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Autore: ManuFury    03/08/2013    6 recensioni
(...) Le venne in mente una vecchia citazione che suo padre le aveva detto quando era ancora bambina: "Tutti i segreti sono profondi, tutti i segreti diventano oscuri, è questa la natura del segreti" era una sorta di monito a qualcosa, lo sapeva, anche se era così piccola e il colore delle sue labbra non le sembrava così importante. (...)
(Quarta Classificata al Contest "La ragazza e... la maledizione" indetto da darllenwr)
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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LABBRA NERE

 
 
“Il tempo della prossima settimana sarà ancora incerto a causa di rovesci sparsi su tutto il territorio…” la voce del meteorologo s’interruppe di colpo quando Vanessa cambiò canale, cercandone uno che trasmettesse qualcosa di meglio.
Che palle! Ancora pioggia! Sospirò trovando distrattamente un canale di musica, stava passando una canzone che aveva già sentito da qualche parte: aveva un ritmo strano, cadenzato, forse un po’ a singhiozzo e il sottofondo ricordava quasi… il ticchettio della pioggia.
La giovane alzò di scatto gli occhi, spalancandoli appena, non era possibile. Era una persecuzione!
Spense con rabbia il televisore sulle note della famosa canzone “Piove” di Jovanotti, appoggiando poi i gomiti sul lustro bancone del suo bar, a fianco di una tazza di cappuccino ormai freddo. Lasciò vagare lo sguardo sulle sedie e i tavoli deserti prima di fermarli su una bacheca, posta proprio di fronte a lei, a qualche metro dall’entrata. Conteneva uno splendido pugnale antico appartenuto a una sua antenata e tramandato di generazione in generazione fino a lei, a dirla tutta non si era tramandato solo quello, ma Vanessa scosse la testa, distogliendo subito lo sguardo.
Recuperò la tazza e la svuotò nel lavandino, sciacquandola in fretta e mettendola da parte, a ricordarsi che quella era la sua.
Uscì da dietro al bancone guardandosi intorno indecisa sul dare o meno una spazzata a terra e un colpo di spugna sui tavoli. Non che ci fossero stati così tanti clienti: giusto una coppia di fidanzatini poco dopo le due e un signore d’affari in giacca e cravatta che aveva chiesto un caffè lungo e un bicchiere d’acqua. Fine della sua clientela di quel giorno.
Vanessa aveva una teoria al riguardo: era colpa del tempo. Da che mondo e mondo con un vento gelido che soffia dalla mattina alla sera e la pioggia che annaffia la terra a intervalli regolari, non erano in molti a volersi avventurare all’esterno delle loro calde case. Com’era giusto che fosse.
La ragazza batté un dito smaltato di bianco sulla liscia superficie del bancone, ancora intenta a valutare se pulire o no.
“Al Diavolo, farò domani.” Affermò dirigendosi poi verso una porticina laterale che era il suo piccolo spogliatoio. Si sfilò il grembiule verde e la polo dello stesso colore, riponendo la semplice divisa all’interno di un piccolo armadietto.
Appeso all’anta di questo, vi era uno specchio che rimandò alla giovane la sua stessa immagine: partendo dal basso poteva ammirare il suo bel seno fasciato da un reggiseno di un bel violetto chiaro con tanto di cuoricini gialli. Salendo poi lungo il busto dalla pelle solo leggermente abbronzata, si trovava il collo sottile attorno al quale era stretta una cordicella di cuoio che reggeva un piccolo ciondolo di pura ambra brillante, un dono di suo padre scelto tra tante altre collanine perché riprendeva il colore dei suoi occhi. Vanessa non ci aveva mai fatto molto caso ma suo padre aveva ragione: i suoi begli occhi dal taglio dolce erano sì scuri, ma non potevano essere completamente definiti neri o nocciola proprio perché al loro interno, tra il mare decisamente più scuro dell’iride, brillavano tante pagliuzze più chiare, di un giallo quasi dorato a illuminare il suo sguardo come le stelle di una notte d’estate. I capelli, invece, erano di un ordinario color nero pece, leggermente mossi e raccolti in una crocchia così che non le dessero fastidio mentre lavorava.
