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Autore: Sariel    10/02/2008    13 recensioni
Tornai a concentrarmi sulla porta. Allungai la mano per aprire la porta ma mi bloccai. Avevo paura. Paura di cosa avrei trovato dentro a quella stanza.
Genere: Triste, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan, Sorpresa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Memoires
Autore: Lady_Malfoy(Sara over the rainbow.)
Rating: Verde
Genere: Triste
Personaggi: Sorpresa
Note: L’ispirazione per questa fiction mi è venuta ascoltando Memories dei Within Temptation [la citazione all’inizio della fic è presa dalla canzone]. Non voglio anticiparvi nulla.

Buona lettura.
I commenti sono

Memoires ~

All of my memories keep you near.
In silent moments,
Imagine you'd be here.

Memories ~ Within Temptation

 

 

~

 

 

La strada sterrata era come la ricordavo. Si inoltrava nella vegetazione, serpeggiava in mezzo al bosco fitto e consentiva una visibilità di pochi metri. Mentre la macchina procedeva mi scorsero nella testa le immagini di una serata di giugno, quando la stradina nascosta era stata illuminata da torce che indicavano il cammino.
Le mie labbra si incresparono in un lieve sorriso.
Dopo qualche minuto il bosco cominciò a diradarsi, mostrando il giardino della grande casa bianca. Nulla era cambiato. I rami dei cedri non oscuravano il giardino e la debole luce del sole illuminava l’erba non curata e le erbacce che si trovavano davanti a me.
Aprii piano la portiera per scendere. Rimasi immobile davanti alla casa per qualche secondo.
Lo scroscio del fiume mi fece capire che il posto era giusto ma non riuscivo a credere che fosse quella la casa.
La grande casa bianca era cambiata notevolmente. Si potevano ancora scorgere le decorazioni ma l’edera che era cresciuta le nascondeva. Il colore si era stinto e in alcuni punti si potevano vedere delle crepe.
Avanzai di qualche passo, continuando a fissare la facciata dell’abitazione. L’erba alta mi sfiorava le gambe, dandomi una leggera sensazione di fastidio.
Camminai fino alla veranda,salendo piano gli scalini. Anche il portico portava i segni del tempo.
Come la facciata, il colore era spento e sbiadito, la struttura era segnata da alcune crepe.
 
Sentii la sua voce morbida alle spalle e mi voltai. Salì gli scalini del portico con la sua solita grazia e mi raggiunse.
Mi abbracciò forte e mi baciò. Le sue labbra perfette si modellarono sulle mie, lasciandomi senza fiato. Mi aggrappai alle sue spalle ma le sue braccia possenti mi spostarono di peso indietro.
Sbuffai spazientita e lo fissai. Rideva sotto i baffi, la mia espressione doveva essere ridicola.
Non era ancora il momento. Quello l’avevo capito, ovvio. Però mi aspettavo qualcosa di più. Non ne potevo più del suo autocontrollo, volevo un vero bacio. Certo, ormai la promessa gliela avevo fatta. Niente tentazioni, in nessun modo.
Forse potevo sopportarlo. Dopotutto c’era l’eternità davanti a noi.
 
