CAPITOLO OTTAVO. NEGOZIATO FALLITO.
Quando
Atena, Castalia e Phoenix raggiunsero l’Olimpo era
mezzogiorno in punto ad Atene, ma là, nella città degli Dei, il tempo sembrava
non contare. Ermes fece strada alla Dea della Giustizia e ai suoi
Cavalieri lungo la Via principale, che dal Cancello Celeste conduceva
direttamente al Tempio di Zeus, una magnifica ed immensa costruzione in marmo
bianco, ricca di rifiniture.
“È
questo l’Olimpo?” –Domandò Phoenix, osservando l’eleganza dell’ampio viale.
Una
vasta strada correva per mezzo chilometro in mezzo ad alberi frondosi, mentre
ai lati di essa statue e fontane, di chiara fonte ellenica, parevano sorridere
loro.
“Questa
è la residenza del Sommo Zeus! Mirate la Vetta dell’Olimpo!” –Puntualizzò
Ermes, prima di voltarsi verso il basso. –“Giù di là si estende il Monte Sacro,
ma la strada per raggiungerci non è affatto facile, disseminata di Templi di
Divinità inferiori e luoghi sacri e saturi di misteri!”
“Questo
posto è immenso!” –Commentò Castalia.
“Fa
a tutti lo stesso effetto, la prima volta che vi giungono!” –Esclamò Ermes,
pregando i tre ospiti di accelerare il passo. –“Qua il tempo e lo spazio non
rispondono alle leggi della scienza terrestre, ma sono immersi in un’atmosfera
mistica. Divina, oserei dire!”
Ermes
condusse gli ospiti fino all’ingresso del Tempio di Zeus, presidiato da un
gruppo di Cavalieri Celesti. Questi riconobbero Ermes e lo fecero passare senza
problemi, aprendo le porte del Tempio e facendoli entrare all’interno. Atena,
Castalia e Phoenix seguirono Ermes lungo i corridoi in marmo bianco, estasiati
dalla magnificenza del luogo.
“C’eravate
mai stata, Milady?”
“No,
Phoenix! Perlomeno non in questa vita!” –Rispose Isabel, mentre la sua parte
divina riconosceva numerosi elementi che aveva già incontrato in precedenza.
“Ecco,
ci siamo!” –Esclamò Ermes, giungendo in un’ampia stanza, in fondo alla quale si
ergeva un alto portone dorato.
Due
Cavalieri Celesti vennero loro incontro, e Atena e Castalia sobbalzarono nel
riconoscerne Sterope del Fulmine,
l’aggressore del Grande Tempio.
“Benvenuta
sull’Olimpo, Dea della Giustizia!” –Esclamò il Ciclope, accennando un inchino.
“Ci
rivediamo, Ciclope del Fulmine!” –Commentò Atena, non troppo felice al
riguardo.
“Questi
è mio fratello, Arge lo Splendore,
secondo dei Ciclopi Celesti!”
“È
nella Sala del Trono, il Sommo?” –Domandò Ermes.
“Sì!”
–Giunse rapida e tagliente una risposta. Ma non da parte di Sterope
o di Arge. A parlare fu una figura ricoperta da uno
scuro mantello, che si avvicinò loro. Rimasto in ombra fino a quel momento, Flegias era finalmente arrivato.
“Flegias!!!” –Gridò Castalia.
“Ancora
viva, principessa guerriero?!” –Ironizzò il figlio di Ares. –“Hai carattere!”
“Flegias, non essere scortese! Atena è qua per conferire con
suo Padre e…”
“Sono
al corrente di tutto!” –Lo interruppe Flegias, con
maleducazione e superbia. –“Zeus mi ha incaricato di accompagnare Atena nella
Sala del Trono, dove conferirà privatamente con lei!”
“Privatamente?!”
–Sgranò gli occhi Ermes.
“È
naturale! Una questione così delicata, come uno scontro tra Atene e l’Olimpo,
non può certo essere messa sulla bocca di tutti!” –Commentò Flegias,
lasciandosi scappare una risatina sinistra. –“Almeno per ora!”
