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Autore: Blue_moon    02/08/2013    3 recensioni
Terzo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia è necessaria la lettura delle prime due parti, Prigioni e Spie.
Sono passati tre anni da quando Loki è scomparso nuovamente con il Tesseract.
Nè sulla Terra, nè ad Asgard si sono più avute sue notizie.
Apparentemente le cose sono tornate alla normalità.
Ma nell'ombra antichi nemici stanno preparando la loro mossa, dritta al cuore.
Avvertenza: nella trama sono presenti forti SPOILER riguardo Thor: The Dark World e Iron Man 3, se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete.
AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Eccomi qui, stavolta sono stata veloce... purtroppo non vi posso assicurare che il capitolo nove arriverà entro breve, tra poco partirò per le vacanze e non so quanto tempo avrò per scrivere, perdonatemi :(
Con questo capitolo si chiude la prima parte della storia, in cui ci sono tutte le carte in tavola (????) e ci avviciniamo al cuore dell'intera vicenda.
Spero che il capitolo vi piaccia.
A presto!
Nicole



La brezza del mattino muoveva delicatamente le impalpabili tende traslucide, producendo un gradevole fruscio simile allo stormire delle foglie.
Nei giardini di Asgard l'aria era calda e afosa, sospesa come prima di un temporale estivo.
La luce dell'alba illuminava le lenzuola disfatte, risalendo pigramente lungo il corpo seminudo di Khalida, seduta al centro del materasso a gambe incrociate, nella tipica posizione di meditazione yoga. Si era svegliata da pochi minuti e, come sua abitudine, stava facendo dei semplici esercizi di respirazione.
Di primo mattino la aiutavano a riordinare le idee, e in quel frangente ne sentiva particolare bisogno.
Socchiudendo gli occhi, sbirciò il profilo di Match, appoggiata sul materasso davanti a lei.
Aveva un'idea piuttosto vaga di come estrarre le informazioni di cui aveva bisogno dall'arma, a patto che ne contenesse.
Si era dovuta concedere quel che restava della notte per riposare, recuperando le forze che Match le aveva strappato, ma ora non aveva motivi per rimandare ciò che doveva fare.
Prima riusciva a trovare Loki, prima sarebbe tornata da Ivy.
Il ricordo della ragazza le fece stringere le labbra, in un moto inconsueto di malinconia.
Sapeva che il rapporto tra lei ed Ivy era solido, e non aveva paura che ciò che stava accadendo lo rovinasse, ma nei due anni in cui aveva vissuto insieme non si erano mai allontanate l'una dall'altra, e ora provava uno strano misto tra gelosia e preoccupazione, nel saperla lontana, chissà dove e chissà con chi.
Prima che l'ansia la inondasse, Khalida tese le mani e strinse le dita sull'asta di Match, concentrandosi.
Il metallo si modellò alla forma della sua mano, confortevole come un guanto.
Era nuovamente tiepido, come lo ricordava.
Come se fosse satura, l'arma non le sottrasse ulteriore energia, ma una sensazione strana le rimbombò nei nervi, quasi una vertigine.
Scacciando l'ondata di nausea, Khalida chiuse gli occhi e riprese a respirare profondamente, provando ad imitare i gesti che aveva visto fare a Loki durante le sue sedute di meditazione.
Il silenzio si fece di piombo, e per lunghi secondi, nulla lo turbò.
Lento e impercettibile come il salire della marea, un basso ronzio le giunse alle orecchie, simile al rumore della corrente che scorre nei fili dell'alta tensione.
Aprì la mano e il ronzio svanì.
Incoraggiata dal progresso, Khalida riprovò e, quando le sue orecchie colsero nuovamente il ronzio, si concentrò su di esso, continuando a respirare in modo regolare e profondo.
Ben presto la percezione del tempo e degli oggetti intorno a lei svanì completamente, e il lieve rumore di fondo diventò più intenso, cambiando ritmo.
A poco a poco, i cambiamenti di volume e di frequenza si chiarificarono, e Khalida riuscì ad udire distintamente dei suoni simili a parole, in varie lingue che non comprendeva.
Parla.
Sillabò improvvisamente una voce metallica.
Khalida si stupì talmente tanto per quel cambiamento repentino che sussultò, aprendo di scatto gli occhi. Fortunatamente, ebbe la prontezza di spirito di non mollare la presa su Match.
Parla. Ripeté la voce.
Questa volta, più che nelle orecchie, Khalida la sentì risuonare distintamente nella mente.
