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Autore: S t r a n g e G i r l    30/07/2013    4 recensioni
Tutti i bambini hanno paura di qualcosa, che solitamente poi si nasconde sotto il letto.
L'uomo nero, mostri, rapinatori...
Quel che spaventava me, ad esempio, era verde e aveva i tentacoli.
Ma quello da cui Isaac era terrorizzato, da cui si nascondeva e fuggiva non era nulla di simile; il suo, di mostro, aveva le fattezze di suo padre.
Quando me lo aveva raccontato, io avevo riso come se fosse stata una barzelletta e lui non mi aveva rivolto parola per mesi, fino a quando non ero andata a casa sua con un dolce fatto da mia madre per farmi perdonare e, dalla finestra, l'avevo intravisto anche io, il suo incubo.
E da allora in me era nato l'istinto di proteggerlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia Di Vetro

4. Pioggia di silenzi

- Did I do something wrong? -
- I dont' have anyone -



Maggio.
“Ho visto una pubblicità scema di una marca di uova, poco fa in televisione. C’era un pulcino paffuto e curioso. Ti ho pensata.”
Leggo l’sms con un sorriso e poi infilo di nuovo il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, chinandomi sullo scatolone aperto davanti a me per tirarne fuori il suo contenuto.
Romanzi, fumetti e riviste di moda e gossip risalenti al periodo in cui mi ero messa in testa di diventare una stilista. Ambizioni e progetti di vita che contavo di realizzare in un college vicino Beacon Hills, così da poter tornare a casa nei weekend.
Se quello fosse stato ancora il mio sogno, ora non sarebbe altro che l’ennesima scritta sbavata dalla pioggia su di un muro e coperta maldestramente da una mano di vernice pallida.
Cercare di erigere costruzioni sicure e stabili su fondamenta traballanti non era proprio un granché, ma col tempo c’avevo fatto l’abitudine.
Di certo e sicuro, io, non avevo mai avuto niente.
« Violet, tesoro, è pronto in tavola! » la voce di mia madre fa capolino dalla porta socchiusa della stanza.
Lei entra poco dopo senza chiedere permesso, vagando con sguardo curioso per la stanza.
« E’ molto più ariosa e spaziosa di quella di Beacon Hills, ti pare? E poi ha la vista sul parco invece che su altre case. » il suo tono raggiante mi provoca la nausea.
« Avrei dormito in una gabbia per criceti pur di non dovermi trasferire. » borbotto a denti stretti, dando un calcio allo scatolone ormai vuoto ai miei piedi.
« Hai detto qualcosa? » chiede mia madre, lasciando perdere le tende arancioni che aveva appeso quella stessa mattina.
« Niente di importante. Avevi detto che era pronto. Andiamo, ho fame! » Le prendo un polso e cerco di trascinarla via dalla mia camera, prima che se ne esca con qualche altro commento entusiasta su quella nuova sistemazione che a me farebbe solo venire l’orticaria.
« Oh, aspetta! Chi è il ragazzo in quella foto? » lei si libera della mia presa e si dirige verso il letto, dove sul comodino ha notato una cornice nuova.
Me l’aveva regalata Mery prima che partissi ed inizialmente avevo avuto intenzione metterci una foto mia e sua, poi ero riuscita a strapparne una ad Isaac mentre era distratto e così…
« E’ il tuo fidanzato? Non sapevo ne avessi uno. » domanda mia madre con espressione meditabonda.
Accarezza il vetro della cornice con l’indice e poi me la porge con un sorriso.
« E’ solo il figlio del nostro ex vicino di casa. Ma tu non puoi saperlo, visto che non c’eri mai. » sputo velenosa, rimettendo la foto al suo posto e marciando verso la cucina.
Mia madre rimane immobile dov’è, freddata dalle mie parole taglienti e risentite.
La verità è che me la sono cavata con le mie forze in ogni occasione, anche se lei e papà erano sempre fuori per lavoro e io passavo gran parte del tempo con l’unica compagnia dei giocattoli che mi compravano per compensare l’assenza o degli amici immaginari che mi figuravo in testa poiché farmene di veri non ero mai stata granché brava, però in quel momento non sono riuscita a tenere in bocca l’amarezza.
Forse se lei fosse stata più presente, avrebbe capito i motivi per cui avevo fatto tante storie per rimanere a Beacon Hills.
Forse avrebbe conosciuto Isaac, forse non ce ne saremmo mai andati.
Prima di raggiungere la tavola apparecchiata, estraggo di nuovo il cellulare dai jeans e invio in fretta un messaggio, proprio mentre mio padre mi si affianca per cercare di impicciarsi.
“Avrei bisogno di un tuo abbraccio. Mi manchi.”


