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Autore: Columbrina    31/07/2013    1 recensioni
"Dove c'è stato il fuoco, restano le ceneri" disse Snow, quasi sussurrando. I muscoli del viso di Light già normalmente tesi in un cipiglio contrariato, sembravano esplodere da sotto il sottile strato di carne che si piegava all'ingiù, proprio come le sopracciglia somiglianti a due falci spioventi.
"Quello non era un fuoco. Era una fiammella durata giusto il tempo di una scopata" disse, con impeto, cercando di convincere la più infinitesimale briciola di scetticismo. Ma Serah e Noel sapevano che più la miccia è corta, più la dinamite è devastante.
[...]
“Spero manterrai il segreto”
Lei socchiuse lo sguardo e rise, arrendevole, senza scomporsi più di tanto.
“Ne sto già mantenendo due. Fai solo in modo che non diventi un’abitudine”
{Alternative Post - Final Fantasy XIII - 2
{Snow\Light
{Snow\Serah
{Noel\Serah
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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#Secret

 

Cosa credi che rimanga dopo la tempesta?

Mezzanotte inoltrata da un pezzo e la luce soffusa di un lume poggiato sul comodino accanto al divano, che ospitava la snella figura di una donna intenta a leggere con lo sguardo assonnato, sebbene il sonno vero e proprio tardasse ad arrivare. Ogni tanto grugniva perché non poteva sostenere il vigore notturno; il silenzio di una casa solitamente così affollata era sfiancante perfino per lei, educata al contegno marziale e a lapidarie frasi pronunciate al momento giusto.

Fuori, il cielo borbottava, soffocato dalle nuvole grigiastre che si addensavano l’una sull’altra fino a formare una vera e propria coltre che abbracciava la città marittima addormentata, facendo ribollire le onde, il cui suono minaccioso si sentiva anche all’interno della viziosa aria di quella casa che, secondo Lightning, arrivava fin nelle narici.

Lightning era il nome di quella snella donna stesa su un fianco sul divano al centro del soggiorno; aveva un viso talmente levigato che la luce soffusa del lume si rifletteva sulla pelle perlacea come se fosse una macchia di colore, adagiandosi deliziosamente sul profilo della mascella e del mento; i capelli rosati erano raccolti in una coda più alta e disordinata del solito, ma gli ricadevano a ciuffi ribelli sulla fronte, sfiorando gli occhi che guardavano le pagine ingiallite di un libro che soleva leggere suo padre nel tempo libero e che le aveva dato il giorno del suo ottavo compleanno insieme a un portafogli e un coltellino, andato perso in una scampagnata in un boschetto insieme alla sorella minore; non ricorda di averlo mai letto con tanta attenzione, ma si sentiva in dovere di tener viva quella piccola fiammella che ardeva gli occhi di suo padre quanto leggeva quel libro.

I suoi occhi azzurri sfrecciarono dalle parole a carattere piccolissimo alle lancette dell’orologio che troneggiava sull’unica parete nuda della stanza: mezzanotte e tre minuti.

Tempo di trovare una posizione più comoda.

Questa volta si sedette dall’altro lato del divano, venendo accolta dalla sua fresca morbidezza, mentre il pantaloncino della sua divisa notturna – come la chiamava buffamente Serah – salì, denudando un lembo di entrambe le cosce, poco poco, giusto per scoprire quel necessario mai eccessivo; teneva un gomito appoggiato sul bracciolo, sul quale riversava tutto il peso, e l’altro libero che reggeva buona parte del libro dalla copertina logora per le usure del tempo – perfino il titolo, una volta rilegato a caratteri dorati, aveva assunto una connotazione sciupata, come per integrarsi a quel vecchiume che si portava dietro da tempo.

“Non ci siamo ancora…” si disse silenziosamente, sbuffando e cambiando nuovamente posizione. Faceva caldo e il corpo era attraversato un formicolio che le prudeva ovunque.

