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Autore: chorizo1    01/08/2013    1 recensioni
Come sarebbe una vita da personaggio; non essere altro che un insieme di lettere ed un'immagine sfuocata? Sicuramente non una facile e se ci aggiungiamo un autore indeciso la cosa non può finire bene: avventure nella giungla, nello spazio o in un universo fantasy. Vicende stressanti che mettono a dura prova la pazienza del protagonista che presto o tardi si stancherà di sottostare alle regole del suo ideatore.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un altro giorno di pioggia, tanto per cambiare … Normalmente mi sarei rallegrato vedendo questo tempo grigio ma, dopo due settimane, di questa solfa non se ne può proprio più. Certo che avvenimenti del genere per quanto possano sembrare piccoli ed insignificanti ai più, portano qualche lezione nuova. Per esempio ho scoperto che il mio caro giubbotto giallo non è impermeabilizzato così bene come credevo e la mia felpa sembra amare così tanto la gelida acqua piovana da non poter fare a meno di inzupparsi all’inverosimile. Gli scarponi invece sembrano ottimi in questo frangente, proprio come sostenevano quando me li hanno venduti, anche se una suola isolante di due centimetri non è molto efficace quando il fango ti arriva alle caviglie.
Si può comunque soprassedere a certi dettagli insignificanti proprio come si può evitare di discutere sull’intelligenza di chi decide di andare a far campeggio da solo in una montagna isolata in uno dei mesi più piovosi dell’anno. Certo ora sono bloccato in mezzo al nulla ed a forte rischio ipotermia però posso godermi la natura incontaminata; natura che a quanto pare sa perfettamente come trovarsi un rifugio caldo e sicuro durante certi periodi. Pure gli alberi sono praticamente spogli e le larghe foglie che avrebbero potuto farmi da riparo sono ora a terra formando uno scivolo naturale che accompagna l’acqua fino a valle insieme a tutto ciò che essa può trasportare, tipo ieri la mia tenda.
Rimane il fatto che comunque ora sono qui appoggiato ad un gigantesco parafulmine in legno in attesa di qualcosa, ma che cosa? I soccorsi posso anche scordarmeli visto che non ho avvertito nessuno della mia grande idea. A casa nessuno mi aspetta quindi difficilmente si accorgeranno della mia assenza, magari la mia fidanzata; ex-fidanzata nonché il mio capo a lavoro … ex-capo del mio ex-lavoro. A volte viene da chiedersi se è la fortuna che si accanisce o se magari potrebbe essere colpa mia.
Comunque sì, avete indovinato: questa scampagnata è la diretta conseguenza della rottura con la ragazza sopracitata. Non chiedete il perché visto che è una storia lunga e francamente ora non ne ho proprio voglia di discuterne. Però qualcosa dovrò pur fare dato che la situazione non cambierà tanto presto a mio favore se non mi impegno a tirarmene fuori. Potrei cercare un riparo tra le rocce tanto per cominciare e poi trovare il modo di riscaldarmi; anche se sarà difficile riuscire ad accendere un fuoco con legna umida.
Ad interrompere i miei pensieri ci pensa un fulmine che cade ad un centinaio di metri da me e mi rivela quanto io abbia torto a pensare di non poter in alcun modo accendere un falò in quelle condizioni. Corro a perdifiato verso valle senza pensarci, il che potrebbe salvarmi la vita dall’incendio. Mi ricordo del particolare terreno su cui mi trovo appena esco dalla fanghiglia per trovarmi sullo scivoloso letto di foglie e mi fermo.
“Fermo” è una parola che in questo caso và interpretata poiché smetto di correre ma non rallento; questa situazione mi ricorda tanto la mia prima volta sui pattini nella pista che avevano installato nel mio paese e mi ricordo che non era finita molto bene dato che avevo preso in pieno una persona. Oggi però mi sentirei davvero fortunato a centrare un’altra persona dato che qui ce ne sono così poche, a differenza degli alberi. Altra differenza tra questi due episodi è che sulle piste di pattinaggio non ci sono sassi su cui si può atterrare pesantemente con l’osso sacro.
Qualche secondo per riprendermi e poi mi alzo scricchiolando; a quanto pare le mie ossa non hanno gradito questo spettacolino. Non vedo il rossore del fuoco quindi proseguo con calma a piccoli passi prevenendo altre rovinose cadute tenendomi stretto alle piante come un naturalista convinto. In questa giornata delle rivelazioni mi mancava di scoprire che pure i vegetali a volte fanno fatica a rimanere in piedi nel fango.
Riesco ad evitare il grosso tronco buttandomi di lato. Mi ritrovo con la faccia completamente sporca e con il mio caro giubbotto ricolorato in modo da essere perfettamente in armonia con l’ambiente circostante. Sarebbe una buona cosa se stessi facendo il campionato mondiale di nascondino, ma io voglio essere trovato! Sono ad un passo dalla disperazione ed ho il fiato corto a causa di uno dei numerosi fratelli del sasso che mi ha precedentemente ammaccato il bacino anche se questo ha preferito il costato. Meglio concedersi qualche minuto sdraiato per rimettere a posto le idee.
È ormai appurato che sono un incapace; nessuno sa dove mi trovo, neppure io, quindi i soccorsi sono esclusi. Sono tutt’uno con l’ambiente che mi circonda quindi difficilmente qualcuno mi noterà e se anche succedesse potrei facilmente essere scambiato per Big Foot; inoltre sono fradicio ed infreddolito con ormai poco da mangiare. L’odore di fumo sottolinea che mi sono dimenticato la questione dell’incendio. Ma che bella giornata!
È proprio vero che eventi insoliti come due settimane ininterrotte di pioggia possono portare qualche nuova lezione e magari rispondere a certe domande. Altre volte portano nuovi dubbi o magari rivelazioni insolite. E ciò che mi è successo mi ha portato ad una strana conclusione. Quindi mi sollevo leggermente da terra, alzo gli occhi al cielo e molto semplicemente chiedo: “Non è che per caso ce l’hai con me?!?!”

Il mondo intorno a me si dissolse lasciando solo bianco. Mi alzai in piedi, non sentivo più dolori ne freddo ed i vestiti bagnati non erano più così insopportabili. Non si poteva dire che stessi bene ma di certo stavo meglio di prima. Poco distante da me si trovava una sdraio dall’aspetto soffice e comodo, sopra c’era un ragazzo completamente vestito in tuta. Cercai di capirne di più di lui: era alto e magro ed avrà avuto sì e no vent’anni, capelli castani corti, mani scheletriche. Sembrava intento a fissare il vuoto davanti a se mentre scuoteva leggermente la testa al ritmo di una musica che stava canticchiando appena.
Mi avvicinai incuriosito e dopo pochi passi lui girò la testa e mi vide, occhi castani. All’inizio sembrava stupito non tanto del vedermi ma da come ero conciato, poi cambiò subito espressione ed esordì con un amichevole “Ciao”
“Ciao” gli risposi titubante “chi diavolo sei tu?”
Cambiò nuovamente espressione, sembrava scocciato e sbuffò:
“Sono il tuo autore”
“Autore? Ma di che cosa stai parlando?”
“Non fare il finto tonto con me, sai perfettamente di essere il personaggio di un libro che sto scrivendo”
Ora ero io ad esser stupito, faticavo a credergli ma sapevo che era vero. Anche se mi scocciava abbastanza questo suo immotivato atteggiamento supponente.
“Non è immotivato” mi rispose senza che io dicessi una singola parola “a me non piace ripetermi e tutto questo è già successo”
“Com’è possibile? Io non me ne ricordo”
“Oramai è da un pezzo che stai parlando al passato, non te ne sei accorto?”
Era vero e non ci avevo neppure fatto caso, ma non mi bastava: io volevo delle prove.
“Le avrai visto che il semplice fatto che riesca a leggerti nel pensiero non sembra sufficiente, e cerca di non ricordarti di essere ricoperto di fango che altrimenti inizi a sporcare”
Mi ricordai improvvisamente di provenire dalla foresta e mi guardai indietro, improvvisamente apparvero sul pavimento candido le orme dei miei scarponi sporchi di fango. Non capivo come fosse possibile una cosa del genere: non era stata né magia né un gioco di prestigio …
“Fantasia, nient’altro che fantasia” spiegò “Vedi, nella mente delle persone i fatti che stanno ora leggendo non sono ben descritti poiché lo stesso ambiente in cui ci troviamo ne è avaro. Meno io descrivo la situazione e più le cose sono abbozzate, indefinite. Pochi avranno pensato a quelle orme fino a che non le ho citate. Davvero forte, vero?”
Ero completamente terrorizzato nello scoprire la realtà che mi circondava e le varie implicazioni. Tutto quello che ero stato e che sarò dipendeva unicamente da lui; era a tutti gli effetti il mio Dio e poteva disporre di me come meglio preferiva.
“Ora però vediamo di andare su cose ancor più serie, chi sei tu?”
“Ehm …” mi stupii nel non saper la risposta
“Sei un uomo dal comportamento irruento che è stato mollato dalla ragazza da cui dipendeva la sua intera vita, attualmente non hai nulla visto che gli ultimi risparmi li hai usati in provviste, attrezzatura e biglietto dell’autobus”
“Non è vero, le cose non stanno così! Avevo una jeep ed un conto con dei risparmi!”
“Mi spiace, ora non più. Io detto le regole e ciò che scrivo è la tua unica realtà alla quale devi adattarti”
Mi montò la rabbia e mi avvicinai con fare aggressivo; bisognava rimettere in riga quel ragazzino. Ma scivolai, a quanto pare le scarpe non avevano ancora abbastanza presa sul suolo.
“Ma guarda che caso” disse lui con sarcasmo, dovevo ideare qualcosa di più elaborato per riuscire a colpirlo.
“Prima però dovresti capire chi sei, allora come ti vuoi?” chiese
“Che cosa vorresti dire?”
“Semplice, il tuo aspetto ed il tuo nome”
A tutti gli effetti non avevo una faccia definita né un nome con cui chiamarmi. Ero come una nuvola a cui ognuno dava la propria interpretazione: per alcuni ero più simile a Tizio, per altri ero più simile a Caio. Rimaneva il fatto che non ero nessuno.
“Bene, a quanto pare non hai le idee chiare e di sicuro non puoi tornare alla tua storia precedente quindi dammi un attimo per pensare”
Mi rialzai; ero davvero rimasto sdraiato a terra tutto quel tempo dopo la mia tentata aggressione?