Non credeva alle esperienze mistiche, per cui era certa che ci fosse una spiegazione scientifica del tutto plausibile per ciò che stava vivendo, ma non era certo quella l'occasione per scoprirlo.
Chi sei? Domandò tra sé e sé.
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte. Replicò la voce.
Khalida rifletté per un secondo sulla frase, poi corresse la domanda. Cosa sei?
L'ultimo lascito del mio popolo.
Khalida trattenne un sospiro di sollievo. La sua speranza non era stata del tutto vana.
In Match era veramente custodita una sorta di copia di backup di ciò che il Tesseract conteneva.
Come posso trovare Loki? Domandò, con più entusiasmo.
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte.
Khalida strinse i denti, frustrata. Evidentemente quella voce era una sorta di intelligenza artificiale, programmata per rispondere a stimoli prestabiliti. Una specie di Jarvis alieno.
Sperava solo di non metterci troppo tempo per giungere alle informazioni che le servivano.
Era probabile che Thanos non avrebbe attaccato fino a che non fosse stato certo della presenza di Loki ad Asgard, ma era meglio non provocare inutilmente la sorte.
Rifletté con calma.
Match era stato creato con il Tesseract, e Loki le aveva detto che grazie all'arma avrebbe potuto rintracciarla. Se era vero, ciò con cui stava conversando doveva essere direttamente collegato con la fonte primaria di quelle informazioni. Un po' come un computer può essere connesso ad un server distante centinaia di chilometri.
Come posso rintracciarti? Provò a chiedere.
Segui l'energia. Rispose la voce.
Quale energia?
Questa volta la voce ci mise qualche secondo ad elaborare la risposta e non la espresse a parole, ma attraverso una serie di immagini, in cui la familiare luce blu del Tesseract si mescolava a galassie e costellazioni che Khalida non aveva mai visto.
Non esistono varie fonti d'energia, ma solo l'energia. Ogni cosa si muove grazie ad essa.
Una nuova immagine le mostrò, in un ultimo sprazzo di colore, la camera del Bifrost.
Khalida si morse le labbra, pensierosa.
Aveva già sospettato che il Bifrost potesse essere il mezzo più adatto per trovare Loki, ma era Heimdall ad indirizzarlo e lo sguardo del Guardiano si era dimostrato più volte cieco, quando si trattava di rintracciare il Principe perduto di Asgard.
Ma forse...
Come posso guidare il Bifrost? Chiese Khalida
Devi porre i giusti quesiti, se desideri le risposte.
Khalida soffiò un gemito di frustrazione tra i denti, si morse ancora le labbra, concentrandosi di più.
Come posso indirizzare l'energia? Provò, quando ormai aveva vagliato tutte le varianti grammaticali e semantiche che riusciva ad imbastire.
Non puoi. Dovrai lasciare fare a me.
Khalida era sospettosa, la faccenda le sembrava troppo semplice.
Potrebbe essere pericoloso?
Non so calcolare gli effetti dell'energia sul tuo corpo a lungo termine, ma al viaggio sopravvivrai.
L'entità non si preoccupò di aggiungere altro e un'improvvisa stanchezza cadde sulle spalle di Khalida, quasi schiacciandola contro il materasso.
Sfinita, lasciò andare Match e il contatto mentale svanì così come si era creato.
Si stese sul materasso, per prevenire eventuali svenimenti e, nel portarsi le mani al volto, intercettò qualcosa di strano.
Si fissò le mani, sorpresa, più che spaventata.
Sulla pelle aveva sottili ustioni, del tutto identiche alla trama della filigrana sull'impugnatura di Match. Probabilmente, stando a quanto aveva detto la voce, quella piccola ferita era solo l'inizio. Anche Loki glielo aveva detto, tempo prima.
Non poteva sperare di usare l'energia di Match, senza subire conseguenze a livello fisico.
Lo stomaco le brontolò rumorosamente, distogliendole la mente da quelle riflessioni cupe.
Con gli occhi frugò intorno a lei.
A pochi passi dal letto, un tavolino basso era stato imbandito con svariate tipologie di cibo, alcune non troppo diverse da quelle terrestri.
Khalida sorrise appena. Volstagg era stato di parola.
Facendo leva sui gomiti, si mise seduta.
Il tempo di mangiare e recuperare le forze, poi avrebbe nuovamente ritentato di conversare con quella strana entità.
Non poteva commettere errori, era consapevole che non avrebbe avuto una seconda occasione.

Khalida non aveva mai considerato l'opportunità di diventare madre, nemmeno da bambina.
