Serie TV > Terapia d'urgenza
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Autore: Dea Elisa    28/07/2013    1 recensioni
Raccolta di brevi ff non in ordine cronologico né logico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cristiana Gandini, Riccardo Malosti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: questa one-shot è ambientata dopo la 12esima puntata. Si tratta dell'episodio in cui il pronto soccorso deve affrontare un caso di peste, perciò l'ospedale è costretto ad un isolamento di cinque giorni. Sappiamo che Cristiana e Riccardo si sono baciati, ma questa volta, a differenza di quella della 2a puntata, la cosa si fa seria.






Quarantena

Teresa aprì la porta della sala medici di una fessura, dalla quale si insinuò sgattaiolando all’interno e trascinando con sé la sua borsa, che, con terrore della donna, per poco non rimase impigliata nella maniglia. Con sguardo indagatore e fare furtivo si guardò intorno sotto le espressioni attonite dei presenti.

«Hai svaligiato una banca e vuoi condividere il bottino con noi povere sfigate?» esordì la Ranieri.

Teresa ridacchiò sotto i baffi. «Molto meglio.»

Si avvicinò al tavolo e scostò i vassoi con i resti della cena poco soddisfacente offerta per gentile concessione della mensa del Morandini e posò ad una ad una le bottiglie di vetro che appesantivano la sua borsa. L’attenzione fu subito concentrata in quell’unico punto: le donne accerchiarono il tavolo.

«Teresa, ma…»

La donna interruppe Esther prima che potesse alludere a ipotetiche abitudini non propriamente salutari.

«Riserva speciale del reparto di neonatologia. Infermiere del turno di notte.»

«Ora si spiega… Ma come le hai avute?»

«Storia lunga» troncò, suddividendo una colonna di bicchieri di plastica.

Rimasta in disparte sino a quel momento, Cristiana si levò in piedi e raggiunse le colleghe. «Non vuole dirci che se n’è appropriata con l’inganno» scherzò sorridendo.

«Dottoressa, le ho prese in prestito…»

Si levò un coro di “seee”, “ma va!”, “a chi la racconti?”, ma Marina interruppe i tentativi di Teresa di giustificarsi.

«Che male c’è a mandar giù qualche bicchiere? Il nostro turno è finito e ce lo meritiamo, dopo il duro lavoro che abbiamo fatto oggi.»

Le colleghe concordarono vivacemente.

 

Non mi ha più parlato.

«Dottoressa Gandini, è sicura di non volere neanche un sorso per distendere i nervi?»

Non mi ha più cercata.

«Dottoressa, sta bene?»

Cristiana sollevò lo sguardo e lo centrò con quello di Teresa, preoccupata. «Sì, sì, grazie, ma preferisco di no.»

 

«Scusate ragazze» Sergio fece capolino dalla porta ed Esther e Marina scattarono davanti al tavolo subito seguite dalla caposquadra.

«Grazie per l’appellativo “ragazze”» esordì, «ma le consiglierei di bussare, la prossima volta.»

«Stavo cercando Malosti» chiarì, non propenso agli scherzi. E di certo non lo troverò in mezzo a donne e alcolici, si disse, ma evitò l’ironia.

«Non è con voi?» s’interessò subito Cristiana.

«Si è allontanato mezz’ora fa con la scusa di un succo di frutta alle macchinette.»

«Ti do una mano a cercarlo, avevo giusto bisogno di sgranchirmi le gambe.»

«Temo dovrò lasciare a te l’onore, io sono distrutto.»

Teresa si fece da parte per far uscire Cristiana.

«Buonanotte» salutò Sergio. «E spero per voi che quella sia acqua.»

«L’avevo detto che qualcuno ci avrebbe beccato!» si lamentò Esther.

 

Cristiana s’incamminò lungo il corridoio illuminato cupamente dalle sporadiche luci al neon, sufficienti perché non si inciampasse, ma abbastanza attenuate da non infastidire il sonno.

Inseguì il suono dei passi che le parve udire innanzi a lei, e infatti ritrovò una figura intenta a sedersi a terra, la schiena poggiata al muro. Accanto a sé posò una bottiglia d’acqua e un pacchetto di qualcosa. Forse biscotti.

«Riccardo» bisbigliò Cristiana dopo averlo riconosciuto. «Mi hai spaventato.» Ma non era così. Sono le solite frasi banali che si dicono quando si vuol fingere sorpresa nell’incontrare qualcuno.

Lui mugugnò qualcosa.

«Posso?» Si sedette accanto a lui prima di ottenere il permesso e deviò lo sguardo verso la conquista dal distributore. «Cioccolato» commentò con espressione paradisiaca.

«Fondente.»

«Non mi piace.»

«L’ho fatto apposta. Così potrò gustarmelo da solo.»

«Grazie tante.»

Fece per alzarsi, ma Riccardo la trattenne poco gentilmente per un braccio, costringendola a ricadere a terra. «Dai, scherzavo. Era l’unica tavoletta rimasta.»

Cristiana poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.

«E poi tu non hai nessun dispiacere da affogare nella teobromina, no?» continuò lui.

La Gandini tornò a guardarlo poco entusiasta di quell’uscita. «Tu sì?»

«Tipo oggi.»

Buttò fuori l’aria infuriata, ma evitò altre dimostrazioni di tedio. E così avrebbe dovuto sorbirsi la seconda ramanzina sul momento di debolezza? Non si sarebbe sottoposta ad un’altra umiliazione del genere, perciò si alzò in piedi, stavolta abbastanza in fretta da non essere bloccata.

Malosti la raggiunse subito dopo.

«Sono stanca di essere presa in giro, Riccardo. Dovremmo stare segregati qui per altri cinque giorni, perciò non sopporterei di lavorare al tuo fianco a queste condizioni.» Fece una pausa, chiarendo con lo sguardo l’intenzione di continuare ancor più prepotente di prima. «Ti dispiace di avermi baciato oggi pomeriggio? Ti dispiace di avermi come collega, ti dispiace avermi conosciuta, ti dispiace che io mi sia innamorata di te, ti dispiace… cosa, Riccardo?»

«Possiamo sempre rimanere amici.»

«Risparmiati queste cazzate da film.»

«Dove vai?» fece eco il suo grido mentre gli zoccoli di Cristiana echeggiavano per i corridoi silenziosi, sempre più veloci nell’allontanarsi, e sempre più colmi di rabbia.

«Ad affogare i miei dispiaceri nell’alcol!»

«Dicono sia molto più efficace della cioccolata, sai?» esclamò sempre più forte, indifferente al parlottio confuso che avevano suscitato nei pazienti e nel personale cui si era interrotto il sonno. Si affannò dietro di lei, senza raggiungerla. «Peccato per le conseguenze epatiche!»

«Dottore, che acciden-» fu il commento di un infermiere dai capelli arruffati, zittito subito da un suo gesto della mano, come a dire che è una storia troppo complicata.

Con uno scatto ridusse la distanza a qualche metro.

«Ti amo anche io, dottoressa Gandini!»

I piedi di Cristiana inchiodarono, mentre attorno a lei le pareti dell’ospedale sembravano chiuderla in gabbia. Alcune porte a vetri dei box più vicini si aprirono timide, mentre il silenzio si ricostituiva più profondo di prima.

Chinò il capo, non sapendo se rassegnarsi al carattere impossibile di Riccardo o se sorridere estasiata a quella insulsa dichiarazione.

Di una cosa, però, era convinta.

Questi cinque giorni saranno molto più complicati di quanto previsto.


 





   
 
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