“Trovato!” esordi lui
E tutto si fece improvvisamente nero

Quante stelle nel firmamento; davvero tante, forse addirittura troppe
“Datti una mossa signorina” giunse dall’interfono
Jonathan, il tenente, mi riprende poiché sono rimasto indietro. Il gruppo era ormai andato avanti e si vedevano appena le sagome delle tute pressurizzate. Non vado matto per le passeggiate spaziali ma di certo è insopportabile beccarsi proprio l’esoscheletro con i retrorazzi rotti e quindi essere costretti a camminare sullo scafo dell’astronave. Non per la fatica, il sistema idraulico fa quasi tutto il lavoro per me, ma per il tempo in più che ci vuole a fare anche il più piccolo lavoro. Figuriamoci a dover installare il nuovo apparato dei sensori, mi sembra quasi di essere un antennista zoppo.
“Eh allora?!?!” ancora Jonathan
“Arrivo, arrivo” gli rispondo mentre saltello verso di loro attivando e disattivando le pedane magnetiche a ritmo. Mi è stato detto più e più volte che sarei un bravo soldato se solo non mi perdessi ad ammirare il firmamento e a vagare con la mente. Tra pochi minuti però non avrò la possibilità di distrarmi visto che ci nasconderemo nel cratere di un asteroide in attesa della nave-cargo Polluce.
Quando arrivo nell’area di lavoro, gli altri hanno già estratto i cavi di connessione e le antenne girano pigramente su loro stesse a pochi metri da loro. Io sono l’unico a saper come eseguire il collegamento e come saldare il tutto senza intaccare gli altri sistemi. Si rivela un lavoro semplice e veloce anche se nello spazio si hanno delle difficoltà a percepire il passaggio del tempo e tra un cavo di output ed un cavo di alimentazione mi ritrovo ad eseguire la saldatura finale in solitaria mentre gli altri sono già andati alla mensa. Probabilmente mi ci vorrà un’eternità a tornare nella cabina di pressurizzazione e per allora sarà arduo trovare anche una sola briciola di cibo. Non sono uno stupido, è proprio per momenti come questo che tengo sempre una piccola scorta di viveri nella mia cabina visto che sono così fortunato da averne una.
Sembra impossibile che su una nave pirata ci siano delle cabine e non sono tutti stipati in uno stanzone gigantesco, ma è stata una questione di necessità: visto che sono il tecnico di bordo spesso mi ritrovo a maneggiare oggetti e sostanze pericolose. Quindi io ed i miei esplosivi viviamo in un ambiente tutto nostro lontano da qualunque cosa potremmo danneggiare, distruggere o eliminare. Ritorno nel mio alloggio mentre le luci si fanno sempre più fievoli per simulare la notte, mi butto sul letto ed attivo una granata molto particolare; quale posto migliore per nascondere delle preziose pillole alimentari? Benché misere sono comunque abbastanza energetiche da poter valere come cena, qualcosa per non andare a letto a stomaco vuoto. Mi servirebbe un lauto pasto sapendo cosa mi attende domani ma sono troppo stanco per pensarci.
La mattina non è delle migliori, ma tanto non cominciano mai bene. Il riaccendersi delle luci e l’uso d’acqua spropositato spingono il generatore al limite delle sue capacità ed il mio piccolo laboratorio è una perfetta cassa armonica per il martellante rumore dei pistoni. Mi infilo immediatamente le cuffie isolanti per non rischiare la sordità parziale per il resto della giornata. Il data-pad segnala due nuovi messaggi; il primo è dalla plancia e mi informa del perfetto funzionamento dei nuovi sensori tant’è che la Polluce è stata individuata con largo anticipo. La seconda era del comando e conteneva i piani per l’attacco.
In realtà era una mail superflua per la squadra del tenente Jonathan visto che avevamo sempre lo stesso compito; essendo gli unici “istruiti” di bordo ci toccava il compito di installare le apparecchiature per l’abbordaggio e rimuoverle a missione conclusa. Agli altri il lavoro sporco. L’unica informazione utile è l’ora dell’attacco; devo sbrigarmi se non voglio ritrovarmi di nuovo nell’odioso esoscheletro di ieri. Prima però è meglio prendere un po’ di attrezzatura per l’autodifesa, non voglio uccidere ma certamente non voglio ritrovarmi con il culo scoperto se le cose dovessero andar male.
Il Tunnel non è altro che una grande camera di pressurizzazione durante gli arrembaggi per entrare nelle aree sensibili della nave senza disperdere l’atmosfera interna. Nell’aspetto è un tubo cilindrico nero, anche se l’utilizzo ha tolto la vernice in molti punti rivelando il grigio metallo sottostante. Prima di tutto bisogna fissarne una parte allo scafo del bersaglio, poi si fanno entrare i soldati nel tubo insieme a due tagliatori. Questi aprono un foro nello scafo mentre l’altra estremità del tubo viene sigillata. Dopodiché basta entrare.
È un sistema molto macchinoso ma non vi sono alternative; i portelli di accesso sono pesantemente difesi ed una perdita di atmosfera in qualunque parte di un’astronave attiverebbe le barriere di isolamento rallentando notevolmente la cattura. D’altro canto il Tunnel è a senso unico e si può rimuovere solo dopo il saccheggio, quindi chi entra sa che potrebbe non uscirne vivo.
Non sono problemi miei visto che ho il solo compito di saldare il tutto e sarò nuovamente intento a cincischiare con i miei attrezzi molto prima che venga sparato l’ultimo colpo. Quindi con molta calma afferro il Tunnel ed esco nello spazio insieme alla squadra diretti verso il cargo.
Durante l’avvicinamento, dalla nave pirata partono dei colpi precisi che neutralizzano i motori e le principali torrette difensive. Questo è l’unico supporto pesante che ci sarà fornito; se il generatore fatica a sopportare il risveglio mattutino non è poi così impensabile che necessiti di vari giorni per caricare armi di quel calibro. Si è tentato più volte di sostituirlo con uno di quelli rubati ma si sono sempre rivelati incompatibili.
“Muovete quei culi!!” tuona il tenente.
In fondo è un brav’uomo che sa molto più di battaglie che di ingegneria, il suo compito infatti è quello di mettere in riga i tecnici. Sfortunatamente è stato spesso partecipe di battaglie terrestri in cui non servivano tute pressurizzate e quindi gli ordini venivano ancora urlati da una parte all’altra del fronte, abitudine che non si è mai premurato di perdere. Spesso desidero portarmi le cuffie isolanti anche in combattimento pur di non sentire quella vecchia tromba da stadio forarmi il timpano.
Nel frattempo mi guardo intorno: prime squadre si stanno già muovendo sullo scafo bersaglio eliminando le ultime difese esterne. Dietro di noi proseguono una ventina di assaltatori assetati di sangue e dietro ancora quella che negli ultimi lustri è stata la mia casa viaggiante, il suo nome nascosto dai detriti di una torretta appena abbattuta. Nonostante tutto questo caos è sempre strano percepire l’enorme silenzio dello spazio in cui senti solo i rumori che ti porti con te. Anche la saldatrice che uso per ancorare il Tunnel è silenziosa e si percepisce solo il rumore del respiratore.
Lavoro finito: rapido, preciso ed efficace come al solito. Il tenente mi ferma mettendomi una mano sulla spalla. Mi giro e vedo che tiene in mano una delle mie tante invenzioni conosciuta in giro come l’apriscatole per la capacità di tagliare praticamente tutto. Ciò è principalmente dovuto alla combinazione di una lama sovraccaricata al plasma ed un laser a CO2, praticamente l’oggetto che ogni tagliatore vorrebbe come ultimo desiderio. Alla mia sinistra passa la tuta silenziosa del vecchio proprietario dell’apriscatole, alla mia destra passa il vecchio proprietario dell’apriscatole. Incidenti che possono succedere se le tute rapide non hanno una buona chiusura, saranno sì fatte per essere messe e tolte molto velocemente ma a volte esagerano con questa caratteristica. Tutti ne conoscono i rischi visto che io stesso ne sto indossando una, anzi a quanto pare sono l’unico tecnico ad indossarne una dato che gli unici inviati in questa missione siamo io, il tenente ed un apprendista che nella sua incapacità ha scelto proprio l’esoscheletro senza propulsori. Un errore che potrebbe salvargli la vita.
Non si discute, non c’è neppure bisogno di ordinarmelo. Afferro l’apriscatole e mi infilo nel Tunnel insieme all’altro tagliatore ed inizio il mio lavoro mentre sigillano questo tubo infernale. L’altro tagliatore è discreto ma non si può nemmeno paragonare alla mia efficienza, d’altronde nessuno è così stupido da sacrificare un bravo elemento per un lavoro suicida salvo casi d’emergenza.
Lo scafo cede e siamo dentro, la prima cosa da fare è levarsi le tute per avere maggior velocità dato che qualche strato di kevlar non ti salva da un fucile gaussiano. Io mi ritrovo giusto con qualche granata e l’apriscatole, avessi speso più tempo a cercarmi un’arma al posto di scappare via dalla mia camera. Mossa che si è rivelata doppiamente svantaggiosa visto che un po’ di ritardo avrebbe portato il novellino in questa situazione.
Il tagliatore è il primo ad essere colpito mentre ancora si stava svestendo, ma molti altri lo seguono molto velocemente. Le imboscate sono il principale pericolo in navi come queste, specialmente se si esegue l’inserzione dalla parte terminale di un corridoio esterno senza molta copertura. Mi rintano vicino ad una colonna che spunta leggermente dalla parete laterale e mi accorgo che stiamo avendo la peggio, ed essendomi trovato in prima linea basta girarmi per vedere la condizione dei miei compagni. Uso la prima granata nel disperato tentativo di fare qualche vittima tra le file nemiche, l’altra mia unica munizione è pronta per essere attivata.
Con la coda dell’occhio vedo un soldato in preda al panico afferrare la mia invenzione ed accenderla per provare ad aprirsi un varco nella parete ed evitare di fare la fine del topo. Provo a fermarlo ma una nuova raffica nemica mi costringe a rannicchiarmi ancora di più nel mio riparo. Devo riuscire a raggiungerlo e l’unica mia possibilità di smorzare il fuoco nemico è un’altra granata. Premo il pulsante di attivazione e non succede niente. Vuoi vedere che sono stato così frettoloso da prendere la mia scorta segreta di pillole? La rinfilo nella cintura e sospiro.