Una certezza impressa a fondo nel suo cervello, quasi un imprinting, le suggeriva che non aveva alcuna possibilità di essere brava in un mestiere che nessuno le aveva insegnato.
Per questo non aveva battuto ciglio quando i servizi segreti israeliani le avevano messo davanti l'opportunità di sottoporsi ad una piccola ed innocua operazione chirurgica che le avrebbe impedito per sempre di avere figli.
Era una decisione di cui non si era affatto pentita, nonostante l'entrata in scena di Ivy.
Per quanto la definisse sua figlia, Ivy era qualcosa di diverso da un figlio biologico, forse addirittura qualcosa di meglio. Tra loro non esistevano rivalità di nessun tipo, e le tipiche problematiche madre/figlia che aveva studiato sui testi di psicologia non avevano ragione di esistere.
Questo non significava che prendersi cura di lei fosse stato semplice, ma il loro rapporto assomigliava più a quello tra un insegnante e il proprio allievo, fondato su un rispetto e un affetto guadagnato nel tempo, piuttosto che su un principio di dovere dovuto al legame di sangue.
Poteva definirsi la madre di Ivy perché le voleva bene, non le voleva bene perché era sua madre.
Anche se poteva sembrare solo un giro di parole, in realtà tra le due cose c'era una sostanziale differenza, quasi abissale.
Khalida si massaggiò lentamente una tempia, tentando di scacciare il mal di testa incipiente.
Aveva passato tutto il giorno chiusa nella sua camera, parlando con l'entità dentro Match, fino a che non era stata certa di aver compreso cosa fare per rintracciare Loki. La cosa, benché istruttiva, non era stata piacevole, e si sentiva stanca e debole. Probabilmente, aveva anche qualche linea di febbre, ma non era certo il momento di commiserarsi.
Quella faccenda andava chiusa in fretta.
Un'ora prima aveva mandato a chiamare Thor, dandogli appuntamento alla fine del Ponte dell'Arcobaleno.
Era arrivata da pochi minuti, ma già iniziava ad annoiarsi e la testa ultimamente le giocava brutti scherzi, indugiando troppo spesso in pensieri ancora nuovi per lei.
Cercando di distrarsi, voltò gli occhi intorno, osservando la cupola del Bifrost, attraversata da pigre scariche di luce bianca, lungo venature simili a radici. Al centro, nel punto più alto, un foro largo circa cinque metri di diametro lasciava filtrare appena la luce rossastra del tramonto infinito di Asgard.
La grande camera era immersa nella penombra, e la lieve luce opalina della pavimentazione traslucida segnava gli oggetti di ombre cupe e profonde.
Alle sue spalle, Khalida sentì i passi pesanti di Heimdall avvicinarsi.
Non aveva dubbi che il Guardiano intuisse già il motivo della sua presenza lì, per cui non si sorprese troppo quando l'immenso asgardiano l'affiancò. «Può funzionare», disse, con la sua voce profonda e monocorde. «Ma potrebbe essere pericoloso».
Khalida incrociò le braccia al petto. «Comprendo i rischi».
«Ma sei disposta a correrli?».
La donna non rispose.
Spostò lo sguardo verso il palazzo reale, che si intravedeva appena in una delle strette finestre.
«Ho dato la mia parola», mormorò, tra sé e sé.

Khalida aveva congedato le ancelle con voce brusca, quasi tagliante.
Probabilmente le donne si erano risentite per il modo irrispettoso con cui le aveva apostrofate, ma non le importava più di tanto. Non vedeva l'ora di lasciare quel pianeta, o qualunque cosa diavolo fosse quel posto. Per quanto Asgard fosse affascinante, era aliena, lo percepiva fin sotto la pelle, e lei si sentiva ogni minuto di più fuori posto.
Perfino il modo in cui l'avevano vestita provava la sua umanità.
Anche se era abbigliata esattamente come Sif, nemmeno un cieco l'avrebbe mai scambiata per un'asgardiana.
L'aveva chiesta a gran voce, ma la sua uniforme dello S.H.I.E.L.D. non le era stata restituita, così come le sue armi.
Poteva affermare con sicurezza di non essersi mai sentita così indifesa.
Un lieve bussare alla porta interruppe i suoi pensieri.
Pensò immediatamente che fosse una delle ancelle, e sbuffò, brontolando un invito a mezza voce. Chiunque fosse, non aveva nessuna voglia di essere gentile.
«Vi chiedo perdono per la mia intrusione», mormorò una voce delicata alle sue spalle.
Khalida si voltò e scrutò la giovane ragazza che, a capo chino, sembrava attendere una sua parola.
