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Autore: Vantilena    27/07/2013    5 recensioni
Sophie si rinfilò la maglietta. Stava per scendere dalla macchina senza dire niente, quando Eddie, ora più sveglio, la chiamò. [...]
–Quanti anni hai?-
Sophie lo fissò a lungo. [...]
-Ho quindici anni. Cioè, sedici. Fra tre settimane-
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Sophie camminava lungo il viale dove era cresciuta.
Quante volte aveva fatto quella strada? Milioni, miliardi di volte, forse. Sempre con le solite persone: Jim, qualche amica o amico, i suoi genitori.
Era da loro che stava andando.
Questa volta a percorrere con lei il viale c’era Eddie, le teneva la mano e camminava dello stesso passo della ragazza, mentre normalmente sarebbe stato un pelo più veloce.
Era stato Eddie a convincere Sophie ad andare da loro.
Sophie non sapeva come Eddie potesse averla persuasa a compiere un’azione del genere; ma doveva sicuramente aver detto qualcosa come “è meglio per noi due”.
Sophie aveva le idee molto confuse mentre suonava al campanello della sua vecchia casa. Era una villa di medie dimensioni, di mattoni bianchi tendenti ad un rosa pallido, col tetto fatto di tegole rosso spento. A parere di Sophie, la casa rappresentava appieno i suoi genitori: freddezza, rigore, serietà.
Non aveva idea del perché si sentisse così disorientata. Poi ricordò che Eddie le aveva passato la siringa quella mattina, su richiesta della ragazza.  La nebbia che circondava il suo cervello doveva per forza essere data da questo. Non sapeva nemmeno perché gli avesse chiesto di drogarla e soprattutto non sapeva perché lui avesse soddisfatto la sua richiesta.
La porta si aprì, producendo un suono stridulo, quasi malvagio.
Sophie si ritrovò di fronte a suo padre che, appena la riconobbe, le sbatté la porta in faccia.
La ragazza iniziò a picchiare i pugni contro la porta, ma nessuno le apriva. A breve le nocche cominciarono a sanguinarle. Facevano male e al contatto col legno dell'uscio bruciavano. Per il dolore e in parte per il turbamento iniziò a piangere.
Fiumi di lacrime le scorrevano lungo le guance e una manciata di secondi dopo anche lungo il corpo.
Scoprì di essere completamente nuda in un paesaggio innevato e desolato. Casa sua ed Eddie erano spariti, così come New York.
Non fece in tempo a provare freddo che venne violentemente trascinata verso il basso.
Le mancava l’aria, stava soffocando. Capì che si stava inabissando.
Sophie abbassò gli occhi e vide George che la tirava verso il fondo per le caviglie, in un modo molto simile a quando l’aveva trascinata in camera da letto per violentarla. L’unica differenza era che quella volta l'aveva trascinata per le braccia.
George sparì improvvisamente, come avevano fatto l’abitazione dei suoi genitori ed Eddie poco prima.
Era tutto rosso, la ragazza non vedeva e non distingueva assolutamente nulla.
Realizzò, dopo poco, che stava affogando in un mare di sangue e che più agitava braccia e gambe più andava a fondo.
«Eddie!» urlò Sophie, in una disperata ricerca di aiuto.
Sophie percepì il sapore metallico del sangue in bocca, evidentemente l’aveva inghiottito quando aveva urlato il nome dell’uomo che amava.
«Sophie.» la voce di Eddie. Suonava lontana.
Sophie capì che Eddie non l’avrebbe mai raggiunta in tempo, che sarebbe inevitabilmente morta.
«Eddie!» gridò di nuovo.
Sapeva che era inutile, ma la speranza era l’ultima a morire. E poi voleva assicurarsi che lui la sentisse davvero, che la sua voce non fosse solo un’illusione.
«Sophie.»
La voce era molto più vicina questa volta, ma Sophie continuava a sprofondare. Sapeva che le braccia di Eddie non l’avrebbero mai raggiunta. Lui non sarebbe mai riuscita a tirarla fuori dal lago di sangue.
«Sophie.»
 
La ragazza spalancò gli occhi.
 