“Non
sono d’accordo!” –Intervenne Castalia. –“La sicurezza di Atena è la cosa più
importante!”
“Non
preoccuparti, Castalia! Noi saremo con lei!” –Tagliò corto Phoenix, ma Flegias smorzò il suo entusiasmo.
“Non
credo proprio! Zeus è stato chiaro! Parlerà privatamente con Atena! Senza
Cavalieri che la accompagnino o Messaggeri! Altrimenti l’incontro salterà!” –Precisò
Flegias.
“Queste
condizioni sono inaccettabili!” –Brontolò Castalia.
“Siete
sempre liberi di tornare al vostro sporco Santuario!” –Commentò Flegias. –“E affilare le spade per la guerra...”
“Maledetto!”
–Esclamò Phoenix, avventandosi sul figlio di Ares. Ma Sterope
e Arge gli furono sopra, spingendolo via.
“Phoenix!
Fermati!” –Gridò Atena. –“Non attaccare!”
Phoenix
si rialzò da terra, dolorante e frastornato. Guardò Isabel e capì cosa avesse
in mente.
“Se
Zeus vuole parlare direttamente con me, accetto le sue condizioni! Se questo
può servire per evitare la guerra!” –Esclamò, mentre gli occhi di Flegias si illuminarono.
“Perfetto!
Prego, da questa parte!” –Affermò il figlio di Ares, invitando la Dea a
seguirlo.
Atena
fece un bel respiro, impugnò Nike saldamente e seguì Flegias,
davanti agli occhi attoniti e preoccupati di Castalia, Phoenix e Ermes. Due
servitori aprirono il grande portone dorato, lasciando entrare la Dea della
Giustizia e il figlio di Ares. Inaspettatamente anche Sterope
e Arge entrarono all’interno, e la cosa insospettì
parecchio Phoenix e Castalia.
“Se
le succede qualcosa, Messaggero dei miei stivali io...” –Inveì Phoenix,
rivolgendosi a Ermes.
“Non
so cosa stia accadendo, Cavaliere della Fenice! Ma posso assicurarti che Zeus
non è tipo da infrangere un patto! Se ha deciso di incontrare Atena per parlare
con lei, non hai motivo di temere un attacco improvviso!” – Affermò Ermes. Ma
in fondo al cuore non ne era sicuro neppure lui.
All’interno
della Sala del Trono, Atena fu fatta accomodare su un panchetto, al
centro della stanza, affiancata da Flegias, in
piedi accanto a lei. Sterope e Arge si erano fermati ai due lati del portone,
pronti a intervenire in caso di bisogno. Non visto dai due, un altro Cavaliere
era presente all’incontro, nascosto nell’ombra della sala.
“Mio
Signore!” –Esordì Flegias, rivolgendosi al Dio,
seduto sul Trono in cima al palco. –“Ecco a voi vostra figlia, la Dea della
Giustizia!”
“Atena!”
–Esclamò una voce profonda, proveniente dalla figura ricoperta da una veste
divina.
“Padre...”
–Rispose Atena, notevolmente emozionata per quell’incontro.
“Avevo
inviato Ermes a prenderti! La tua presenza qua significa che hai dunque
accettato il mio invito? Che siederai a fianco a me, sul trono dell’Olimpo?”
“No,
Padre! Non sono qua per questo!” –Rispose Atena, alzandosi in piedi. –“Ho
riflettuto sulla tua proposta, ma non la accetto! No, non posso accettarla! Non
posso vendere il futuro degli uomini, che altre volte ho difeso fino allo
stremo delle mie forze, ad un Dio che vuole renderli schiavi! Non posso vedere
i miei Cavalieri costretti a rinunciare ai loro ideali o ad abiurare la loro
fede, per servire un Dio che non sentono, un Dio ingiusto!”
“Ingiusto?!”
–Tuonò il Signore dell’Olimpo.