Non era una delle ancelle che l'avevano vestita.
«Cosa vuoi?», domandò, diretta.
«La Regina desidera parlarvi».
Khalida si irrigidì visibilmente. Non aveva nessun desiderio di invischiarsi ulteriormente con quella famiglia, ma non poteva nemmeno rifiutare un ordine così diretto.
Sospirando, raddrizzò le spalle. «Ti seguo».

La Regina Frigga, prima di essere una sovrana e una moglie, era una madre.
Khalida l'aveva capito subito, non appena l'aveva vista seduta ai piedi del trono del marito. L'aveva letto dentro lo sguardo che aveva dedicato ai suoi figli, naturali e non, e lo vedeva anche ora, mentre la fissava avanzare nella luce sfavillante del primo mattino. Possedeva quella ferma dolcezza, quella certezza data dall'amore più puro e incondizionato, che solo le madri per vocazione possiedono.
Qualcosa di cui Khalida ammetteva l'esistenza, ma non capiva, né conosceva, come un cieco dalla nascita che non è in grado nemmeno di immaginare i colori.
Il portico era immerso in un giardino apparentemente isolato dal resto del palazzo, e Khalida intuì immediatamente che l'incontro con la Regina non era ufficiale.
Chissà perché, l'aveva immaginato.
Frigga le dedicò un lungo sguardo attento.
«Questo abbigliamento vi dona», osservò.
«Vi ringrazio maestà», replicò Khalida, pur non nascondendo un'espressione scettica.
Frigga sorrise, con fare più naturale. «Voi umani siete così diffidenti», mormorò, quasi tra sé e sé.
«È il nostro modo di sopravvivere», fece presente Khalida. «Perché ha chiesto di vedermi?», aggiunse.
La Regina la soppesò con lo sguardo per qualche istante, poi si avvicinò di un passo. «Cosa sai delle leggende che il tuo popolo narra su di noi?».
«Nulla», ammise Khalida, confusa dalla domanda.
Frigga accennò un nuovo sorriso, adombrato da una serietà improvvisa. «Non solo Loki sa padroneggiare quella che voi chiamate magia. Altri asgardiani, creature rare e preziose, possiedono abilità simili, benché non così varie e potenti», la voce di Frigga si affievolì per un istante, e gli occhi antichi della dea si persero in ricordi troppo remoti, perché Khalida potesse intuirli.
«Io sono una di loro», concluse la Regina. «Di tanto in tanto, i miei occhi sono in grado di vedere oltre, tra le pieghe del tempo e dello spazio. Non sono altro che brevi scintille, spiccioli di futuro a volte incomprensibili, altre drammaticamente chiari».
Khalida si sentì invadere dalla nausea. «Cosa sta cercando di dirmi?».
Frigga si avvicinò ancora, e Khalida si ritrovò a fissare la fitta rete di sottili rughe d'espressione che circondavano gli occhi della dea. Con un lieve sussulto dei muscoli facciali, lo sguardo della Regina si affilò.
«Arriverà un momento, umana, in cui mio figlio avrà bisogno del tuo aiuto», dichiarò, con solennità. «Ho convinto mio marito a salvarti solo in vista di quel momento».
Khalida strinse i denti. «Cosa si aspetta che faccia?», sibilò.
Ogni sentimento positivo che aveva provato per la sovrana di Asgard era stato fagocitato da un'ondata di rabbia.
Ancora una volta, qualcuno si stava arrogando il diritto di manovrare la sua vita.
Frigga fece il gesto di allungare la mano, ma lo interruppe a metà, intuendo il disagio di Khalida.
«Ti darò qualcosa in cambio», disse infine la Regina, come in una tacita scusa.
«E cosa potreste mai avere, per me?», sbottò Khalida, aggressiva.
«Risposte», fece laconica Frigga. «Dimmi umana, quante persone hai ucciso?».
Khalida sgranò gli occhi, sentendo qualcosa pungere all'altezza dello sterno, ma il suo orgoglio, l'unica cosa che nessuno le avrebbe mai strappato, le impose di non eludere la domanda.
Non aveva mai fatto mistero con nessuno del suo passato, e benché potesse non andarne fiera, non l'avrebbe mai rinnegato.
«Molte».
«Eppure una sola di quelle vite ti pesa sulla coscienza», osservò placidamente Frigga.
Khalida fece istintivamente un passo indietro, improvvisamente terrorizzata da ciò che la sovrana sembrava sapere di lei. Forse cose che nemmeno lei riusciva ad ammettere con sé stessa. «Lei non può osare...», iniziò, ma Frigga la interruppe.