Intanto, di fuori, le narici del cielo erano oppresse dal sentore di umidità delle nuvole, al punto che starnutirono fulmini e pioggia; di nuovo, distolse lo sguardo dalla pagina ingiallita e lo rivolse al vetro della finestra che rifletteva l’oscurità della Bodhum addormentata, quella città marittima che non osava dar segno di vita nemmeno con il rombo delle onde che si mischiava in modo piacevole a quello del cielo, che, invece, si ravvivava a intermittenza. Si diede il tempo solo di finire il capitolo e andare ad aprire la finestra giusto per liberare quella sensazione di claustrofobia che attraversava il suo corpo e imperlava la sua fronte, le sue ascelle e le sue gambe di sudore. Sentiva perfino la pioggia bussare contro il vetro, per avvisarla della sua presenza e lei non si sentì improvvisamente più sola.

Quando liberò l’aria viziata dalla sua schiavitù, sentì un refolo di umidità schiaffeggiarle le guance e il naso, mentre un brivido di freddo le percorse tutto il corpo, facendole tirare un sospiro di sollievo; chiuse gli occhi mentre si beava della fredda umidità che le faceva assaporare, per la prima volta dopo un po’ di tempo, nuovi odori. Da quando era stata congedata dal servizio militare, aveva preso l’abitudine di stare a casa e uscire solo per una passeggiata di ricognizione, per assicurarsi che fosse tutto tranquillo nella monotona città di Bodhum, ma non la infastidiva più di tanto perché a casa era sempre da sola e poteva spartire con se stessa le piccolezze di cui si era sempre privata, senza che nessuno la guardasse; odiava l’estate perché le ricordava quando fossero, in realtà, pigri e inetti i suoi coinquilini forzati. Tra tutti, poteva giustificare solo Snow perché era il promesso sposo di sua sorella e, quantomeno, racimolava un bel po’ di soldi con piccole attività e lavoretti che gli fruttavano un buon guadagno e la stima dei suoi concittadini; altra che poteva giustificare, forse, era Lebreau, che aiutava Serah a cucinare e avrebbe presto contribuito con i proventi del bar. Ma gli altri erano una vera e propria palla al piede, soprattutto Gadot che – sebbene fosse più sopportabile di Snow – aveva un fare tronfio e, a volte, rozzo che le faceva storcere il naso in maniera non indifferente: le bastava pensare alle sere in cui lui e Snow si piazzavano sul divano, suo secondo posto preferito, per guardare le corse dei Chocobo ed esultare o inveire a seconda dei casi con fare rozzamente mascolino; altra cosa che non sopportava di Gadot era proprio la sua morbosa devozione a Snow e la disgustosa condizione di docilità in cui era relegato, tanto che era divenuto quasi come suo accessorio. Odiava i parassiti che si addossavano alle personalità degli altri, solo per compensare la loro completa mancanza di carattere.

Con questi pensieri, tornò al centro della stanza e si abbandonò nuovamente sul divano, meditando sull’idea di iniziare un nuovo capitolo e leggerlo solo a metà; guardò il libro come in cerca di una risposta, ma era chiuso e impolverato dal suo fastidioso vecchiume, non le dava alcuno stimolo, era solo una presenza silente nella sua nottata insonne, una mera comparsa.

Per lo meno, era passato un quarto d’ora dalla mezzanotte e l’oppressione della tediosità insonne non si faceva più sentire, grazie agli spifferi di vento portati dalle onde e dalla pioggia che le arrivavano fino alla nuca.

Prese il libro tra le mani, studiandolo attentamente, desiderando che si aprisse di scatto e non per sua iniziativa in modo da sentirsi moralmente obbligata a iniziare il settimo capitolo e le parole potessero appesantire i suoi occhi fino ad addormentarla, senza che lei se ne accorgesse.

Rimase così, nella tediosa contemplazione del libro, fino a quando non sentì la gola bruciarle dalla sete.

