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Autore: l0velyunicorn    01/08/2013    10 recensioni
5 gennaio 1998
Quando ti ho incontrato i fiori hanno iniziato a crescere nella parte più oscura della mia mente.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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8 gennaio 1998


“Allie.” Mi sentivo chiamare da lontano, una voce conosciuta, una voce che avrei riconosciuto fra mille. Quella di mia madre.
Avevo aperto gli occhi all’improvviso, come se non ci fosse stato tempo per riposarli ancora.
Una lacrima aveva percorso il mio viso fragile e pallido: “Sono viva.” Avevo pensato.
Perché ero sopravvissuta? Perché ero riuscita a ritornare fra la gente normale? Perché tutto a me?
Mia madre si era buttata addosso a me, abbracciandomi così forte da farmi mancare l’aria: “Perché l’hai fatto?” Ero rimasta immobile, si sentiva solo il cuore battere
Il dottore mi aveva preceduto: “Come stai Allie?” intanto controllava una cartella dove c’era scritto il mio nome e cognome e il numero della stanza. Stanza numero 11.
“Bene.” Avevo mentito spudoratamente.
“Bene, certo, fra due ore la psichiatra verrà in questa stanza. Buon risveglio. Ah, lei si trova in un ospedale psichiatrico” E se ne era andato via.
Ospedale psichiatrico? Cosa? Perché non ero morta?
Eravamo rimaste io e mia madre: “Perché l’hai fatto?” mi aveva chiesto dolcemente.
“Non ne voglio parlare, ho bisogno di camminare.” Sbuffai, non sopportavo quelle domande, non c’era un motivo preciso, ero stanca di vivere.
Scesi dal letto, misi le ciabatte che si trovavano alla mia destra e poi avevo detto: “Vado a fare un giro.” Volevo uscire da quella stanza a tutti i costi, mi sentivo soffocare.
Da sola percorsi quel corridoio di matti, gente che urlava, gente che si teneva le mani fra i capelli, gente che parlava da sola, gente che danzava senza musica, gente che tremava.
Avevo guardato in svariate stanze, ma quando ero arrivata all’ultima avevo visto un ragazzo, sdraiato sul letto, con le braccia conserte e le gambe incrociate che guardava il vuoto. Era perso. Girò il suo viso su di me, io incontrai i suoi occhi e lui incontrò i miei. Erano così belli e grandi, paragonato al resto del mondo era qualcosa di innominabile.
“Tu chi sei?” avevo sentito la sua voce calda trapassarmi le orecchie. Subito dopo mi aveva sorriso.
Avevo notato i suoi occhi color nocciola, i suoi capelli color grano, e oh il suo sorriso.
Ero subito corsa via, ero scappata. Non era la prima volta che scappavo da un ragazzo. Era successo con Lucas, aveva provato a parlarmi ma lui non aveva fatto in tempo a dirmi “ciao” che io ero già scappata. Poi successe con John la stessa cosa. E con molti altri ragazzi. Ero strana.
Non ero capace di parlare con i ragazzi, in realtà non sono mai stata capace di parlare con nessuno, nemmeno con mia madre.
Questo era uno dei miei problemi del perché ero finita in quel posto. Parlare era una cosa essenziale ed io non la usavo mai come fonte.
Ero tornata nella mia camera, ripensavo a quegli occhi color nocciola e a quel sorriso che mi aveva fatto stare bene.
Avevo passato due ore intense a pensare a quel ragazzo, a volte lo vedevo che passava dalla mia stanza a volte girava lo sguardo su di me, a volte andava a testa alta senza neanche voltarsi verso di me. Era strano, non per questo era in un ospedale psichiatrico.
Alle 12:00 arrivò la psichiatra nella mia stanza, incominciò a farmi delle domande.
“Dove ti trovi?”
“In un ospedale psichiatrico.”
“Perché?” quelle domande mi avevano già stancato, mi stavano uccidendo l’anima. Non risposi, mandai giù ogni risposta.
“Io sono qui per farti parlare, per aiutarti, ma se non lo fai, io non lo posso fare. Dobbiamo aiutarci a vicenda capisci?”
“Lo so, ma è difficile.” Mi stavo torturando le mani, tutte sudate.
“E’ stato difficile chiedere aiuto, ma tu l’hai fatto e questa è una buona cosa.”
La dottoressa fu impassibile, nessun sorriso, niente di niente. Sembrava facesse il suo lavoro..forse. Ma un sorriso non guasta mai, come quello del ragazzo alla stanza numero 20.
“Io non ho chiesto aiuto, volevo solo mettere fine alla mia vita.”
“Perché?”
Perché, perché, perché. Li ho sempre odiati questi perché. Non c’è un perché, l’ho fatto e basta. Ero piena di tutto. Ero viva ma senza via d’uscita. Ero viva, ma morta dentro.
“Perché mi andava.” Solita frase idiota, quando non sapevo mai cosa rispondere, rispondevo così.
“Ritornerò domani, magari avrai voglia di parlare di più di quello che senti veramente. Arrivederci signorina Allie.”
“Arrivederci.” Sbuffai di nuovo, quelle persone mi stavano irritando, non ho bisogno di un dottore per farmi capire che c’è qualcosa che non va.
Dovevo alzarmi e andare a fare un giro, stavo impazzendo in quella stanza chiusa, mi sentivo soffocare.
Vedevo le solite persone di sempre, che facevano le stesse azioni e pensai: “Forse anche io sono così.”
Guardavo attorno a me e mi sentivo una di loro. Una a cui gli mancasse qualche rotella.
Ero troppo impegnata a guardarmi attorno che non avevo guardato davanti a me. Mi sentii scontrare contro qualcuno, all’inizio non ci avevo capito niente di niente. No in realtà non avevo capito niente sin dall’inizio. Però mi ero imbattuta in quegli occhi, così profondi, così belli.
“Scusami.”
“Guarda avanti la prossima volta.” Mi aveva risposto con un sorriso.
“Ero impegnata a guardare le persone andare di matto.”
“Tu fai parte di loro. Come me.”
“Forse.”
“Io sono Justin.”
Ero persa, cavolo se ero persa in quegli occhi.
“Come?”
“Loro mi stanno dicendo che non sei una buona idea, io.. me ne devo andare.” Si mise le mani fra i capelli, strizzando un po’ gli occhi dal dolore che lo pervadeva.
“Loro chi?” ero confusa, spaventata.
Se ne andò senza rispondere, senza dirmi chi o cosa erano.


author's note
In questo capitolo ci sono delle svolte, allie incontra Justin
in un ospedale psichiatrico. Scrivo questa storia perché:
1. Nessuno ha mai scritto una cosa del genere;
2. Parla di me.

Spero vi piaccia e spero anche che la seguiate perché questa fan fiction è la mia vita.
su twitter @imcookwhores

  
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