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Autore: Made Again    02/08/2013    2 recensioni
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Tratto dalla recensione lasciata al capitolo 21 "Untitled Track" da Lady Igraine.
"Non riesco a capire esattamente che considerazione abbia di lei ecco. La schernisce, la pretende, la ama, l'abbandona, la odia... è una commistione di sentimenti indistricabili che si rafforzano l'uno con l'altro e distruggono. Li distruggono entrambi. E questo apre molti interrogativi, perchè con una simile tempesta dentro non potranno mai davvero comunicare, potranno sempre e solo prendersi, scacciarsi, odiarsi e amarsi in una lotta senza tregua... "
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Storia dalla trama complessa, particolare, azzardata.
Storia-tributo alla band inglese "Marillion".
Storia di malsana dipendenza ed ostentata indipendenza.
Storia di una vita irreale eppure specchio di una vita reale.
Storia di due gemelli.
Storia di un fratello ed una sorella.
Una ragazza.
Brave.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Canzone del capitolo: Waterhole (espresso bongo)


 
Giovedì 2 gennaio 1990
Ore 21.00

Ethan Liam Mac Lean entrò nella stanza, allarmato. La scena che vide lo lasciò pietrificato. Lei sosteneva con fierezza lo sguardo del fratello. Lui invece era perso, vuoto, il fuoco che di solito ardeva aggressivo nei suoi occhi era come indebolito.
 
Rachel Kayleigh Hogarth e Heyden William Hogarth crebbero insieme in una piccola casetta alla periferia di Aylesbury, nel sud est dell’Inghilterra. Alla morte improvvisa e prematura dei genitori dei due gemelli, Connor e Lisa Mac Lean, grandi amici dei genitori di Rachel e Heyden, decisero di risparmiare ai bambini assistenti sociali, orfanatrofi e psicologi, di prenderli con loro e di crescerli insieme al piccolo Ethan, più grande di loro di un anno, nella loro rispettabile villetta nella zona centrale della città. Mentre Heyden prese le distanze dalla famiglia adottiva, Rachel vi si integrò completamente: i tre bambini sapevano di non essere parenti tra loro e di non condividere nessun tipo di legame se non quello di amicizia che legava le loro famiglie, ma Rachel fin da subito aveva considerato Ethan un fratello al pari di Heyden, se non di più. Heyden dal canto suo detestava apertamente Ethan, con quella sua aria di superiorità, i capelli rossi così dannatamente scozzesi, le lentiggini sul volto dalla carnagione di un bianco delicato, gli occhi verdi come quelli della sorella, l’abito sempre impeccabile, i modi raffinati. Era nato con la camicia lui, nella villetta dei genitori che mai gli avevano fatto mancare nulla, soddisfando ogni suo piccolo capriccio. Certo, lui e Rachel non avevano mai sofferto la fame, ma essendo cresciuti nella periferia di una città piuttosto grande godendo della vita per come veniva, erano profondamente diversi dal ragazzo rosso e lentigginoso con cui vivevano ora.
La loro madre, originaria di Manchester (cosa della quale per altro andava fierissima, continuando a ripetere ai figli di andare orgogliosi di avere sangue mancuniano nelle vene, di girare a testa alta per le strade perché erano dei Northern Soul) scriveva per il giornale locale, mentre il padre era un semplice operaio in una ditta tessile. Non possedevano una fortuna, ma il necessario per vivere. Non passavano le domeniche al cinema, nei lunapark o ai concerti insieme ai genitori come il piccolo Ethan, ma seduti sui gradini della loro vecchia casetta a schiera alla periferia di Aylesbury ad ascoltare il padre suonare con la sua chitarra pezzi di gruppi ormai dimenticati mentre loro, rapiti, l’ascoltavano per lunghe ore seduti a gambe incrociate sulla strada. Ethan a loro confronto sembrava un damerino. Perfetto e dozzinale.
Con l’andare del tempo. il rapporto tra Ethan e Rachel era divenuto sempre più speciale fino a che, un anno prima, Ethan le si era dichiarato apertamente. Heyden non l’aveva mai accettato. Non poteva capire come quei due potessero avere qualcosa in comune.
Rachel era una ribelle. Spesso si rifugiava in un universo tutto suo, proprio come il fratello. Vivevano il loro essere orfani in modi differenti, ma il solo fatto di non avere genitori li rendeva una cosa sola, unica ed inscindibile. O almeno così avrebbe dovuto essere. Rachel vestiva in felpa e jeans praticamente tutto l’anno, aveva una passione ereditata dal padre per il rock anni 70/80. Era uno spirito libero, indipendente. La famiglia in cui era cresciuta non aveva temprato quella sua anima selvaggia che condivideva con Heyden. Mentre Ethan era il classico borghese. Forse un po’ inasprito dall’aria del sud, ma mai sarebbe stato come loro.
Heyden li trovava semplicemente patetici. Non avrebbe mai scommesso un centesimo su di loro, eppure resistevano anche dopo un anno.
 
