi sul
pavimento.
Taichi
Yagami era diverso.
Taichi
Yagami era cambiato.
Ma
se c’era lei.
L’unica
che riusciva a farlo sentire ancora inesorabilmente, completamente vivo.
Giardino
zen di Ryoan-ji, Kyoto
Hikari
Yagami sedeva indossando un tradizionale kimono giapponese su uno dei numerosi
futon presenti nel Shisen-do*
Il
silenzio sovrastava ogni cosa in quel luogo. Aveva tra le mani minute una tazza
di the verde bollente che sorseggiava piano.
Di
fronte lei, uno dei maestri del tempio la osservava.
Si
recava in quel luogo ogni giorno da ormai qualche mese. Si era offerta per dare
una mano nella sua gestione ed il maestro aveva accettato subito: quella
ragazza era piena di dolore e lì avrebbe potuto imparare a conviverci.
Quando
andava via, sull’uscio l’aspettava sempre un ragazzo con una zazzera di capelli
biondo cenere e degli occhi azzurro cristallo.
Le
dava un bacio sulla fronte e le prendeva teneramente la mano, guidandola giù
per le scale.
Parlava
poco, Hikari.
Continuava
a bere con il capo basso ed il maestro distolse lo sguardo da lei per poggiarlo
fuori, sul giardino. Quella mattina le aveva dato per la prima volta il compito
di comporlo lei stessa, disponendo la ghiaia e le rocce come credeva.
Non
si stupì del disegno che aveva creato.
-
Hikari -.
La
ragazza alzò immediatamente lo sguardo su di lui. – Maestro?-
Lui
si alzò, le mani congiunte dietro la schiena arcuata dal peso degli anni. – Le
rocce, Hikari. Sono una sull’altra -.
Nel
silenzio totale il sospiro della giovane Yagami si perse nell’aria. – Si -.
Sapeva
bene quello che in realtà il maestro voleva dirle. Le rocce, infondo, erano il
simbolo del cuore e della mente.
-
Devi imparare a convivere con il tuo spirito. Cuore e mente sono parte di noi,
crescono su un equilibrio fragile. Se, come le rocce che tu stessa hai
disposto, sono messi uno sull’altro, sai cosa può succedere?-
Hikari
posò la tazza a terra e si alzò, raggiungendo il maestro in piedi davanti al
giardino.- Possono crollare-.
Lo
vide annuire, in silenzio. – A domani, giovane Hikari -.
Si
salutarono con il tradizionale inchino ed il maestro si ritirò.
La
ragazza mise via la sua tazza ormai vuota, indossò dei pantaloni decisamente
più comodi del kimono e si avviò verso l’uscita. Puntuale come ogni giorno,
Takeru l’aspettava.
Stavano
insieme da quasi due anni ormai, ma ugualmente non riusciva ad impedire alle
sue guance d’imporporarsi ogni volta che lui la fissava.
Le
posò un bacio tra i capelli ed uno lievissimo sulle labbra.
Hikari
sorrise, poggiandosi a lui e lasciandosi abbracciare.
Quella
giornata era stata piena.
-
Come stai oggi? – le chiese il ragazzo mentre la stringeva tra le braccia.
Takeru
la sentì quasi trattenere il respiro a quella domanda. Poco dopo espirò, e alzò
il viso sul suo. – Ora meglio-.
Si
avviarono giù, dove avrebbero preso la motocicletta del ragazzo che li avrebbe
portati nel vecchio appartamento della madre di lui.
Mentre
sfrecciavano per le strade di Kyoto –braccia esili di Hikari totalmente a
circondare il torace del biondo compagno-, il vento d’estate le sferzava i
capelli e la Yagami
chiuse gli occhi.
Dietro
le palpebre rivide sé stessa l’anno prima a cavallo di una moto più grande e
alla sua guida…
Ogni
volta pensarlo era una sofferenza troppo grande ed insieme infinita vergogna.
Aumentò
la presa delle braccia e sentì Takeru decelerare un poco ma senza fermarsi.
Alla
guida di quella moto l’anno prima c’era suo fratello Taichi che rideva delle
sue espressioni impaurite vista la velocità con la quale fendevano le strade
notturne di Tokyo.
Non
era riuscita a salvarlo, pensò Hikari. Non ci era riuscita e lui alla fine
l’aveva cacciata via dalla sua vita, un po’ come aveva fatto con tutti gli
altri, decidendo di convivere col suo senso di colpa e nient’altro.
Lavorare
al tempio la calmava, stare con Takeru era l’unica cosa che le impediva di
sprofondare completamente.
Ma
i ricordi non si arginano né poteva cancellare l’immagine di suo fratello
ubriaco, drogato o chissà cosa che rientrava a casa la mattina con gli zigomi
viola.
E
solo. Inesorabilmente solo.
Quelle
rocce una sull’altra presero posto nei suoi pensieri ed Hikari le avvertì una
ad una, indistintamente e ruvide, sulle sue spalle.
SPAZIO
AUTRICE:
Ecco
a voi il secondo capitolo, come promesso ho aggiornato abbastanza in fretta.
Giusto
due parole in croce e corro via.
Entrano
in scena Hikari e Takeru e la trama si complica un po’, ma qualcosa si sta
smuovendo. Come sempre spero di sentirvi, per il terzo capitolo ci sarà da
pazientare un po’: è concluso ma ho l’ultimo esame a giorni e non posso proprio
rifinirlo come vorrei.
Alla
prossima,
Sabrina