Giugno.
“Sono più una tipa da lettere scritte a mano che e-mail, ma devo adeguarmi.
So che sarai a scuola, l’unico posto in cui hai accesso ad un computer, quando leggerai  queste mie parole, perciò cercherò di non dilungarmi troppo. Non vorrei che la professoressa Gillian ti mettesse in punizione.
Tuo padre non ne sarebbe contento e…
Non importa. Volevo solo dirti che mi sto ambientando qui, sai?
Non è poi così male, una volta superato l’imbarazzo con i nuovi compagni di classe e l’impaccio con dei professori che non fanno che metterti alla prova per testare le tue capacità.
Forse ti sembro un po’ acida e prevenuta.
La verità è che ancora non sono riuscita a mandare giù questo trasferimento.
Vorrei non essere in questa casa, dove affacciandomi vedo alberi in fiore, bensì in quella che avevo a Beacon Hills, dove guardando alla finestra potevo vedere te fare altrettanto.
Scusami. Alle volte mi comporto come una ragazzina capricciosa e mi prenderei a schiaffi da sola, ma io odio questo posto.
Odio la nuova scuola, le sue pareti grigie, l’aria incurante che hanno in viso tutti quanti e…
No, non è vero.
Io non sto poi così male qui. Semplicemente non sopporto di stare dove non sei tu, Isaac.
E non mi prendere per una fidanzata sdolcinata e appiccicosa. Sai che non lo sono.
Solo… ogni tanto lasciamelo dire.
A voce, quando ci sentiamo, non ci riesco mai.
Ho paura di darti noie o di far essere triste anche te. E non vorrei mai.
Comunque… cerco di stringere i denti e pensare che cinque mesi passano in fretta.
Ah, giusto. Ti avevo scritto solo per dirti questo in realtà: torno per Halloween.
I miei genitori mi hanno concesso di trascorrere il giorno di Ognissanti con Mery.
Beh, con lei e con te, ovviamente, anche se loro non lo sospettano minimamente.
Ora ti lascio. Ti mando un bacio.

Il tuo pulcino.
Ps: scusa se ho fatto il contrario di quanto avevo detto. E’ che non riesco mai a frenare le dita o la voce, quando si tratta di te.”


Luglio.
« Ci sei ancora? » chiedo, incastrando il cellulare fra la spalla e l’orecchio mentre infilo in borsa un blocco da disegno ed una bottiglietta d’acqua.
C’è un sole incandescente fuori che mi chiama, perciò ho deciso di andare al parco a godermi l’ombra di qualche albero, disegnando paesaggi bagnati di luce.
« Sì. » replica lui.
« La vuoi smettere di sgranocchiare patatine mentre parliamo? E’ fastidioso, Isaac. » mi lamento, guardandomi intorno alla ricerca di un berretto con la visiera da indossare.
Lui ride e anche attraverso l’etere quel suono sa farmi accelerare i battiti del cuore.
Li sento in gola, nei polsi, nelle tempie, nelle caviglie.
Li sento in modo così vivido che, per un solo istante, mi illudo che voltandomi me lo troverei alle spalle.
Mi volto ed ovviamente lui non c’è.
« Tanto stai parlando solo tu quindi io posso ascoltare e mangiare, no? »
« Voi maschi siete programmati per fare un’unica cosa alla volta, perciò se mastichi non mi dai retta. »
« Potrei offendermi, sai? » sogghigna e il rumore di un sacchetto che viene accartocciato sovrasta la sua risatina divertita.
« Ah sì? Allora cosa ho detto prima che parlassimo di patatine? » domando, sdraiandomi sul letto.
Gli occhi corrono alla foto sul comodino, al suo viso assorto e la nostalgia mi stringe lo stomaco come se qualcuno mi stesse abbracciando con troppa forza.
« Che hai trovato un cucciolo di dinosauro nel giardino. »
« Ma lo vedi che… »
« … che sei una credulona permalosa. Stavo scherzando, pulcino. » replica e la sua voce si flette in modo dolce su quel nomignolo con cui solo lui mi chiama.
Sospiro e stringo fra le braccia il cuscino. Dio, quanto mi manchi.
« Mi stavi parlando della vacanza in Europa che farai a breve con i tuoi genitori. Blateravi di Parigi, di Londra, di Roma e del Colosso… »
« Colosseo, scemo. »
« Mi piace quando fai la maestrina. » il suo tono diventa rauco e brividi mi colano giù per la schiena.
Scende il silenzio fra noi, un silenzio che vorrei riempire di baci, di carezze.
E’ come una pioggia d’estate, questa caduta leggera di vuoti di parole, che rinfresca ma ti fa rimpiangere il sole.
Dovrebbe esserci sempre il sole, ma io non riesco a vederlo quasi mai, dietro le mie cupe nubi di tristezza.
« Violet? » lui mi richiama e vorrei che non smettesse mai di sussurrare il mio nome.
« Mmh? »
« Sbrigati a tornare. Io ti sto aspettando. »
« Lo so. Non smettere, ti prego. »
« Non c’è pericolo. Ora devo andare. » chiudo gli occhi e nella mia mente lo vedo accennare un movimento con la testa, come faceva quando mi riaccompagnava a casa quasi all’alba.
« Ciao, pulcino. »
« Ciao. » rispondo con una voce che ha lo stesso sapore delle mie lacrime, cadute sul cuscino in silenzio.


