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Autore: DailyBike    27/07/2013    2 recensioni
Dal testo:
Mi rigiro per l’ennesima volta, in questo letto che senza di te sembra essere così vuoto. 
Le lenzuola puzzano in modo atroce, di sudore, di lacrime. Stringo il guanciale candido, ancora il tuo profumo inebriante. 
Queste lenzuola mi avvolgono solo in parte, come la verità che si cela dietro quella porta. Ancora lacrime, ancora dolore.
Perché questo materasso è così tremendamente scomodo, questo cuscino troppo morbido, perché io, in questo istante, vorrei poggiare la testa sul tuo petto muscoloso.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi rigiro per l’ennesima volta, in questo letto che senza di te sembra essere così vuoto. 
Le lenzuola puzzano in modo atroce, di sudore, di lacrime. Stringo il guanciale candido, ancora il tuo profumo inebriante. 
Queste lenzuola mi avvolgono solo in parte, come la verità che si cela dietro quella porta. Ancora lacrime, ancora dolore.
Perché questo materasso è così tremendamente scomodo, questo cuscino troppo morbido, perché io, in questo istante, vorrei poggiare la testa sul tuo petto muscoloso.
Questa notte non è abbastanza buia da farmi prendere sonno, steso a pancia in su, a fissare con occhi sgranati i fasci di luce che filtrano dalla finestra e si proiettano sul soffitto.
Il silenzio è abissale, assoluto. In casa non c’è nessuno, nemmeno tu. Sono da solo.
Mi crogiolo in questo silenzio soffocante, spezzato solo dai rintocchi del pendolo in salotto, quello che mia madre ha comprato in un negozio d'antiquariato a prezzo stracciato, e che io odio.
I rintocchi precisi, distaccati: un ritmo. Se solo avessi quella corda di ricambio! Mi metterei a suonare la mia Blue, e starei decisamente meglio.
Quei rintocchi, che segnano le quattro. Sono le quattro, e tu non sei ancora rincasato.
Come se qualcuno avesse letto i miei pensieri, sento la serratura della porta all’ingresso scattare, mi volto verso la porta, un battito mancato di fronte alla strisciolina arancione che sbuca dall’uscio della porta.
Mi alzo dal letto e lentamente mi avvicino, rannicchio accanto allo stipite, tendo l’orecchio: il rumore leggero e regolare dei tuoi passi, la tua meravigliosa voce, sovrastata dal ticchettio di un paio di tacchi.
Una risata femminea, cristallina. Sei rincasato alle quattro di notte e, per giunta, insieme ad una donna. 
-N…No.- riesco solo a sussurrare, cerco di spiarvi dal buco della serratura, ma non riesco a vedere un granché. Chiudo gli occhi, le lacrime che pizzicano, dispettose, sotto le ciglia.
Sento i vostri passi avvicinarsi, sembra quasi che vi trasciniate… 
Sei rincasato alle quattro di notte, con una donna e per giunta ubriaco. Qualcos’altro?
Una donna che, sicuramente, ti farà divertire bene e meglio, stanotte, e io qui, da solo, ad aspettarti inutilmente, se potessi, anche per tutta la vita. Perché io ho bisogno di te, ora più che mai.
Sento il rumore della tua porta aprirsi, e mi avvicino al muro, quel muro che divide me da te ogni notte, quel muro vicino al quale tu hai spostato strategicamente il letto per spiare ogni mia notte insonne alle prese con la chitarra, per decidere quale fosse il momento giusto per entrare in scena, sconvolgermi, abbracciarmi, coccolarmi… viziarmi.
Ti piace farti desiderare, e io ti desidero. Ti desidero qui, ora, accanto a me.
Poggio l’orecchio contro il muro, per un po’ il nulla, poi sento il terribile cigolio del tuo letto, quello che per molte sere è stato il nostro letto, soffrire sotto i vostri pesi, sotto i vostri movimenti. Le vostre risate… eccitate. Riconoscerei quel ghigno perverso tra mille.
Un nodo alla gola, i suoi urletti, i tuoi gemiti. Cristo, le vostre parole mi uccidono.
Parole fredde come il ghiaccio, sporche, come le mie labbra di lacrime, salate.
Chiudo gli occhi: sto soffrendo. La chiamano gelosia, ma questa è vera e propria rabbia, una fottuta tortura. 
Tu non puoi, no, non puoi. Mi rifiuto. 
Con riluttanza e le lacrime che mi scorrono in volto, mi trascino a letto: non ce la farò mai, a prendere sonno. La faccia affondata nel cuscino, soffoco le mie grida di dolore.
Sto soffrendo come un animale in gabbia, vorrei scappare, lontano, ma sento che, anche se sarò distante anni luce da te, da voi, quelle parole mi perseguiteranno, assilleranno, a vita.