Sophie rimase a vagare nella profondità degli occhi azzurri di Eddie per un bel po’ prima di capire che si era trattato soltanto di un incubo. Successivamente mise a fuoco il viso del ragazzo. I contorni del viso di lui non erano ben definiti, visto che la stanza era semi buia. Le persiane non erano tirate e l’unica fonte di illuminazione erano i lampioni del viale sottostante.
«Tutto a posto?» chiese Eddie, accarezzandole una guancia.
Sophie aspettò che lui tornasse a sdraiarsi e poi appoggiò la testa sul suo petto nudo. La ragazza circondò la schiena di Eddie con le braccia e si strinse al suo corpo; a sua volta lui l’avvolse fra le sue braccia.
Sophie si sentiva al sicuro, ora.
«Sì. Solo un incubo.» rispose finalmente Sophie.
« L’avevo capito. Gridavi il mio nome.» osservò lui con una punta di sarcasmo.
Sophie non replicò.
«Cosa hai sognato?» s’interessò Eddie dopo qualche minuto.
Sophie gli raccontò il suo sogno alla bell’è meglio, i particolari iniziavano a svanire.
«Tu che hai letto Freud dovresti sapere cosa significa.» scherzò Eddie, passandosi ciocche dei capelli di lei fra le dita lunghe e affusolate.
Sophie scosse la testa con fare vago. Non era proprio dell’umore per mettersi ad interpretare sogni.
«Comunque non ti passerei mai la siringa.» borbottò lui, scostandosi da sotto di lei.
Sophie gli passò le dita sul braccio, accarezzandolo. Poi la ragazza alzò gli occhi e lo guardò in faccia. Nonostante la penombra, notò la sua espressione accigliata. Evidentemente non doveva aver gradito molto quel particolare del sogno, che per Sophie era quasi insignificante.
«E io non te la chiederei neanche per idea. Era solo un sogno, Eddie.»
Lui annuì, tracciò con il dito il profilo del corpo di Sophie, soffermandosi sul seno destro, poi spostò lo sguardo al cielo scuro fuori dalla finestra. Dietro agli alti grattacieli di New York il sole iniziava a sorgere, ma la luce era ancora minima.
«Quando andrò a prendere la roba» iniziò lui, con tono serio, portando di nuovo lo sguardo su Sophie «Voglio che tu sia al sicuro a casa dei tuoi. Dove George non potrà trovarti.»
Come Eddie pronunciò il nome di George, Sophie sentì le sue gambe stringersi, le sue cosce unirsi al pensiero dell’uomo che l’aveva stuprata.
Non si era fatto più risentire, dopo quell’episodio, se non per minacciare Eddie.
«Devo andare a parlare ai miei, quindi.»
La constatazione della ragazza non ricevette alcuna risposta e il discorso rimase sospeso nell’aria.
 
*
George era ubriaco. Anzi, quasi ubriaco. Aveva in mano una bottiglia di cognac e stava cercando in tutti i modi possibili di prendersi una bella sbornia. Ubriacarsi lo faceva sentire meglio, anche se lo rendeva incredibilmente vulnerabile.
Posò il binocolo fra l’intrico di rami del cespuglio dietro cui era appostato e si passò la mano sulla fronte sudata per la calura pomeridiana, ravvivandosi i capelli. Nonostante fosse inverno e avesse oltretutto nevicato da poco, quel giorno era uscito un gran sole. George, che pedinava ininterrottamente Sophie ed Eddie da qualche giorno , aveva ancora indosso abiti pesanti. Anche se aveva abbandonato il suo giaccone qualche isolato addietro, sentendosi generoso: magari un barbone non sarebbe morto congelato grazie al suo gesto. Non si era perso nemmeno un istante dell’incontro con Jim, e sapeva che quel ragazzo gli sarebbe tornato utile in futuro, anche se al momento non sapeva esattamente in che modo. Così aveva mandato un suo amico fidato, Alessio (un tossicodipendente figlio di boss della criminalità organizzata, di origini italiane), a pedinare Jim.
Riprese a scrutare col binocolo la finestra della camera di Eddie.
La sera prima quei due gli avevano fornito una spettacolo simile a quello di un porno, forse solo un po’ più delicato. La coppietta al momento non stava facendo nulla di altrettanto interessante, e questo a George un po’ dispiaceva. Eddie e Sophie conversavano animatamente, ma George, ovviamente, non riusciva a sentire una parola. Era troppo lontano, le finestre chiuse sicuramente non aiutavano.
Aveva dei microfoni per intercettazioni con sé, il resto dell’attrezzatura era accuratamente nascosta in un boschetto distante un centinaio di metri dall’abitazione. Si era procurato il tutto grazie a certe sue conoscenze all’interno della polizia, sezione anticrimine. Il quadro generale della situazione fece sorridere George. Un amico all’anticrimine quando era proprio un criminale era una cosa esilarante.
George avrebbe aspettato che Sophie ed Eddie uscissero e poi avrebbe installato i microfoni.
Così non gli sarebbe sfuggito nulla di quello che sarebbe uscito dalla bocca della sua puttana, fosse un sussurro o un orgasmo.
 
