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Autore: GreedFan    01/08/2013    0 recensioni
«Senti, ragazzino. Io ho quasi quarant'anni, nessuna qualifica particolare e una fedina penale che pullula di denunce per disturbo alla quiete pubblica e ubriachezza molesta. Il mio sussidio di disoccupazione ammonta all'incredibile cifra di quaranta crediti mensili, che è un po' quello che spende la gente normale per una spesa di media entità, quindi sono costretto ad arrotondare trascinando via cadaveri putrefatti dai canali di scolo. Questa è la mia unica occupazione fissa. A meno che tu non voglia propormi di contrabbandare flussoplacche − e non lo farò, tranquillo − ci sono innumerevoli persone più adatte e bendisposte di me per qualsiasi esigenza tu abbia».
Pindar è un uomo che ha perso ogni speranza.
Nybras è un Untore, e come tale ripone grandi speranze nella morte.
Liliane è un'ombra, un pallido dono degli spiriti.
Prima Classificata al contest "A Strange Fantasy" indetto da scrapheap_sama sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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V. Anello Debole



Calypso spalanca la porta del locale con una manata e indirizza un ampio sorriso d'intesa a Keyli, impegnata a ripulire i tavoli in fondo al locale. Incespica quando i tacchi si piantano per un paio di centimetri buoni nello zerbino umido e consunto che recita ancora uno sbiadito "Fottiti e Porta Via il Tuo Culo Moscio da Qui", poi, come se non bastassero le scarpe scomode a scatenare il suo malumore, scorge il mantello nero di Nybras Berglund accanto al bancone, a pochi passi dal posto abituale di Pindar.

Posto che, stranamente, alle nove e mezza di sera è ancora vuoto.

"Potrebbe essere un segno del destino", pensa, rassettando i pantaloni a zampa d'elefante che, inutile negarlo, le fanno proprio un bel culo. Si avvicina ticchettando al profilo affilato di Berglund, getta all'indietro le spalle nel tentativo di effettuare un'entrata in scena quanto più possibile cool e spavalda.

«Salve». Lo saluta, il tono morbido come carta vetrata «Stai per caso aspettando il mio amico?».

«Quanto acume, donna mancata». Placido, Berglund smonta tutte le sue pretese di gloria mentre sorseggia un cocktail color miele «Ho rispettato tutte le tue direttive, sai? L'ho incontrato solo quando era sobrio... il che, ammetterai, non è così semplice con un tipo come quello».

Calypso, con gli anni, ha imparato a trattenere le rispostacce inviperite dietro un muro di candida cortesia.

«Non so cosa vuoi da lui, ma le mie direttive potrebbero anche cambiare». Si siede, incrociando lentamente le gambe «Gli stai facendo del male. Pensi che non me ne sia accorta?».

«Dovrei spaventarmi? Posso tenere testa ad una donna mancata».

Il sorriso di Calypso gronda zucchero e miele.

«Ma io non mi sporcherei mai le mani per te, pasticcino. Invece Mitch, per esempio,» accenna ad un uomo corpulento, con le braccia coperte di tatuaggi, che sta giocando a carte insieme ad un tipo ancora più grosso di lui «è un mio caro amico. E gli amici si aiutano tra loro, nel secondo anello. Sai, Mitch ha rischiato l'ergastolo per aver spaccato il cranio ad un ladro che ha tentato di fregargli la moto... e l'ha fatto a mani nude».

«Questa topaia viene frequentata da parecchi tipi interessanti». Celia Berglund, ma Calypso si accorge che è impallidito.

«Oh, non puoi immaginare quanti».

«Mi riferisco anche al tuo amico, sai? Quanto puoi dire di conoscerlo?». Di norma Calypso attribuirebbe una frase del genere alla paura e ad un timido desiderio di rivalsa, ma c'è qualcosa nello sguardo di Berglund che le fa drizzare le orecchie.

«Che domanda è?».

«Tanto per cominciare, conosci il suo cognome?».

Il travestito ridacchia, sbilanciandosi sullo sgabello.

«Cognome? Non so nemmeno se Pindar sia il nome vero o un soprannome... ma quanta importanza può avere?».

«Parecchia. Si chiama Pindar Van Hasen, in realtà. Non dirmi che non ti ricorda qualcosa».

Il volume della risata di Calypso aumenta sensibilmente.

«Oh, andiamo. I cognomi con il "Van" davanti sono per i ricchi. Sono i cognomi di quelli che vivono nel primo anello, e Pindar non mi sembra proprio il tipo. È arrivato qui dagli slum».