«So che c'è una domanda che ti tormenta, e posso darti la risposta di cui hai bisogno, se mi prometterai che farai ciò che ti chiedo».
Quella conversazione era la più strana che Khalida avesse mai sostenuto, ma non aveva dubbi che la Regina dicesse sul serio.
Se così non fosse stato, la paura non l'avrebbe afferrata in modo tanto violento.
Ma quella domanda che da anni la tormentava, e la sua risposta, che ancora non aveva afferrato, erano un chiodo doloroso nella sua mente. E per strapparlo via, avrebbe dato qualsiasi cosa, nonostante sapesse che in futuro se ne sarebbe pentita.
«Prometto», le scivolò di bocca, in un sospiro spezzato.
Frigga stavolta le posò le mani sulle spalle, fissandola dritto negli occhi. La sua espressione era seria, ma una sottile dolcezza trasparì dai suoi lineamenti.
«Ce la farai. Troverai la pace che brami, se permetterai al tuo cuore di amare nuovamente», dichiarò Frigga, non riuscendo a trattenere un sorriso nello scorgere le lacrime in bilico tra le ciglia della donna di fronte a lei.
Khalida le ricacciò orgogliosamente indietro e chinò appena il capo.
«Mi dica cosa vuole che faccia».
«Resta vicino a mio figlio, ad ogni costo».

Alla Bocca del Demone, Khalida aveva creduto che il suo estremo sacrificio per permettere a Loki di fuggire adempisse il volere della Regina, e che la pace che aveva tanto agognato sarebbe arrivata attraverso la morte.
Si era sbagliata, perché la sua redenzione era Ivy, e ciò che tutto lei rappresentava.
Una rivincita sul suo destino di assassina e il riscatto per la vita di Mannar che non era riuscita a salvare.
Probabilmente, se non fosse stato per le parole di Frigga, non avrebbe mai accettato di prendersi cura di quell'ammasso di guai e rabbia che era la ragazza quando l'aveva incontrata.
Per questo aveva acconsentito subito alla richiesta di Thor.
Era giunto il momento che pagasse il suo debito.
Anche se aveva previsto le circostanze che avrebbero portato alla sua morte, Frigga non si era preoccupata di proteggersi, pensando unicamente al bene dei propri figli, e Khalida da lei stava imparando cosa significava davvero essere madre.
Nonostante questo, la Regina l'aveva delusa.
Credeva che con la sua richiesta Frigga volesse proteggere Loki, invece le circostanze le suggerivano che la dea, parlando di suo figlio, si riferisse a Thor, e che ciò che intendeva davvero assicurare era la sua ascesa al trono di Asgard. Non immaginava come tutta quella situazione avrebbe mai potuto giovare a Loki, anzi.
In piedi accanto a lei, Heimdall scrutava nel vuoto, immobile.
«Hai molte domande, dentro di te», osservò il Guardiano, dopo minuti di silenzio.
Khalida strinse le braccia intorno al petto. «Come molti della mia razza», replicò, incolore.
Heimdall si lasciò sfuggire un debole sorriso, che incuriosì Khalida. Di certo per lui, che da ere incalcolabili osservava tutto l'universo, la natura umana era qualcosa di semplice, quasi elementare.
Dedicò un lungo minuto a scrutare la figura immutabile dell'enorme alieno, prima di dare libero sfogo ai suoi dubbi.
«Vorrei chiederti un'informazione».
«Parla».
Khalida deglutì un nodo di ansia. Aveva deciso di non porre quella domanda, ma adesso, ora che stava per partire e forse non tornare, aveva bisogno di saperlo. «La ragazza, Ivy, dove si trova?».
«Sulla vostra fortezza volante. Con i tuoi compagni», rispose il Guardiano, dopo un solo istante di concentrazione.
Khalida tornò a fissare ostinatamente davanti a sé, apparentemente incurante della notizia.
Una bufera, invece, era in corso nel suo cuore.
Aveva previsto che Coulson avrebbe interrogato Ivy e che una volta che lei avesse detto tutto, l'avrebbe lasciata andare. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto tenerla sotto sorveglianza per qualche tempo.
Non si aspettava che Fury, perché non aveva dubbi che fosse stata un'idea del Direttore, la portasse sull'Elivelivolo, né che la mettesse in contatto con i Vendicatori.
Questa non ci voleva proprio.
Un sottile fulmine ferì il cielo plumbeo, annunciando l'arrivo di Thor, che atterrò pesantemente alla spalle di Khalida ed Heimdall.
