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Autore: Mo_    27/07/2013    3 recensioni
C’è Serena, che combatte da troppo tempo per un ragazzo che non sarà mai suo e per cui è già fin troppo cambiata; C’è Chris, uno skater dal passato difficile che vorrebbe solo andare avanti e dimenticare, o magari tornare indietro a quando il suo unico problema era scegliere con quale delle centinaia di ragazze uscire; e poi c’è Londra, che fa da sfondo al loro incontro. Tra i suoni dell’underground e le corde di una chitarra, tra lo zampino del destino e la voglia di stare bene, ecco che due perfetti sconosciuti diventeranno l’uno la sopravvivenza dell’altro. E non sarebbe potuto succedere da nessun’altra parte se non a Londra, la città magica, che riesce ad unire persino persone diverse come loro. Perché a Londra niente sembra sbagliato. Ma allora, esiste davvero una differenza tra giusto e sbagliato?
Serena ne era convinta, ora non lo è più così tanto. Due settimane sono bastate a sconvolgere la sua intera esistenza, a cambiarla definitivamente, o forse a farla diventare ciò che infondo era sempre stata.
Lei, proprio lei che a Chris non voleva neanche dire ciao…
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=t_zTX_VZLUg&feature=youtu.be
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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I remember the day
when I first saw your face
the way you smiled ad just walked away.

Rece Mastin - Timeless




Giorno 1

Capitolo 2
College life


 

 

Serena

L’aggettivo giusto per descrivere questo college devo ancora trovarlo.
Ieri sera mi era subito parso inquietante, degno di un set per un film horror, ma ora che lo guardo bene, illuminato dal sole, è davvero una figata.
Mi sento in un film.
Questo posto è enorme, prato inglese ovunque, dormitori in mattone sparsi qua e la, la sede con mensa e palestra è tutta super moderna e il centro uffici e aule di studio è un labirinto infinito fatto di corridoi dai colori più svariati e porte identiche. Credo che per orientarmi mi servirà un bel po’ di tempo.
Il nostro dormitorio si chiama Cronin. Esclusivamente femminile, edificio a tre piani, camere singole, puzza di morto per i corridoi e ci vogliono cinque minuti di camminata per arrivare alla mensa.
Non appena ci ho messo piede, comunque, ho deciso che in camera mia, da sola, non ci avrei mai dormito.
Così Mic si deve sopportare anche me nel suo letto.
Siamo qui da meno di dodici ore e sono già stati chiari sulle regole. Niente sigarette, niente alcol, niente droga, niente ragazzi in camera, a letto alle undici, non si esce di casa dopo le dieci, stretto controllo nei corridoi di notte e sveglia alle sette e mezza. Manco fossero i miei genitori.
Stiano pur certi che rispetterò tutte queste condizioni. Tranquillissimi.
Attualmente siamo in mensa a fare colazione e fino ad ora è la cosa che più mi piace. Siano santificati il bacon, le uova e gli enormi bicchieri di cartone per le bevande calde.
Mentre mangio do un’occhiata al programma settimanale che ci hanno fornito appena arrivati. La nostra vita sarà scandita da attività e orari serratissimi e la vedo abbastanza dura.
«Volete sapere l’orario trasgressivo della “discoteca” di questa sera?» dico attirando l’attenzione delle ragazze accanto a me, persone del gruppo con cui abbiamo stretto amicizia. Certo sono più adatte a Mic considerando che hanno almeno due anni meno di me, però sono simpatiche. Anche se non sono loro con cui spero di passare tutto il mio tempo. «dalle 19.30 alle 22»
Leggendo sono quasi scandalizzata. Ma scherziamo?
Altro che sedici anni, qui mi sento una bambina.
«E se noti, Londra centro ce la scordiamo prima di domani pomeriggio» aggiunge Mic indicando con la forchetta la prima vera escursione in città. Oddio.
Fosse per me in questo college non ci starei neanche due secondi, passerei tutte le mie giornate a camminare fino allo sfinimento per quella città che considero casa mia. Perché Londra ha qualcosa che ti prende e… boh.
Londra è Londra.
Non possiamo neanche fare colazione tranquilli che subito un ragazzo dello staff in maglia rossa viene a reclutarci per i test di valutazione. L’attività di questa mattina.
«Verrete divisi in gruppi da dieci e scortati dallo staff nelle apposite stanze. I quiz sono uguali per tutti e a questi seguirà un esame orale. È inutile copiare dal vostro amichetto per finire in classi uguali, perché voi potreste essere troppo ciucci per lui o viceversa. Non ne vale la pena.» il discorso del ragazzone inglese è davvero molto sensato e ispiratore, ma credo non seguirò il suo consiglio. C’è una persona con cui vorrei ardentemente capitare in classe. E con questo intendo che farò di tutto perché ciò accada.
Così, mentre cominciano a dividerci a dieci a dieci, io prendo Mic e la trascino al mio fianco verso la zona della mensa dove si trova Dario. Si, proprio Dario, il biondino che è stato seduto al mio fianco tutto il tempo del volo per Londra. L’amico di Lorenzo per essere chiari.
Io e lui in classe insieme ed è fatta.
Maglia rossa si avvicina a noi e comincia a contare.
Uno…due…tre…
Dario e altri due del gruppo.
Quattro…cinque…sei…
Tre ragazze italiane, ma se sono del mio gruppo non ho mai fatto caso a loro.
Sette… otto… nove…
Mic e due spagnoli.
Dieci.
E dovevo essere io per forza.
«Aiutiamoci oh» scherza Dario mentre cominciamo a seguire maglia rossa. Si gira verso l’amico e ride, ma è quando incontra il mio sguardo che sorride davvero. E più si apre il sorriso sulle labbra del bellissimo Dario, più Lorenzo si fa più vicino nella mia mente. Sono al settimo cielo. Mi batte persino forte il cuore.
Ci addentriamo nel labirinto di corridoi all’interno della palazzina principale del college e per raggiungere una classe come tante altre ci mettiamo almeno dieci minuti. Mi chiedo come facciano gli studenti di qui a non perdersi continuamente.
Una volta dentro l’aula, comunque, i miei pensieri si azzerano per lasciar  spazio al mio unico, grande, obbiettivo. Prendere posto accanto a Dario.
La cosa bella è che non ci vuole neanche tutto questo ingegno considerando che è lui praticamente a venirsi a sedere dove sto io. E se lui cerca me e io cerco lui, beh, allora è fatta.
Ci lanciamo uno sguardo d’intesa.
Infondo sa anche lui che copieremo a vicenda.
Infondo, magari, anche lui spera che capiteremo in classe insieme.
Io so solo che ho due settimane per far si che questo ragazzo diventi il mio nuovo grande amico.
 