«Certo. Era scappato nel terzo anello per evitare la condanna a morte». Nybras giocherella con i cubetti di ghiaccio nel bicchiere, muove la cannucce in spirali indolenti che irritano terribilmente Calypso «Aveva una moglie quando viveva nel primo anello. Liliane, si chiamava... forse te ne ha parlato».

Calypso smette improvvisamente di sorridere e sbarra gli occhi, attonita. Solo in quel momento la colpisce il pensiero che potrebbe esserci un fondo di verità in quanto quella serpe di Berglund sta per dirle.

«E tu come...»

«Come faccio a saperlo? Vai all'ufficio dell'Archivio cittadino, per un bizzarro scherzo del caso è molto ben fornito. Cerca il nome "Van Hasen" e troverai dei dossier perfettamente accessibili che raccontano come un onesto e apparentemente ineccepibile cittadino del primo anello abbia barbaramente ucciso sua moglie, circa otto anni fa».

«Non è possibile». Calypso si porta una mano alla bocca, incredula. Pindar è completamente pazzo, questo lo sa lei come ogni cittadino del secondo anello, ma non può credere che abbia fatto una cosa del genere. Quando parla di Liliane nei suoi occhi non c'è niente se non amore, l'amore denso e struggente del protagonista di un romanzo cavalleresco.

E poi le avrebbe detto qualcosa... non può venire sul serio dal primo anello.

«Non pretendo che tu mi creda sulla parola... scava, all'Archivio, ed è questo quello che troverai. Liliane Van Hyck, coniugata Van Hasen, era un'Affine appartenente ad una delle cerchie più modeste della società del primo anello. Si ammalò di quello che alcuni chiamano "il Dono degli Elelu", un tumore maligno provocato dalla malevolenza degli spiriti, e rimase chiusa in casa per diversi mesi. Pindar Van Hasen, che a quel tempo era il Custode del Primo Cancello, diede da subito segni di squilibrio, ma nessuno pensò bene di denunciarlo all'Alto Ufficio... un bel giorno i suoi colleghi si accorsero che non andava al lavoro da diversi giorni e, temendo per la sua salute e per quella della moglie, chiamarono le Guardie Cittadine. Sai cosa trovarono nell'appartamento di Pindar Van Hasen?»

Calypso scuote la testa, catturata da quello che le sembra un racconto troppo inverosimile per essere vero. O, forse, troppo inverosimile per essere falso.

«Trovarono la moglie, Liliane, con il ventre squarciato da parte a parte. L'aveva aperta in due come un pesce, quasi un centinaio di coltellate. Pare che il tumore si fosse sviluppato proprio nello stomaco, e furono fatte numerose ipotesi sulle motivazioni di un gesto così brutale. Sfortunatamente non fu possibile chiederlo al diretto interessato, perché era già scappato dal primo anello». Nybras osservò con un sorriso compiaciuto l'espressione impietrita di Calypso «Era il Custode, aveva un pass che gli permetteva di superare le barriere a sua discrezione. Sparì negli slum prima che il mandato di cattura fosse diffuso nei tre anelli, dopo un anno di ricerche l'Alto Ufficio rinunciò all'idea di scovarlo e i suoi identikit furono staccati dalle pareti degli uffici. Tutti pensavano che fosse morto».

«E invece era... qui? Come pretendi che ti creda?».

«Non lo faccio. Saranno le dieci a dir tanto, l'Archivio rimane aperto fino a mezzanotte grazie alle direttive dell'Assessore ai Beni Culturali... probabilmente speravano di trasformare questa merda in un club letterario, bah. Se vai adesso lo trovi ancora aperto».

Senza nemmeno rispondergli, Calypso si tira frettolosamente in piedi e corre fuori dalla porta mezzo scardinata dell'Horny Nipples.



Pindar fa il suo ingresso dopo un'ora di logorante attesa.

Nybras non ama aspettare, men che meno se la sua posta silenziosa culminerà con la cattura di una preda tanto scontata; Van Hasen è leggermente alticcio, lo sguardo azzurro e vacuo, i capelli arruffati.

«Sperare che non venissi era un po' troppo, evidentemente».

«Ci sono in ballo questioni più importanti del tuo quieto vivere». Il suo sussurro è quasi inudibile, visto che Keyli, sistemati i tavoli, si sta avvicinando con il suo consueto passo baldanzoso «Allora, che cosa rispondi?».