Non mi resta che rimanere a guardare la scena; il pirata si avvicina al muro, attiva l’apriscatole ed esplode. È un difetto di cui non mi sono mai preoccupato visto che nello spazio è superfluo avere un sistema di raffreddamento, ma la mia pigrizia potrebbe davvero costarmi cara. Accanto a me ritrovo un pezzo di vestito che è sopravvissuto all’esplosione: una piccola toppa con la nostra astronave stilizzata e sotto il nome:
T. O. Fregato
Ma aspetta un attimo …
Abbasso lo sguardo e la spia della granata inizia a lampeggiare velocemente ad indicare lo scoppio imminente. Non ho più tempo; appoggio le spalle alla colonna, alzo lo sguardo e accennando un sorriso sussurro
“Razza di piccolo figl”
Non riesco a finire la frase.

Apro gli occhi e sono nuovamente nel regno del bianco. Stavolta sono sdraiato anch’io ed il mio autore è tranquillo alla mia destra, si gira e sorride interrompendo la canzoncina che era nuovamente intento a ritmare muovendo la testa.
“In realtà avresti avuto un altro secondo ma ho preferito interrompere per tempo la frase”
Allora la mia intuizione era giusta: dietro alle mie vicissitudini spaziali c’era lui.
“Certo è che te la meritavi, hai giocato sporco con me”
“Davvero?” rispose titubante lui “eppure mi sembrava di essere stato abbastanza corretto”
“Solo io con la tuta rapida ed una granata difettosa non possono di certo essere derivate dal caso. Per non parlare poi dell’imboscata …”
“Con l’imboscata non centro” si giustificò “per il resto potrei aver fatto qualcosa”
In effetti il punto d’assalto era abbastanza ovvio e di certo bastava monitorare i movimenti intorno allo scafo per individuarlo. Forse potrei anche credergli.
“Devi però sapere” esordì lui “…”
“Che c’è?”
“La finisci di interrompere a metà le mie frasi? È abbastanza fastidioso”
“Non lo sto mica facendo”
“Ne sei sicuro?” disse con aria accigliata “Ne sei proprio sicuro?”
Ok, su questo ha ragione. Però se non è in grado di impedirmelo forse non è poi così onnipotente come ha voluto farmi credere la prima volta.
“Vedi di non montarti la testa, esaltato; ho ancora io le redini del gioco”
“Non ci credo più così tanto ed inizio a dubitare della tua fantasia visto che continui a riproporre questo cliché alla Matrix” dissi sollevando le braccia ad indicare l’ambiente che ci circondava
“Io re tu suddito, io capo tu dipendente, io padrone tu schiavo. Non hai scelta fintanto che non comprendi come funzionano le cose in questo mondo. Tutto è possibile fintanto che io lo ritengo tale e le cose accadono perché io decido così. Impara le regole e saprai come aggirarle, ma fino ad allora tu non sei altro che una pedina insignificante. Anzi un pedone, un piccolo ed inutile pezzo posto in mezzo a tanti altri: devi arrivare dall’altro lato della scacchiera prima di diventare qualcosa di utile o addirittura qualcosa di fondamentale importanza. Segui la marea prima di andare al largo.”
Il monologo mi mancava proprio, specialmente se dettato al vento mentre si procede avanti ed indietro a passo spedito.
“Ma la pianti di camminare?!” protestai “Mi stanno facendo male gli occhi a furia di seguirti, neanche fossi ad una partita di tennis”
Lui mi sorrise con fare beffardo e rispose: “Quando mai mi sono alzato?”
Improvvisamente la sua immagine sparì per ricomparire nuovamente sdraiato alla mia destra come se non si fosse mai spostato da lì.
“Quante volte mi devo spiegare? Se non sei preciso nella descrizione le cose non succedono. La mente deve essere libera di vagare ma se non le poni un limite farà ciò che vuole. Aggiungi dettagli, specifica gli avvenimenti senza darli per scontati perché se riduci al minimo tutto questo non sarai mai in grado di vivere qualcosa che valga la pena di essere letto”
“Ed allora dimmi come devo fare per raggiungere questo tuo tanto pregiato apice dell’eccellenza?” dissi con spavalderia
“Ti serve un po’ di allenamento, ma prima credo che tu debba essere ancora del tutto domato. Sei testardo come un mulo ed è una cosa che apprezzo se ciò mi giova o mi è indifferente, ma in questo caso non è così. Sai che il mio colore preferito è il verde?”
“Verde lime?”
Mi guarda in cagnesco come se avessi detto una bestemmia, poi si placa e muove le labbra con un sorriso malefico: “No, direi più verde foresta pluviale”
Detto questo tutto si fece più confuso ed indistinto, fino a scomparire.

Quanti suoni tra gli alberi, un’infinità di echi provenienti da mille voci in mille posti diversi. Posti che stanno in alto, posti che stanno in basso; voci che vengono da vicino, voci che vengono da lontano; suoni che provengono dalla strada che hai percorso, suoni che provengono dalla strada che devi percorrere. Un orecchio esperto è in grado di riconoscerli e dare ad ognuno un proprietario. Chi invece non è così bravo potrà solo essere confuso dalla sinfonia, incapace di avvertire il pericolo.
Per questo ci sono io. Tutti hanno bisogno di una guida in grado all’occorrenza di difenderti anche da te stesso. Sempre i soliti turisti ad alto rischio che guardano molto e vedono poco, poiché c’è molto più di quel che non appare tra i chiaroscuri del sottobosco. Nella penombra, ben mimetizzato, potrebbe esserci la cena o un commensale. Di certo le comodità sono impensabili, anzi vi sono cose che neanche pensavi di poter fare a meno. Si rimane sconvolti i primi giorni ma alla fine ci si adatta; tutti si adattano poiché non v’è altro modo per rimanere.
Ma questa volta forse una sfida mi attende, qualcosa di insolito per spezzare la routine. Anche se certamente in questi luoghi il concetto di routine non è così noioso come lo si intende normalmente. La macchia ha sempre una sorpresa per te e può essere un regalo non gradito.
Di ritorno dalla spedizione, con 3 altri “avventurieri” ed un cadavere ambulante in attesa che il siero facesse effetto, mi vengono consegnati i dati del nuovo gruppo.
“Non si gratti il punto del morso signor Desdrik, così non farà altro che mettere in circolazione altro veleno”
“Ma prude”
Ogni tanto ho a che fare con degli imbecilli di prima categoria, per quanto ricchi possano essere. A quanto pare ci sono 2 elementi per il prossimo giro, insolito.
“Le ho già dimostrato di aver ragione quando le sconsigliai di appoggiarsi a quell’albero, ora stia buono ed obbedisca”
“Non può far niente per questo fastidio?”
Nessun cognome, si sono registrati come Erica J. e Martin N. Quindi non una coppia di sposi in cerca di emozioni forti e difficilmente si fanno queste cose con un amico.
“Se continua così ci penserà madre natura a non farle sentire mai più niente”
“Non ha neppure un’aspirina?”
Accanto al tipo di percorso c’è FP, fuori programma, ciò significava che avevano una ben precisa destinazione. Niente di buono: gli avventurieri hanno abbastanza palle da cavarsela da soli, se un cittadino si mette in testa di andare in un posto allora non è così facilmente raggiungibile.
“Potrebbe reagire con il siero in modo assai poco simpatico e poi serve solo per placare il dolore non il prurito”
Le zone sicure della foresta sono già inserite nei vari percorsi, andare fuori da questi significa cacciarsi nei guai. Bisogna rispolverare gli attrezzi del mestiere prima di partire, i prossimi giorni non saranno piacevoli. Spero di riuscire a cavarmela anche questa volta.
Tumph!
Il rumore del signor Desdrik che tocca il suolo dopo essere svenuto. Il pallore non stava migliorando e la mano era insanguinata; sangue che proveniva dal morso del serpente, sotto la pelle scorticata si stava già mostrando un notevole gonfiore. A volte non vengo proprio pagato abbastanza …
Inizio i controlli; bengala, cassetta di pronto soccorso, telefono satellitare. Machete pronto all’uso e ben affilato, l’ho fatto io stesso sulla mole poiché non si lascia al primo che passa un compagno così fidato. Controllo ancora una volta il contenuto dello zaino e mi accerto pure di avere viveri a sufficienza anche nel caso ci si debba trattenere più del dovuto. Direi che ora sono pronto.
Mi dirigo sicuro verso l’area breefing ansioso di conoscere la strana coppia e la loro misteriosa destinazione. La casupola era la cosa più simile ad un ufficio che si potesse avere nel raggio di qualche chilometro. Nonostante all’esterno appaiano solo le rustiche travi di legno, all’interno si trova non solo una linea telefonica fissa ma addirittura un computer. La tecnologia stona molto con la struttura ma la gestione dei clienti provenienti dai vari continenti la richiede, proprio come la richiede anche il servizio di approvvigionamento e quello di soccorso.
“Il signor Desdrik non sarà molto contento quando si risveglierà, lo stanno portando via con l’elicottero”
Il rumore delle pale è inconfondibile e l’aria smossa turba l’armonia della foresta, non c’è bisogna di una tale precisazione. D’altronde non posso fare niente visto che al mio capo piace sentirsi così superiore rispetto a tutti. Giada è l’amministratrice, la fondatrice e la segretaria di tutta la baracca e saremmo disoccupati senza di lei.
“Era nel campo quand’è svenuto quindi problema tuo, io devo solo riportarli qui”
Il rumore della porta alle mie spalle indica un nuovo arrivo sotto quel tetto
“A quanto pare sono arrivati i tuoi nuovi protetti. Pianifica la missione e partite”
I miei pensieri vengono subito fermati dalla visione che mi si para davanti.
Quello che identifico immediatamente come Martin N si rivela essere un armadio a due ante. Lo squadro immediatamente notando almeno 5 errori nella sua vestizione che potrebbero dargli delle noie, anche se di solito gli errori di questo genere sono almeno 15 quindi qualcosa di condizioni estreme deve saperne. Taglio militare dei capelli neri, completamente rasato, braccia nerborute. Conto un sesto errore notando lo zaino dalle dimensioni spropositate che sicuramente farà rallentare il passo di marcia. La qualità dei vestiti ed il portamento lo identificano subito come una guardia del corpo e di certo non ha l’aspetto di qualcuno in vacanza. Ora le opzioni sono due: o protegge la piccola smorfiosa di un riccastro oppure qualcuno si premura della protezione di una ricercatrice poco avvezza alle avventure. In entrambi i casi c’è da aspettarsi solo guai.