Nel complesso i suoi genitori avevano fatto un bel lavoro… se solo, già perché c’era un “se” in arrivo: se solo non fosse stato per le labbra.
Indugiò su quella parte del suo corpo, alzando una mano per sfiorarne il profilo: anche loro non erano così male, avevano una bella forma a cuore anche se erano leggermente sottili, differenti dalle carnose labbra rifatte dalle modelle in televisione. Era il colore a essere… sbagliato. Erano nere, appena lucide come se fosse plastificate.
Una volta la sua migliore amica, Bea, aveva tentato di estorcerle per un’intera giornata quale fosse il negozio dove acquistava quel rossetto dal colore così bello e profondo. Vanessa le aveva sorriso rispondendo che era un’informazione strettamente riservata e l’altra aveva ridacchiato dicendo che non se la poteva cavare così, che le avrebbe fatto confessare il suo segreto.
“Speriamo di no!” Aveva risposto la ragazza con un sorriso falso e una stretta al cuore. Come la sentiva adesso che si era sfiorata le labbra.
Le venne in mente una vecchia citazione che suo padre le aveva detto quando era ancora bambina: “Tutti i segreti sono profondi, tutti i segreti diventano oscuri, è questa la natura dei segreti”; sembrava una sorta di monito a qualcosa, lo sapeva, anche se era così piccola e il colore delle sue labbra non le sembrava così importante.
Un miscuglio di emozioni presero a lottare nel suo petto come fiere antiche che tentano di sovrastarsi l’un l’altra. Solo una vinse quella sfida, l’emozione che di solito è la più forte tra tutte le altre: la rabbia.
La ragazza recuperò con foga dall’armadietto la sua camicetta di seta azzurra con motivi floreali colorati di tinte vivaci e sbatté con forza l’anta.
S’infilò l’indumento: la seta fresca e leggera scivolava dolcemente sulla sua pelle causandole qualche leggero brivido che le permise di sedare la sua ira.
Sospirò sconsolata mentre si allacciava i molti bottoni, fermandosi comunque abbastanza presto così da lasciar intravedere una discreta scollatura e quel ciondolino con la sua piccola lacrima d’ambra.
Perché me la prendo ancora? Si domandò. Perché, dopo tutto questo tempo? La mia situazione è questa, non posso cambiarla, nemmeno volendo.
Venticinque anni le ricordò una vocina in testa, sapeva quasi di un personale grillo parlante, solo che era maligno come un diavoletto.
La giovane lo zittì in fretta mentre si sistemava i capelli, assicurandosi che la crocchia non si fosse allentata mentre si vestiva e uscì dallo spogliatoio.
Fece un giro veloce tra i tavoli per mettere al loro posto le due sedie in disordine usate dai due fidanzatini. Controllò che tutte le finestre avessero il loro chiavistello chiuso, ma ne era abbastanza sicura: non le apriva dal giorno prima, a causa del famoso maltempo.
Arrivò davanti all’entrata per mettere il cartello di “chiuso” e abbassare le tendine della porta quando i suoi occhi andarono di nuovo al pugnale, immobile nella sua polverosa bacheca.
Continuava a ripetersi che doveva toglierlo da lì, avrebbero potuto rubarlo. Non che avesse un grande valore economico: era antico, ma non aveva pietre preziose incastonate sulla lama o sull’impugnatura, non aveva nemmeno un’elsa come si doveva, solo un piccolo abbozzo deforme.
Suo padre le aveva raccontato la storia legata a quel pugnale nella loro famiglia da generazioni. Quella leggenda era la sua personale fiaba della buona notte quando era bambina: la conosceva a memoria ma ogni volta che la sentiva, si emozionava come se fosse la prima volta e le s’illuminavano gli occhi, diventando ancora più chiari. Ora che era grande non poteva fare altro che odiarla.