Scossi con decisione la testa ed entrai. L’interno della casa era rimasto sorprendente, nonostante gli anni. La fioca luce che penetrava nelle finestre sporche non riusciva a illuminare tutto l’ingresso. La vetrata che dava sul fiume era infranta: alcuni pezzi di vetro giacevano verso l’interno e riflettevano la luce sul soffitto a volta, creando una strana atmosfera.
Cercai con lo sguardo il pianoforte, voltandomi automaticamente verso il rialzo alla mia sinistra ma non lo trovai. Dovevano averlo portato via, era ovvio.
Non avevano lasciato nulla di loro. D’altronde come potevano? Non avrebbero mai lasciato indietro qualcosa, soprattutto se quel qualcosa apparteneva a lui.
Avevano trovato troppo dolore a Forks. Lasciando qui il pianoforte avrebbero gettato via un ricordo doloroso.
Salii la massiccia scalinata, sfiorando il corrimano impolverato. Percorsi il corridoio del primo piano, diretta all’ultima porta. Lancia un’occhiata veloce sopra la mia testa anche se sapevo benissimo di non trovare la decorazione che mi aveva sorpresa la prima volta.
Naturalmente la grossa croce di legno era sparita.
Tornai a concentrarmi sulla porta. Allungai la mano per aprire la porta ma mi bloccai.
Avevo paura. Paura di cosa avrei trovato dentro a quella stanza.
Lui non c’era più, questo lo sapevo benissimo. Credevo forse di aprire quella porta e di trovarmelo davanti sorridente? No, quello mai.
Allora perché avevo paura? L’avevo visto andarsene con i miei occhi, la mia esitazione non aveva una logica.
Inspirai profondamente ed entrai.
 
Aprii lentamente gli occhi e mi trovai davanti il suo viso angelico. Mi rivolse uno di quei suoi sorrisi sghembi che adoravo tanto e sorrisi a mia volta. Era seduto a gambe incrociate accanto al divano nero sullo spesso tappeto dorato, piegato in avanti verso di me.
«Tesoro, non capisco cos’hai contro quel letto.» mi disse, lanciando un’occhiata al letto a baldacchino alle sue spalle.
«Lo sai benissimo, amore.» gli risposi, tentando di assumere un tono deciso. In risposta mi fissò con uno sguardo interrogativo, penetrandomi con i suoi occhi dorati. Perfetto, la mia decisione era svanita del tutto.
«L’hai detto tu,no? Si possono fare molte cose su un letto.» mi morsi il labbro, in attesa di risposta.
Sbuffò. «Ne abbiamo già discusso. Non riesci proprio ad aspettare?»
«No. Ti voglio, mi pare che questo sia limpido come l’acqua.»
«Manca solo un giorno. Da domani sarai mia e manterrò la promessa.»
Gli lanciai un’occhiata supplice.
«Credimi,» si alzò e si piegò verso di me. «è più difficile per me che per te.»
Non mi lasciò il tempo di rispondere. Le sue labbra catturarono le mie in un bacio.
 
Stavo tremando. Il letto, il nostro letto, era ancora lì. Il copriletto dorato e il drappo che cadeva dall’alto erano coperti di polvere, la struttura di ferro battuto nero finemente lavorata aveva un colore spento e anonimo. Di fronte al letto il divano di pelle giaceva intatto. Non era lucido come una volta ma si era preservato meglio degli altri oggetti della casa.
Accanto al letto c’era il pianoforte a coda. L’avevano spostato alla fine. Tutto ciò che poteva ricordare lui era stato portato in quella stanza. Alzai delicatamente la copertura dei tasti e ne schiacciai uno. Emise un terribile suono.
La sua canzone, la mia ninna nanna mi mancava terribilmente. Quella melodia dolce e morbida mi era stata negata per molto tempo.
La stanza era illuminata debolmente, la vetrata che dava sul fiume e sui Monti Olimpici era opaca e sporca. Mi girai verso la porta, volevo uscire, non ce la facevo più.
Un luccichio attirò la mia attenzione. Appoggiata all’ammasso di cd della parete a nord c’era una foto.
Mi avvicinai per guardarla meglio. Il vetro era rotto e deformava la foto.
Mi si strinse il cuore. Due figure, vestite elegantemente, mi fissavano sorridenti e felici, ignare di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Il Signor e la Signora Cullen.
 