Erica J invece è meglio, molto meglio. Figura alta e snella, capelli ramati raccolti probabilmente in una piccola cipolla nascosta sotto il cappello. Forse gli stivaletti non sono il massimo per un viaggio del genere ma per il resto … Non riesco a toglierle gli occhi di dosso, non è definibile fantastica ed avvenente nello standard mondano ma questa zona è avara di tanta bellezza quindi ha gioco facile. Non è forte ma sembra agile, probabilmente si sarà informata approfonditamente su questo tipo di spedizioni. La possibilità di guidare qualcuno del genere mi rallegra.
Ci presentiamo con una stretta di mano, insolito usare semplicemente il nome di battesimo senza dare il cognome, per poi dirigerci alla cartina distesa sul tavolo. È una mappa molto dettagliata della zona. Alle isoipse erano state aggiunte altre linee colorate per identificare i vari percorsi, logicamente noi ci troviamo dove questo fascio multicolore ha inizio e fine.
“Ebbene, qual è la destinazione?” chiedo impaziente
Come previsto è Erica ad avvicinarsi mentre il gorilla rimane leggermente indietro. Gira intorno al tavolo fino a trovarsi con il nord in alto come segnato dalla bussola stilizzata presente sul foglio. A quel punto prende dalla tasca alcune foto aeree e satellitari ed inizia a studiarle. Se riesce con così tanta facilità ad individuare la zona su una piantina tecnica allora non è per niente una sprovveduta. Dopo un paio di minuti indica un punto, mani molto curate che difficilmente hanno mai dovuto faticare.
“Qui; è qui che devo andare”
Quel che vedo non mi piace affatto. Ben oltre il percorso 7, considerato il più pericoloso poiché notevolmente inoltrato. Solo due guide sono disposte a farlo ed io sono una di quelle, ma non sono altrettanto sicuro di voler rischiare così apertamente la pelle andando così in profondità.
Alzo lo sguardo per dissentire ma mi cade l’occhio su Giada che attraverso le lenti degli occhiali mi sta fulminando mentre strofina le dita della mano destra, a quanto pare il compenso è generoso. Così mi zittisco immediatamente ed inizio ad ideare una strada che possa almeno teoricamente essere sicura. Considerando i territori delle tribù, a cui francamente non piacciono gli stranieri, è scelta obbligata fare il giro della collina e provare un approccio da est. Così saremmo sì ancora più interni alla giungla ma almeno avremo una possibilità di non ritrovarci sotto una pioggia di frecce al curaro.
Così decido e si parte. Già dai primi metri succede quel che temevo ed il bodyguard si muove impacciato e molto lentamente. Non posso farci molto e proseguiamo al limite della foresta senza addentrarci. Erica prosegue rapida e sicura al mio fianco. Passa un’ora prima che Martin mi dica tra l’impaziente ed il sollevato: “Ma restiamo tutto il tempo così vicini al bordo della vegetazione?”
“Prima dobbiamo raggiungere la nostra guida”
“Credo di vederla” mi informa la donna, a quanto pare se ne intende proprio di avventura.
Il Rio taglia in due la foresta e non muta il suo corso con molta facilità, nella perenne ed umida notte ai piedi dei grandi alberi non vi sono molti punti di riferimento e una semplice bussola può non bastare. Sarebbe interessante usare il GPS se non vi fosse la possibilità di perdere il segnale. Non so voi ma io quando sono in un posto del genere preferisco sapere esattamente dove mi trovo.
Le rive ai lati del fiume sono completamente invase dalla vegetazione come se volessero tentare di colonizzare pure l’acqua in movimento. Meglio evitare la calca verde e quindi proseguo tenendo sotto controllo il riflesso argentato con la coda dell’occhio; è solo un puntino lontano ma tanto basta.
“Anticipando la sua domanda, non è possibile pensare di navigarlo in questo tratto”
“E come mai?”
“Calmati Martin, più avanti ti sarà chiaro” interviene Erica.
Sono sempre più affascinato da lei. Non sono ancora riuscito a capire chi esattamente sia e cosa voglia. Ho sbirciato le foto che teneva mentre decideva la destinazione e non vi ho scorto nulla di particolare. Eppure ci deve essere un motivo per organizzare una spedizione pagando attrezzatura, guida ed il bestione alle nostre spalle. Non è una spesa economica proibitiva ma di certo considerevole. Bisogna inoltre considerare la sua esperienza ed il fatto che poteva benissimo cavarsela da sola.
Anche lei porta un coltello e dall’aspetto sembra essere molto usato. Di certo non è di seconda mano quindi significa che è capace di usarlo all’occorrenza. Meglio: un lavoro molto pagato in compagnia di un’esperta almeno quanto me. Dovrei sentire puzza di bruciato ma non ci riesco, forse è la volta buona che mi prendo pure io una bella vacanza lontano da qui. Devo ancora decidere se andare in Germania per l’Oktoberfest oppure in Irlanda a fare il tour dei pub di Dublino.
La giungla si infittisce a sono costretto ad usare il machete per aprire un passaggio. È un’operazione molto divertente se sei in grado di farla ma anche in quel caso, dopo un po’ di tempo, le braccia iniziano a far male. Fortunatamente Martin si rende utile e fa da apripista e sembra quasi aver ritrovato il suo mondo in quest’operazione, dimenticandosi di ciò che lo circonda. Proseguiamo così per qualche ora fino a ritrovarci in una rada che costeggiava il fiume. Più avanti uno strapiombo.
“È quasi notte, direi che è bene accamparci qui. Siamo sulla dura roccia quindi si possono facilmente identificare i pericoli in avvicinamento dato che non sono protetti dalla flora; è un vicolo cieco ma sarebbe troppo pericoloso dormire nella macchia. Quindi montiamo le tende ed accendiamo il fuoco”
Erica si offre volontaria per raccogliere la legna, normalmente lo farei io ma mi sembra una persona affidabile. Intanto monto le tende, mi ci vuole un po’ poiché è da tempo che non lo faccio. Normalmente lungo i percorsi sono dislocate delle casette sugli alberi in cui pernottare in modo sicuro quindi le tende sono superflue. Il gorilla invece sembra essere molto più capace di me e monta in un attimo la sua e quella della sua protetta. Ancora una volta sono sorpreso di non trovarmi davanti una tenda extra lusso taglia XXL ma invece una spartana canadese.
Una volta acceso il fuoco si scalda la cena, niente di eccezionale. Non ricevo lamentele dall’insolito duo e me ne rallegro. Solitamente per far mangiare qualcosa che non sia stato preparato da un rinomato chef ai ricconi bisogna infilarglielo a forza in gola. Forse proprio in questo momento il signor Desdrik si sta lamentando con un’infermiera del brodino ricevuto in ospedale, almeno lo spero per lui visto che se non è così significa che è morto. Ma se la stupidità è così letale, com’è possibile che esistano ancora persone del genere?
Non è ancora buio ma non manca molto, mi ero già accordato con Martin per dividerci il turno di guardia: a lui il primo a me il secondo. Volevo coinvolgere anche Erica ma lui me lo sconsigliò, non ho capito perché.
Sento il rumore metallico e vedo il bestione armeggiare con una pistola.
“Ti sconsiglio di usarla, non tutti gli animali sono spaventati dal rumore”
“Ma vi sono altri che se la fanno sotto solo vedendola”
Non capii ma rimasi turbato dal suo strano sguardo. Mi punta contro l’arma dritto nel petto.
“In piedi, sul bordo”
Mi alzo ed indietreggio lentamente con le mani alzate fino a raggiungere la sporgenza del precipizio. Accanto a me il fiume mostra com’è la caduta con una splendida cascata che tocca terra rilasciando un caratteristico sciabordio. Rumore lontano, molto lontano ed in basso. Il motivo per cui il Rio non è navigabile in questo punto.
Erica mi sorride, complice di Martin
“Non ti sei mai insospettito? Mai notato qualcosa di strano?”
In effetti dovevo arrivarci, dovevo stare a sentire il mio sesto senso e mandare a quel paese Giada che mi zittì con quel gesto. Lo stesso gesto lo sta facendo l’assassina
“Non lo facciamo per motivi personali, tu mi stai pure simpatico”
“Chi?”
Si intromette l’armadio armato:“Non ci ha detto il suo nome, ha detto che l’avresti capito poiché tanto vi vedrete presto”
Non vi erano dubbi sul mandante, ma non avrei fatto il suo gioco
“Forse non posso decidere cosa mi capiterà, ma certamente sono libero di decidere il come”
Basta sbilanciarmi un attimo all’indietro per cadere. Sento il rumore dello sparo ma non il proiettile che mi colpisce. Mancato; forse l’unica soddisfazione che posso trarre da questo momento. Intanto il suolo si fa sempre più vicino e mi sento come una delle gocce d’acqua che fanno la mia stessa caduta. E finisco così, toccando il suolo e generando il mio suono.
Un altro eco si espande nella foresta.

Nuovamente nel limbo bianco, i soliti due mobili e l’odioso ospitante
“A quanto pare stai iniziando a capire come funzionano le cose ma forse ti stai dimenticando qualcosa”
Non era sdraiato come al solito, cioè era sdraiato ma fluttuava sopra la sdraio la quale a sua volta era leggermente sollevata da terra. Lo stesso valeva per la mia mentre io ero diversi metri sopra di loro.
“Intendi dire qualcosa tipo la gravità?”
Non l’avessi mai detto. Mentre il mio autore atterra dolcemente io mi spiaccico di faccia sul pavimento. Era da un po’ che non sentivo un dolore del genere.
“Però non hai ancora capito quando tenere la bocca chiusa”
Mi rimetto al mio posto, dolorante.
“Due sicari, più logico e meno legato al destino avverso. Pure tu stai imparando”
“Era un test, dovevi riuscire a salvarti. Mi sembra inutile sottolineare che hai fallito”
Lo guardo stupito: “E come facevo a salvarmi da una caduta del genere?”
“L’altezza della cascata, e quindi del dislivello, non erano precise. Potevi metterle ad un’altezza ridotta e poi atterrare su un albero; se non mi sbaglio ti sei soffermato più volte su quanto era fitta la vegetazione”
Ok, punto per lui.
“Hai però capito come ci si muove in questo ballo, quindi si può dire che non è stato del tutto inutile”
“Oh, grazie …” rispondo ironico
“Ora bisogna lavorare sulla fantasia e sulla capacità di plasmare il mondo che ti circonda. Devi riuscire a pensare fuori dagli schemi se non vuoi farti trasportare dagli eventi. Sarà anche vero che sei riuscito a scegliere il modo in cui morire, ma pensavo fossi in grado di scegliere se morire”
Io un paio di idee le avrei anche avute, ma sicuramente avrebbe fatto storie.