Agosto
« Posso? »
Alzo gli occhi dal mio disegno e mi ritrovo a fissare il viso sorridente di un ragazzo che se ne sta impalato al mio fianco, in attesa di una risposta.
Ha i capelli rossicci e un po’ mossi, gli occhi piccoli e scuri su di un naso aquilino e l’aria sbarazzina.
Un sorriso largo, di quelli che vanno da guancia a guancia, è appiccicato alle sue labbra sottili e una macchina fotografia dall’aria costosa gli penzola dal collo.
« Certo. » gli faccio un po’ di spazio nell’ombra dell’albero, raccogliendo i miei schizzi sparsi e le matite buttate nell’erba.
Torno a concentrarmi sul mio blocco da disegno, usando il dito per sfumare il contorno di una nuvola.
« Caspita, sei brava! » esclama dopo qualche attimo, sporgendosi.
Ha ancora quel sorriso, che quasi sembra finto, in faccia e mi mette a disagio con la sua irruenza.
Mi ritraggo un po’, come a voler proteggere i miei lavori, e lui sembra accorgersi solo in quel momento di aver esagerato.
« Scusa. » borbotta, scompigliandosi da solo i capelli in un gesto imbarazzato « Devo esserti sembrato piuttosto invadente. E maleducato. Piacere, io sono Daniel. »
Fisso la sua mano tesa nella mia direzione e, per un solo secondo, m’illudo di vederla coperta di cicatrici.
Poi guardo il proprietario di quelle dita sottili e, con delusione, non trovo il viso che cerco.
Dio, quanto mi manchi.