Tra il blocco dei test consegnati ce ne sono tre che sono uguali in tutto e per tutto.
Chissà perché, qualcosa mi dice che queste tre persone capiteranno in classe insieme.
E no, non siamo io, Dario e Mic, perché lei ha voluto essere corretta e fare tutto da sola, bensì io, Dario e Jacopo, un altro dei ragazzi del gruppo di cui non ricordavo il nome.
Jacopo e Dario sono l’esatto contrario.
Uno è bello e montato, l’altro brutto e simpatico. Credo che unendo le qualità positive di entrambi potrebbe uscire un essere spettacolare. Purtroppo però, per ora, dobbiamo accontentarci dei due separati.
Sto parlando con loro da quando abbiamo finito tutti i test e li ho già bollati come compagnia perfetta per questa vacanza. Meglio di così non poteva andare.
Ci sono ancora due ragazze del gruppo alle quali devo arrivare e poi questo viaggio potrà finalmente cominciare.
Stringere amicizie a Londra per facilitare la scalata sociale una volta a casa. Strana soluzione, ma davvero efficiente.
 
L’ora di pranzo arriva in un batter d’occhio.
Sono le 12.30 e siamo di nuovo tutti attorno ai lunghissimi tavoli della mensa, pregando perché questo cibo dall’odore schifoso non ci uccida. L’aspetto è tranquillo, il problema è la puzza.
Pollo marinato in qualche strana salsina, patatine, cola e cheese cake. Molto english.
Peccato che gli inglesi e la cucina non vadano molto d’accordo.
Dario e Jacopo me li sono persi mentre eravamo in coda per prendere da mangiare e ora sono di nuovo con il gruppo delle piccole. Piccole usato più come vezzeggiativo che altro, anche perché “piccole” non lo sono affatto.
Una di loro, Daniela, porta una maglietta con su stampato il logo dei Nirvana. Ha già conquistato la mia fiducia.
A mensa, naturalmente, non ci siamo solo noi.
C’è un gruppo fiorentino, uno milanese, uno argentino, uno spagnolo e uno tedesco. In più, come se non bastasse, ci fanno compagnia anche i veri e propri studenti del college che ancora frequentano la scuola e danno esami. Io mi lamento delle tre ore di lezione che mi attenderanno ogni mattina per due settimane, ma loro non gli invidio per niente. Mi chiedo come facciano a concentrarsi seriamente d’estate.
Per l’appunto, un gruppo di studenti in questo momento divide il tavolo con noi. Si distinguono per le loro arie seriose, i tomi infiniti e i quaderni d’appunti, si vede che sono più grandi.
Tranne per uno.
C’è questo ragazzo che è dall’estremità del suo gruppo più vicina a noi. Siamo di fronte, in linea se non fosse per una sedia lasciata libera tra lui e Mic. Lo guardo e si capisce che quello con gli altri non centra niente.
Ha un luccichio che sa di giovane ribelle negli occhi e forse sarà solo una mia impressione, ma non sembra felice di stare dove sta. E sarà solo un’impressione, ma un po’ mi ricorda me.
Quando i suoi occhi color ghiaccio incrociano i miei distolgo subito lo sguardo, imbarazzata. Cerco di concentrarmi sui discorsi della ragazza al mio fianco fingendo naturalezza.
Ragazza che, naturalmente, è Daniela. Quella con la maglia dei Nirvana.
Sta parlando con una tipa che ha di fronte in… inglese?