“Che qualcuno lasci un gonfiabile nel bel mezzo della foresta è poco probabile, esattamente come il tuo esercito di pappagalli colorati che sarebbe dovuto volare fin da te per farti atterrare dolcemente mentre intonavano un inno sulla tua bravura”
“Poi sarebbero pure tornati da quei due e li avrebbero stesi con dei colpi di judo”
Il suo sguardo ed il suo tono mi fecero capire che aveva percepito il sarcasmo nelle mie parole e non l’aveva gradito
“No”
“Ed allora cosa proponi? Se mi vengono idee del genere ma non le posso applicare non è colpa mia”
Scocciato, iniziò a spiegarsi agitando vistosamente le braccia
“Non generalizzare, è il contesto che ti dà la possibilità di applicare un’idea o meno. Nel mondo reale devi sottostare alla fisica ed alla chimica, le imprecisioni possono andare nei romanzi verosimili, le invenzioni impossibili invece stanno nella fantascienza, le idee balzane ed assolutamente improbabili invece …”
Si fermò all’improvviso, come congelato. Anzi folgorato da un’intuizione sulla mia prossima avventura. Che cosa mai potrebbe essergli saltato in mente? Non ho avuto la possibilità di parlare molto con lui, ma sono fermamente convinto che pure se ne avessi avuto l’opportunità non sarei mai riuscito ad anticiparlo o semplicemente comprenderlo.
“So cosa serve a te. Credo ti piacerà e sarà davvero interessante vedere come te la caverai. Mi sembra di aver capito che ti andrebbe di bere qualcosa, tipo un boccale di birra in una taverna; non è pub irlandese ma dubito che disdegnerai un’offerta simile”
In effetti non mi dispiacerebbe bere qualcosa giusto per riprendermi da una giornata particolare come questa. In effetti non so neppure se di giornata si possa parlare visto che qui il tempo sembra avere una dimensione molto particolare.
“Accetto!” rispondo esaltato, le cose stanno forse per girare nel verso giusto.
“Ed allora così sarà e vedi di fare una scelta oculata poiché certe fortune non capitano mica così spesso come potrebbe sembrare. Ah, mi raccomando: le bettole di quel genere sono spesso frequentate da tipi loschi magari con una taglia sopra la testa; cose come quattro zeri e la dicitura “vivo o morto” tanto per fare un esempio”
Lo guardo stupito: “Come mai così tante premure?”
Sorride, brutto segno: “Perché tu frequenti spesso bettole di quel genere”
“Aspetta non vorrai mica dire … “
“Auguri” si congeda mentre mi saluta con la mano
Improvvisamente ricominciai a precipitare

Apro gli occhi ed incomincio a guardarmi intorno. Proprio lo squallore che mi aspettavo: muri che trasudano umidità, travi scricchiolanti ed ad ogni angolo ragnatele grandi come arazzi. Dal mio tavolo all’angolo riesco a tenere la situazione sotto controllo ma il locale mostra il lato peggiore di se.
Una nana mi si avvicina con un boccale massiccio, forse più spesso ancora del tavolo, con un manico in ferro battuto. Dalla sommità scende un rivolo di schiuma di quella che spero essere birra e non acqua sporca. Lo appoggia sul lato opposto tavolo e sono costretto ad allungarmi per afferrarlo e portarmelo vicino; è pesante proprio come mi aspettavo. La taverna “La Faraona Impacciata” è conosciuta per la sua prova di bevuta tanto semplice quanto efficace. Se riesci a bere da uno di questi cosi allora sei un vero guerriero. La nana se ne và senza neppure guardarmi, noto che il pavimento si muove; meglio non indagare.
Quando si arriva tardi in città ci si può ritrovare in posti così sgradevoli, ma non vi sono molti luoghi in cui poter passare la notte. Anche se di certo qui la compagnia non è delle migliori, coperto dal cappuccio inizio a guardarmi intorno per capire con chi ho a che fare.
Non ho difficoltà a comprendere come mai quel nanetto rompiscatole e barbuto del proprietario voleva il pagamento anticipato. Cinque tavoli sono pieni della peggior feccia della provincia, lo si sente dall’odore pungente e dalle armi affilate che li ricoprono. Il che è logico visto che le guardie difficilmente bazzicano questa zona a meno che non sono completamente schierate in formazione d’assalto.
Un giovane cattura la mia attenzione. Mingherlino e gracile com’è non dovrebbe avere il fegato di ordinare un birra. Quando gli arriva il boccale riesce stranamente a sollevarlo senza alcuna fatica, beve un sorso e lo appoggia nuovamente sul bancone. Un luce giallognola sparisce dalla sua mano. Non si dovrebbe usare la magia in quel modo, si attirano spesso sguardi indiscreti. Probabilmente passerà delle rogne per questo, ma forse è abbastanza furbo da cavarsela.
I soldi qui è meglio tenerseli stretti, io stesso sono entrato con già in mano i soldi che avrei speso. La sacca con le mie finanze è in un posto sicuro dove posso controllarla senza dare nell’occhio. Vi sono ladri capaci di lasciarti in mutande senza che tu te ne accorga, io lo so meglio di tutti dato che sono uno di loro.
Un’elfa si avvicina al mio tavolo, mi guarda dritto negli occhi. Un cenno della testa basta a farle capire che può sedersi. Dall’ aspetto si capisce che è una Custode, coloro con il compito di proteggere i segreti. Ha un suo fascino con quelle sue orecchie a punta, i corti capelli corvini e gli occhi di un verde penetrante. Non necessita di altre descrizioni fisiche.
Gli elfi sono in fondo tutti uguali: alti, snelli, viso affilato e corpo sinuoso. Le donne in particolare hanno tutte quelle caratteristiche che rendono desiderabile una donna agli occhi di un umano. L’unica differenza è che per loro è fisicamente impossibile nascere senza una di queste fantastiche peculiarità. In molti le temono per le loro capacità di seduzione, per questo molte si fanno modificare le orecchie per apparire più umane e quindi più accettate.
Le custodi sono tutta un’altra cosa. Prima di tutto hanno un’armatura assai elaborata, talmente aderente che sembra essere un tutt’uno con il corpo. In molti credono che sia fatta con dei semi particolari che generano piante di legno durissimo e che vengono inseriti sotto la pelle. Una volta cresciute basta reciderne i rami e lasciare solo la dura corteccia, che viene finemente lavorata; ma sono solo storie.
Il vero mistero è la spada di questi guerrieri visto che nessuno ne ha mai vista una, si dice che siano così veloci ad usarla da riuscire a tagliare un braccio ancor prima di estrarla. È consentito ammirarne sono l’elsa e nessuno può avvicinarvisi. Si ritiene che sulla lama siano incisi tutti i segreti del mondo ed è quindi quanto di più prezioso posseggono, neppure loro saprebbero cosa vi è scritto. Esse vengono trasmesse da Custode a Custode con il sacro giuramento di non guardarla mai fino a che non verrà il giorno. Ancora altre storie.
Io mi attengo ai fatti: non possono parlare con nessuno né possedere alcuna cosa all’infuori di ciò che l’ordine consente. Quindi c’è un motivo valido per cui si è seduta al mio tavolo: vuole qualcosa.
Sapendo che non si fanno tante storie per una birra capisco che c’è altro che desidera. Chissà da quanto tempo aspettava un viandante che si fermasse lì per la notte. Non avrebbe elemosinato un posto in cui stare, conosce le sue capacità e pure io so che mi sarà molto grata per questa piccola ospitalità.
Finisco gli ultimi due sorsi e mi alzo. A un cenno lei mi segue e raggiungiamo le scale dietro al bancone. L’ultima cosa che vedo del piano terra sono degli sguardi invidiosi di tagliagole malevoli. Fortunatamente la loro attenzione viene presto deviata verso le loro bevande o verso il piccolo mago, non vorrei proprio essere nei suoi panni.
Raggiunta la stanza al secondo piano faccio entrare la mia ospite e chiudo la porta dietro di me. Legno massiccio rinforzato in ferro, davvero duro da sfondare. Mi giro ed osservo lei intenta a togliersi la spada ed il pugnale per riporli con cura in una cassapanca ai piedi del letto. Non serve parlare, entrambi sappiamo come funzionano certe cose. Un Custode non deve essere in debito con nessuno. Si avvicina a me ed inizia a togliermi il corsetto in cuoio lavorato mentre io le accarezzo il volto e le bacio la guancia. La pelle è morbida e pulita, l’armatura silvana cade sul pavimento cedendo alle mie abili mani.
Avevo detto di essere quel tipo di ladro.
Vengo svegliato dopo poco l’alba dalla luce accecante del giorno ormai cominciato. Ieri sera nella foga del momento ho dimenticato di tirare le tende, anche se il loro tessuto logoro mi fa capire che non sarebbe cambiato molto. Un rumore lieve viene dal piano di sotto, probabilmente i padroni si staranno preparando la colazione; agli ospiti è concesso solo alloggio e solo durante la notte. Tra poco i nanetti faranno il giro delle stanze per cacciare tutti fuori e di certo non dovranno sforzarsi con me: non desidero altro che andarmene.
Con un sorrisetto ebete stampato in faccia mi giro, ma l’unica cosa che vedo è una stanza vuota ed i miei vestiti gettati a terra. Della mia diafana compagna neppure l’ombra; il letto freddo indica che se ne è già andata da tempo. Non che desiderassi altro, ma incontrarsi e lasciarsi così velocemente lascia sempre un po’ di rammarico.
Ognuno torna alla sua vita e via così. Raccolgo le mie cose ed inizio a vestirmi. Il corpetto in cuoio l’ho rubato ad un mercante un paio di mesi fa. Non solo è molto resistente e ricoperto da degli arabeschi in metallo ma questa complessa trama contiene un paio di rune magiche in grado di agevolarmi nel lavoro. Non sono di certo un mago ma la capacità di attivarle richiede poche competenze di base e quindi in molti le possono sfruttare. Avessi voluto diventare invisibile allora sì che avrei dovuto faticare, ma l’unica cosa che queste pietruzze incantate fanno è proteggermi e rallentare le cadute. Per ora non ho mai dovuto usarle.
Gli schinieri sono simili nello stile al corpetto, anche perché li ho presi dallo stesso mercante, e devo dire che sono molto comodi. Le proprietà insolite di questi le ho invece dovute usare per sfuggire più velocemente dai cani di una villa che ho provato a svaligiare. Alla fine mi sono ritrovato completamente sfinito; è sempre sconsigliabile abbinare sforzi fisici e magici allo stesso tempo.
