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Autore: MadAka    31/07/2013    2 recensioni
"Hei no! E' solo il mio coinquilino..."
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di rincasare passarono parecchi minuti. Me ne ero rimasta giù, davanti all’ingresso del condominio, indecisa sull’espressione che avrei potuto assumere una volta varcata la soglia di casa. Mi ero scoperta più preoccupata del previsto riguardo a quello che aveva da dirmi Taylor,  anche se magari mi stavo facendo mille problemi mentali inutilmente. Insomma, se fosse stato qualcosa di veramente grave, importante o che riguardasse me in prima persona me lo avrebbe detto, no? Poteva anche essere dovuto al fatto che aveva scoperto di avere le emorroidi, infondo sono fastidiose….ok, non aveva senso!
Tuttavia ero agitata, immotivatamente agitata, tanto che mi ero messa a fumare una sigaretta prima di rincasare, cosa che non facevo mai perché volevo evitare di puzzare di fumo al mio rientro, infatti mi ritrovai a saltellare come un’idiota nella speranza di riuscire ad allontanare un po’ di quell’odore, ma senza risultati apprezzabili.
Alla fine mi arresi e mi avviai al mio appartamento, aprii la porta e trovai il televisore acceso sul canale sportivo, consuetudine in casa nostra, ma che da un po’ di giorni non accadeva più, sostituita da un Taylor vagamente depresso e malinconico.
-Ciao- lo salutai appena mi chiusi la porta alle spalle.
Lui comparve da dietro la parete dell’angolo cottura e mi salutò con un sorriso e un gesto della mano, per poi tornare a concentrarsi sui fornelli mentre ascoltava il giornalista che riassumeva, male, la partita appena conclusa.
Aspettai un paio di secondi prima di rendermi conto che non mi avrebbe detto niente di niente, in quel frangente, riguardo ciò che gli stava accadendo e mi diressi in camera mia per indossare qualcosa di più comodo.
Quando rispuntai in soggiorno lui mi fece cenno di sedermi e mi porse la cena.
Mangiammo contornando il tutto con un discorso consueto, cioè di come era andata la giornata lavorativa e su che novità ci fossero in giro per la città. Mi ritrovai anche a raccontargli di Roger. Ormai non aveva più senso non raccontargli cose del genere. Avevo accantonato la questione “Roger” e gli ultimi avvenimenti in quei due giorni me ne avevano dato una conferma e in fin dei conti la persona a cui stavo dicendo tutto quanto era Taylor. Non lo vedevo più solo come il mio coinquilino, ma come qualcosa di più importante e non solo per i sentimenti che avevo cominciato a provare per lui di recente. Convivevamo da quasi un anno e avevamo fatto amicizia talmente tanto in fretta da far sembrare quel periodo di tempo il doppio di quello che era in realtà. Conoscevo i suoi gusti musicali, le cose che gli davano fastidio, il colore che preferiva, la marca di birra che beveva e i programmi televisivi che detestava e la stessa cosa valeva per lui riguardo a me. Non mi era mai capitato di legare così tanto con qualcuno in così poco tempo, nemmeno con Tess e Chris, per questo volevo sapere che cosa gli stava succedendo, in modo da provare ad aiutarlo.
A fine pasto andò a prendere una birra in frigo, chiedendomi se ne volessi una anche io, ma rifiutai.
Quando tornò a sedersi, di fronte a me, calò un silenzio surreale che venne spezzato solo dalla sua birra che veniva stappata.
Rimasi a fissarlo mentre prendeva il primo sorso dalla bottiglia.
-Allora?- chiesi infine, curiosa e preoccupata allo stesso tempo.
-Sa di birra, ne vuoi un goccio?-
-Non fare il finto tonto, sai benissimo di cosa parlo, non avevi detto che stasera volevi parlarmi di quello che ti sta succedendo?-
Sorrise: -Non dimentichi proprio niente, vero?-
-No e tu lo sai. Se volevi evitare di raccontarmelo sperando che mi dimenticassi di questa faccenda hai proprio sbagliato... e sappi che ho usato una terminologia educata-
-Che non è quella che ti era venuta in mente, immagino-
-No, infatti-
Si mise a ridere un momento e bevve un altro sorso di birra.