«Lei è Ana, l’ho conosciuta oggi durante il test» mi spiega lei dopo averle chiesto chi fosse. Bene, partiamo con le amicizie internazionali.
Allungo l’orecchio per poter, magari, entrare nella conversazione. Parlano di musica, perfetto.
«E quella canzone… About a girl… è dei Nirvana vero?» chiede Ana con un marcatissimo accento spagnolo. È una domanda scontata, ma aspetto che risponda Daniela. Io, per come sono da fuori, non dovrei ascoltare musica del genere. Meglio non far saltare la copertura.
«No, ma che dici! About a girl sicuramente non è loro… che ne so, forse dei Queen» risponde Daniela beccandosi una mia occhiataccia.
Vi prego, ditemi che sta scherzando.
Cazzo, ha una maglietta dei Nirvana addosso e crede che About a girl sia dei Queen…
Mentre Mic se la ride sotto i baffi, io nascondo il viso tra le mani. Il mio amato Kurt a quest’ora si starà rivoltando nella tomba.
«Ho sentito che il cantante principale è morto» continua la spagnola da lunghi capelli neri, tutta curiosa di conoscere i dettagli del caso. A questo punto lo sono anche io, sperando che stavolta non toppi.
«Overdose, era un drogato di meda»
Io la uccido.
Io.
La.
Uccido.
Altro che Overdose.
La strozzo con le mie mani davanti a tutti, così poi può andare a chiedere a Kurt come è morto.
Mic mi molla un calcio da sotto il tavolo, sempre più preda delle risate, tanto che le va di traverso un spezzo di pollo e inizia a sputacchiare ovunque.
L’altra persona di cui non mi ero accorta, però, è il ragazzo capelli corvini e occhi ghiaccio. Credo stia ascoltando la conversazione dall’inizio e lo sguardo compassionevole che ci lanciamo vale più di molte parole.
Mi sono persa un paio di battute, credo.
Meglio così.
«E che genere è il loro? Rock?»
Ma cosa vuole questa Ana, la biografia dei Nirvana?
So che Daniela risponderà male e io davvero non sopporto l’associazione delle sue parole a quella maglietta che porta con tanta fierezza. Mi viene da vomitare.  Così mi alzo prima di commettere l’omicidio. Anche perché credo di non poter sopportare un altro boccone di questo pollo.
«No, fanno pop commerciale e sai, ogni tanto anche un po’ di metal» le prendo per il culo, in inglese così da poter essere compresa da tutti.
Si, anche dal brunetto, che ora mi sorride compiaciuto e batte silenziosamente le mani. Mani lunghe e affusolate. Mani da chitarrista. Anzi, mani da bassista. Ci scommetterei tutto.
Mic ormai l’ho persa, morente dalle troppe risate, con la testa sul tavolo.
«Andiamocene, ti prego» le dico cercando di mantenere la calma almeno per un altro po’.
Lei, affannata, mi segue.
Di certo ho eliminato Daniela dalle mie possibili amicizie.
Come si fa ad essere così incoerenti?
Poi, però, ci ripenso un attimo.
Di certo non definisco “drogato di merda” il fondatore della musica grunge mentre indosso una sua maglietta, ma alla fine incoerente lo sono anche io.
Con le mie scelte di vita, con i miei modi di fare.
Incoerente più di tutti quanti messi insieme.
Incoerente per scelta di vita.
«sta notte andiamo a bruciarle la maglietta, non è degna» dice Mic poggiandomi una mano sulla spalla.
Lei sa come sono.
La guardo e rido.
Per fortuna che c’è Mic.
 