Abbinato al tutto dovevano esserci pure dei copri avambracci ma ho dovuto rinunciarvi poiché mi rallentavano nei movimenti. Dato che per me anche un solo secondo è importante non posso permettermi alcun peso non necessario.
A coprire questa mia armatura vi è un largo tessuto blu notte che era caduto da un carro e che io ho prontamente raccolto. È stato davvero un colpo di fortuna visto che in mezzo alle sue vistose pieghe è facile nascondervi grimaldelli e pugnali. Queste sono le uniche cose che ho regolarmente acquistato; essendo attrezzi da ladro sia i vari tensori per lo scasso che le lame bilanciate solo i ladri li posseggono. Rubare ad un collega non è una cosa molto furba.
Per quanto alcuni malavitosi sono feccia, altri cercano di mantenere un codice di regole non scritte per il bene di tutti. L’aiuto reciproco nei momenti di difficoltà ne è un esempio di cui io porto i segni. La cappa nera che porto mi è stata data da un collega una settimana fa. Avevo assistito ad un suo furto e l’ho inseguito per avere informazioni sulla città in cui mi trovo. Inizialmente era titubante ma poi ci siamo ritrovati a chiacchierare amabilmente davanti al fuoco. Fu allora che mi diede quest’indumento e sempre allora mi suggerì questa taverna: “È una topaia ma non credere di poter trovare di meglio; tutta la città sta lentamente ed inesorabilmente marcendo da una decina d’anni. Presto non se ne sentirà più parlare”.
Di certo non sbagliava. Basta guardare un attimo fuori dalla finestra per capire perché la pensasse in quel modo. Gente magra, case abbandonate e negozi chiusi sono l’ultimo spasmodico respiro di un luogo in rovina. Mi sento quasi in colpa nel cercare profitto qui, ma si sa che gli sciacalli sono sempre i primi a porre i loro omaggi.
Noto solo ora una scritta intagliata sul muro, spicca rispetto alle altre perché più chiara. Segnale inequivocabile che è stata fatta di recente. Montano le speranze perché forse la mia ospite non se l’è sentita di andarsene senza lasciare neppure un messaggio. Le lettere sono molto squadrate quindi è probabile che l’abbia scritta con i colpi precisi di un pugnale.
“Mi dispiace”
Non una firma ne un’indicazione, solo un criptico messaggio di una sconosciuta. Di certo non potevo aspettarmi molto di più, ma un po’ di chiarezza non sarebbe stata disprezzata.
I rumori al piano di sotto non sono ancora terminati, il che è strano visto che dovevano solo cucinare per due persone. Infine il rumore di legno che si spezza e metallo. Mi affaccio subito alla finestra e vedo un mare di riflessi che invade la strada. Ad occhio e croce sono almeno sette squadre di guardia cittadina, Alcuni intarsi dorati identificano un corpo scelto.
Le cose non si mettono per niente bene, appoggio la cassapanca alla porta a mi ci appoggio. Dopo pochi secondi sento il bussare nervoso di una mano guantata accompagnata da una rude voce che “in nome del Re” mi intima di uscire. Di certo non posso parlamentare senza ritrovarmi in una segreta ammuffita per il resto della mia vita, questo nella più rosea delle ipotesi. D’altro canto restarmene lì non migliorerà le cose visto che sono già sorpreso che i cardini riescano a reggere la porta.
Pochi attimi per scegliere e vedo solo una via di fuga, la finestra. Mi alzo di scatto, salgo sul letto e con un considerevole slancio mi tuffo. Non sono tanto stupido da non ricordare la guardie giù in strada, ma basta attivare un attimo la runa e dovrei riuscire a planare senza troppi problemi sul tetto dell’edificio di fronte. Basta appena il pensiero, l’idea di ciò che voglio fare, che sento un piccolo calore oltre il cuoio e la caduta si trasforma in una dolce ed innocua planata.
Atterro senza problemi sulle tegole smosse; sono leggermente affaticato ma posso sopravvivere. Sono riuscito a scappare senza che qualcuno si accorgesse della mia bravata. A quanto pare è vero che la fortuna aiuta gli audaci.
Basta un colpo deciso e la porta decide che ne ha viste troppe distruggendosi in svariate schegge; solo qualche pezzo rimane fermo perché trattenuto dai rinforzi in ferro. Le guardie non sono stupide come si potrebbe credere e capiscono subito da dove sono scappato. Dalla finestra si affaccia una figura autorevole, un geco stilizzato presente sul petto lo identifica come un elemento importante della gerarchia militare. Probabilmente si tratta di Sir Osvil
Conosciuto per essere un attento osservatore di ogni legge, Sir Osvil passa il tempo ad inseguire delinquenti di seconda categoria per godersi il titolo di promotore dell’ordine pubblico. I veri criminali invece, per quanto siano proprio sotto i suoi occhi, rimangono liberi. L’unico che potrebbe attaccare un Lord fuorilegge è un altro Lord; sfortunatamente però tutti i Lord sono corrotti e quindi nessuno si azzarda a rivelare le malefatte degli altri.
La politica non è e non deve essere un mio problema. La figura mi indica e l’elmo si muove come se sbraitasse un ordine. Non sento niente ma percepisco un movimento giù in strada e quindi devo scappare il più velocemente possibile tra i tetti.
Individuo una via di fuga verso il bosco e sono fortunato di trovarmi nella città bassa che non è circondata dalle mura. Corro il più velocemente possibile, la strada è troppa per attivare le rune ma devo comunque avere abbastanza slancio per superare i vicoli senza cadere di sotto. La mia agilità mi consente di distanziare le guardie ma non abbastanza da potermi nascondere.
Arrivo al limitare delle case e sono costretto a scendere. Scivolo su una tegola ed in un attimo mi ritrovo un’onda di coppi che mi trascina verso il basso. Scopro che l’edificio su cui mi trovo è proprio la scala che cercavo per scendere e quindi atterro sul tetto del piano terra. Non riesco a fermare la caduta e mi ritrovo in strada. Le case ormai sono finite e c’è solo una strada malconcia che termina in un prato erboso. Corro per gli ultimi 200 metri che mi separano dalla boscaglia e sento sibilare una freccia accanto a me.
In campo aperto gli arcieri hanno la linea di tiro sgombra e possono scatenarsi senza limiti. Afferro i miei coltelli ed inizio a girarmi per lanciarli contro i miei aggressori. L’usbergo dovrebbe proteggerli dal mio tiro, ma istintivamente tutti si ritirano dietro. Forse avevano ragione sulla scarsa intelligenza delle guardie.
Non mi importa, sono entrato nel mio regno. Il mio collega mi aveva parlato di un rifugio sicuro in una grotta, usato solo per le emergenze. Le indicazioni non sono chiare ma devo provarci.
Vago per qualche ora in cerca di un indizio rivelatore o almeno di un ammasso di roccia in cui potrebbe formarsi una grotta, ma non trovo niente. Sono leggermente affaticato visto che ho smesso di correre ma devo tenere un passo sostenuto non essendo certo di essere riuscito a fuggire. Mi convinco a fermarmi vicino ad un laghetto, giusto per fare un bagno e riprendere fiato. Non è molto furbo ritrovarsi nudo e senza difese nel bel mezzo della foresta, ma non riesco a resistere alla freschezza dell’acqua.
Appena mi immergo mi sento subito rinvigorito fin dentro alle ossa, un paio di bracciate giusto per distendere i muscoli e tutto si fa più calmo. Il respiro si prolunga, i nervi si distendono e la mente vaga. Chiudo gli occhi per godermi fino in fondo il momento perfetto che sto vivendo. Non sono più un fuggitivo o un ladro ma semplicemente un uomo in simbiosi mistica con il mondo. Non pensavo che ci si potesse sentire così.
Un fruscio mi riporta alla realtà, che stupido sono stato! Spalanco gli occhi e mi guardo alle spalle. Inizialmente non vedo nulla ma pano piano i contorni diventano sempre più nitidi. Non mi muovo per paura di attirare l’attenzione, magari passa oltre senza neppure badare a me. Non ho alternative visto che sono disarmato e mi ci vorrebbe troppo tempo per mettermi l’armatura magica. I passi sono sempre più vicini e leggeri, ma la figura rimane ancora indistinta. Potrebbe essere qualunque cosa, ma almeno sembra solo. Fermo immobile attendo per un periodo interminabile.
Improvvisamente appare la Custode dell’altra sera, in tutta la sua fiera bellezza. È diversa ora che si trova nel suo ambiente, più sicura di se e decisa nei movimenti. Mi saluta con un sorriso a cui rispondo volentieri ed in un attimo nuoto vicino alla riva dove si trova lei. Non so per quale motivo le nostre strade si sono incrociate di nuovo, ma di certo non potevo sperare in un incontro migliore.
Faccio per parlare ma lei si inginocchia e mi zittisce ponendo l’indice sulle mie labbra. Sono estasiato ed incantato allo stesso tempo; la seguirei in capo al mondo se me lo chiedesse, se solo potesse chiedermelo … Tocca delicatamente i miei indumenti piegati ordinatamente poco distante dal lago, di certo vuole che mi rivesta. Poi si addentra nuovamente nella boscaglia ed io non posso fare altro che obbedire.
Forse ci si riduce così quando si è innamorati oppure è un trucco di magia, non lo so. Fatto sta che in men che non si dica sono seduto ad osservare il laghetto limpido mentre il tessuto assorbe l’acqua che mi è rimasta addosso. Attendo il suo ritorno impaziente perché so che tornerà, deve farlo poiché io sono qui e non mi importa di nient’altro.
Un nuovo fruscio mi dimostra che avevo ragione, porta con se un frutto dall’ aspetto gustoso. Me lo porge con grazia e lo accetto volentieri. Sono ancora seduto e mi appresto a mangiare quando lei mi alza il viso e mi bacia appassionatamente. Rimango senza parole, immobile mentre lei mi pittura le guancie con uno strano pigmento.
Finito il disegno, si accorge del mio stupore ed indica nuovamente quella specie di pera gialla che mi ha consegnato. Noto solo ora che la buccia e la polpa sono leggermente trasparenti e si intravede un nocciolo interno. Lo assaggio e mi sorprendo del gusto indescrivibile che ha. Faccio per prenderne un altro morso ma mi blocco di colpo.
Fatico a deglutire ed un enorme taglio rosso si apre sulla mia gola; solo dopo sento il rumore della spada che fende l’aria.