“Sì,
Padre! Ingiusto! Perché togli loro la possibilità di scegliere! Il dono più
grande che sia stato dato agli uomini!” –Affermò Isabel, con fierezza.
“Atena,
stai bene attenta! Pronunciare parole simili, qua, alla Corte del Padre degli
Dei significa metterti contro di me! È così grande la tua arroganza?!”
“Non
è arroganza, Padre! È amore!” –Rispose Atena, in piedi, con lo Scettro di Nike
in mano. – “Amore per gli uomini e per i loro ideali!”
“Follia!”
–Esclamò Zeus, balzando in piedi. Nel giro di un secondo una sfolgorante
scarica energetica partì dalla sua mano, raggiungendo Atena e travolgendola.
–“Tu offendi la mia persona, la mia dignità divina!” –Tuonò, stringendo la
morsa energetica.
“No,
Padre!” –Tentò di resistere Atena, espandendo il proprio cosmo. –“Io difendo gli
uomini, la loro libertà, il loro diritto alla vita! E se nel far questo offendo
te, o qualche altra Divinità che mira alla distruzione della razza umana,
allora perdonami Padre, ma è un gesto che si rende necessario per tenere fede a
un credo a cui non posso rinunciare!”
“Stupida!”
–La zittì Zeus, stringendo ancora di più la presa.
Il
corpo di Lady Isabel fu stretto da folgori incandescenti, che stridevano sulla
sua esile carnagione, tranciandole gli abiti, creandole lunghe strisce di
sangue sul corpo. Ma Atena sapeva resistere, e non era intenzionata a cadere.
“Hai
la possibilità di elevarti, Atena! Di rinunciare alla tua mortale ed effimera
natura terrena, per sedere al mio fianco, tra gli Dei dell’Olimpo! E cosa fai?!
Rifiuti?!” –Gridò Zeus. –“È follia e grave insulto rinunciare all’eterno per il
terreno!”
“È
follia maggiore non comprendere il terreno, Padre! Il contingente!” –Rispose
Isabel, mantenendosi in piedi a fatica. –“L’Olimpo sta scomparendo, l’ho notato
salendo qua! Le nebbie lo stanno inghiottendo e molto presto questo posto si
perderà, come l’isola di Avalon si perse secoli fa, al di là del tempo e dello
spazio, lontano dalla Terra, lontano dagli uomini, da quelli stessi uomini che
secoli or sono veneravano gli Dei e ti rendevano omaggio!”
“Gli
uomini li piegherò, tutti mi renderanno omaggio!”
“Ma
non sarà la stessa cosa!” –Affermò Isabel, e d’un tratto le scappò un sorriso.
–“No, non sarà la stessa cosa della spontanea manifestazione d’affetto popolare
che un tempo tingeva i cieli di Grecia e del Mediterraneo! L’obbligo non ha mai
lo stesso sapore della fede spontanea!
“E
sia, dunque!” –Esclamò Zeus, mentre i fulmini avvinghiavano sempre più il corpo
di Atena. –“Dici che gli uomini non mi venerano, perché sto scomparendo dal
tempo? Ma venereranno te?” – Chiese, con un ghigno. –“Renderanno omaggio a
colei che ha rischiato la vita molte volte per loro?”
“Non
voglio omaggio alcuno Padre, non ho intenzione…” –Ma
Atena non poté terminare la frase, che fu atterrata da una nuova scarica
energetica.
Zeus
non aveva intenzione di parlare con lei. L’aveva convocata soltanto per
ucciderla. Adesso le era chiaro. Phoenix aveva ragione, erano stati ingannati.
Isabel tentò di rialzarsi, aggrappandosi a Nike ma una figura le fu sopra di
scatto. Flegias, figlio di Ares, brandiva una spada
incandescente e mirava alla sua gola.