Chris.
 
Da: Georgia.
Ti va di venire a casa? È un po’ che non stiamo soli io e te.
 
Apro il messaggio e mi chiedo quanto in basso possa arrivare una ragazza come lei per ottenere ciò che vuole. E il problema è che ciò che vuole non sono io personalmente, piuttosto una buona dose di sesso per sentire di possedere ciò che ormai non è più suo.
Perché lei lo sente che non sono più suo.
Finalmente se n’è accorta.
Ciò che c’è tra me e lei è complicato, forse troppo per un qualcuno che vede la storia dall’esterno. Abbiamo un passato che ci legherà per sempre, ma di riviverlo non ne ho più voglia. Che senso ha continuare a scopare e sentirmi di merda una volta finita?
Perché alla fine è questo che noi facciamo, scopare. Poi finisce tutto qui.
Non siamo mai stati una coppia e una spiegazione per questo deve pur esserci. Io l’ho trovata. Non siamo giusti. Non lo eravamo una volta, non lo siamo ora.
Chris e Georgia…
Non suoniamo bene, in tutti i sensi.
Georgia non ha sentimenti, ma io purtroppo si. Lei vuole solo gridare il mio nome, io volevo continuare a vivere nel passato. Ora non mi sta più bene.
Non le rispondo neanche.
Mi alzo dal letto della mia stanza e cerco una soluzione per staccare tutti i pensieri. Stare solo non mi fa bene, meglio chiamare             qualcuno dei ragazzi.
Ryan sta finendo di studiare per il suo ultimo compito di matematica e preferisco non disturbarlo, Harry dovrebbe essere a lavoro. Lenny è la soluzione ai miei problemi.
«Senti io sono in college e ho appena finito di studiare. Mi sono arrivati i volantini per l’ingresso alla serata di domani e siccome suoniamo la direzione ha chiesto a me di distribuirli. Se vuoi puoi venire a darmi una mano»
Per fortuna, casa mia e il college di Lenny sono abbastanza vicini. Saranno dieci minuti di treno al massimo.
Mi sembra la soluzione migliore.
«vedo di prendere il treno delle 18» gli dico mentre cerco di infilarmi i jeans con l’unica mano libera, poi gli chiudo il telefono in faccia prima che mi ricordi che mancano solo tre minuti alla partenza. Lui non è tipo da rischiare, piuttosto aspetterebbe mezz’ora per la corsa successiva, ma io sono Christian Samuels.
Ed è risaputo che Christian e il suo skate riescono sempre nelle loro missioni impossibili.
Così sono pronto in mezzo minuto, jeans stretti, canotta larghissima, cappellino di lana, all star e skate sotto il braccio. Scendo le scale della mansarda alla velocità della luce, mi chiudo la porta di casa alle spalle e con uno slancio sono sulla tavola. Le strade di Richmond scorrono davanti ai miei occhi, il mondo nelle orecchie grazie agli auricolari, le macchine mi suonano quando le taglio la strada, ma me ne sbatto. Sono più veloce.
Mi dispiace solo per i poveri passanti che non investo per un soffio.
È bello sentire il vento tra i capelli o l’adrenalina che sale davanti ad ogni ostacolo. Ti va sentire vivo, come suonare, come cantare. La mia vita è composta solo di questi momenti, per il resto è noia.
Quando scorgo la stazione non controllo neanche l’orario, semplicemente accelero. Accelero più che posso.
Se fossi in un videogioco, con l’entrata trionfale che ho appena fatto guadagnerei cento punti. Flick sulla ringhiera della discesa, salto gi ultimi tre gradini e poi il binario appare  davanti a me.
Il treno è lì. Le porte si stanno chiudendo, però posso farcela. Devo farcela.
Ultima spinta e sono dentro.
Tre minuti per fare casa-stazione.
E vaffanculo quelli che non credono nel’impossibile.
 