Sugli elfi si dicono molte cose e non tutte sono veritiere. Si parla spesso di svariati luoghi proibiti e sacri; di rituali strani incomprensibili. Alcune volte sono mostri, altre volte sono selvaggi ed altre ancora sono di molto superiori a qualunque altra razza. Quello che so è che si è sempre trattato di voci inventate.
Perché nessuno è mai tornato per raccontare

“Stronzo!!” gli urlo contro ancor prima che il racconto precedente sia svanito per ritornare in quel loculo in cui vive la serpe. Certamente se il racconto non fosse effettivamente finito avrei fatto una figuraccia ad insultare il mio salvatore, ma così rendo meglio l’effetto.
“Wow, qualcuno è arrabbiato”
Sempre con quel suo tono da essere superiore, inizio proprio ad averne abbastanza. Non sono mica uno che si fa mettere i piedi in testa così facilmente.
“Ma dovevi proprio farlo? Me la stavo cavando egregiamente da solo, perché intervenire?”
Ormai il danno è fatto ma voglio saperne il motivo, non può essere così … così … stronzo fin nel midollo.
“Non so di cosa tu stia parlando”
“Sto parlando dell’ellissi, già proprio quella schifosissima figura retorica che mi ha fatto saltare un fantastico momento che mi spettava di diritto!”
“Stai calmo. Non sei ancora così bravo da poter avere un pubblico limitato ed una scena del genere avrebbe semplicemente attirato qualche adolescente. E sfortunatamente loro sanno benissimo come usare una fotocopiatrice senza badare al resto. Ti vuoi davvero svilire così?”
“Ma a chi interessa?” gli rispondo sempre più arrabbiato “Mi avevi promesso un po’ di divertimento”
“Il patto era solo per la birra e l’hai avuta, era una brodaglia di seconda categoria ma rispettava comunque i termini del nostro accordo”
“Diavolo, che ti costava spendere un po’ di tempo descrivere quella scena? Anche tu sai quanto è bello”
Per la prima volta da quando lo conosco, abbassa lo sguardo ed inizia a grattarsi la testa con la mano. È un gesto davvero insolito che può avvenire solo per un dato motivo. La sua immagine da duro và in frantumi mentre realizzo che ho davanti a me solo un mocciosetto.
“Oooohhhhh” dico sarcasticamente “non dirmi che tu … ohohohoh”
Sento che lui non gradisce questa mia uscita, ma fintanto che rimane indifeso devo colpire
“Vittima del proprio desiderio di realismo, tu non hai voluto descrivere quella scena poiché non la hai mai vissuta in prima persona e quindi non hai la più pallida idea di come possa essere descritta!”
Non riesco a smettere di ridere e per poco non cado dalla sdraio. Lui intanto rimane con lo sguardo basso a covare rabbia. Ho le lacrime agli occhi.
“Ed hai quasi vent’anni, mio Dio se sei sfigato. Certo questo spiega perché passi così tanto tempo con me al posto di fare qualunque altra cosa per te stesso”
Alza lo sguardo, forse sono andato troppo oltre, con tono di sfida mi risponde
“Pigno”
Non lo capisco
“Scusa, refuso di stampa”
Mentre mi accascio con un occhio nero e qualche microfrattura al cranio capisco
Pugno, voleva dire pugno.

L’aereo sobbalzava sensibilmente mentre attraversava la catena montuosa. A quanto pare fuori il vento soffiava molto forte. Dentro non si stava un granché bene, di certo nessuno pensa alla comodità dei soldati in viaggio.
L’AC130 è uno dei pochi velivoli ad elica ancora in uso nelle forze armate, un cargo da qualche tonnellata da sempre efficiente e sicuro. Vederlo muoversi nell’aria è uno spettacolo visto che nessuno lo riterrebbe in grado di volare eppure gli riesce particolarmente bene. All’interno vi sono due lunghe file di sedili ai lati della fusoliera con un vasto spazio al centro ideale per il trasporto.
Mi riprendo a fatica; il colpo mi ha conciato abbastanza male. La vista annebbiata mi mostra solo alcune casse mentre alla mia destra si protrae una lunga fila di soldati. A giudicare dalle divise devono essere dei parà, certo è un modo sicuro per viaggiare.
Alla mia sinistra si trovano invece due figure strane che spiccano tra le mimetiche. Sembrano dei personaggi importanti. Di certo non sono in molti a potersi permettere un completo firmato di così pregevole fattura. Sembra tanto una coppia di spie in missione segreta per chissà quale ragione, o magari sono dei politici con una notevole influenza. Dubito che scoprirò molto presto la loro identità visto che nessuno sembra aver voglia di parlare.
Il clima è surreale, vi è solo il vibrare sommesso dei motori ed il fischio del vento. Schiere di teste che all’unisono si alzano e si abbassano seguendo i vuoti d’aria. Non riesco proprio a capire.
Si possono incominciare molte storie in modi migliori, ormai dovrei riuscire a crearne una con più dettagli. Non posso credere che dopo tutte quelle descrizioni chilometriche non sono più in grado di farcela. Il mio stesso autore non si è mai lamentato per la lunghezza dei miei racconti altrimenti gli sarebbe bastato intervenire prima negli ormai tragici finali a cui mi ha abituato.
Esistono almeno un centinaio di storie che potrei inventare sulle eminenza grigie che mi affiancano eppure niente da dire, niente da raccontare. È davvero possibile? Neppure il contenuto delle casse è definito e sono delle casse! Anche se fossero vuote sarebbe possibile creare qualunque cosa per riempire le pagine.
Una spia di allarme si accende ed un laconico pilota parla di un missile in arrivo; un terra-aria lanciato dal villaggio sottostante. Dicevano che era una zona pericolosa, ma non hanno voluto ascoltare.
Il cielo nero risplende della luce del missile e poi dal nulla una cascata luminosa appare. Il pilota a quanto pare sa di non poter pensare a manovre evasive con quel genere di aereo e spera nei flare per disimpegnarsi. A quanto pare però il missile ha mangiato la foglia ed è ancora diretto verso di noi. La sirena non smette di suonare ed il lampeggiante rimane acceso.
Dentro l’atmosfera non è cambiata, ancora sguardi persi nel vuoto. Guardo tutti stupito
“Ma noi non facciamo niente? Non proviamo neppure a salvare i VIP?”
“Perché mai dovremmo farlo?” mi risponde una voce, non capisco neppure da dove arrivi
“Come perché? Un missile ci sta raggiungendo e dobbiamo far proseguire la storia”
“Ma è proprio ciò che stiamo facendo”
No, non può essere così semplice. Allungo la mano verso il soldato più vicino, faccio per afferrarlo ma è come un ologramma. Mi alzo di scatto togliendomi la cintura la quale si sbriciola al mio tocco. Passo le dita su una cassa ed anch’essa diventa improvvisamente polvere.
La notte stellata intanto rimaneva limpida ed ignara di ciò che stava accadendo. Il villaggio stesso era avvolto dall’oscurità se non ad eccezione di alcune abitazioni in cui una candela stava ancora bruciando lentamente. Nessuno stava guardando verso l’alto se non qualche soldato che non voleva perdersi lo spettacolo che sarebbe cominciato di lì a momenti. Non ci sono molti svaghi in zona ed ognuno fa quel che può per passare il tempo.
Capisco ora il perché di quel blocco, di quell’incapacità di spiegare ciò che mi circonda mentre tutto ciò che è all’esterno dell’aereo risulta chiaro e nitido. Non posso proprio credere che mi avrebbe fatto una cosa del genere, doveva essere proprio arrabbiato.
Ormai però il danno è fatto e non sono in grado di sistemare le cose, posso solo rassegnarmi ed andare al mio posto.
Mi siedo e mi viene offerta una sigaretta, tanto per passare il poco tempo che ci resta. Non dovrebbe mancare più di qualche secondo, forse meno ma io ho i miei dilemmi e non intendo fumare. Sapevo che poteva accadere ma di certo pensavo ormai di avercela fatta a farmi notare.
Invece sono finito qui, a fare la comparsa nella storia di qualcun altro. Nessuno pensa mai alle comparse eppure sono loro che danno interezza alla storia. Per quanti personaggi principali e secondari ci possano essere è assai difficile senza di loro. Una persona al bar, un autista o magari un cagnolino; irrilevanti per la storia ma fondamentali per il lettore. Indefinite e senza storia, spesso sono vecchi protagonisti abbozzati che sono ripescati da un recesso della mente e posti come abbellimento. Probabilmente questa è la loro unica possibilità di emergere. Nessuno pensa a dar loro anche un minimo di consistenza, appaiono improvvisamente, come fantasmi, per poi tornare all’oblio altrettanto velocemente.
Aspetto pazientemente l’impatto, a quanto pare è in ritardo rispetto al programma. Probabilmente vuole solo generare un po’ di tensione prima del gran finale; io farei così.
Una luminosa ed infuocata stella cadente si accende nel cielo

Sono straziato da un dolore atroce e mi contorco sulla sdraio. È una cosa insolita visto che l’abbraccio bianco mi ha sempre infuso uno strano senso di benessere che mi faceva sentire più vicino al mio impassibile collega. Forse questa volta ha preferito tardare nel sottrarmi alla mia fine.
Lo trovo sempre al solito posto, sempre nella solita posizione. Ogni tanto mi chiedo se non abbia dei crampi a furia di rimanere immobile. Nello sguardo vedo ancora l’odio ma la rabbia sembra essersi placata
“Hai imparato la lezione?”
“Mai mettersi contro di te?” non so che tono ho usato, il male non mi consente di parlare chiaramente
Non ci credo ma devo capire come sbarazzarmi di lui, ne ho piene le scatole di questa storia
“Errore, ancora errore. A quanto pare l’intuito non è tra le tue doti. Quello che volevo insegnarti era l’umiltà che devi avere sempre e comunque. Non importa quante ne hai passate o quante avventure hai vissuto; la tua vita può non valere nulla se presa da un certo punto di vista. Il fatto che qualcuno non compia grandi azioni non significa che non abbia niente da raccontare”
Certo, era vero, ma sicuramente lui ha voluto calcare la mano. Non c’era bisogno di metterla giù in questo modo e magari poteva anche evitarmi di colpirmi così senza preavviso.
“Non credere di essere insostituibile, molte storie nascono e muoiono: a te la scelta di quale fine fare”
Non sono pratico a trattare e qui mi sto giocando tutto, un passo falso e per me il gioco è finito. Di certo la sua offerta è lusinghiera ma chissà cosa potrebbe mai chiedermi in cambio. Mi serve una via d’uscita e mi serve velocemente, devo portarlo dove posso manovrarlo con più facilità.