Fate troppo casino, almeno cerca di contenerti, diamine! È come se stessi cercando di farti notare in tutti i modi possibili e immaginabili, come se mi volessi dire :
Mi senti, Billie? Io sto scopando e tu no! E mi sto anche divertendo un mondo! Soprattutto senza di te!”
Stronzo. Non immagini che giornataccia è stata, senza la tua rassicurante presenza a casa. Tu in giro con la tua “amichetta” tutto il pomeriggio e tutta la notte, Blue con una corda rotta, la prof di matematica che era decisa a darmi del filo da torcere, la mia ragazza decide di darmi buca e ora, che cercavo un po’ di sollievo, una spalla su cui piangere, la tua spalla, e un po’ di conforto, il tuo conforto, torni a casa con un’altra donna. 
Perché si, riconoscerei quegli urletti acuti e depravati su mille, quegli urletti che puoi concedere solo a me, che riesco a toglierti di bocca solo io, che solo ed esclusivamente io posso zittire. Solo io. Inghiottirle con le mie labbra, queste labbra bagnate, che ora soffiano crudeli sulla seta del cuscino. Desiderose. Desiderose di te.
Non ce la faccio, soffoco un singhiozzo. Lacrime, lacrime a fiotti. Non ho mai pianto così. Mai per amore. Mai per qualcuno. Mai per te.
Ritorno, tentato, vicino al muro, passo lento, trascinando con me anche il cuscino.
Le vostre voci, i vostri movimenti. Quasi vi posso vedere, uno sopra l’altra, lei che gode e tu che, letteralmente in estasi, stuzzichi i suoi capezzoli con la lingua.
Le vostre parole, sento ogni fottuta sillaba. E fa male. 
La parola che, letteralmente, mi uccide, è una. Pronunciata da te.
La chiami amore. Bastardo.
Tu non mi hai mai chiamato “amore”, mai. Mai. MAI!
E adesso la prima troia che ti capita a tiro, è diventata la tua “amore”? 
Tu non sai neanche cosa voglia dire, amore. Tu non sai che amore è angoscia, è tristezza, è aver bisogno di qualcuno. Quel qualcuno che riesce a farti sentire importante, mentre sai che non sei nessuno, in realtà. 
È desiderarla accanto te, ovunque tu sia. È desiderare che lui sia tuo, chiunque egli sia. 
Tu non sei mio, e mai lo sarai. Esatto, non stiamo insieme, e mai ci staremo. E forse è meglio così, non voglio privarti della tua libertà. Non sarò io a farlo, nossignore.
Amore è attesa, è dolore. E io ora sto attendendo che il dolore svanisca, che questo fottuto inferno interiore si congeli, raffreddi. 
Avevo promesso che la tua felicità sarebbe stata la mia, e che se tu fossi stato felice lo sarei stato anche io, ma adesso proprio non ci riesco.
Mi chiedo solo perché. Sono forse egoista? Sono forse geloso? Oppure sono solo uno stupido innamorato?
Chissà com'è, lei. Lo so come piacciono a te: bionde, occhi azzurri, taglia del reggiseno che non supera la quarta, magra, alta, bella. La perfezione, insomma.
Tutto ciò che non sono io, ecco. 
Mi sembrano tutte uguali, le ragazze che ti porti a casa, tutte delle gran conquiste, ma vuote. Delle troie, ecco. Cos'hanno loro che io non ho?
Oltre alla perfezione, intendo. Mmmh, ah già. Loro hanno una figa. 
Perché cosa potrò mai essere io, per te? Un amico e lo sfogo per la tua bisessualità, nient’altro. Lei invece ti da tutto quello che vuoi, senza neanche che tu glielo chieda.
Sul piatto d’argento, d’oro se glielo chiedi. E io da offrirti cos’ho? Nulla. Perché chiedo disperatamente a te, di offrirmi tutto l’amore e le attenzioni che puoi darmi, e che non avrò mai, perché tu non possiedi.
È la cosa più naturale del Mondo, l’attrazione di un uomo per una donna, e io non posso costringerti a cambiare, non posso cambiare il corso di qualcosa che è naturale.
Le tue urla, i tuoi fottuti gemiti. Mi arrapano. Le parole che tengo strette tra i denti, una morsa al cuore. Non le lascio scappare, mi distruggono dentro. Un incubo. La sensazione che stai provando, ora: vorresti che questo momento non finisca più, lo so, lo capisco dal tuo respiro. Ma io invece sto pregando che finisca immediatamente.
Sì, esatto, sto pregando. Io che prego? Non ci credo neanche io, ma la disperazione di un uomo può arrivare anche fino a questo punto ed oltre. 
Sento un urlo e sussulto. Lei viene, e tu subito dopo di lei.
Ora che farete? Vi addormenterete l’una nelle braccia dell’altro? Vi sposerete? Farete dieci figli e vivrete felici e contenti?