Atena
espanse il suo cosmo, creando un globo di luce capace di proteggerla, come i
globi che avrebbero dovuto proteggere Pegasus e gli altri al Tempio di Ade e
riportarli in Grecia, e la spada infuocata di Flegias
si infranse contro l’invisibile barriera. Ma il piccolo demonio non si arrese,
colpendo di nuovo e di nuovo, e scagliando infine l’Apocalisse Divina contro la barriera. Il contraccolpo tra i due
poteri spinse entrambi indietro e Zeus approfittò di quella momentanea
distrazione di Atena per intrappolarla in una gabbia energetica.
“Io,
che sono il Dio del Fulmine, ricevuto in dono dai Ciclopi, ti condanno ad una
prigionia eterna, figlia degenere! Ti ho offerto la possibilità di una vita
immortale, ti ho offerto di lasciare liberi i tuoi Cavalieri, invece di
obbligarli a combattere per te, ma tu hai egoisticamente rifiutato! E allora
adesso accetta il tuo destino, il destino che tu hai scelto!”
La
gabbia energetica strinse ancora di più, mentre Isabel urlò impaurita,
lasciando cadere a terra lo Scettro di Nike. Prigioniera dei fulmini di Zeus,
stritolata da un potere più grande di lei, Atena iniziò a perdere i sensi. Pegasus, e voi miei Cavalieri, perdonatemi!
Ho fallito anche stavolta! Sono stata sciocca e ingenua, e come già contro
Apollo, così adesso contro mio Padre, non sono stata capace di oppormi e
sconfiggerlo! Avrei voluto farlo! Sì, avrei voluto impedirvi di combattere
ancora! Impedirvi di correre qua, a rischiare nuovamente la vita per me, e per
un’umanità che forse non ha ancora trovato il giusto, e forte, protettore!
Lentamente Isabel si accasciò al suolo, con il corpo leso da mille ferite e le
vesti lacere e macchiate di sangue.
“A
una prigionia eterna ti condanno, Atena!” –Esclamò Zeus, mentre nuove scariche
energetiche si dipartivano dalla sua mano, che sollevarono la Dea e, spinte da
Zeus, la trascinarono via, attraverso le finestre, fino al limite estremo
dell’Olimpo. –“Vediamo se gli uomini venereranno te, adesso!” –Tuonò,
imprigionando la fanciulla nella Torre del Fulmine.
Al
confine estremo dell’Olimpo si ergeva infatti una maestosa torre in marmo
bianco, dalla cui cima si poteva godere della più spettacolare di tutte le
viste. Una vera e propria finestra sul mondo. Atena fu imprigionata là, stretta
in una morsa implacabile dai fulmini di Zeus, che le stritolavano il corpo,
impedendole di muoversi, persino di parlare.
“Non
durerai molto in quella posizione! I fulmini non soltanto ti uccideranno
fisicamente, ma assorbiranno anche la tua essenza divina, prosciugandoti cosmo
e anima!!! Ah ah ah!” –La sinistra risata di Zeus
echeggiò nella Sala del Trono, mentre Flegias
sorrideva soddisfatto. La prima parte del piano era riuscita.
***
Nel
frattempo, mentre Isabel stava colloquiando con Zeus, Castalia e Phoenix erano
rimasti soli nel grande atrio. Phoenix vagava avanti e indietro, nervoso come
non mai, tirando continue occhiate al portone, nella speranza di vedere Atena
uscirne in fretta sana e salva. Castalia si era invece seduta su una panchina
di marmo, anch’ella agitata per la situazione, e incapace di decidere sul da
farsi.
In quel mentre
entrò nella sala un Cavaliere ricoperto da un’armatura celeste, lo stesso che
aveva conversato con Flegias qualche ora prima.
“Benvenuti sull’Olimpo,
Cavalieri di Atena!” –Esclamò, rivolgendo loro un cordiale sorriso. Phoenix si
limitò ad un saluto scarno, mentre Castalia si alzò in piedi, andando incontro
all’uomo.
“Sono
Phantom dell’Eridano
Celeste, Luogotenente dell’Olimpo!” –Si presentò, accennando un inchino di
fronte alla donna.