Dietro alla casa bianca era tutto pronto. Le sedie, l’arco e la pedana per gli sposi, le decorazioni. Alice era stata premurosa come al solito e aveva reso tutto speciale.
«Isabella Marie Swan, vuoi tu prendere il qui presente Edward Anthony Masen Cullen come tuo legittimo sposo?»
«Lo voglio.»
«E vuoi tu, Edward Anthony Masen Cullen prendere la qui presente Isabella Marie Swan come tua legittima sposa?»
«Lo voglio.»
«Con il potere conferitomi dalla Chiesa vi dichiaro marito e moglie.» il prete si rivolse verso Edward. «Ora puoi baciare la sposa.»
Sentii chiaramente i singhiozzi di Charlie. E pensare che era contro. Tentai di non ridere mentre Edward abbassava il suo viso per baciarmi. Quando le nostre labbra si incontrarono, gli invitati cominciarono ad applaudire. Mi staccai delicatamente da Edward e gli sorrisi.
«Ed, Bella, sorridete!» Alice aveva già preso in mano la macchina fotografica ed era pronta per le foto. Certo, era il nostro matrimonio, ma Alice metteva paura con in mano la macchina fotografica.
Tentai di mettermi in posa al meglio anche se avevo la fotogenicità di un sasso. Per poco il flash non mi accecò ma Alice sembrava soddisfatta.
Ero diventata la signora Cullen. E da lì in avanti avrei avuto l’eternità davanti a me.
Un’eternità da passare con Edward.
 
Le lacrime cominciarono a scendere da sole. Grosse goccie salate colpirono il vetro del portafoto.
Come era potuto succedere? Perché ero stata così ingenua da fidarmi di lui?
Alla fine ero riuscita a rovinare tutto. Erano passati cinquant’anni ormai. Avevo passato cinquant’anni a rimproverarmi, cinquant’anni a piangere per lui, cinquant’anni a dannarmi.
Tutto per la mia ingenuità.
 
Accadde tutto in un attimo. Si sentirono alcuni ululati e dal bosco uscirono due enormi lupi. Il più grosso aveva il pelo sul rossiccio e puntava lo sguardo verso me ed Edward. Il più piccolo, un lupo grigio, era attento agli altri Cullen.
Le grida si levarono alte. Gli invitati cominciarono a correre via, terrorizzati dall’improvvisa apparizione. Esme li aiutò a scappare, controllando sempre i due lupi. Non erano una minaccia per Charlie, Angela o Ben.
Non erano loro i loro obbiettivi.
Edward si mise in difesa davanti a me, ringhiando. Il lupo rossiccio avanzò velocemente verso di noi, senza badare agli altri, mentre il lupo grigio si occupava di Emmett, Rosalie, Alice e Jasper che stavano accorrendo da noi.
«Scusami.» sentii Edward dire prima di spostarsi e farsi seguire dal lupo, per allontanarlo da me. In quel momento accadde tutto. Il lupo grigio lasciò i Cullen da soli avvicinandosi a me, pronto all’attacco. Lanciai un’occhiata spaventata a Edward e lo vidi sgranare gli occhi. Aveva abbassato la guardia per pochi secondi ma pagò quella sua distrazione. Vidi il lupo più grosso gettarsi addosso ad Edward con un ringhio disperato. I denti dell’animale affondarono in Edward che lanciò un urlo gutturale. Ero impietrita. Vedevo i due lottare davanti a me, incapace di fare qualcosa. Tutto stava diventando sfocato ma vidi con chiarezza l’ultimo attacco del lupo.
«Edward» sussurrai debolmente, prima che tutto diventasse nero.
 
Stavo singhiozzando. Tutto il mio corpo era scosso da tremiti davanti a quel ricordo. Mi girai tra le dita la sottile vera d’oro giallo e rosso e la baciai. Dal mio polso sinistro pendeva il cuore che mi aveva regalato. Avevo bruciato il piccolo lupo di legno che mi aveva regalato Jake.
Lo odiavo. Il mio Edward non c’era più.
Jacob Black me lo aveva portato via.
Mi aveva negato l’immortalità.
Mi aveva negato la felicità.
E tutto quello che mi rimaneva erano ricordi sbiaditi dal tempo.
  
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