« Violet. »
Daniel trattiene la mia mano più a lungo del necessario, fin quando io stessa non la ritraggo infastidita.
« Ho notato che vieni qui spesso. Non ti stanchi di disegnare sempre lo stesso panorama? » mi chiede, cercando di adocchiare i fogli che avevo raccolto prima e messo alla rinfusa nello zaino alla mia destra.
« No perché raffiguro dei particolari, mai l’insieme. Squarci di nuvole con forme stravaganti, fiori colorati con una coccinella sopra, fili d’erba e frutti caduti dagli alberi, coppiette mano nella mano… tutto quello che attira la mia attenzione, insomma. »
« Suppongo di non essere su quegli schizzi, allora. » ha il tono allegro di chi vuole farti ridere, ma colgo anche una punta di rammarico.
Mi sta forse chiedendo se mi sono mai accorta della sua presenza e l’ho ritratto?
« Non ti avevo mai visto prima. » mi sento quasi in dovere di giustificarmi e allora lui mi porge una polaroid che teneva nella tasca posteriore dei bermuda.
« Io sì. » sussurra, in attesa di una mia reazione.
Ed io mi ritrovo a guardare il mio profilo chino su un foglio bianco ed un carboncino fra le dita, in quello stesso posto ma qualche giorno prima, dati gli abiti diversi.
« Mi hai fotografato di nascosto? » chiedo, non sapendo bene se arrabbiarmi o sentirmi lusingata.
« Fotografo tutto quello che attira la mia attenzione. » mi sorride di nuovo in quel modo estatico che mi mette a disagio per l’intensità ed io resto in silenzio, la polaroid ancora fra le mani.
Di nuovo piovono silenzi attorno a me, in modo così scrosciante che mi stupisco di come lui ancora non si tappi le orecchie per il frastuono.
Perché un estraneo cerca un contatto con me? Cosa vuole dimostrarmi con quella foto?
« Violet, ti andrebbe di… non so… uscire insieme qualche volta? Un gelato, una passeggiata… »
Mi mordo l’interno della guancia con forza, poi di colpo mi alzo in piedi, afferrando alla bell’e meglio tutte le mie cose.
« Mi dispiace. Io… non posso. » gli rispondo con un’espressione contrita in viso e sulla pelle il ricordo delle carezze di Isaac.
Ho fatto una promessa, Daniel, e non ho intenzione di infrangerla.
Anche se lui non dovesse volermi più, io so che continuerei ad appartenergli sempre.
Nonostante il tempo che passa. Nonostante i chilometri a dividerci.
Nonostante le mute parole fra noi, come gocce di pioggia.



Settembre
“[…] La polizia ha fatto irruzione nell’istituto superiore di Beacon Hills, dove alcuni studenti erano rimasti intrappolati in un laboratorio di chimica, e ora cerca il presunto cadavere del custode che sembrerebbe essere stato assassinato.”
Sconvolta, rileggo quella frase un altro paio di volte, prima di comprenderne il senso.
Un altro cadavere, alunni chiusi di notte nella scuola col rischio di essere a portata di mano dell’assassino del custode…
Con mani tremanti compongo il numero di cellulare di Isaac a memoria e mi tiro le pellicine dalle labbra per il nervoso, aspettando che risponda.
Tipregotipregotiprego.
Mai, in cinque mesi di lontananza, ho sentito il bisogno di udire la sua voce come in quel momento.
Voglio accertarmi che stia bene, che non sia uno degli studenti che ha vissuto quella brutta esperienza – l’ennesima, per lui, che ne subisce almeno una al giorno- , che…
“Segreteria telefonica del numero 375-“
Sbuffo e riprovo altre tre volte prima di arrendermi.
Non risponde.
Gli scrivo un messaggio accorato e riadagio il telefono sulla scrivania, fissandolo così intensamente che alla fine si sdoppia davanti ai miei occhi.
Mi passo le mani sul viso, la preoccupazione a pungolare le ghiandole lacrimali, e alla fine mi butto sul letto con la faccia nel cuscino.
Singhiozzo piano, come se temessi di disturbare qualcuno, e mi rannicchio su me stessa.
Ogni chilometro che ci separa, alla fine, si è trasformato in una parola di meno, in un abbraccio mancato, in un sorriso spento.
Non è più una relazione, questa, e non possiamo andare avanti così.
Non posso io.


Ottobre.
Il silenzio si è esteso in maniera esponenziale, come un impasto di pizza che lievita in modo smisurato e alla fine fuoriesce dalla ciotola.
I vuoti nelle giornate si sono raddoppiati, triplicati. Centuplicati.
Non ho sue notizie da due settimane.
Sto iniziando a dimenticare la sfumatura della sua risata, il contorno delle sue battute, il colore del suo amore.
Mi sono illusa che ce la saremmo cavata, che saremmo riusciti a resistere, a far fronte comune contro l’assenza l’uno dell’altra, ma così non è stato.
Ho cercato in ogni modo di tener duro almeno io, per entrambi, ma ho dovuto arrendermi.
Sembra svanito nel nulla.
Sembra scappare da me.
Alla fine ho esaurito le lacrime, consumato tutta la disperazione nel mio petto e convinto me stessa che non posso stare con qualcuno che non mi vuole accanto.
Salvare qualcuno che non vuole essere salvato.
Amare qualcuno che non vuole essere amato.
Perciò mi sono asciugata il viso e ho proseguito a testa alta in questa nuova vita a Sacramento.
Non è poi così difficile: sono riuscita a crearmi una piccola cerchia di amicizie e piano piano il mio sorriso sta tornando alle dimensioni di un tempo.
Alle dimensioni che aveva a Beacon Hills, sotto un albero al parco mentre la pioggia cadeva.
Ci sono volte, però, in cui mi guardo allo specchio e non ricordo quali muscoli facciali debba usare per stendere gli angoli della bocca all’insù.
Volte in cui riesumo la foto di Isaac dal cassetto e la tengo al petto tutta la notte, sperando di sognarlo.
Volte come questa.
Sdraiata sul letto a pancia in giù, fisso lo schermo del cellulare, combattendo una guerra con me stessa per non comporre il suo numero di telefono.
Se lo chiamassi col privato, mi risponderebbe?
E’ solo me che evita?