«Devi fare attenzione Chris, non tutti i ragazzi che vedi sono dell’università.» mi sta istruendo Lenny mentre un blocco di volantini-invito scivola nelle mie mani. «Ci sono anche quelli delle vacanze estive»
«Loro so, lo so, è la terza volta che me lo dici»
Lenny, se non si era capito, è un po’ il papà del gruppo. Ha l’anima di un quarantenne intrappolata nel corpo di un ragazzo e sono più che certo che se non avesse noi si annoierebbe a morte. Non lo ammetterà mai, ma noi siamo la cosa migliore della sua vita.
Ultimamente, poi, non sta passando un bel periodo, ed io sono un esperto di “brutti periodi”, quindi so cosa fare e so anche che ha bisogno di tre pazzi come noi.
Lo so perché loro, a me, hanno salvato la vita.
Ed io voglio fare lo stesso con Lenny.
Giriamo placidamente per il college e mentre Lenny distribuisce volantini senza problemi, io devo prima chiedere alla gente se frequenta l’università o no.
Tranne ad un paio di ragazze del suo corso che conosc. Loro mi adorano.
«Quindi suonerete?» mi chiede Lidia, che con i capelli raccolti e una camicetta bianca sembra tutta tranquilla. In realtà l’ultima volta che l’ho vista aveva la sua chioma blu sciolta e faceva un mezzo strip su un bancone in un pub di east London. Credo anche che ci provi con me. Sarebbe figo uscire con una ragazza del college.
«Noi apriamo solo la serata, in realtà la band principale è un’altra.» dico mentre con un braccio circondo spontaneamente le spalle di Lidia. Loro mi vedono come cucciolo coccoloso e sono intenzionato a lasciarle sbaciucchiarmi e abbracciarmi quanto vogliono. Fastidio sicuramente non me ne danno.
«Si ma noi verremo solo perché ci siete voi» confessa Taylor, l’altra ragazza che però non ha niente di speciale. Perché è questo che cerco io: qualcosa di speciale. Qualcosa per cui valga la pena.
Lenny congeda le due con la promessa di rivederci la sera dopo e mi lancia un occhiolino come a voler confermare i miei pensieri su Lidia. Ottimo direi.
Camminiamo ancora, e ancora e ancora. Questo college è seriamente enorme.
Poi, mentre siamo dalle parti dei dormitori, Lenny arresta il suo passo.
«Che hai?» gli chiedo guardandomi in torno, cercando di capire cosa gli sia preso. Qui, però, non c’è niente di interessante a parte due ragazze che passeggiano tranquillamente.
E potrei anche pensare che sono loro l’oggetto dell’attenzione di Lenny, ma mi sembra altamente improbabile considerando che la ragazza sulla destra sembra uscita da una rivista di moda e  ci sta squadrando con occhio critico.
Tipico.
Ecco perché noi odiamo i tipi come lei.
Lenny, però, mi sorprende. Va dritto verso di loro.
«Domani sera, palestra del settore B, presentate l’invito all’ingresso e vi faranno entrare. Se ci sono problemi chiedete di Lenny» ascolto il suo discorso mentre continuo a tenermi a distanza, cercando di capire per quale cazzo di motivo stia dando il volantino a due ragazze così. Basta guardarle per capire che non sanno neanche la differenza tra punk e rock o tra chitarra e basso.
Deve essere impazzito, per forza.
«non sai neanche come mi chiamo» gli risponde miss sonotroppofigaperparlareconte. Si guarda freneticamente incontro, come se avesse paura di essere vista da qualcuno. Dio, ma come si fa ad essere così? Solo perché Lenny ha un dilatatore sull’orecchio e un tatuaggio che si intravede sul polso non significa che sia una brutta persona. Non è che le sue amiche fighette la spareranno perché sta parlando con uno del genere.
«Ti ho sentito in mensa e mi sei piaciuta, hai guadagnato la mia fiducia e hai sputtanato quella tipa al posto mio. Ora posso permettermi di invitarvi ad una serata universitaria? Suona la mia band»
Le due ragazze si guardano, stranite e forse leggermente imbarazzate.
In realtà con quella sulla sinistra non ho nessun problema, anzi, ha la faccia tranquilla e ogni tanto a Lenny sorride anche.
Ma l’altra… un ghiacciolo emana più calore.
«ci conto» aggiunge il mio amico ostinato. Le passa due inviti, un occhiata fugace e via, torna da me.
«ma che cazzo stai facendo?» gli chiedo senza preoccuparmi che le due possano sentirmi, anzi. È proprio quello il mio intento.
Quando ci incrociamo, infatti, faccia tranquilla si intimidisce e non mi guarda, ma la regina dei ghiacci mi lancia uno dei suoi sguardi. Sono carine, si, ma so che non è per questo che Lenny le ha invitate.
Cioè, a lui non penso interessino in quel senso.
«fidati di me» dice rispondendo alle mie domande non poste. Mi liquida così, ma a me non basta. «Domani vedrai»
Io davvero non lo capisco.



Vi presento:

Serena




Mic

   
 
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