«Amici miei!», esclamò, allegro come al solito, affiancandoli.
Batté con fare fraterno la mano sulla spalla di Khalida. «Ero certo che ci saresti riuscita», affermò.
La donna non se la sentì di ricambiare il suo entusiasmo.
Ora che possedeva ancora un vantaggio su Thor, era il momento di sfruttarlo.
La lunga meditazione attraverso Match l'aveva resa conscia degli estremi pericoli che stava per affrontare e, anche se era disposta a correrli, non poteva accettare che Ivy ne facesse le spese.
E la vita che si era impegnata a costruire per lei, una vita normale, andava protetta ad ogni costo.
«Prima di partire, ho bisogno di parlarti», disse, voltandosi per fissare gli occhi azzurri di Thor.
Il Principe di Asgard aggrottò le sopracciglia, perplesso, ma annuì comunque.
Khalida aspettò che Heimdall li lasciasse soli. Anche se era inutile, dato che occhi e orecchie del Guardiano erano sempre in allerta, la donna apprezzò comunque il gesto.
«Parla liberamente Khalida» la incoraggiò Thor, con un velo di impazienza nella voce.
Ora che le cose stavano finalmente procedendo per il verso giusto, lo infastidiva la possibilità di nuovi ostacoli.
«Ho trovato il modo per rintracciare Loki, ma prima di incamminarci ho bisogno che tu accetti alcune condizioni», iniziò Khalida, e pur immaginando che l'asgardiano avrebbe avuto da ridire, non gli diede il tempo di ribattere. «Se lo S.H.I.E.L.D. non fosse intervenuto in Israele, sono certa che Loki mi avrebbe uccisa, prima o poi. Ho accettato di imbarcarmi in questa missione solo perché tu me lo hai chiesto, e pretendo che mi assicuri la tua protezione, se Loki cercherà di farmi del male».
Thor le strinse la spalla, quasi fino a farle male.
«So che non nutri fiducia nella mia razza», iniziò, con voce grave. «Ma non devi dubitare di me. Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerti».
Khalida si scrollò la mano di Thor dalle spalle, con un gesto apparentemente casuale.
«Ti credo», annuì la donna, anche se i suoi occhi sembrarono suggerire qualcosa di diverso.
Thor non sarebbe mai stato in grado di capire che lei non era più capace di fidarsi di nessuno, non solo degli asgardiani.
«C'è dell'altro», mormorò Khalida. «Se mi dovesse succedere qualcosa, voglio che tu impedisca ad Ivy di arruolarsi nello S.H.I.E.L.D. o di fare qualsiasi altra sciocchezza».
Thor strinse i pugni. «Non ti succederà niente», affermò con aria quasi oltraggiata.
Khalida scosse la testa, con fare quasi sconsolato. «Non sono sciocca, Thor. Ci sono decine di modi in cui questa storia potrebbe finire male, per me, nonostante il tuo aiuto».
Il Principe intuì immediatamente che non era il caso di insistere oltre e riconosceva che Khalida non aveva tutti i torti. Anche se la loro missione era una semplice ricerca, nessuno di loro aveva la più pallida idea di cosa avrebbero potuto trovare.
Aveva fiducia nei suoi compagni e nelle sue capacità ma, anche se poteva avere delle lacune in molti campi, la guerra gli era familiare quanto il suo volto, e non era ingenuo. Prepararsi al peggio era un atteggiamento saggio, per un guerriero, e Khalida, anche se non in modo tradizionale era una guerriera, alla pari dei soldati di Asgard più addestrati.
«Rispetterò il tuo volere, Khalida. Lo giuro sul mio onore», annuì Thor.
Khalida chinò leggermente la testa. «Ti ringrazio», mormorò, muovendo nervosamente le dita intorno all'asta di Match, che mandò lampi intermittenti attraverso il cristallo azzurro.
Thor prese un respiro profondo.
C'erano molte domande che avrebbe voluto rivolgere a quella strana donna che ogni giorno di più lo lasciava confuso, ma non era certo che porle sarebbe stata una mossa saggia.
Le risposte avrebbero potuto non piacergli.
«Sputa il rospo, Thor, o finirai per strozzartici», lo rimproverò Khalida, non nascondendo un lieve sorriso sarcastico. Si voltò per guardarlo negli occhi, aspettando che lui parlasse.
L'asgardiano raddrizzò le spalle e gonfiò la cassa toracica. «Credi davvero che Loki tenterà di ucciderti, quando ti vedrà?».