D’improvviso lo schermo si illumina ed io sobbalzo, il cuore fra le tonsille, fatto schizzare dall’illusione che sia lui a cercarmi.
Ma il nome che lampeggia sul display è un altro e, perciò mentre rispondo, il cuore torna al suo posto.
Silenzioso, quasi completamente muto.
« Ciao, Mery. » la saluto col tono più allegro che riesco a trovare nel mio animo.
« Sei seduta? » chiede lei, saltando i convenevoli.
« Più o meno, perché? »
Ho un brutto presentimento e la voce ansiosa della mia amica non mi aiuta a calmarmi.
« C’è una cosa che devi sapere e che sono sicura ti farà correre qui, anche se avevi deciso di non venire più per Halloween. »
Chiudo gli occhi e tremo.
Chiudo gli occhi ed il viso di Isaac torna nitido nella mia testa; lui e la sua voce ed il suo modo di chiamarmi “pulcino”.
Dio, quanto mi manchi.

« Se vuoi spaventarmi, ci stai riuscendo. » sussurro a fatica, come se avessi qualcosa incastrato in gola.
Qualcosa come un amore reciso, soppresso.
« Si tratta di Isaac, Violet. »
Scatto in piedi, come una di quelle scatole da cui spunta fuori un pupazzo a molla quando l’apri.
« Sta bene? Dimmi che sta bene, Mery. »
« Suo… suo padre è morto e lui era uno dei sospettati. Ora è scomparso. »
Alzo il viso ed osservo cadere ai miei piedi le parole della mia amica come granate.
Padre. Morto. Sospettato. Scomparso.
Esplodono di colpo tutte insieme e mi riducono ad un mucchio di polvere.
Ed il suo silenzio delle ultime settimane diventa d’improvviso un vociare assordante di scuse, di tentativi goffi di spiegazioni, di dimostrazioni di protezione nei miei confronti ed io mi sento una stupida.
Crollo a terra, fra i resti di me stessa, e quasi mi cade il telefono di mano.
« Arrivo. » riesco infine a mormorare, prima di chiudere la chiamata e precipitarmi a preparare la borsa.

 




Questo capitolo mi ha fatto penare più degli altri perchè non ero sicura di cosa volevo evidenziasse e non sono sicura tutt'ora di cosa davvero c'ho messo dentro.
Un po' di tutto, un po' di niente.
Siccome questa è una mini-long non potevo scrivere...che so un capitolo diverso per ogni mese che Isaac e Violet trascorrono distanti, quindi ho compresso il tutto ed ho sottolineato solo fatti interessanti o rilevanti che accadono a lei mentre è distante da lui.
Vediamo come all'inizio si sentano spesso e in diverse maniere e come poi, infine, la distanza li separa.
Tormenta con i dubbi lei e le da il colpo di grazia col silenzio di lui, che sembra voluto.
Poi, bum. Il colpo di scena.
Prima o poi dovevo ricongiungermi alla storyline originaria e perciò eccoci al punto in cui il mostro personale di Isaac viene fatto fuori e lui trasformato.
Quanto cambierà le cose con Violet il suo divenire licantropo?
Per scoprirlo non vi resta che continuare a seguirmi.
Al prossimo episodio, carissime lettrici dolciose :3 Vi adoro.
Un abbraccio.

Strange

   
 
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