«Lo farò». Non è convinto, la voce trema un po' «Sai, è buffo. L'Alto Ufficio Amministrativo gestisce Ecbàtana da secoli senza mollare la presa, e proprio io devo essere l'anello debole che farà crollare tutto».

«La Storia ha bisogno che nelle catene da cui è avvinta si creino degli anelli deboli. Se così non fosse, nulla cambierebbe».

Nybras non si sente in colpa per aver rotto il patto con Van Hasen. Nutre pochissima compassione per quello che considera poco meno di un rifiuto umano come tanti,  e da quel poco che ha visto la donna mancata ci tiene troppo a lui per fregarlo. Probabilmente non vorrà mai più vederlo, ma non lo denuncerà alle guardie cittadine.

«Chiedi agli Affini che ucciderai se la pensano come te».

«Provare empatia per il nemico non è una buona tattica, se si vuole vincere la guerra. Fatti trovare tra due giorni vicino alla fontana della Piazza di Molnavje, alle quattro di mattina. Sai dov'è, no?».

Pindar annuisce, mentre Nybras scivola via dal suo fianco e sparisce senza rumore nella notte.



Il cielo rannuvolato si riflette nell'acqua torbida della fontana. Ogni tanto qualche goccia di pioggia increspa la superficie, onde alte appena qualche millimetro si infrangono contro gli enormi cadaveri galleggianti di lattine abbandonate e confezioni di patatine. I pacchettini accartocciati che beccheggiano sotto la spinta di un vento appena percettibile somigliano a cigni, origami realizzati dalla mano distratta di qualche rozzo artigiano ubriaco.

Pindar non sa se Liliane abbia mai creato un origami mentre era ancora in vita, ma la guarda con amore mentre affida una gru di carta alla vasca sporca e sbreccata che orna il centro della piazza esagonale di Molnavje. Uno spruzzo d'acqua moribondo e singhiozzante le accarezza la pelle eburnea delle gambe, si lancia fuori da un bocchettone arrugginito e poi si spegne per qualche secondo; ogni volta Pindar pensa che l'acqua non sgorgherà mai più, ma quella, puntualmente, zampilla di nuovo.

Liliane indossa la sua camicia da notte di cotone con i bottoni di perle. Non era mai successo prima.

«Sei bellissima». Sussurra Pindar, e lei inclina la testa di lato e lascia che lui rimiri l'arco bianchissimo del collo flessuoso. L'unico motivo per cui il futuro lo intimorisce è perché sa che non potrà averla con sé − non finché Berglund rimarrà nei paraggi.

«Mi mancherai così tanto». Pigola, sdraiandosi sul bordo della fontana «Promettimi che tornerai».

«Lo farò di sicuro. Non ci vorrà molto, vedrai». E lo spera davvero: gli tremano già le ginocchia.

Avrebbe voluto parlare un po' con Calypso prima del giorno fatidico, ma pare che nessuno l'abbia più vista in giro; probabilmente, riflette, è impegnata in qualche traffico di flussoplacche sull'altro versante della montagna e non ha avuto tempo di andarlo a trovare − non sarebbe la prima volta, visti tutti i misteriosi commerci in cui ama invischiarsi.

Sa che è ora di andare quando Liliane si dissolve nella nebbia del primo mattino e un vago chiarore si fa strada dietro i palazzi, all'orizzonte; le albe a Ecbàtana sono tristi, grigiastre, ma ogni volta che Pindar assiste al sorgere del Sole si sente afferrare da un profondo senso di commozione.

Senso di commozione che sparisce, sostituito da una rabbia cieca e irrazionale, quando Nybras Berglund sbuca da un vicolo e striscia nella piazza insieme ad un gruppo di dieci o venti persone, tutte incappucciate; non indossa più l'uniforme − forse si è reso conto di quanto dia nell'occhio − e l'ha sostituita con dei jeans macchiati di grasso e una felpa ampia e un po' stinta, vestiti comuni nel secondo anello.

«Hai preso il ciondolo?».

«Buongiorno anche a te, Berglund».

«Rispondi».

Pindar fa scivolare una mano sotto il colletto della polo ed espone per qualche secondo il pendaglio luccicante. Lo sguardo di Nybras si distende leggermente e l'Untore gli fa persino un cenno di saluto con la mano, per quanto ironico e poco sentito.

«Salve, Van Hasen. Sento che sarà una splendida mattinata».

«Mi auguro che tu sia dotato di buone capacità precognitive, perché in caso contrario finiremo entrambi sulla forca».

