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Autore: Alexiel_Slicer    29/07/2013    4 recensioni
"e tu sei il cigno nero stanco di seguire il branco il cuore grande quanto il sole, ma freddo come il marmo. Ne giovani ne grandi, nel cuore piove grandine"
Sarebbe stata una delusione per suo padre e lei non voleva esserlo. Aveva già perso un anno a causa di quello che le era successo e non poteva accadere nuovamente. Dopo il casino che aveva passato, dopo il casino che avevano passato non voleva dare altre preoccupazioni a quel povero uomo. Ne aveva passate abbastanza nell'ultimo periodo e non meritava altri fardelli. E poi lei aveva quasi diciotto anni e si ritrovava a ripetere il quarto anno, in quella scuola si sarebbe voluta diplomare e non pensionare.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11 - Di nuovo insieme


Quella sera suo padre tornò a casa con un aspetto strano e se lei non l'avesse conosciuto abbastanza poteva pensare che fosse solo stanchezza, ma in realtà in quel rivolo di sudore sulla fronte lineata c'era ben più della semplice stanchezza.
"Che succede?" gli chiese.
L'uomo la guardò indeciso "A te quel tipo sta ancora a cuore?".
Chelsea rimase attonita dalla domanda a bruciapelo "Perchè me lo chiedi?".
"Perchè oggi pomeriggio c'è stata una rissa che è finita male...l'hanno accoltellato allo stomaco".
La ragazza sentì il pavimento mancarle da sotto i piedi "E'-è grave?" balbettò.
Il padre alzò le spalle "Questo non lo so. Un minuto dopo che siamo arrivati l'ambulanza l'ha portato via".
"Io-io devo andare da lui!".
"Chelsea, per favore..." sospirò "Sapevo che non dovevo dirtelo".
Lei lo fissò con gli occhi lucidi, poi uscì di casa correndo. Mentre ogni passo accorciava la distanza che si era creata tra lei e Tom, pensava. Pensava che parte della colpa di ciò che era successo era sua, che se non l'avrebbe lasciato forse quello non sarebbe accaduto, ma nello stesso tempo si diceva che era uno stupido. Perchè si andava a cacciare sempre nei guai? Nel frattempo, però, non poteva fare a meno di trattenere le lacrime.
Quando arrivò all'ospedale chiese informazioni all'infermiera che stava dietro il bancone della hall. Salì al secondo piano e percorse gran parte del lungo corridoio asettico, poi seduto su una scomoda sedia di plastica azzurra, in attesa vide nonno George.
"Nonno George!". Il vecchietto alzò la testa rivelando la preoccupazione che fino ad un attimo prima lo stava attanagliando.
"Chelsea...".
"Come sta?".
"Sta dormendo, ma credo stia bene".
"Posso entrare?".
"In questo momento c'è sua madre dentro".
Chelsea si sedette vicino al nonnino "Va bene, aspetterò".
Calò il silenzio per qualche secondo, poi l'uomo azzardò "Perchè non ti sei fatta più vedere?".
La ragazza boccheggiò imbarazzata. Se le aveva fatto quella domanda evidentemente non sapeva, oppure se aveva intuito qualcosa cercava delle risposte che il nipote non gli aveva dato.
"Ultimamente sono stata molto impegnata..." mentì.
"Ti credo" nonno George fissò un punto nel muro "Sai, a volte la cosa migliore è perdonare chi vogliamo bene. La vita è così incerta e talmente breve che lo spazio che dovremmo riservare per il rancore dovrebbe essere nullo, invece noi facciamo tutto il contrario. Viviamo nel rancore, non perdoniamo nessuno e si finisce per perdere le persone a noi care, per poi un bel giorno guardarsi indietro e pentirsene amaramente perchè ormai è troppo tardi per far qualcosa. Perdona finchè sei in tempo" la guardò e sorrise "Non so neanche perchè ti stia dicendo queste cose. La vecchiaia gioca brutti scherzi".
Chelsea non rispose. Sapeva. Se le aveva fatto quel discorso sapeva e lei aveva mentito alla domanda del vecchio che era solo una prova per vedere se avrebbe affrontato tutto di petto o si sarebbe nascosta dietro alla più stupida delle bugie. Lei aveva fatto la seconda cosa.
Dalla stanza uscì la madre; i capelli raccolti in un'alta coda di cavallo, il viso segnato dalle lacrime appena versate accanto al figlio. Indossava una camicetta bianca e un paio di pantaloni grigi a vita alta. Era completamente diversa dalla prima e ultima volta che l'aveva vista. Appena la donna la vide le sorrise.
"Tu devi essere la ragazza del mio Tom...".
"S-si".
Le si sedette accanto e le prese una mano "Mi dispiace per l'altra volta. Mi hai visto in uno stato pietoso, ma non sono più come prima" ad ogni parola la sua voce sembrava diventare sempre più strozzata "Voglio cambiare, voglio migliorare...per mio figlio. Proprio stamattina sono andata ad un colloquio di lavoro come cameriera in un caffè e mi hanno assunta" divenne cupa "E poche ore dopo mi chiamano per dirmi che mio figlio era in ospedale" si portò le mani sul viso e pianse "Che pessima madre sono stata!".
Chelsea si sentì terribilmente a disagio e non seppe che fare.
"Tranquilla" la rassicurò nonno George posandole una mano sulla spalla "Ci penso io a lei, tu va da Tom".
Lei annuì ed entrò nella stanza. Tutto era immerso nell'ombra e solo una tendina tirata per metà, in fondo alla stanza lasciava entrare gli ultimi raggi di luce solare. Tom era lì, sdraiato sul letto con il bianco lenzuolo rimboccato fin sotto le ascelle. Scoperte e lungo i fianchi erano posate le braccia, su una vi era appeso il tubicino della flebo, altri due tubicini gli uscivano dalle narici e un macchinario vicino scandiva inesorabile i fatidici "bip". Il suo viso era pallido.
Gli si sedette accanto, sulla sedia che aveva messo sua madre, e gli accarezzò una mano.
"Mi manchi" gli mormorò "Mi manchi terribilmente...e mi dispiace. Sento che se adesso tu stai su un letto d'ospedale la colpa è anche mia..." avvicinò il viso alla mano di lui e la sfiorò con la guancia "Per quanto possa essere arrabbiata con te io ti amo ancora...e la rabbia non serve a nulla, non è servita a farmi smettere di pensare a te, a farmi smettere di volerti bene..." iniziò a piangere "Spero che quando ti sveglierai mi perdonerai pure tu. Io voglio solo stare con te".
Restò con il viso contro la sua mano per molto tempo, tanto che con gli occhi pesanti dalle lacrime e stanca da tutte quelle forti emozioni che aveva vissuto, si addormentò.
A svegliarla fu la mano delicata della madre del ragazzo che le accarezzava la schiena.
"Sei stanca, dovresti andare a casa" le sussurrò.
Chelsea scosse la testa "No, voglio restare qui".
"Va bene, almeno però va a prendere qualcosa da mettere sotto i denti al bar, così ti ristori un pò. Sto io con lui".
Avrebbe tanto voluto dire di no, che non aveva fame, che stava benissimo e che con Tom sarebbe rimasta lei, ma non poteva farlo; quella era sua madre ed aveva molto più diritto di lei di rimanergli affianco. Così in silenzio accettò la proposta della donna e uscì dalla stanza. Andò al piano terra, dove si trovava il bar dell'ospedale, e si limitò a prendere un caffè.
Quando salì trovò un certo fermento davanti alla stanza dalla porta aperta.
"Che sta succedendo?" domandò a nonno George.
"Si è svegliato".
Chelsea fece per entrare subito nella stanza, ma si fermò quando vide il dottore che lo visitava. Appena se lo vide passare davanti, però, entrò.
Tom era sveglio e quando i suoi occhi nocciola si posarono su di lei, sentendola entrare, sentì battere il cuore.
La madre guardò entrambi teneramente "Vi lascio soli" disse ed uscì chiudendo la porta.
"Come stai?" gli chiese un pò a disagio.
"Come uno che si è preso una coltellata allo stomaco" rispose lui.
Rimasero in silenzio e Chelsea ancora in piedi davanti alla porta si sentì un'intrusa.
Tom le fece segno di avvicinarsi e cercò di tirarsi un pò su, ma digrignò i denti e ci rinunciò: il dolore era troppo forte.
Adesso lei gli stava ad un piede di distanza.
"Senti, Chelsea...non sarò perfetto, sarò uno spaccone, un menefreghista, non avrò un soldo bucato e non vivrò in un castello, sarò anche un bastardo, ma ti giuro che quando dicevo di amarti non ti ho mai mentito...non pretendo che tu mi perdona, ma almeno voglio che tu sappia che ti ho amato davvero. Ti basta pensare che non ho mai parlato così a nessuna...".
"Mi hai amato? E adesso non mi ami più?".
La sua espressione si fece afflitta "Questa domanda non dovresti farmela...non sono io che non ti amo più, sei tu...".
"Non è vero. Io ti amo ancora e non hai idea di quanto tu mi sia mancato. Mio Dio, Tom non mi interessa più niente di tutto quello che è stato, so solo che voglio stare con te! Per sempre...per sempre".
Posò la sua mano su quella di lui che ne accarezzò il dorso con il pollice.
"Di nuovo insieme?".
Lei annuì con enfasi "Di nuovo insieme" disse chinandosi su di lui e baciandolo.