Khalida strinse gli occhi. «Prevedere le azioni di Loki non è semplice», ammise solamente, neutra.
«Pensi che provi qualcosa per te?», azzardò Thor.
Khalida inaspettatamente rise di gola. «Certo. Prova la stessa cosa che prova per te. Mi odia».
Colpito, Thor rimase muto per un lungo momento, per poi ritentare. «E tu, cosa provi per lui?».
Le dita di Khalida si serrarono con più forza intorno a Match, e un fulmine bianco saettò lungo la superficie del manufatto. Sollevando il mento, la donna fissò Thor dritto negli occhi. «Dovresti imparare a porre con più accortezza le tue domande, figlio di Odino», sibilò, poi si allontanò a lunghi passi, voltando le spalle al Principe.
Sulla soglia della camera del Bifrost, Khalida si fermò, come se si fosse ricordata improvvisamente qualcosa di importante.
«Cosa ti spinge a cercare Loki?», domandò, alzando la voce per farsi udire bene.
Thor fece un gesto d'impazienza. «Ho già risposto molte volte a questa domanda. Perché me la poni di nuovo? Credi che stia mentendo?».
La donna si voltò appena. «No, non lo credo. Ma ricordati che, quando Loki ti farà questa domanda, non si accontenterà di un semplice “avevo bisogno di te”. Pensaci, perché dalla tua risposta potrebbe dipendere la tua vita e la salvezza di Asgard», disse, rivolgendo nuovamente lo sguardo al panorama di Asgard al di là del Ponte dell'Arcobaleno.
«Chiamami quando saremo pronti a partire. Prima lascerò questo posto, meglio sarà», la voce di Khalida perse di volume man mano che si allontanava lungo la strada sospesa di madreperla, e Thor credette di aver solo immaginato l'ultima frase che aveva pronunciato.
Rientrando nella stanza, Heimdall lo guardò a lungo con serietà.
«Chiama Fandral, Hogun Volstagg e Lady Sif. Partiamo all'alba», ordinò Thor, e contemporaneamente un gracchiare di corvi ferì il silenzio immobile della notte, quasi a ricordargli nuovamente che in quell'impresa sarebbe stato solo, privato ancora una volta del sostegno di suo Padre.

La sala ristoro del terzo livello dell'Elivelivolo, quello riservato agli alloggi e alle sale per l'addestramento, era completamente deserta, a quell'ora della mattina.
Ivy si sedette pesantemente su una delle prime sedie che riuscì ad agguantare e posò il volto sui palmi delle mani, sbadigliando sonoramente. Si era svegliata alla solita ora, prima dell'alba, e il sonno non le si era scollato di dosso, nemmeno dopo i consueti cinque chilometri di corsa.
Drew, in piedi accanto a lei, trattenne un sorrisetto divertito.
«Vado a recuperarti un caffé?», le chiese.
Ivy gli concesse un sorriso sincero. «Sei un angelo», mugugnò, nascondendo l'ennesimo sbadiglio dietro le dita.
In un solo giorno, tra i due giovani si era instaurato un rapporto naturale, quasi confidenziale, condito da un pizzico di malizia. Ivy, anche se di solito non amava avere ragazzi attratti da lei intorno, non aveva cercato di allontanarlo, né si era mascherata dietro la sua solita freddezza. La compagnia del giovane agente la faceva sentire meno sola, su quell'enorme macchina volante.
Certo, a volte l'intelligenza di Drew, che si era laureato all'MIT alla sua età, la faceva sentire incredibilmente ignorante, ma spesso il ragazzo si rivelava una compagnia gradevole, adatta a farle passare piacevolmente le lunghe ore vuote sulla base aerea.
Era riuscita, con pazienza, ad estorcere qualche informazione riguardo Khalida e il suo ruolo nello S.H.I.E.L.D. ma aveva ottenuto poche briciole in confronto a ciò che voleva realmente sapere. Iniziava a sospettare che in realtà il ragazzo ne sapesse veramente poco, al riguardo.
L'agente Whedon l'aveva lasciata sola da pochi istanti, diretto al bancone del bar, quando nella sala entrò una giovane donna, con l'aria di chi non ha chiuso occhio tutta la notte.
Invece che dirigersi al bancone, la donna si trascinò fino ad un tavolino, pochi metri a destra di Ivy, e si sedette, iniziando a spulciare da un quaderno rigonfio di carte ed appunti di ogni tipo. Mordicchiandosi l'unghia dell'indice, la donna leggeva assorta, scostando continuamente i capelli scuri che le ricadevano davanti agli occhi.