-Cazzo, Hogarth, sei completamente impazzito?- sbottò Ethan, spostando il ciuffo rosso che gli era ricaduto dolcemente sugli occhi.
Heyden non rispose. Continuava a fissare la sorella, gli occhi a specchiarsi nei suoi. Lasciò il braccio di Rachel che, per la sorpresa, cadde a terra con un tonfo che fece tremare i vetri alle finestre.
Ethan si precipitò accanto a lei, fece per sollevarla, ma lei gli scostò infastidita il braccio con un gesto secco. Continuava a fissare il fratello con aria di sfida. Ethan le fu presto accanto, le prese la mano e le poggiò un bacio delicato sulla fronte che la rilassò ed ebbe l’effetto di calmarla. La fierezza svanì dal suo sguardo e rimase in piedi con affianco il proprio ragazzo.
Qualcosa si mosse dentro Heyden. Il suo sguardo si riaccese d’improvviso, un odio orrendo gli ribolliva dentro, saliva prepotentemente, facendosi strada nel suo corpo.
Tutto si svolse rapidamente.
Ethan era accasciato a terra. Si teneva il viso. Il naso sanguinava, gocciolando sul tappeto bianco. Rachel si sentì esplodere.
-Cazzo Heyden hai perso completamente quel fottuto briciolo di ragione che ti resta in quella dannata testa che ti ritrovi?- Gli occhi ridotti a fessure, la voce carica di disprezzo. Sembrava stesse fissando un mostro. Ma se di solito Heyden adorava quello sguardo attonito che lo faceva sentire più forte, stavolta no. Stavolta era diverso. 
Rachel si sentì pervadere da un odio profondo nei confronti del fratello. Aveva sempre sopportato in silenzio tutte le cattiverie che si era divertito a farle, ma stavolta era andato decisamente troppo oltre. Aveva toccato un tasto dal quale avrebbe fatto meglio stare alla larga.
-Heyden, sei sempre stato fottutamente strano, complicato da capire. Da quando sono morti, hai sempre vissuto in una sorta di universo parallelo, lontano da tutto e da tutti. Ti sei sempre isolato dal mondo, sei sempre scappato da qualsiasi tipo di affetto, arrivando lentamente a fuggire anche il mio, io che avevo così tanto da dartene. Ma allora spigami: perché vuoi che nemmeno io venga amata?!-
Per tutta risposta Heyden si girò e uscì sbattendo la porta. Non si smentiva mai. Avrebbe voluto voglia di risponderle, ma non sapeva nemmeno lui di preciso cosa gli era preso. Aveva avuto una reazione a dir poco esagerata, se n'era reso conto anche lui, ma tuttavia non ne conosceva la ragione. Cominciò a pensare.
Perché? Probabilmente la causa era l'odio che aveva sempre provato per Ethan pensò, mentre l’aria gelida della notte e la pioggia gli sferzavano il viso. Era diretto al pub, quello in periferia, quello nel quartiere dov’era nato e cresciuto, quello che aveva sempre guardato da lontano aspettando di essere abbastanza grande per entrarci senza essere preso a calci, quello dove c’era sempre casino, quello dove incontravi sempre qualcuno. Quello dove si esibivano piccole band a rievocare i grandi successi del passato, le grande hit di anni d’oro ormai dimenticati. Band che covavano l’irrealizzabile desiderio di emergere, band senza speranze. Non puoi emergere se nasci in una città come Aylesbury. Una città grande, ma non abbastanza. Una città a suo modo generosa, ma solo con chi vuol lei. Aylesbury, come un’ammaliatrice. Volubile ed incostante. Solo un gruppo era stato graziato dalla Prima donna qual’era quel puntino a nord nel Buckinghamshire. Ed ora, a quanto Heyden ne sapeva, era in America per un tour mondiale, ad inseguire il suo futuro, lontano da quella desolazione qual’era il vecchio impero. Loro. I Marillion.
Entrò nel pub affollato e fumoso facendosi largo tra volti noti, ma a lungo ignorati. I suoi pensieri l’incatenavano. Qualcosa dentro di sé gli diceva che il fastidio che provava nei confronti di Ethan non era la principale ragione della reazione di pochi minuti prima, c’era qualcos’altro che ancora aleggiava indefinito nella sua mente. Doveva distrarsi.
Ammiccando verso Diana, ordinò una Stella Artois che gli venne prontamente servita dalla ragazza con un sorriso. Prese il primo sorso dalla bottiglia.
No, pensò. La colpa non era solo di quell’essere inutile e spocchioso qual’era Ethan. Era troppo insignificante per spingerlo ad esporsi così tanto, a mostrare ciò che aveva dentro. Solo qualcuno con le palle poteva farlo involontariamente arrivare a tanto.
La radio accesa lasciava nell’aria note tormentate, dava sfogo ai suoi interrogativi.
 