Tirò un silenzioso sospiro di sollievo – quel tira e molla con i suoi istinti basilari la stava sfiancando – e si alzò in piedi, dirigendosi in cucina che, fortunatamente, non era poi così distante dal salotto; c’era un piccolo arco, una specie di soglia senza porta a dividere le due stanze, alto abbastanza che se si fosse alzata in punta di piedi a stento l’avrebbe sfiorato con le dita. Il frigorifero si stagliava dinanzi a lei; lo aprì e una luce ronzante si accese, squarciando la penombra della stanza e dandole un po' fastidio agli occhi, abituati alla soffusa luce che proveniva dal lume ancora acceso sul comodino del soggiorno. Nel cercare la bottiglia d’acqua teneva le gambe rigide e il pantaloncino enfatizzava bene le rotondità femminili di cui disponeva, ma che aveva sempre nascosto sotto abiti militari e un atteggiamento ringhiante verso qualunque tipo di avance – e Snow lo sapeva meglio di chiunque altro – che non si confacevano per niente a un potenziale così grande come il suo: Claire Farron è sempre stata una ragazza piacevole a guardarsi, obiettivamente, ma lei ha vissuto come se questa bellezza fosse solo un accessorio impostole da Madre Natura; non che non ne fosse consapevole, ma non ci aveva mai dato molto peso, infatti apparire bella agli occhi degli altri era l’ultimo dei suoi problemi con una sorellina piccola da accudire e un fardello da portare avanti. Stava per mandare giù un sorso, ma la prontezza dei suoi istinti trafugò una presenza che la osservava con insistenza, che contemplava quel momento in cui la bellezza era emersa senza pudore, quel piccolo, infinitesimale istante in cui non aveva il pieno controllo di se stessa e desiderava solo placare la sete. Si girò prontamente, con sguardo arcigno, e un po’ si stupì nel vedere Snow appoggiato allo stipite dell’arco che separava il soggiorno e la cucina; ci entrava a malapena, quanto era alto. Fortunatamente, non girava a petto nudo come il resto dei giorni estivi, ma indossava dei semplici boxer e una maglietta abbastanza aderente da farle chiedere se avere tutti quei muscoli pesasse più del senso di colpa di non avere una materia grigia.

Lo guardò proprio come un bambino insolente fa quando sente la minaccia incombere verso di lui, ma non era il caso di svegliare tutti in casa per un possibile malinteso. La voglia di sferrargli un pugno su quel sorriso lievemente ombrato dall’accenno di barba, però, era tanta.

“Che ci fai in piedi?” si limitò a dirgli, con la bottiglia ancora in mano e il solito tono neutrale, tagliente al punto giusto “Non mi pare che tu sia sonnambulo”

“Potrei farti la stessa domanda se non sapessi che non vai mai a dormire prima dell’una” rispose prontamente lui, sempre poggiato allo stipite “Comunque, sono venuto per bere una sorsata d’acqua; sto morendo di sete. E poi, non ho tanto sonno”

Con un gesto spontaneo, Lightning gli porse la bottiglia d’acqua già aperta: alla luce ronzante del frigorifero – che creava una specie di gioco di ombre su di lei – si notava meglio quella venatura malinconica che attraversava il suo sguardo e che aveva notato sul suo volto poco fa, assente del solito ghigno sorridente che solitamente sfoggiava. Lui le fu silenziosamente grato e bevve a gran sorsate, arrivando a consumare quasi metà bottiglia.

Avrebbe voluto dirgli “Lasciane un po’ anche a me, eroe”, ma dalla malinconia che trapelava dal suo sguardo e dalla fretta con cui consumava la bottiglia, capì che era meglio non fare domande; qualunque cosa fosse, disarmava l’inguaribile ottimismo di Snow e ciò era preoccupante.

Snow finì di bere, sospirando rumorosamente e, sollevato dalla sensazione fresca che esplose nella sua bocca, porse di nuovo la bottiglia a Light.

“Grazie”

“Figurati” disse, telegrafica. Non sentiva il bisogno di andare oltre.