-Allora, Taylor? c’è qualcosa che dovrei sapere?-
Sospirò, non sapevo se per colpa mia o della sua “confessione”, ma lo fece:
-Sì, c’è qualcosa che devi sapere…-
Mi parve che il tempo si bloccò, o qualcosa del genere. Sapevo soltanto che il mio cuore aveva cominciato a battere all’impazzata mentre il mio cervello sperava, invano, che il mio coinquilino dicesse frasi fatte da film su sentimenti che aveva capito di provare per me. Di certo io non sarei riuscita a dire niente, troppo persa nei suoi scurissimi occhi.
Cercai di apparire disinvolta:
-Spara- dissi soltanto.
Lui si passò una mano fra i capelli, con fare quasi infastidito, capii che qualunque cosa aveva da dirmi lo innervosiva per qualche motivo.
-Non so esattamente come spiegarlo, è la prima volta che mi capita una situazione del genere-
Ok, ora ero ancora più agitata!
Rimasi a guardarlo mentre cercava le parole, posando gli occhi su ogni singolo oggetto della nostra cucina e bagnandosi le dita con la condensa della birra.
Prese fiato prima di parlare:
-A lavoro mi hanno proposto di fare un master, o una cosa del genere, non ci capisco molto con tutti questi termini. So solo che dopo potrò realmente fare il grafico e non più solo l’assistente-
Le mie fantasie scoppiarono tutte, in un sonoro puff! Spontaneamente spalancai la bocca e mi ritrovai piuttosto delusa dalla sua affermazione.
Perché un master, o una cosa del genere (infondo con le sue spiegazioni ci capivo poco anche io), lo aveva preoccupato tanto in quest’ultimo periodo, di cosa diavolo aveva paura, di diventare troppo bravo? Era assurdo.
Mi accorsi che mi stava guardando e mi svegliai:
-Bè, ma è fantastico! E non sei contento?-
-Sì, direi di sì. Solo che… dura quattro mesi-
-Immagino che sia molto importante allora, visto quanto dura. Insomma, ok che hai già le carte in regola per fare il grafico e infatti non capisco perché ti costringano a fare questo corso, però se l’azienda vuole che tu lo compia e poi potrai fare finalmente quello che ti piace veramente, trovo stupido lasciarsi perdere questa occasione, o no?-
Mi guardò un momento. Mi sembrava ancora preoccupato e davvero non riuscivo a capire perché. Era stato sul punto di licenziarsi da quell’azienda perché lo avevano messo a sistemare i lavori di altri e ora, invece, gli stavano dando la possibilità di lavorare con i suoi progetti, doveva solo resistere quegli ultimi quattro mesi.
-Taylor ma c’è qualcosa che ti preoccupa di questa storia? Voglio dire: hai paura di sottoporti a questi quattro mesi di insegnamenti inutili, per te, e poi tornare a fare lo stesso lavoro di sempre?-
Alzò lo sguardo di scattò, sorpreso:
-No, questo no. Mi hanno già detto che quando avrò finito sostituirò Johan, che va in pensione-
-E allora perché hai quella faccia?-
-Il corso o chiamalo come ti pare, non è alla sede centrale, qui, ma nella filiale-
-Che sarebbe dove? A Brooklyn?-
-A Pittsburgh-
Venni attraversata da una fitta assurda e non riuscii a dire niente. Mi tornò in  mente il giorno in cui Roger mi disse che se ne sarebbe andato e vidi nella conversazione che stavo avendo con Taylor in quel momento, l’esatta fotocopia di nove mesi prima.