Il gruppo si avvia al seguito di Nybras, scivolando silenziosamente nell'intrico di viuzze e pinnacoli di roccia che rappresenta la parte più benestante del secondo settore; alle quattro del mattino le strade sono deserte, fatta eccezione per qualche vecchio ubriaco riverso sui gradini di un portone insieme al cane e per i ratti che sfrecciano nei tombini scoperchiati appena avvertono un rumore un po' troppo forte. La prima barriera si avvicina sempre di più, un immenso muro di cemento liscio alto due volte il più imponente degli edifici.

Quando giungono in vista del Primo Cancello, una fenditura alta e stretta celata da battenti di acciaio nero e pattugliata continuamente da uno sparuto drappello di guardie armate, Nybras fa cenno alla compagnia di fermarsi in un vicolo particolarmente buio e angusto.

«Immagino tu abbia capito qual è il tuo compito».

«Devo far sì che mi catturino e che cerchino di portarmi dall'altra parte, giusto?».

«Sì. Attaccheremo quando sapremo dov'è l'entrata».

«Solo una domanda...» Pindar inarca un sopracciglio «... queste sono tutte le truppe di cui disponi? Venti persone contro l'intera Guardia Cittadina di Ecbàtana?».

«La nostra confraternita conta quasi settemila adepti, Van Hasen». Pindar trattiene a stento un'esclamazione di sorpresa «E sono tutti qui, anche se non puoi vederli. Armati. Perciò ti conviene svolgere bene il tuo compito».

Annuisce, uscendo con riluttanza dal vicolo. Non riceve nessun segno d'incoraggiamento, nemmeno una pacca sulle spalle, e anche se ammetterlo sembra vergognoso avrebbe gradito un "buona fortuna". Pensa al sorriso splendente di Liliane e si sente un po' rinfrancato mentre si avvicina alle guardie.

Indossano l'uniforme d'ordinanza, giacca infeltrita verde scuro su pantaloni di cotone grigio; passeggiano avanti e indietro davanti al portone, imbracciando fucili a canne mozze e mitragliatrici pesanti, gli anfibi chiodati fanno un rumore d'inferno sul selciato. Sono in tutto nove.

Quando notano Pindar, che all'inizio scambiano per l'ennesimo tossicomane a cui è saltato il grillo di sconfinare, si limitano a puntargli contro le armi e chiedergli con gentilezza di togliersi di mezzo.

«Su, amico». Fa il più vicino, che sul bavero della giacca ha appuntate le stelle di caporale «Lèvati dai coglioni, dai. Non ti facciamo niente se te ne vai subito».

«Per me non capisce quello che gli stai dicendo, Bauer».

Bauer non si arrende e, senza smettere di sorridere bonariamente, si avvicina a Pindar quel tanto che basta per guardarlo negli occhi e parlargli con un tono di voce normale.

«Che ti è successo, eh?». Lo tratta come un bambino che non trova più i genitori «Riesci a tornare a casa da solo?». Non ha più di venticinque anni, il caporale Bauer, e probabilmente non ha mai visto la sua foto sui giornali; fortunatamente ci sono un paio di guardie che dimostrano ben più di cinquant'anni e devono ricordarlo per forza − non l'hanno riconosciuto soltanto perché ritrovarsi davanti un assassino che si offre spontaneamente alla giustizia dev'essere una specie di utopia, troppo infantile persino per le reclute.

«Mi chiamo Pindar Van Hasen». Quasi grida, contrae i muscoli delle cosce per controllare le gambe tremanti «Otto anni fa ho... ho...» il cuore batte all'impazzata, la voce gli muore in gola «Mi sono macchiato dell'omicidio di una persona. Sono qui per consegnarmi spontaneamente alla Guardia Cittadina».

Bauer lo fissa con un misto di curiosità e imbarazzo, qualcuno dei commilitoni scherza: «Puttana ladra, l'ennesimo mitomane. Si svegliano sempre più presto, eh?».

Uno dei più vecchi però, un uomo alto e smilzo che avrà suppergiù una sessantina d'anni, sporge la testa in avanti e, socchiudendo gli occhi, esclama: «Bauer, che sia maledetta quella cagna di mia madre, tienilo sotto tiro!». Bauer si affretta ad eseguire, e il militare smilzo si avvicina a Pindar scrutandolo con attenzione.

«Allora, Gavriil? È o non è chi dice di essere?».