Stava per portarsi la bottiglia alla bocca, sentendo già a fior di labbra i rimasugli di saliva di Snow, quando egli stesso la fermò.

“Ehi, sorellina…”

“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così”

“Che c’è, Snow?”

“Cosa fai per passare il tempo la notte?”

Lightning elargì un mezzo sorriso.

“Hai intenzione di non dormire?”

“Serah si
sentirà sola”
avrebbe potuto dire, ma lei lo conosce da troppo da non capire che è Serah il motivo della sua improvvisa voglia di fare le ore piccole.

“Avevo intenzione di dormire sul divano. Con questo caldo, dormire in due è un po’ asfissiante”

“Mi pare non sia stato un grande problema finora” si lasciò sfuggire, irrigidendosi un po’. Si riprese solo perché voleva reprimere a se stessa quel senso di colpa che era nato alla bocca dello stomaco.

Snow, comunque, rise, iniziando a frizionare con la mano destra i capelli che ricadevano dietro la nuca, così simili a quelli che portava di giorno, dando l’impressione che non si pettinasse mai.

“Avere dei segreti fa bene. E io e te ne sappiamo qualcosa” disse lui, facendola irrigidire un po’ “Una coppia non può condividere tutto, tutte le notti e tutti i giorni. A volte, bisogna stare da soli per meditare su cose che non ti riuscirebbero bene se sentissi la presenza dell’altro accanto a te”

“Questo solo quando c’è qualche problema”

Touché in pieno cuore; a Snow riusciva difficile nascondere determinate cose, sebbene nessuno avrebbe mai capito davvero quelle piccolezze che balenavano nei suoi occhi in cui annacquava il più bell’azzurro che qualcuno avesse mai visto.

Si massaggiò il collo e sospirò, giusto per districare la tensione; il bisogno di parlare era tanto e l’orario non contribuiva al suo autocontrollo già precario.

“Mi sa che chiederò a Gadot di farmi spazio nel suo letto”

“Oppure potresti semplicemente parlarne. Snow, davvero, so riconoscere quando c’è qualcosa che non va; io e te siamo simili su questo punto di vista e preferiamo tenerci tutto dentro, non sapendo che i nostri comportamenti feriscono le persone che ci circondano. Se ne parli, potresti sentirti meglio e ciò gioverà sia a te che all’atteggiamento che avrai verso Serah”

“Che atteggiamento avrei, secondo te?”

“Nessuno. Te ne infischieresti di nulla, mentre lei potrebbe stare ancora a pensarci o, peggio, stare al tuo gioco. In questo modo, ne soffrireste entrambi e non mi piace vedere il volto di Serah scontento. A nessuna sorella piacerebbe. E io ti conosco abbastanza bene da pensare che basterebbero queste piccolezze a sfasciare il rapporto che avete costruito in questi anni e che ho maledettamente accettato, sebbene stenta ancora a credere che tu sia l’uomo giusto per lei”

“Grazie tante” disse lui, scherzandoci su come al solito.

 Lightning sapeva che lui – in fondo – cercava disperatamente solo la sua approvazione “Comunque, io e Serah abbiamo avuto una piccola discussione, ma ci siamo chiariti… Almeno credo. Poi questo tempaccio mi ha svegliato, ho guardato Serah per vedere se fosse sveglia anche lei, ma il suo volto addormentato e beato, invece di rassicurarmi, mi ha riportato a quando avevamo discusso e alle increspature della fronte di quando è un po’ arrabbiata, contrariata forse. Comunque, è successo tutto per un motivo stupido e mi viene da ridere solo a pensarci. Le ho detto – così, con molta calma – di aver invitato Noel a stare da noi per qualche giorno, credendo che ne sarebbe stata felice, ma…” si fermò.

“Ma cosa, Snow?” lo incalzò Light “Ha dato di matto?”

“No, no, cioè… Non all’inizio, almeno. Ha sorriso e ha detto che era contenta e io le ho creduto. Poi sono andato in bagno per… Sai, no?”