Perché non era una favola, non lo era mai stata.
Le favole sono per i sognatori. E sono pochi quelli che possono permettersi di essere sognatori.
Un altro lieve sospiro le uscì da quelle labbra dal colore inusuale mentre distoglieva gli occhi dall’impugnatura in semplice ferro solo lievemente cesellato. Soprattutto, però, Vanessa voleva allontanare gli occhi dalla lama, nascosta dalla fodera, ma che lei conosceva bene anche se non poteva vederla, perché era nera come le sue labbra.
Fece ancora un breve controllo per essere certa che tutto fosse chiuso a dovere, compresa la porticina che portava su un vicolo nel retro del bar, dove di solito buttava l’immondizia, ma anche quella aveva il suo chiavistello tirato.
Spense le luci e si ritrovò a esitare sulla soglia quando i suoi occhi ambrati si posarono di nuovo sul pugnale. Si morse leggermente il labbro inferiore prima di aprire la bacheca e afferrare il pugnale, mettendoselo in una delle spaziose tasche posteriori dei suoi jeans. Un secondo dopo uscì chiudendo a chiave la porta alle sue spalle.
Erano il brutto tempo e la mancanza di clienti a farle passare per la testa simili brutti pensieri e farle compiere certe azioni impulsive, come quella di prendere con sé il pugnale.
Ma sono poi sole storie? Domandò il grillo parlante nella sua testa, che fu di nuovo brutalmente zittito dalla giovane leggermente tremante nella sua camicetta di seta sottile e jeans.
I suoi pensieri tornarono al tempo, a dir poco pessimo che non faceva altro che rafforzare la sua teoria sulla mancanza di clientela dato che non aveva ancora visto nessuno, le strade erano completamente deserte, come se fossero spariti tutti.
Vanessa si strinse nelle spalle lievemente tremanti imboccando una via laterale che s’immetteva poi su una principale, da lì doveva solo svoltare a destra e procedere per cinquecento metri, attraversare la strada al semaforo in fondo e sarebbe arrivata a casa. La prima cosa che avrebbe fatto era una bella doccia calda per distendere i nervi e lavare via tutti quei brutti pensieri che l’aveva assalita come un esercito nemico in quelle ore vuote. Secondo si sarebbe coricata sul divano del salotto, i capelli ancora gocciolanti a coccolarsi Tony, il suo bel gattone nero. Si sarebbe guardata sicuramente un film: qualcosa che l’avrebbe fatta ridere, probabilmente uno dei film di Aldo, Giovanni e Giacomo, che erano sempre stati tra i suoi preferiti.
Un sorriso incurvò le labbra nere della ragazza a quei lieti pensieri mentre procedeva per la stretta via, le ricordava tanto uno di quei tipici vicoletti da film dell’orrore americani: con gli alti muri di mattoni dei condomini a non voler lasciare scampo, la sporcizia ammassata ai lati della strada a dare un tocco di trasandato il tutto condito dalla penombra a renderli sempre tetri e decisamente pericolosi.
Ancora una volta lei non se ne curò e procedette spedita e distratta, non notando subito quell’ombra scura che la seguiva, che procedeva col suo stesso passo pur di non farsi notare.
Fu abile quella figura oscura ad avvicinarsi lentamente ma sempre un po’ di più, sempre di più finché non fu a un soffio dalla giovane e solo allora scattò: un braccio robusto corse a cingere la vita della ragazza, impedendole di scappare via, l’altro arto si alzò, chiudendole gli occhi con una mano calda, infine le labbra si posarono sul collo scoperto poco sopra la cordicella della catenina, così come il caldo respiro le accarezzasse la pelle.
“Indovina chi e?” Ridacchiò divertita una voce giovanile a sentire quanto il cuore di Vanessa aveva aumentato i suoi battiti. La paura per una possibile aggressione mischiata alla sorpresa in sé e per sé erano state forti. Ma adesso nel petto di lei c’era posto per qualcos’altro di ancora più forte.