Che cazzo! Non aveva senso! Possibile che nella mia vita non ne filasse decentemente una? Era colpa del karma per caso? Oppure la mia vita era semplicemente una sceneggiatura scadente scritta da qualcuno di veramente infame?!
Riuscii a formulare una frase di senso compiuto dopo una serie di rumori senza senso:
-Pittsburgh? Stai scherzando? Quanto cavolo dista? Mille chilometri?!-
-Precisamente non lo so, ma sono circa sei ore di viaggio.Ho guardato su internet…-
Stavo per dire qualcos’altro di sconnesso e dal tono isterico, ma lui mi precedette, con voce rassicurante:
-Jane, sono solo quattro mesi, poi torno qui, tranquilla. Sapevo che la notizia ti avrebbe agitata un po’, per questo non sapevo come dirtelo…-
Mi avrebbe agitata?! Ovvio che la cosa mi avrebbe agitata!
Il mio coinquilino, che da un po’ speravo non rimanesse solo tale, se ne andava per quattro mesi in una città che non era New York, come poteva non agitarmi la cosa?
Dovevo far qualcosa, anche se non sapevo esattamente cosa e dissi la prima frase che mi passò per la testa:
-E l’appartamento? Come faccio senza di te se te ne vai?-
“Chissenfrega dell’appartamento!”
-Ci ho già pensato ad una soluzione, devi solo dirmi se ti è congeniale-
-Sarebbe?-
-Ti pago l’affitto per tutto il tempo che starò via, così non dovresti avere problemi e io potrò tornare qui appena finito a Pittsburgh-
Ok, sì, l’idea aveva senso, ma in quel momento l’appartamento era l’ultimo dei miei pensieri.
Abbassai lo sguardo e rimasi in silenzio, senza sapere esattamente che cosa dire.
Tutta quella situazione mi stava confondendo, parecchio. Non aveva il minimo senso e io mi sentivo presa per il culo da forze avverse. Cos’era? Colpa mia? Appena iniziavo a provare sentimenti per qualcuno quello doveva andarsene?
Taylor sarebbe tornato, sì, ma per uno come lui quattro mesi erano sufficienti per trovarsi una donna, magari proprio quella giusta. Faceva amicizia e colpo talmente in fretta che non mi sarei sorpresa se, il giorno del suo ritorno, mi avesse presentato una dicendomi: “Lei è la mia nuova ragazza”.
Merda! Non riuscivo a trovare un’altra parola per descrivere quella situazione.
-Jane senti, ho dovuto accettare, non avevo scelta. Anche a me dispiace parecchio andarmene. Credimi, non ne ho voglia-
Lo guardai. A giudicare dal suo sguardo forse era vero che non gli andava, ma perché? Era la sua buona occasione.
-E perché scusa? È la tua occasione Taylor, saresti stupido a fartela scappare, dopo che sei rimasto dei mesi a fare qualcosa che non ti piace…-
Si grattò il collo e diede un’occhiata all’appartamento:
-Onestamente la trovo un po’ una presa in giro. Sanno di cosa sono capace, non capisco perché pretendano che io segua quello stupido corso. È come se volessero allontanarmi…-
Si passò entrambe le mani sul viso, sospirando:
-Lasciare New York è l’ultima cosa che voglio. Non voglio lasciare questo appartamento, non voglio lasciare te…-
Il mio cuore saltò un battito a quelle parole e lo guardai più sorpresa del solito.
Quando lui si tolse la mani da davanti al suo viso puntò i suoi occhi scuri su di me. Quello sguardo stava diventando una maledizione, ogni giorno, sempre di più.
Rimanemmo a guardarci in silenzio. Era il momento giusto, quello che dovevo afferrare al volo per dare a lui una motivazione per non andarsene e rimanere con me, per dargli la mia motivazione.
Ma i momenti come quelli non durano mai più di brevissimi istanti e io non feci in tempo ad afferrarlo, neanche quella volta.
Guardammo entrambi la porta dell’appartamento quando, in quel silenzio, suonò il campanello.
 
 
 
  
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