«Che mi prenda un colpo». Il viso di Gavriil ha assunto uno strano colorito cinereo «Se non è lui ci assomiglia spaventosamente. Per me dobbiamo portarlo immediatamente in centrale, Bauer».

Il caporale annuisce, poi ordina: «Ammanettalo».

Il sudore scende lungo la schiena di Pindar in lenti rivoli ghiacciati. Si avvicina il momento cruciale.

Le manette scattano attorno ai suoi polsi, e improvvisamente si ritrova a dipendere completamente dall'aiuto di Nybras Berglund; se dovesse decidere di tradirlo, se non fosse in grado di salvarlo, Pindar verrà giustiziato sulla forca. È più vicino alla morte di quanto lo sia mai stato prima, e questa consapevolezza lo atterrisce. Vorrebbe che Liliane fosse lì con lui.

Quattro delle nove guardie di ronda si infilano delle cappe pesanti, di un colore simile al bitume, e ne drappeggiano una anche attorno al corpo infreddolito di Pindar; scende fino a terra in pieghe larghe, voluminose, e lo opprime come un macigno sulle spalle tremanti.

«Mai capitato in trentasei anni di servizio, cazzo. Il prossimo miracolo mi auguro sia la pensione».

Bauer ridacchia alla battuta, poi si fa di colpo serio; chiude gli occhi, concentrato, e sussurra qualcosa che Pindar non riesce a cogliere. I militari scompaiono in un battito di ciglia.

«Puoi stare tranquillo, cane balordo». La voce di Gavriil, da un punto indefinito alla sua sinistra, è soffocata dalla cappa «Ci siamo ancora. Misure di sicurezza, sai com'è. E adesso lascia che ti scortiamo».

Lo trascinano di malagrazia, facendolo incespicare più volte e stringendogli dolorosamente le braccia; percorrono qualche centinaio di metri a ridosso del muro nel più completo silenzio, ma Pindar si chiede perché non l'abbiano imbavagliato: volendo, se si mettesse a gridare svelerebbe la loro posizione. Evidentemente la tempra delle guardie non è più quella di una volta.

In ogni caso, lui non ha nessuna intenzione di rischiare la vita in un modo tanto avventato.

Si fermano dopo quasi venti minuti di camminata, in un punto nascosto dall'ombra di due immensi caseggiati che hanno l'aria di ospitare stabilimenti industriali. Bauer mormora di nuovo una sequela di parole strane, incomprensibili, e sotto gli occhi stupefatti di Pindar il selciato si spalanca e lascia intravedere un'apertura tonda e una scaletta di metallo che sprofonda nelle viscere della terra. C'è un sottopassaggio.

Lo spingono in avanti, intimandogli di scendere, e la sua vista si annebbia. Potrebbe svenire da un momento all'altro.

Lo sparo lo riscuote dal torpore.

Risuona lontano, ma con una tale potenza che Pindar sobbalza e per poco non cade nell'apertura. Si rende conto solo in un secondo momento che i militari della guardia sono tornati visibili, e che il corpo steso a terra con un buco grosso come un pompelmo al centro della schiena è Bauer. Bauer, agonizzante ma decisamente vivo, cerca di parlare e vomita una fontana di sangue sulle pietre squadrate. Tolto di mezzo l'Affine del gruppo, il sottopassaggio rimarrà aperto.

"Nybras Berglund, sei un bastardo fortunato".

Si scrolla di dosso la cappa, Pindar, e fa un paio di passi indietro prima che una raffica di mitragliatrice si abbatta sul gruppetto di militari; non appena Bauer, la faccia affondata in una pozza di sangue non più soltanto suo, tira l'ultimo respiro le manette si sganciano con un "click" e cadono a terra, inerti. Van Hasen scappa via con una velocità che non credeva possibile per le sue vecchie gambe fuori allenamento, i bronchi in fiamme e una serie di colpi di tosse che lo costringono a fermarsi e ad appoggiarsi ad un muro dopo una cinquantina di metri.

Gli Untori, nel frattempo, danno il via all'avanzata. Li vede sbucare dai vicoli, dalle finestre a pianterreno, calarsi dai tetti con l'agilità delle scimmie; sono tanti, innumerevoli formiche vestite di stracci che si lanciano correndo verso il sottopassaggio e vi si gettano senza nemmeno sapere quello che troveranno dall'altra parte. Uomini e donne, è indifferente: non riesce nemmeno a distinguerli, come se portassero tutti la stessa maschera a celare i lineamenti del viso. Una maschera inquietante, semiumana, con le orbite spalancate e un lungo becco affilato.




   
 
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