“Mirko! Lasciami andare, disgraziato!” Sbraitò la giovane una volta riconosciuta in quell’ombra il suo fidanzato da ormai tre mesi buoni.
Dall’altro una sottile risatina, bassa e affilata come potrebbe essere quella di un folletto prima che allentasse le prese sulla ragazza che subito si allontanò con uno scatto dal suo corpo.
“Sei un idiota e un maledetto!” Continuò a gridare Vanessa con i suoi insulti che diventavano via via sempre più volgari, adesso non sembrava quasi più la simpatica anche se un po’ introversa, gestrice del bar all’angolo, ma una rozza scaricatrice di porto capace solo di comunicare a gesti e imprecazioni.
Mirko si portò di fronte a lei, continuando a sorriderle, la trovava adorabile quando si arrabbiava: perché i suoi begli occhi ambrati in tinta con il monile che si scorgeva sul suo petto, mandavano lampi dorati che ne accentuavano il colore. Più di una volta il giovane si era ritrovato a paragonarli agli occhi di una gatta per quanto erano particolari e luminosi. E che poteva dire del viso? Di quella pelle che s’increspava appena dall’ira cercando di conferire una nota di terrore ma ottenendo l’effetto contrario: quello di far intenerire.
Nel complesso si poteva dire che vedere Vanessa arrabbiata era quasi come vedere una micetta infuriata ovvero… qualcosa di terribilmente adorabile!
“Va bene cucciola, sono stato un coglione, va meglio così?” Domandò alzando gli occhi al cielo e sporgendosi appena in avanti per far incontrare le sue labbra con quelle della ragazza che subito si ritrasse.
“Mirko! Quante volte te l’ho detto che non devi baciarmi?” Si accigliò lei.
“Eh andiamo! Siamo fidanzati da tre mesi, mi hai fatto provare il tuo bel corpo e non le tue labbra e questo mi irrita molto, sai? Anche perché le trovo bellissime! – Disse con una nota adulatoria. – E poi, passare nottate a scopare senza nemmeno baciarsi è squallido.” Concluse con tono grave.
Avanzò con più decisione, si era stufato di aspettare, voleva quelle labbra, provare la loro morbidezza, perdersi in quelle curve sottili e dal colore così strano, voleva… conoscerle.
Vanessa si accorse di quel tentativo e girò a lato il viso, mettendo entrambe le mani sul petto dell’altro.
“In che lingua te lo devo dire che non voglio essere baciata?” Imprecò subito dopo.
“Con la tua.” Rispose appena perso Mirko mentre faceva forza per raggiungere quelle labbra, arrivando a spingere appena la ragazza contro uno dei muri dei vicoli.
“Ho detto di no!” Gli urlò lei nelle orecchie, facendolo rabbrividire dal dolore.
“Ma qual è il tuo problema, me lo spieghi?” Sibilò appena il ragazzo, infastidito da tutti quei rifiuti, dal suo punto di vista una ragazza prima si baciava e poi si portava a letto, mentre a lui era successo il contrario, sicuramente un caso unico nella storia umana.
“È… complicato.” Iniziò la ragazza.
“Semplifica.” Tagliò corto, gli occhi verdi tutti per la ragazza.
“Come se fosse facile.” Abbassò appena lo sguardo. Il suo fardello, la sua maledizione, il suo… segreto.
Tutti i segreti sono profondi, tutti i segreti diventano oscuri, è questa la natura dei segreti. Quelle parole le vorticavano in testa come un tornado, spazzando via tutto il resto. Doveva forse dare fiducia al ragazzo e raccontagli tutto per quanto inverosimile potesse sembrare? Oppure doveva voltargli le spalle e andarsene, lasciandolo solo nel vicolo, chiudendo un altro rapporto ancora prima di averlo veramente iniziato?