“Voglio essere letto, lo ammetto, ma prima voglio una cosa”
Devo sembrare particolarmente deciso perché rilassa la mandibola ed accenna un sorriso complice. Immediatamente i dolori spariscono consentendomi di respirare senza difficoltà. Rimane un formicolio ad indicare che se non continuo sulla strada giusta potrei ritrovarmi nuovamente piegato in due. Almeno ho capito come ingraziarmelo.
“Voglio una storia in bianco, senza alcun tuo intervento o modifiche di sorta. Voglio essere io a poter scegliere il dove ed il quando senza ricevere pressioni di alcun tipo. Così finalmente capirò quanto mi hai insegnato rispetto a prima”
La frase finale è squallida ma devo vedere le mie richieste soddisfatte poiché se ci aggiungo l’autonomia narrativa che sembro avere, allora potrei riuscire a mettere in atto il mio piano. Ormai non ho più neanche paura a pensarlo visto che lui non riesce più a leggere il mio pensiero; non ne ho le prove ma ho ragione di crederlo.
Pensieroso, titubante. Ci mette un po’ a rispondermi.
“E sia, sono curioso di vedere che cosa vuoi combinare”
Alza la mano destra e schiocca le dita: è arrivato il momento.

Non successe niente. Nessuno svenimento od oscuramento tipici di quei momenti. Eravamo entrambi nello stesso identico posto, ma un po’ diverso.
Le pareti candide erano sostituite da un mosaico in technicolor. Sprazzi di colore a ravvivare il grigio ambiente che ci avvolse con una luce nuova, migliore.
Lui mi guardò leggermente stupito: “Di nuovo il passato, che scelta … insolita”
“Libero di scegliere, proprio come volevo” gli risposi “grazie”
Un sorriso si formò sul mio volto, lo stesso che era solito fare lui quando era in netto vantaggio. Fu interessante vedere come doveva apparire la reazione dell’interlocutore; probabilmente sospettava qualcosa dato che stava sudando vistosamente deglutendo nervoso. Non ebbe altra scelta che alzarsi per affrontarmi. La mia prima impressione era giusta, anche se da seduto era poco evidente una volta in piedi la sua altezza lo pose leggermente al di sopra di me. Volle intimidirmi ma senza successo.
Non ero mai stato più sicuro delle mie azioni, ma lui era furbo e fui costretto ad usare qualcosa di più elaborato se volevo averla vinta. Avevo già in mente qualcosa ma non era abbastanza definito da poterlo usare.
Gli saltai addosso o almeno ci provai, lui si scansò di lato senza troppe difficoltà.
“Non credere che cederò senza lottare” disse, ma non ebbe molto effetto visto che eravamo nel mio regno questa volta. Io decidevo le regole.
Avrei avuto bisogno di qualche arma efficace, ma la lotta mi impegnò a tal punto da non farmi venire in mente niente di utile. Non ero un pugile però neppure il mio avversario lo era il che ci pose sullo stesso livello. Certamente non ebbe l’eleganza di un duello ma l’importante era il risultato.
Ci trovammo presto in una situazione di stallo, in fondo non eravamo poi molto diversi l’uno dall’altro. Per ogni colpo che mandavo a segno lui riusciva a rispondere a tono. Decisi quindi di provare a spintonarlo, ma alla fine decisi per un placcaggio.
Gli saltai addosso e cademmo sulla sdraio. L’aspetto comodo era veritiero, ma di certo mancava in resistenza. Si spezzò in due ed il mio autore prese un brutto colpo alla schiena. Normalmente ne sarei stato felicissimo ma la mia idea si era rivelata dannosa anche per me. Il tempo che mi ci volle a riprendermi per lui fu abbastanza e mi buttò di lato.
Rotolai su me stesso e mentre lui si rialzava gli sferrai un calcio dritto sul naso che iniziò a sanguinare copiosamente, probabilmente si era rotto. Questo lo ributtò a terra lamentandosi per il dolore. Ora o mai più. Saltai sopra di lui ed inizia e provare a soffocarlo con le mie stesse mani, avrei potuto farlo molto più semplicemente in mille altri modi ma ci pensai solo dopo.
“Non puoi uccidermi; ti ho creato io, mi devi tutto”
“Davvero? Ti sei divertito mandandomi a destra ed a manca ed ora mi sono proprio stancato!”
Si agitava come un forsennato ed ogni volta io perdevo leggermente la presa consentendogli di respirare nuova aria. Eravamo ancora in stallo e non sapevo per quanto avrei resistito ai suo tentativi di fuga.
“Ancora al punto di partenza, a corto di idee per caso?”
Mi venne in mente senza neanche un minimo sforzo, avevo la soluzione di tutto ed era stato lui stesso a darmela. Mollai la presa e mi allontanai, immediatamente lui si alzò in piedi e mi guardò stupito ma con la guardia ancora alzata.
“Hai deciso di rinunciare ad uccidermi?” disse con tono di sfida, ma tradiva un po’ di speranza. A quanto pare anche lui abbassava la cresta se costretto con la forza.
“Non ho bisogno di ucciderti ora, non ti ricordi la tua prima lezione? Siamo nel passato: tutto questo è già successo”
Detto questo tutto tornò nuovamente bianco e vuoto; come prima che tutto cominciasse. Alla fine rimanevo solo io mentre lui si accasciò a terra con un tonfo sordo, esanime. Finalmente avevo vinto la mia partita.
Ero libero.

“Notevole, davvero notevole. Ammetto che per un attimo avevo creduto che rinunciassi, mi hai piacevolmente sorpreso con questa tua mossa”
Non può essere quella voce; no, proprio no. Ho tagliato i fili, posso muovermi come voglio e nessuno mi deve vincolare nuovamente. Non è possibile che senta quella voce nuovamente. Magari è nella mia testa, un’allucinazione dovuta a non so cosa. Ma quel suono ha più corpo di quanto voglia. Mi giro.
“Sorpreso di vedermi?” ecco il marionettista.
Sono sconvolto nel vedere come tutti i miei sforzi sono stati vanificati in un attimo, giusto un paio di righe per assaporare l’effimero momento della mia fuga.
“Tu sei morto, ti ho ucciso. L’ho scritto chiaramente e non ci sono possibilità di fraintendimenti”
“Sì qualcuno hai ucciso, ma non me”
Guardo a terra e vedo il corpo fermo immobile proprio come doveva essere, nessun segno di vita o possibilità di sfuggire alla morte. Eppure il suo gemello era fin troppo vispo per i miei gusti. Senza darlo a vedere mi preparo ad un altro possibile scontro.
“Se ti stai chiedendo se sono lui, sono spiacente di risponderti che la risposta è ni”
Criptico ma abbastanza convincente da farmi decidere di lasciarlo continuare a parlare.
“Vedi per me è impossibile entrare in un libro, posso solo creare un personaggio e prenderne pieno possesso inserendovi i miei modi ed il mio aspetto, magari migliorandolo. Non sei in grado di uccidermi in quanto persona ma solo eliminare queste proiezioni di me”
“E devo credere che tu mi tratterai diversamente da lui?”
“Affatto, ma non sempre si decide di creare un personaggio a propria immagine e somiglianza: troppo personale ed autocritico. Si usano solo delle parti di sé ed in questo io ed il tuo amico cadavere siamo molto differenti”
I suoi modi gentili e logici, la postura ferma, i gesti decisi e lo sguardo da maestro mi convinsero. Così rilasso i muscoli e cerco di capire meglio l’individuo che mi si trova davanti; forse un amico in questo pazzo mondo.
“Certo che potevi scegliere un aspetto migliore, la tuta di certo non ti dona” cerco di sdrammatizzare, un modo per dirgli che non lo ritenevo più una minaccia.
“Comodo sempre e comunque, forza dell’abitudine” risponde sereno
Finalmente un modo civile di parlare, senza urla e frenesia. La serenità si sentiva nell’aria.
“Perché farmi incontrare prima lui? Potevamo incominciare subito così e ci saremmo evitati diverse pagine di scocciature”
“Vedi, tu non eri pronto. Avevi bisogno di qualcuno che ti insegnasse e spingesse a fare del tuo meglio. Sul fatto che era uno stronzo devo darti ragione ma almeno ne è nato qualcosa di buono. Ormai tu sei cresciuto abbastanza da potercela fare anche senza di me, affrontare il mondo senza barriere di sicurezza. Ed ad indicarlo vi è un elemento”
Mi si avvicina con calma e mi mostra un piccolo oggetto luminoso che tiene in mano. Allungo la mano destra e lui fa lo stesso con la sua. Le stringiamo mentre tra i palmi mi consegna il mio regalo, lui allunga anche la sinistra e me la appoggia sulla spalla.
Con una voce sommessa come se qualcuno ci stesse osservando mi dice: “Ecco quello che tanto desideravi, ora sei libero di raccontare la tua storia”
Lascia la stretta ma non si allontana; osservo ciò che mi ha consegnato ed in un attimo non posso fare a meno di sorridere per la felicità. Con lo stesso tono sommesso gli rispondo “Ora devo lasciare che accada dell’altro e perdermi in qualche sproloquio per poi rivelare solo alla fine che cosa ho ricevuto?”
“Penso che ormai tu sia in grado di scegliere” dice con fare complice
Poi si allontana con passo spedito, senza destinazione. Non riesco a fermarlo ma gli urlo un ultimo mio dubbio.
“Ci rivedremo? Parlerai ancora di me?”
E dal puntino distante giunge una voce “E chi può saperlo? Ricorda che un libro inizia e finisce sempre con una pagina bianca” e poi sparisce.
Una mescolanza di sentimenti si sviluppa dentro di me; paura nel futuro, gioia nel presente e rammarico per il passato. Ma nonostante ciò non sono affatto turbato poiché tutto è bianco, nitido e fermo. Le incertezze sono storia passata e prendo finalmente le redini della mia vita.
Sono pronto ad andare avanti per conto mio ed in mano ho tutto ciò di cui avevo bisogno. In fondo è solo un rettangolo di plastica senza alcun valore se non per le informazioni che vi sono sopra. Saranno anche solo dei getti d’inchiostro ma ogni cosa ha un valore per chi la sa apprezzare. Il regalo più bello che potessi mai immaginare sono io.
Finalmente so chi realmente sono sempre stato
Finalmente ho un nome ed un volto
Finalmente ho un’identità

  
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