 

“Was it paradise lost or paradise found?
Did we gain respect or were we holding ground?”
 
“Era un paradiso perduto o un paradiso ritrovato?
Ci guadagnammo il rispetto o provammo a farcela?"

 
Paradiso. Cos’è? Forse non era mai esistito per lui. O forse l’aveva perduto senza accorgersene.
Il rispetto. Cos’è? Quello di Rachel, mai l’aveva avuto?
 
 

“So when you think it's time to go,
When you think it's time to go,
Don't be surprised, the heroes never show.”

“Quindi quando credi sia ora di andare,
Quando credi sia ora di andare,
Non essere sorpreso, gli eroi non si mostrano mai.”

   
Tormentati quesiti irrisolti come eroi, c’era da impazzire. Heyden sorrise, un sorriso amaro rivolto al bancone. Forse era lui a farsi coinvolgere troppo nella musica, vedendo cose nei testi che in realtà non c’erano. Come il volto del padre riflesso sul vetro della finestra.
Pensieri contorti gli ronzavano nella testa e nemmeno una fottuta birra riusciva a placarli. Si arrese all’evidenza che sarebbe stato inutile restare. Avrebbe solo rischiato di rovinarsi la serata o peggio, di perdere nuovamente la fredda calma per la quale era conosciuto.
Pagò il dovuto ed uscì, chiudendo la giacca alla meno peggio. Il freddo e l’acqua gelida gli scivolavano sotto gli abiti azzannandogli la carne fino ad arrivare alle ossa. Mise tra le labbra una sigaretta, ultimo debole tentativo di placare quell’enorme confusione che gli martellava la mente.
Aloni di fumo bianco e leggero vorticavano nell’aria. Solo un piccolo cerchio incandescente segnava il suo lento incidere nella notte diretto verso “casa”.
Un’idea si faceva strada sempre più nitida e distinta.
La colpa non era di Ethan.
La colpa era di Rachel.
 
 

  
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