Non lo sapeva bene nemmeno lei, era difficile capire come comportarsi: non aveva mai avuto un fidanzato prima di allora e a Mirko ci teneva particolarmente, era sempre così cortese e gentile, qualche volta passava persino ad aiutarla sul posto di lavoro per spostare qualche tavolo oppure per pulire. Un vero cavaliere con un sorriso come spada e un grande cuore come armatura.
Eppure sapeva che non avrebbe compreso, lo faceva a stento lei stessa, quindi non poteva prendere.
Gli darò una possibilità. Si decise, portandogli di nuovo le mani al petto.
“Va bene, ti spiegherò i miei motivi.”
“Era quasi ora.”
“Te lo racconterò come l’hanno raccontato a me, come una favola. E come una favola inizia con un c’era una volta. – Sospirò leggermente prima di iniziare sul serio. – C’era una volta una donna bellissima con la pelle del colore dell’ebano e gli occhi di smeraldo che sembravano due pietre preziose. Consapevole fin da fanciulla della sua bellezza, fu cresciuta dai suoi poveri genitori come una Dea scesa in terra. Tutti gli uomini la lodavano, la coprivano di doni inimmaginabili pur di giacere una volta, anche una volta sola con lei. Ella, scaltra come poteva essere una volpe, aveva imparato a usare il suo fascino come un’arma: gli uomini perdevano il senno di fronte a lei, alle sue labbra sottili e di quel colore così scuro e inusuale. Scoprendo la lussuria, ne era diventata regina il cui regno si materializzava tra le lenzuola di mille letti. Solo che nessuno vedeva al di là del suo splendore, non vedevano il suo cuore nero come le sue labbra, non vedevano il mostro che si celava al si là di quel bel viso. In molti andarono in rovina perdendo tutto, alcuni perfino la vita. E la ragazza se ne divertiva: godeva dell’umiliazione che poteva imporre solo alla promessa di concedere quelle labbra e quel corpo stupendo. – Prese fiato, prima di continuare, proprio come amava fare suo padre, per creare suspense. -  Ma pagò per quel suo dono oscuro quando, tra i tanti uomini, uno molto particolare s’innamorò di lei. Questi era un giovane alto, con lunghi capelli biondi e occhi come il cielo. Non era un uomo normale, bensì il figlio mortale di uno degli Dèi Pagani in cui l’umanità credeva. Nemmeno per lui fu possibile resistere a quella bellezza e fece tutto pur di conquistare la ragazza. Lei gli concesse una notte e nulla di più, come a tanti altri prima e come avrebbe fatto con tanti altri dopo, se non fosse che, impazzito di dolore per l’abbandono, il giovane uomo si tolse la vita, non sopportando un’esistenza priva della presenza della sua Regina, della sua Dea. Suo padre, il Dio dei Cieli il cui nome ormai è stato dimenticano, s’infuriò per la morte prematura di quel figlio che adorava e condannò la bella ragazza a una punizione crudele: le sue labbra che erano velenose come quelle di una serpe, sarebbero state altrettanto letali e non solo le sue, ma quelle di tutte le sue discendenti femmine, così che non ci fosse più stato così tanto dolore.” Concluse Vanessa.
Le venne in mente la Bibbia: dove i peccati dei genitori ricadono sempre sui figli. La storia e le religioni del mondo non sono poi tanto diverse l’una dall’altra.
“E quella donna… era la mia antenata.” Aggiunse qualche momento dopo la ragazza, lo sguardo leggermente abbassato. Ecco, il suo segreto non era più un segreto ma restava amaro e oscuro, proprio come le sue labbra… al gusto di morte.
Mirko non si era perso un solo passaggio di quella storia, alzò gli occhi verso la ragazza, verso le sue labbra avvelenate, nere come la morte. Un secondo dopo scoppiò in una fragorosa risata.
“Bella l’idea della maledizione, sul serio, molto originale. Potevi inventarti qualcosa di meno elaborato per dire che non ami farti baciare.” Continuò a ridacchiare, indifferente, avvicinandosi al viso di Vanessa sempre di più.
