Michele
fumava.
Fumava
da solo, di sera.
Non
avrebbe saputo dire il perché lo faceva, semplicemente era una cosa da fare per
passare il tempo.
Avrebbe potuto
leggere un libro, certo, se fosse stato pomeriggio, ma era sera.
Era sera,
era buio, faceva freddo e pioveva. Un tempo ideale per fumare nella vecchia cappella
del cimitero abbandonato.
La
sigaretta si consumava lentamente, le spire di fumo salivano in alto e l’odore
di esso si mischiava a quello di muschio e di pietra.
Sorrise,
Michele, nessuno lo avrebbe infastidito, non lì. Il cellulare era spento sul
piccolo altare sul quale si era seduto.
Era
bella la notte.
Era
bella la notte nel cimitero mentre pioveva e con una sigaretta in bocca.
Avrebbe
potuto anche mettersi a cantare, lui, proprio lui che non lo aveva mai fatto.
Ma aveva paura di rovinare l’atmosfera.
All’improvviso
sentì dei passi, troppo vicini, troppo rumorosi. Non s’accordavano affatto con
la melodia della notte, non erano aria, non erano gocce di pioggia, erano
semplici e banalissimi passi mortali.
I passi
divennero corsa. Sempre più vicino, sempre più sgraziati e pesanti, sempre più
fastidiosi.
Cosa c’è
di più fastidioso che venire interrotti nella contemplazione di una così bella
notte? Certo è un crimine, un crimine come può essere impedire agli uccelli di
cantare, un crimine contro natura.
Allora,
l’unica cosa che Michele poteva fare era uscire dal suo spazio e incontrarsi
con la notte, ma se fosse arrivato qualcuno con cui condividere quegli attimi?
Un altro ascoltatore della notte?
Nessuno,
certo, avrebbe disturbato con quei passi quella meravigliosa melodia o almeno
nessuno che avesse avuto un minimo di sensibilità. Ma tanto valeva aspettare
che quella presenza si mostrasse, ormai che aveva rotto l’atmosfera.
E una
ragazza socchiuse la porta della cappella, entrando.
Si
immobilizzò e Michele la trovò bella.
Era un’opera
d’arte, una dea.
Le gocce
di pioggia si ostinavano sui suoi capelli scuri, tuffandosi sul pavimento, con
grazia. I vestiti neri e lunghi aderivano al suo corpo snello con un’eleganza e
una dolcezza sconosciuta, gli occhi brillavano nell’oscurità come stelle.
- Anche
tu nel vecchio cimitero? Dai, piove, mettiamo un po’ di musica, che noi dark ci
capiamo sulla musica di notte e nel cimitero- ammiccò lei e lui capì.
Capì che
era solo una stonatura nella grande melodia, così se ne andò lasciandola a una
musica che non sapeva veramente ascoltare.
Uscì dal
cimitero e s’avviò verso le pozze di luce che facevano i lampioni, camminando a
ritmo con la pioggia che batteva sul suo ombrello.
Passò
per le strade e ascoltò quello che volevano trasmettergli.
Perché anche
quella era una melodia, ma solo se nessuno l’interrompeva.