“Piacere
di conoscerti! Sono Castalia dell’Aquila, ed egli è Phoenix, Cavalieri di
Atena!”
“La
vostra Dea è a colloquio col Sommo …” –Esclamò Phantom,
indicando il portone. – “Immagino che ne avranno per un po’ di tempo…”
“Dipende
tutto se riusciranno a trovare un accordo.” –Rispose Castalia, in maniera
diplomatica.
“Me
lo auguro! Per il bene dell’Olimpo, e di Atene!” –Sorrise il giovane.
Castalia
lo osservò, con un certo interesse. Alto, robusto ma non troppo, un viso
candido e due occhi verdi che, si sorprese nel pensarlo, ispiravano simpatia.
Aveva modi eleganti, degni di un combattenti olimpico, come Castalia li aveva
sempre immaginati.
“Perché
non facciamo un giro? Mi piacerebbe conversare con voi!” –Le sorrise il
Cavaliere. Si avvicinò a una porta laterale e la spalancò, mostrando un
delizioso giardino che correva tutto intorno alla reggia. –“Potrebbe essere
un’occasione per visitare l’Olimpo! Non è da tutti un simile privilegio!”
Castalia
non rispose subito, piuttosto imbarazzata per la richiesta, e al tempo stesso
anche insospettita da tutto quel garbo. Inoltre c’era la paura che ad Atena
potesse accadere qualcosa, nonostante il Messaggero degli Dei avesse negato
tale ipotesi. E fu quasi tentata di rinunciare. Ma alla fine, non seppe
spiegarsi neppure lei come, aprì le labbra e acconsentì. C’era qualcosa, in
quel giovane, che la attirava, una specie di legame che non riusciva a chiarire
esattamente.
“Non
preoccuparti!” – Sorrise l’uomo, intuendo le sue preoccupazioni. –“Non ci
allontaneremo di molto! Anche se non credo ci sarà bisogno di intervenire…”
“Voglio
sperare!” –Commentò Castalia, uscendo nel giardino fiorito insieme al Cavaliere
Celeste.
Fece
un cenno a Phoenix, non troppo interessato alla cosa, e si incamminò con l’uomo
lungo un sentiero in mezzo al grande parco.
Phoenix continuò a
camminare avanti e indietro davanti al portone per qualche minuto, sbuffando
per la lunga attesa. Ma c’era qualcos’altro che lo irritava profondamente,
contribuendo a rendere ancora più angosciato il suo animo. Qualcosa che non
capiva cosa fosse, ma che gli rimbalzava in mente da giorni. Fin da quando
aveva lasciato l’Italia, imbarcandosi per la Grecia. Improvvisamente un
sussurrò disturbò i suoi pensieri. Phoenix si voltò e vide una figura, nascosta
dietro una colonna laterale, fargli un cenno.
“Uh?”
–Domandò, sempre sospettoso.
Ma
il suo misterioso interlocutore non disse niente, limitandosi ad uscire
dall’ombra, in modo tale che Phoenix potesse vederlo. All’apparenza sembrava un
uomo di una cinquantina d’anni, non troppo alto, con un grande viso barbuto e
folti capelli grigi. Indossava una tunica piuttosto semplice, senza molte
rifiniture, con un monile argentato intorno al collo, e camminava a piedi nudi.
Phoenix gli si avvicinò, cercando di capire cosa volesse, ma questi si
incamminò verso un corridoio laterale, senza proferire parola, ma con un gesto
che aveva un solo significato.
“Seguimi!” –Queste parole rimbombarono nella mente di Phoenix,
e per un momento gli sembrò di aver già udito quella voce.
Si
fermò un momento, intuendo quanto fosse delicata quella situazione, e continuò
ad osservare lo strano personaggio camminare scalzo finché non infilò in un
corridoio. Esitò ancora, mentre la voce continuava a rimbombare nella sua
mente, senza dargli tregua, e poi cedette, infilando di corsa il corridoio del
palazzo, inseguendo un perfetto sconosciuto.