“Allora non mi stai a sentire! Questo non è uno scherzo, è la pura verità!” Sapeva che non le avrebbe creduto, nessuno lo faceva mai. Tranne sua madre, nei confronti di suo padre, ma lui non avrebbe mai avuto problemi, essendo maschio, mentre sua zia era stata condannata a restare da sola, finché era impazzita al punto che si era suicidata, proprio come il giovane Semidio.
Vanessa aveva sempre creduto di essere più forte di lei: aveva accettato quella maledizione per una colpa che non aveva, si era rassegnata a vivere da sola, lontana e isolata da tutti. Ma questo prima di conosce Mirko, che era stato il suo faro nelle tenebre e adesso le sanguinava il cuore sapendo che le credeva.
“Proviamo queste labbra al veleno.” Sorrise Mirko, bloccandola contro il muro e riuscendo a baciarla, benché le proteste della ragazza. Al contrario di lui che a quel contatto chiuse gli occhi, con un sospiro. Erano esattamente come se l’era sempre immaginate: morbidissime e delicate, fresche come poteva essere il respiro lieve di un angelo e avevano qualcosa di particolare, non sapeva se era per il profumo che avevano oppure per il semplice fatto di essere finalmente riuscito ad assaporarle ma avvertiva come un leggero mancamento.
Si ritrovò costretto a staccarsi quando Vanessa lo colpì al centro del petto con un pugno fortissimo.
“Ma sei rincoglionito?!” Sbraitò subito.
“No, solo innamorato e lasciamelo dire, quelle tue labbra sono come una droga, perché le voglio assaporare di nuovo.” Sorrise, anche se piccole venature nere si erano già formate sulle sue labbra sempre così chiare mentre queste perdevano lentamente la loro consistenza.
La ragazza sussultò a quella visione: cosa gli stava capitando?
No… non può essere veramente. Scosse la testa quando vide i primi rivoli di sudore correre sul viso contratto in una smorfia del ragazzo. Tutta quella storia non poteva essere vera, doveva essere solo una fiaba.
Solo che lo era: la sua favola della buona notte si era trasformata in un incubo a occhi aperti e le sue labbra nere come la morte erano veramente avvelenate. Anche se la giovane aveva sperato sul serio fino all’ultimo che non lo fossero.
Mirko fece un passo verso di lei, per trovarsi di nuovo vicinissimo, nei suoi occhi verdi adesso lievemente lucidi si leggeva la confusione. Si portò una mano a una tempia, che pulsava visibilmente.
Passò forse qualche secondo, il tempo di un battito di ciglio prima che stramazzasse a terra in preda a fortissime convulsioni che gli scuotevano il corpo mentre la ragazza si passava le mani tra i capelli, in preda al panico più totale, incapace di capire o di fare qualcosa. Ricordava di aver visto qualcosa di simile in un documentario: il veleno di certi serpenti funzionava con quelle tappe, ma le immagini del documentario si accavallavano a quelle che lei aveva davanti gli occhi ambrati, impedendole in qualsiasi modo di pensare lucidamente, impedendole di agire.
Un singhiozzo le uscì dalla gola mentre dal suo fidanzato arrivavano solo dei rochi gemiti di dolore mentre le vie aeree si chiudevano, collassando così da lasciarlo senz’aria da respirare e mentre le tossine raggiungevano il suo cervello, per spegnerlo definitivamente.
Vanessa cadde in ginocchio in preda ai singhiozzi mentre vedeva la vita lasciare lentamente il corpo di Mirko. Altri mille e uno pensieri le attraversarono la mente confusa: sapeva che non doveva mettersi con lui, che non poteva fargli correre quel rischio e invece era stata così egoista.
Lacrime gelide le rotolarono lungo la guance appena arrossate per la disperazione, il respiro accelerato era rotto dai singhiozzi nel vedere quei begli occhi verdi sempre così vivaci spenti e vuoti, come potrebbero essere gli occhi di un bambolotto.
