Per
te.
Perché
dai.
I
fogli, le righe.
Quello
che non avevamo in comune ma che con le parole, alla fine, ci siamo
scambiate.
I
fogli, i quadretti.
L’idea
di quella assurda prigione in cui ficcare le lettere, anche se sono
troppe,
anche se sono grandi, se fanno male, se fanno ridere; tutte
lì, attaccate l’una
all’altra come se avessero paura di rimanere sole.
Come
noi. Come me.
Come
se il bastoncino della A che insistentemente cerca di afferrare la
lettera
successiva non fosse diversa dalle mie braccia o dalle tue che si
cercano e a
volte si trovano.
A
volte.
Già.
Capita
che siano troppe lontane, su un foglio diverso, su un quaderno con una
copertina sbagliata.
Le
righe che ti guidano senza stringerti, senza il modo un po’
prepotente dei
quadretti che stanno lì ad obbligarti a scrivere abbastanza
piccolo da non
andare oltre, non uscire dai loro margini.
Io
che neanche le equazioni riesco a fare sui quei quaderni; io, per cui
le righe
sono diventate una strana filosofia di vita che mi sono sentita stupida
a
raccontarti il giorno del mio compleanno con in mano la tua scatola e
il tuo
foglio bianco pieno di numeri che per un momento mi ha disorientato.
Non
erano quadretti, non erano solo linee parallele, ma un foglio bianco
(sì,
proprio uno da stampante). una fotocopia di una strana materia che
sicuramente
aveva qualcosa in comune con la matematica.
Bianco.
Cosa
dicono quei fogli?
Decidi
tu? Sono pulito, puoi sporcarmi tu? Sono più libero di
quanto tu sarai mai?
Tutte e mille altre, forse.