“Risparmia i dettagli”

“Sì, scusa, hai ragione. Comunque, ritorno dal bagno e la vedo seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto e le chiedo cosa ci sia che non va. Lei ci mette un po’ a notarmi e a rispondermi e quando lo fa, mette su il suo splendido sorriso e dice che va tutto bene; non mi va di irritarla con le mie domande e faccio finta di niente. Le dico che sarei andato a fare una passeggiata, così esco dalla porta, ma la preoccupazione ha la meglio e rientro di nuovo; lei mi guarda come se avesse visto un fantasma e, senza che potesse dire nulla, le chiedo di nuovo cosa c’è che non andava. Allora, invece di sorridere, si incupisce e acciglia lo sguardo, stringendo i lembi del pantalone. Mi dice che non dovrei prendere certe decisioni senza prima consultarla e che agisco in modo sempre molto avventato, senza dar peso ai sentimenti degli altri”

Come darle torto,pensò Light.

“Le dico di calmarsi… Insomma, sai come sono, cerco di articolare un discorso sensato e mi escono solo monosillabi e stupidaggini; lei, giustamente, si arrabbia ancora di più, ma cerca di calmarsi subito. Respira un po’ e poi mi chiede entro quanti giorni sarebbe venuto Noel… E, allora…”

Snow, visibilmente a disagio, prese a grattare di nuovo i capelli che gli ricadevano disordinati sulla nuca; il piglio di Light che lo incalzava a sbrigarsi, non era certo un incentivo ottimista. Tergiversò un po’ troppo a lungo su quegli allora e solo dei grugniti sommessi di Light lo incalzarono a continuare.

“Le rispondo che sarebbe venuto tra due giorni, cioè dopodomani. Inutile dirti che è andata su tutte le furie. All’inizio ho cercato di calmarla, poi ho deciso di stare zitto e lasciarla sfogare”

“Era il minimo. Ma insomma… Come ti è venuta in mente una cosa del genere? Con quello che è successo tra loro, è normale che Serah reagisca così”

“Questo lo so anch’io, ecco perché non le ho detto nulla. Ma è da più di due mesi che va avanti così ed è da più di due mesi che Serah tenta di dissimulare una tranquillità interiore che non ha. Sappiamo tutti e due che è una ragazza molto fragile, dal cuore buono e non si sognerebbe mai di allontanare una delle persone più care a lei. Ma anche lei ha un suo orgoglio e non le piace essere sottovalutata, perciò si finge forte quando forte non è”

Lightning guardò quella venatura di malinconia espandersi a macchia d’olio nei suoi occhi, come se fosse consapevole di stare sbagliando tutto con lei nel proteggerla e non farla mai soffrire: avevano ripreso da poco il controllo della loro quotidianità e già aveva spezzato la promessa di non farle versare più una lacrima. Bella partenza, era il suo pensiero, forse.

“A me pare che sia stata forte, così tanto da provarci. Che sia riuscita o meno è un altro discorso”

Alle parole dure di Lightning, Snow abbassò lo sguardo come non aveva mai fatto: era la prima volta che i loro occhi non si incrociavano in modo così forzato. Lei strinse le mani intorno alla bottiglia, che scricchiolò con uno stridio graffiante.

“Però…” fu quella parola a ravvivargli di nuovo lo sguardo “Tu non sei da meno. Hai avuto il coraggio di fare tue iniziative che il suo orgoglio le impediva di prendere; hai avuto forza di perdonare lui e quello che c’è stato. Non me l’aspettavo, eroe

Snow tirò su col naso, assumendo l’espressione tronfia di chi aveva il successo nel sangue, la sicurezza di fare suoi i sentimenti degli altri e di custodirli gelosamente senza mai sciuparli. Si scambiarono un brevissimo sorriso prima che Lightning si portasse, finalmente, la bottiglia alla bocca, bevendo quel poco lasciato da Snow, sufficiente a dissetarsi; i rimasugli delle labbra di Snow erano ancora freschi: aveva scordato di pulire la bottiglia. Insieme all’acqua, sentì scendere quella sensazione di umido di quando ci si scambia un bacio. Chiuse il frigorifero e rimasero avvolti da una parziale penombra; la luce del lume in soggiorno era sufficiente a creare un gioco di ombre rossastre sui loro corpi e sui loro visi.

