1.
Quella mattina stavo cercando, tra gli oggetti di mia mamma, qualsiasi
indizio
sulla mia presunta cugina. Dopo la sua assenza avevo messo tutte le
loro cose
in una scatola color marrone, che avevamo comprato insieme in una
bancarella
poco distante da casa nostra;
“Mamma compriamo
qualcosa a papà?” dissi tenendola per
mano e correndo verso una piccola bancarella, “Potremmo
comprargli una scatola
o un baule” disse lei osservando una specie di scatoletta su
una bancarella,
“Come mai una scatola?” la guardai senza capire,
“mamma la scatola papà te la
tira dietro” mia mamma rise, la sua era una risata stupenda,
rideva di cuore
“Tesoro, una scatola l’apprezzerà
sicuramente, potrà metterci dentro tutti i
suoi piccoli ricordi e magari quando sarà vecchio
potrà aprirla e viaggiare in
un mondo di emozioni” io divenni serio e “Hai
ragione mamma, sarà perfetto”
Mia mamma abbracciata
a
mio papà, su una panchina, che guardavano Sofia e Lucy
giocare ai giardinetti. Quella
foto la stavo guardando da un bel po’ di tempo mentre mi
immergevo nei ricordi.
Amavo le foto perché anche se le persone cambiano, o
spariscono, le foto
rimanevano intatte senza cambiare. Quelle foto però facevano
male, come ogni
ricordo dei miei genitori, tutto faceva male.
Nella
scatola intravidi
una foto di famiglia: c’era lo zio Mark, fratello di mio
papà, che teneva in
braccio Mary, sua figlia, e abbracciava sua moglie Rose, poi
c’era mia mamma in
primo piano che affettava una torta, forse del mio quarto compleanno,
mio papà
aveva in braccio un cagnolino, poi c’era la nonna e il nonno
e accanto a loro c’era
una bambina di cui non avevo idea di chi fosse, o almeno non ricordavo.
Poteva essere
mia cugina? Chiunque fosse non l’avrei mai saputo e se fosse
stata mia cugina,
non l’avrei mai più rivista.
“Mi
dispiace siamo chiusi”
urlai appena sentii il campanello appeso sopra la porta suonare, nel
dirlo
chiusi la scatola e mi diressi verso la porta e “ho detto che
siamo chiusi, ci
sen-” mi fermai. Lei era lì davanti la porta e
“ti avevo detto di andartene” “buongiorno
anche a te” disse “lo so, dovevo andarmene ma, ecco
vedi non ci siamo nemmeno
presentati e io volevo tanto bene alla zia. Tu mi hai detto che
è tua mamma e
io non sapevo della tua esistenza” si avvicinò a
me. “sai è buffo, nemmeno io
sapevo della tua esistenza, comunque sono stato diciotto anni senza
sapere di
te, posso starne altrettanti senza parlarti” lei mi
guardò piegando la testa e “che
bel caratterino che hai” disse. Le feci un finto sorriso a
trentadue denti e
dissi “vattene”.
Lei
non mi ascoltò,
comincio a girovagare per la biblioteca “se vuoi, posso
raccontarti la mia
storia” disse mentre camminava vicino agli scaffali,
sfiorando con un dito ogni
libro “anche a me piacciono i libri” mi misi a
sedere sul bancone, “bene, non
mi interessa” dissi alzando gli occhi al cielo e “e
visto che non mi interessa
puoi benissimo stare zitta e andartene”. Lei mi
ignorò “io non so il tuo nome,
come ti chiami?” mi guardò e io scesi da dove ero
seduto, mi avvicinai a lei
con passo svelto, le presi il viso costringendola a guardarmi
“Pablo, adesso te
ne puoi anche andare okay?”, lei si liberò dalla
mia presa e “Pablo, bel nome.
Tua mamma non mi ha mai parlato di te”.
Si
mise a sedere su una
poltroncina, la stessa su cui si mise la prima volta che venne, le
gambe
accavallate una sopra l’altra e entrambe le braccia sul
bracciolo di sinistra,
era veramente una bella ragazza “senti carissima cugina di
cui non sapevo l’esistenza
fino a qualche giorno fa, non ho nessuna voglia di conoscerti,
d’accordo?” “invece
io voglio conoscerti” “che testa dura che hai,
vattene” mi diressi verso il
giardino e accesi la sigaretta, come facevo da sempre ormai. Lei non se
ne andò
anzi, mi venne dietro “fa male fumare, lo sai?”
fece per prendermi la sigaretta
di bocca e la bloccai “tu non sei mia madre okay? Tu non sei
nessuno per me e
non sarai mai nessuno, voglio che te ne vada, voglio che sparisci dalla
mia
vita e che lasci in pace la mia famiglia e se voglio farmi del male non
sono
affari tuoi” i suoi occhi brillavano, la stavo guardando
dritto negli occhi,
era vicinissima a me, a dire il vero una parte di me voleva che se ne
andasse e
sparisse per sempre dalla mia vita, una parte di me avrebbe voluto che
rimanesse, non so per quale motivo.