*
Sophie suonò al campanello di casa sua, questa volta per davvero. Nessuno venne ad aprire, ma la luce del citofono s’illuminò ed una voce fredda chiese:
«Chi è?»
A Sophie tremarono le mani. Si sarebbe aspettata di tutto, ma non una domanda al citofono.
Eddie la incoraggiò con lo sguardo. Sophie cercò di dire qualcosa, ma la sua lingua era paralizzata.
La luce al citofono si spense. Evidentemente la donna doveva aver pensato che fosse solo lo scherzo di un gruppo di ragazzini passanti.
­Sophie sospirò e strinse la mano di Eddie. Con l’altra, quella libera, suonò di nuovo.
Il citofono non s’illuminò.
Sophie sentiva che stava per scoppiare a piangere.
«Sono io! Sono Sophie! Mamma, aprimi! Mamma!» strillò Sophie.
Eddie osservò Sophie, quasi intimorito.
Mamma.
Non aveva mai immaginato che Sophie avesse potuto chiamare “mamma” quella donna. Quando ne parlava  l’aveva sempre chiamata madre, con freddezza e distacco. Eddie non sapeva perché, ma quella forma d’affetto,  quel “mamma”, l’aveva sorpreso  e lo aveva fatto sprofondare.
Aveva mai chiamato sua madre mamma a sedici anni? No, aveva smesso di chiamarla così alle medie. Ed ora che lei era da qualche parte a Las Vegas, ubriaca e fatta, Eddie sapeva che era troppo tardi per farlo. Era troppo tardi per fare quello che stava facendo Sophie: correre alla porta e urlare alla mamma di aprire, come un coniglietto spaventato che corre alla sua tana.
Eddie sentì dei passi lungo le scale, Sophie si fece rigida di fianco a lui.
La porta si spalancò.
Sophie, senza che Eddie se ne rendesse conto, si staccò da lui e corse fra le braccia della madre, che la circondò in un abbraccio.
Eddie guardava la scena, incapace di reagire. Le due che si abbracciavano, che piangevano. Sophie che continuava a dire “mamma, mamma” e la donna che mormorava “figlia mia” a ripetizione.
Si sentiva di troppo.
Eddie corse via.


Nota dell'autrice:
Scusate l'ennesimo ritardo ma, come al solito, ero in vacanza e, come al solito, mi sono portata dietro carta e penna.
Sono consapevole che i capitoli precedenti siano stati piuttosto noiosi. Non cercate di convincermi del contrario, lo so. Questo credo mi sia riuscito meglio, e in merito voglio fare dei ringraziamenti.
Prima di tutto voglio ringraziare le persone che leggono questa storia, che l'hanno messa fra le preferite/ricordate/seguite. In particolare fra queste persone ringrazio An Idea can not die, che mi fa sempre i complimenti su Twitter (che io leggo in ritardo, fra le altre cose).
Poi voglio ringraziare tutti quelli che hanno recensito la storia, in particolare Chara, che c'è sempre stata dall'inizio e che con le sue recensioni ha mandato alla luce particolari della mia storia che io non avevo nemmeno notato.
Ringrazio anche Il giardino dei misteri, che con la sua critica e le sue osservazioni mi ha spinta a continuare la storia e a fare di meglio.
Infine, voglio ringraziare con tutto il cuore Lonni. Chi è Lonni? Di lei so ben poco: so che si chiama Federica, che ha sempre recensito la mia storia dall'inizio e che per questo le devo molto. Lonni mi ha spinta a continuare la storia e mi ha dato preziosi consigli, importanti idee. Quindi mi sento di dire che se Sophie ha finalmente trovato il coraggio di tornare a casa sua, è proprio grazie a lei. Lonni. Grazie, Federica, un bacio.
Valentina.
   
 
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