Di fuori aveva smesso di piovere da un pezzo, le chiacchiere avevano coperto lo scrosciare dell’acqua e gli occhi di Snow avevano preso a pulsare dal sonno, mentre quelli di Light erano solo leggermente appesantiti dall’oscurità drastica. Lui sbadigliò sonoramente, facendole roteare alcuni meccanismi intestinali, irritandola non poco.

“Ho di nuovo sonno ora. Mi ha fatto piacere parlare con te, sorellina”

Dalla sua bocca fuoriuscì un sospiro sordo e breve, che tirava fuori ogni volta che lei e Snow si trovavano sul punto di scoprirsi sempre più complici e familiari.

“Dovere”

Era sul punto di salire le scale, quando elargì un sorriso furbesco, che si confaceva di più alla sua faccia tosta.

“Spero manterrai il segreto”

Lei socchiuse lo sguardo e rise, arrendevole, senza scomporsi più di tanto.

“Ne sto già mantenendo due. Fai solo in modo che non diventi un’abitudine”

“Ah, ma non sei da sola. Stiamo mantenendo due segreti insieme”

Fu quando vide l’ombra riflessa sulla parete scomparire nella penombra del secondo piano, quando sentì i suoi passi farsi sempre più flebili che Light poté finalmente abbandonarsi alla rinnovata frescura del divano in soggiorno. La finestra era ancora aperta e quando uno spiffero le raggiunse la nuca, si toccò istintivamente il collo, come se qualcuno l’avesse sorpresa alle spalle.

 

 

 

 

Synthesis

 

Esordisco con una storia che sarà abbastanza lenta da costruire, specie considerando il fatto che le immagini di questi due personaggi in particolare – che tratterò con estrema cura – sono mutevoli quasi quanto il clima di Marzo.

Sin dai primi approcci con Final Fantasy XIII, sapevo che c’era qualcosa di speciale nel rapporto tra Snow e Light, nel tono confidenziale che lui usava quando la chiamava “sis”, nell’esitazione di lei di fronte al suo disarmante ottimismo e all’altrettanto disarmante somiglianza tra Snow e il padre di lei – un particolare aggiunto nell’Episode Zero – e hanno avuto il loro momento clou a Gran Pulse, quando lei dà sfogo a tutte le sue fragilità, piangendo e avvicinandosi al tanto agognato contatto definitivo.

Snow e Light custodiscono un segreto. O meglio, si sono appropriati di un segreto che era di Serah e Noel: la causa dei turbamenti interiori che scombussolano la casa.

Insieme, ne custodiscono un secondo, di ignota natura che – spero – di sviluppare più avanti attraverso flashback e ricordi vari perché non ho intenzione di ridurmi alla fine. Vorrei che i lettori scoprissero le nature di questi segreti progressivamente e non tutto in una volta: diciamo che questo è il mio personalissimo obiettivo.

 

Ad ogni modo, non posso non rivolgere ringraziamenti VIVYssimi alla mia compagna di pensieri Neve Fulminantosi – il nome con cui noi dell’Eyes On Me designiamo la coppia formata da Snow e Light – ovvero Vivy Lockheart.

E a colei che ha, con il suo personale apporto, incentivato la mia ispirazione con una storia bellissima, sempre su Final Fantasy XIII: la magnifica _alister.

 

 

Non ho altro da aggiungere, perciò spero di aver deliziato in minima parte la vostra serata, il vostro pomeriggio, la vostra mattinata o qualsiasi altra parte del giorno in cui oserete adagiare il vostro sguardo temerario su questa storia che si prospetta abbastanza tornita.

 

S.

   
 
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