O forse no. Povera ragazza, probabilmente anche lei è stata usata da te, come hai fatto con me. Domani mattina vi sveglierete e le dirai che è stato tutto soltanto uno sbaglio, che eri ubriaco e incosciente. E lei se ne andrà via, piangendo, soffrendo come lo sto facendo io ora.
Mi fa pena, adesso che ci penso. Infondo, siamo entrambi dei poveri illusi.
Sento scambiarvi ultime, dolci effusioni della buona notte, e poi silenzio. 
Rimango io, e i miei singhiozzi. Sento russare.
Tu non russi, probabilmente è lei. Forse ha bevuto troppo.
Rimango lì, fermo, come un idiota. Mi poggio con la schiena contro il muro, stringendo il cuscino a me. Butto la testa all’indietro, contro il muro alle mie spalle. Sospiro, annaspo, nella disperata ricerca di reprimere le lacrime, chiaramente vana.
Il conflitto interiore che sto vivendo mi uccide, mi sta completamente assillando. 
Non posso che dichiararmi neutrale, lasciare che la disperazione prenda il sopravvento su di me, mentre centinaia di lame affilate che portano il tuo nome, mi trafiggono il cuore e la bocca dello stomaco, senza pietà.
Frasi senza senso, un fruscio che alita fuori dalle mie labbra, scosse dai singhiozzi.
Mi lascio andare completamente ad un pianto liberatorio, mentre pensieri orribili saccheggiano la mia mente, pensieri sporchi, pensieri sopra ogni limite. Pensieri puliti, pensieri dolci. Il tuo viso, le tue braccia che mi stringono a te. 
Mi devastano, distruggono.
Oh, quanto vorrei che tu fossi qui.
Resto in quello stato per chissà quanto tempo, finché non sento un fruscio di coperte dall’altra parte del muro. 
-Billie?- Il mio nome, pronunciato da te. Oh, Dio, che suono meraviglioso. Il palpare dei tuoi polpastrelli spingere contro il muro. Mi alzo, potrei quasi vederti, dall’altra parte della parete: orecchio poggiato contro la carta da parati verde, la mano abbandonata, di fianco a te.
Delicatamente allungo la mano sul muro, tendendola verso la tua, dall’altra parte. Quasi posso sentire il tuo calore sotto le mie dita... 
-So che sei lì.- ancora la tua voce, non rispondo, mi limito a farmi attraversare completamente da un meraviglioso brivido freddo, eccitante, dannatamente bello, in contrasto col calore della tua voce.
Mi scaravento contro il muro, come se mi dovessi gettare tra le tue braccia, dandomi centinaia di volte del povero illuso innamorato. 
Se tu mi potessi vedere mi daresti dello stupido.
-Mike…- sussurro tra le lacrime, disperato, come un bambino tra le braccia di suo padre. Quasi posso sentire le tue mani passare lungo la mia schiena, percorrere i miei fianchi. Chissà se mi stai sentendo, ora. 
Oh, Mike. Perché mi fai questo, perché?
-Ti prego, non piangere. Sai che non posso vederti triste.-
Deglutisco, singhiozzo. Oh, sì che puoi, bastardo.
-Non puoi vedermi se sei dall’altra parte. Ed è giusto così. Stai con lei, Mike. Se lo merita.- chiudo gli occhi, altre lacrime. Mi stacco dal muro, recupero il cuscino e lo getto sul letto. Presto lo imito, la faccia schiacciata su di esso, inzuppandolo di lacrime. Lacrime amare, liberatorie.
Sto soffrendo, sto soffrendo troppo. Sto soffrendo per te, e tu lo sai anche.
Sento un cigolio di molle provenienti dalla tua stanza, tu che ti risistemi tra le sue braccia.
Cosa mi aspettavo? Che la lasciassi davvero e che venissi da me?
Ma quanto sono illuso. E quanto sono stracotto, Mike? 
Quanto ho bisogno di te, ora?
E mi addormento così, soffocato dalle lacrime, il tuo volto impresso nella mente, il calore immaginario delle mani che desidero ardentemente percorrermi il corpo e un nome morto a fior di labbra, un nome delicatamente incastrato tra una lacrima e il gracile scricchiolio di un cuore che si sta sgretolando.

Il tuo nome.


 


NdA: Scusate il mostruoso ritardo, ancora 30 minuti e sarei stata nel giorno successivo ma eccomi qui a pubblicare. Ho ben poche cose da dire se non che questa cosa è così dannatatamente triste, povero Billie. Ma io adoro le ff dove uno dei due (tra Billie e Mike) soffre per l'amore non corrisposto dell'altro, quindi è ok.


Tutti i meriti per l'idea e la stesura della storia vanno a Rage Ramone, che mi ha salvato il culo passandomi la bike da postare oggi. Sei un tesoVo. Mi sono permessa di correggere delle cosette e mettere altre cosette in corsivo perché sì. Perdonami 
Ok, fine dei convenevoli, pubblico questa OS e vado a fare altre cose! Buona lettura in ritardo.

 

  
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