***

"Sei sicuro?". Chelsea molleggiava sui piedi agitata, mentre stava aggrappata alla mano di Tom.
"Si, sono sopravvissuto ad una coltellata, posso sopravvivere anche ad una pallottola...spero".
"Non fare questo umorismo macabro che mi agito ancora di più".
Chelsea aprì la porta di casa: il padre stava guardando la TV seduto sul divano.
"Papà, c'è una persona che vuole parlarti..." detto quello fece entrare Tom, poi salì in camera sua per lasciarli soli.
"Salve" lo salutò il ragazzo con il berretto stritolato tra le mani.
"Ciao" rispose l'uomo con diffidenza guardandolo dall'alto in basso.
"Io le volevo dire che non si deve preoccupare: sua figlia è in buone mani. Non sarò il ricco principe azzurro che un padre si può aspettare ma le assicurò che l'amo e che non le farei mai del male. Chelsea è la cosa migliore che mi potesse capitare e mi ha cambiato in meglio...".
"Sarà meglio per te, perchè se le metti un dito addosso o la farai piangere non mi farò alcun problema" rispose sfiorando con una mano la custodia della pistola appesa al cinturone "Sono stato chiaro?".
"Chiarissimo".
"Bene, ti piace il football?".
"S-si".
"Allora siediti, giocano i Wild Tiger i miei preferiti".
Tom con una smorfia causata dall'ancora fresca ferita alla pancia si accomodò sul divano.
Quando Chelsea scese preoccupata per non aver sentito nè urla omicide nè spari, trovò i due tranquillamente seduti davanti alla TV a commentare la partita di football. Sorrise e si unì a loro.

"Tra te e me sai, sei l'errore più bello della mia vita".

FINE
  
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