Adesso sentiva di capire meglio sua zia. Era lei quella veramente forte in famiglia: non aveva mai voluto fare del male e aveva preferito farlo a se stessa piuttosto che agli altri.
Evidentemente la loro maledizione era quella: la mancanza di affetto, il non poter contare su un bacio. Lì stava la vera sofferenza: non avere nessuno a fianco, oppure vederlo morire per qualcosa di così semplice, di così puro.
Diede un bacio a Mirko, ormai immobile a terra privo di calore e vita. Fu lungo e dolce, come quello che usa sempre il Principe nelle storie per svegliare la Principessa addormentata. Solo che il suo bacio era un bacio di addio e morte.
L’ultimo che avrebbe lasciato.
Si alzò poi in piedi, accarezzandosi la tasca posteriore dei jeans, lì dove teneva il pugnale della sua antenata che aveva la lama nera come le sue labbra e come la morte. Si asciugò ancora qualche lacrima, cercando di sedare al meglio i singhiozzi.
Quando era piccola le raccontavano sempre una favola: di una donna bellissima sopra cui pendeva una maledizione infame, solo che nessuno le aveva mai raccontato il finale di quella favola, era stata lei a scoprirlo e non avrebbe voluto farlo mai.
Guardò il corpo di Mirko, scomposto a terra, privato della vita per un solo bacio.
Tutti i segreti sono profondi, tutti i segreti diventano oscuri, è questa la natura dei segreti.
Quelle parole arrivarono dal turbinio dei suoi pensieri, ma riassumevano tutto. Il suo segreto più grande, adesso, sarebbe stato quello che avrebbe fatto, ma una cosa le sapeva… le sue labbra nere non avrebbe mai più conosciuto un bacio.   

 
 

***

 

HOLA A TUTTI! ^_^

 
Complimenti per essere sopravvissuti abbastanza a lungo da essere arrivati fin qui, complimenti vivissimi, sul serio!
No, seriamente, ammetto che questa storia non è un gran che ma l’idea mi vorticava in testa già da un pochino, magari potrei scrivere qualcos’altro su Vanessa, dipenderà dai commenti che riceverò, quindi fatemi sapere se vi è possibile, d’accordo? ^^
Ok… allora… tanto per iniziare questa storia partecipa al Contest a Turni “La Sfida dei Grandi Autori” indetto da Andrea di fa92 e ha ottenuto il seguente giudizio:
 

Concorrente: ManuFury 
Squadra: pervinca 
Giudice responsabile: Fabio 
Titolo storia: Labbra Nere 
Pacchetto utilizzato: Lord 
Grammatica e Sintassi: 15 /15 
Stile e Lessico: 5/10 
Originalità: 9/10 
Uso del prompt: 5/10 
Caratterizzazione Personaggio: 15/15 
Giudizio Personale: 3/5 
Tot: 52/65 
Valutazione 
Labbra Nere si presenta come una storia originale, ma dalla trama troppo lenta e ridondante. Lo stile risente di troppo ripetizioni che rendono pesante la lettura. I punti esclamativi nel testo non sono belli da vedersi ma non sono calcolati, solo un consiglio. La parte delle indicazioni stradali di casa della protagonista rendono ancora più pesante la storia. Uso del pacchetto fragile e incompleto. La base della storia è più che buona, originale e fresca. Peccato la struttura del testo e lo stile ridondante. Consiglio non usare troppo la parola diavoletto, e usa sinonimi. Lavoro parzialmente corretto.

 
Inoltre l’idea della maledizione mi è stata ispirata dal Contest “La ragazza e… la malezione” di darllenwr e mentre quella delle labbra al veleno dalla Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da mps17, con il Prompt 102) Labbra.
Bene, con questo dovrei aver detto veramente tutto, quindi, ci sentiamo alla prossima e, se possibile, lasciatemi un commentino.
A presto! ;)
ByeBye
 

ManuFury! ^_^

 
  
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