Per pigrizia e curiosità, Ivy si prese il tempo di osservarla con attenzione.
Non era un'agente, non ne aveva l'aria, né indossava la tipica uniforme blu che Drew aveva sempre addosso. Indossava un paio di jeans consunti e una delle magliette più assurde che avesse mai visto, adatta più ad una bambina di cinque anni che ad una donna sulla trentina.
Era molto carina, ma aveva l'aria affaticata e trascurata, gli occhi cerchiati da pesanti occhiaie e il viso pallido, la classica abbronzatura da monitor di chi passa molto tempo davanti al computer.
L'agenda che sfogliava aveva le pagine scritte fittamente e, aguzzando la vista, Ivy riuscì a scorgere quelli che le sembrarono segni aritmetici o algebrici.
Doveva essere una scienziata, o qualcosa del genere.
Drew le si sedette di fronte, coprendole la visuale e nascondendo la donna che era talmente assorta in ciò che stava facendo, da non averli nemmeno notati.
Ivy stirò il collo, per continuare a sbirciarla indisturbata, ignorando il suo caffè fumante.
L'agente Whedon seguì il suo sguardo.
«Chi è?», domandò infine Ivy, afferrando il bicchiere di plastica che aveva davanti.
«La dottoressa Jane Foster, un'astrofisica», rispose il giovane.
Ivy fece una leggera smorfia come a dire che il nome non le diceva niente, mentre prendeva un sorso di caffè.
«È la ragazza di Thor», aggiunse Drew.
Ivy tossì, evitando per un pelo che il caffè le andasse per traverso. «Dici sul serio?», domandò, asciugandosi le labbra con la mano. «E cosa ci fa qui?».
Drew scrollò le spalle. «Immagino qualche ricerca per conto dello S.H.I.E.L.D. Se ne sta rintanata da ieri nel laboratorio insieme agli altri scienziati».
Un piccolo sospetto si fece strada nella mente della ragazza. «Lavora qui da molto?».
«A dir la verità no, è comparsa la stessa notte che sei arrivata tu».
Ivy strinse gli occhi.
No, non poteva essere una coincidenza che quella donna si fosse materializzata sull'Elivelivolo insieme a lei. Jane Foster era un tassello importante del puzzle che stava tentando di comprendere, ed era proprio lì, a pochi passi da lei.
Senza rifletterci troppo, Ivy scattò in piedi e raggiunse il tavolo della scienziata, piazzandosi davanti alla donna.
«Jane?», la chiamò, senza troppi giri di parole.
L'altra scattò come se fosse stata scottata, e guardò Ivy sbattendo gli occhi. «Sì... ci conosciamo?», domandò, con aria confusa.
«Non proprio», ammise Ivy, senza perdere l'aria battagliera. «Volevo solo chiederti se sai perché il tuo ragazzo alieno è piombato nel mio giardino portandosi via mia madre per andare a cercare un criminale intergalattico», snocciolò, quasi senza respirare.
Jane aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando indecisa se offendersi o mettersi a ridere per come quella ragazzina l'aveva apostrofata. Ma il riferimento a Thor le fece capire che non c'era nulla di divertente, in quella situazione.
«Chi sei tu?», domandò.
Ivy sollevò il mento, con aria fiera.
Jane, ancora prima di sentire la risposta, la intuì.
«La figlia di Khalida Sabil».
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La parte in corsivo è ovviamente un ricordo di Khalida, si colloca a livello temporale subito dopo il capitolo 11 di Prigioni.
Le capacità di chiaroveggenza di Frigga provengono direttamente dalla mitolgia norrena, ma ho comunque rimaneggiato quello che avevo letto in giro, per cui diciamo che mi sono inventata tutto quanto XD

Non posso dire che mi sia divertita a scrivere questo capitolo, però mi ha permesso di esplorare in modo approfondito la psicologia di Khalida, sia quella pre, che quella post, Ivy. I motivi che la spingono a cercare Loki adesso sono più chiari, e mi dispiace deludervi, hanno poco a che fare con eventuali sentimenti verso Loki.

L'incontro tra Ivy e Jane è stato un po'inaspettato anche per me, volevo che accadesse più in là con la storia, poi mi sono accorta che non avrebbe avuto molto senso farlo succedere più tardi, per cui, ecco qua.
Spero che vi siate divertite,

Spero a presto, nel frattempo vi rimando al mio Twitter, per avere anticipazioni e informazioni sull'andamento della scrittura.

Bacio, Nicole

  
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