Le
squillò il telefono,
sicuramente un messaggio lei lo lesse e “Devo andare Pablo,
ma per favore se
hai bisogno chiamami, ti lascio il mio numero”
tornò dentro e “Addio Giada”
rimasi fuori, mentre lei se ne andò.
“Allora questa sera
usciamo a divertirci, che ne dici?” dall’altro
capo del telefono Fred, il mio migliore amico da sempre, facevamo le
cazzate
più cazzate insieme e ogni tanto mi aiutava a staccare un
po’ la spina da tutte
le mie preoccupazioni, dalla mia monotona vita, “Allora?
Ci sei? Mi sembra
di parlare da solo” disse sbuffando e
“si ci sono e d’accordo per stasera,
discoteca alle 21?” mi risvegliai dai miei pensieri e “Perfetto,
passami a
prendere tu, ho la macchina dal meccanico” attaccò
prima che potessi rispondergli.
Lui
aveva 20 anni, in
prima media bocciò due volte e me lo ritrovai in classe
insieme, da allora
divenne il mio migliore amico, ne avevamo passate tante insieme.
Quel
giorno mi ritrovai
come gli altri a leggere, solo che questa volta lessi senza capire,
avevo la
testa da un’altra parte, non so di preciso, ma non avevo
voglia di leggere,
così mi alzai, chiamai le amiche delle mie sorelle per
sentire dove erano e se
potevano rimanere là per la notte, dopodiché
andai a farmi una doccia e mi
vestii. Alle 21 meno venti ero sotto casa di Fred e lui, come al
solito, era in
ritardo. Appena usci di casa entrò in macchina di corsa
mentre sua mamma dalla
porta lo brontolava perché aveva incasinato il bagno senza
averlo rimesso a
posto “tua mamma sempre arrabbiata?” domandai,
“mia mamma è pazza” disse
ridendo, “solo perché ho lasciato mutande a giro
in bagno si mette a urlare”
rise ancora più forte e io mi unii alla risata
“andiamocene prima che decida di
tirarmele dietro” disse senza smettere di ridere.
Ci
avviammo verso la
nostra destinazione. A quell’ora le strade erano deserte, non
perché fosse
tardi, ma perché molte persone non avevano voglia di uscire
con il freddo di
dicembre e altre sicuramente erano già partite per
trascorrere le vacanze di
Natale con i famigliari. Arrivammo a destinazione alle 21 esatte, Fred
scese e
io andai a parcheggiare e dopo raggiunsi il mio amico dentro. In
effetti era
abbastanza freddo, le temperature ad Halifax in inverno sono sempre
bassissime
ma ci saremmo riscaldati ben presto. Una volta dentro mi diressi al
bancone e
ordinai da bere. Le mie intenzioni erano quelle di ubriacarmi fino a
perdere i
sensi e ci stavo riuscendo.
Dopo
aver bevuto
abbastanza vidi una ragazza, mi avvicinai e “Ciao bella
bambina” le mie gambe
tremavano e il mio alito ero sicuro puzzasse “allora, come ti
va la vita?” lei
si girò e “Pablo?” disse incredula di
trovarmi lì “Pablo, che ci fai qui? E come
ti sei conciato?” continuò “ci
conosciamo? Perché una bella ragazza come te
sicuramente l’avrei ricordata” le dissi ridendo
“Pablo, quanto hai bevuto?” lei
si allontanò dai suoi amici con una scusa e mi
portò fuori, “sei ubriaco marcio,
cazzo” io mi ero appoggiato con la schiena al muro tenendola
per mano “Giada! Ecco
sei la cugina rompiballe che non mi lascia mai in pace!” lei
mi ignorò
completamente e “sei venuto qui da solo?” feci per
alzarmi e caddi, lei mi
cadde addosso. Eravamo sdraiati, lei sopra di me che mi guardava negli
occhi,
aspettando una risposta, una risposta che le arrivò con
l’apertura della porta “Pablo,
ti ho cercato tutta la sera, ma dove eri finito?” lui rideva,
era ubriaco
marcio anche lui. Giada si mise in piedi e mi aiutò ad
alzarmi “vi riporto a
casa, avete bevuto troppo, non potete guidare”, Fred
continuava a ridere e “vuoi
fare una cosa a tre cara? Se ti procuri un’amica posso starci
a fare una cosa a
tre, ma con Pablo mai” continuò a ridere mentre
lei alzava gli occhi al cielo senza
rispondergli, mi portò alla macchina e mi aiutò a
salire sui seggiolini dietro,
Fred si mise vicino a me e disse a Giada dove doveva portarlo. Mi
addormentai.
Appena
arrivati a casa
Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce
la fai ad alzarti?” io mi svegliai
e “perché lo fai?” lei mi
aiutò ad alzarmi “cioè
perché mi aiuti?”, chiuse la portiera
e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a lei. Non mi rispose,
forse
nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi stesse aiutando ma
“Grazie” la ringraziai,
“figurati, per così poco” rispose.